“You're
still listed as my emergency contact on the phone so… hello.”
Il
mare correva veloce sotto le ali dell'aereo ormai prossimo
all'atterraggio. Lui si stirò le gambe nel sedile di prima classe.
Era stato un viaggio lungo e scomodo anche così, ed era da un bel
po' che non lo faceva. Controllò l'orologio, sembrava fossero
addirittura in anticipo. Era quasi buffo, sembrava proprio che tutto
lo volesse di nuovo lì, nel suo Paese d'adozione che non vedeva da
due anni.
Due
anni. Eppure erano sembrati molto di più, forse perché era partito
quasi all'improvviso, facendo le valigie in fretta. Non aveva avuto
il tempo di pensare troppo, in quel momento. Non aveva
voluto
farlo.
Il
capitano rivolse loro poche parole, e in qualche minuto le orecchie
gli si tapparono mentre le ruote toccavano sobbalzando il terreno.
Si
accorse tutto a un tratto di voler scendere veloce dall'aereo e
buttarsi sotto la doccia – sempre che la sua doccia funzionasse,
dopotutto erano due anni che il suo appartamento era praticamente
abbandonato, forse avrebbe dovuto passare qualche notte in hotel. Non
ne poteva decisamente più, voleva solo sistemarsi. Ricominciare. Con
calma.
Tirò
giù il suo borsone e si mise diligente in fila tra i pochi
passeggeri della prima classe, riuscendo finalmente a lasciare quel
benedetto aereo in pochi minuti. Il sapore dell'aria calda che lo
colpì lo prese prepotente allo stomaco, inondandolo di ricordi e una
familiarità che non si era aspettato.
Aveva
sempre pensato che fosse più casa la nazione che
aveva appena
lasciato, e invece sembrava che il suo corpo volesse dimostrargli il
contrario.
Recuperò
velocemente le sue due valigie trolley e senza guardarsi in giro, le
cuffie sempre in testa anche se spente, si diresse veloce verso la
fila dei taxi e si infilò nel primo che gli fece segnale di essere
libero. Esitò un secondo prima di fornire l'indirizzo, la lingua
automatica su quello a cui aveva dato il giro di chiave finale, poi
l'auto si mise in moto veloce e si incanalò nel traffico della
capitale.
Dal
finestrino la guardò scorrere accanto a lui, tante piccole luci che
si accendevano nel tramonto al suo inizio. Da lì a poco avrebbe
sicuramente iniziato a piovere, viste le grandi nuvole nere che si
ammassavano veloci. Proprio un bentornato perfetto.
Anche
il suo palazzo era quasi del tutto illuminato, quando il taxi
finalmente si fermò lì davanti. Pescò le chiavi dalla tasca e
trascinò le sue valigie fino all'ultimo piano, l'ascensore fin
troppo illuminato per i suoi occhi stanchi. Si stupì di essere
riuscito a racchiudere la maggior parte della sua vita in tre
borsoni, esclusi i pochi scatoloni che si era spedito. Una volta
accesa la luce – almeno quella funzionava – si rese conto però
conto di essersi dimenticato quante cose avesse lasciato indietro,
ora tutte coperte da teli bianchi per proteggerli dalla polvere.
Si
lasciò scappare un gemito e poi sbuffò: i giorni successivi non
sarebbero stati rilassanti come aveva sperato, anzi.
Abbandonò
le valigie lì in entrata e iniziò a vagabondare per l'appartamento,
ricomponendo la familiarità con le pareti, con le foto ancora
appese, con i pochi vestiti sul fondo dell'armadio. La cucina era
invasa dal bagliore delle luci esterne, la parete a vetrata che
veniva picchiettata dalle gocce che ora cadevano sempre più pesanti
e insistenti. Un biglietto quadrato, sulla penisola di marmo, attirò
la sua attenzione e lo fece sorridere.
«Ho chiamato una compagnia di pulizie e ho
acceso personalmente il
riscaldamento. In frigo ci sono birra e surgelati. Cosa faresti senza
di me? – Z. »
Ecco
perché casa gli era sembrata così pulita.
Si
stappò una birra, a piedi nudi fece marcia indietro per il salotto e
scoprì il divano, buttandoci sopra a peso morto. Poteva prendersela
comoda, dopotutto.
Doveva
essersi addormentato, perché quando aprì gli occhi di nuovo, il
collo gli doleva per la posizione scomoda e si sentiva ancora più
anchilosato di prima, e il temporale non aveva accennato a smettere
anche a buio già calato. Era così stanco che avrebbe probabilmente
continuato a dormire, se il suo cellulare non avesse iniziato a
suonare insistentemente e vibrargli in tasca.
Lo
pescò fuori con un grugnito, aggrottando le sopracciglia nel vedere
chi lo stava chiamando.
«Pronto?»
«Parlo con Shirogane Ryo?»
«… sì, ma chi è?»
«La chiamo dall'ospedale. Hanno appena
portato qui la signorina
Momomiya Ichigo, e lei è stilato come suo contatto d'emergenza.»
**
Non
sapeva nemmeno lui perché stesse correndo così tanto. Aveva dato
una lauta mancia al tassista solo perché era riuscito a portarlo in
ospedale nello stesso tempo di chiunque altro, e si era precipitato
attraverso il parcheggio senza nemmeno un ombrello o una giacca sopra
la testa.
Prese
un respiro solo per ricomporsi ora davanti all'infermiera delle
accettazioni, scrollandosi con una mano l'acqua dai capelli.
«Ehm, buonasera,» non si perse l'occhiata curiosa
che la ragazza gli
mandò, «Mi hanno chiamato da qui per la signorina Momomiya, ma non
so cosa -»
L'infermiera
stava già digitando sul computer: «Ha detto Momomiya?»
«Sì,» lui annuì, il nome che gli pungeva le labbra,
«Ichigo.»
«E' appena uscita dal pronto soccorso, può andare
se vuole.»
Lui
sentì dieci chili scivolare giù dalle spalle: «Quindi sta bene?»
«Non ho i suoi dettagli ancora, mi dispiace, ma
direi di sì. Da
quella parte.»
La
ringraziò velocemente e seguì le sue indicazioni, attraverso
corridoi asettici e dalle pareti verdognole. Quando finalmente giunse
davanti al cartello con scritto Emergencies,
un'altra
infermiera lo placcò.
«Lei chi sta cercando?»
«Uhm,» Ryo si guardò intorno, tra i lettini vuoti e
quelli coperti
dalle tende, fino a che non riuscì a individuare, dall'altra parte
della stanza, una testa color rubino, «Mi scusi…»
Spostò
con gentilezza l'infermiera senza nemmeno guardarla e raggiunse il
letto, come se non stesse nemmeno muovendo lui i propri piedi.
Lei
era lì, un cerotto sulla guancia, la mano destra ingessata fino al
gomito, dei graffi sulle braccia e le labbra un po' spaccate.
Ichigo.
Due
anni dopo.
Lei
avvertì la sua presenza e si voltò, sussultando sconvolta.
«Ryo,»
esalò, come se avesse visto un fantasma, « Mi
avevano detto che avrebbero chiamato il contatto di emergenza, ma non
pensavo che - »
«Sono appena tornato,» rispose subito lui,
rimanendo dov'era,
l'impressione di star osservando la scena da un altro punto di vista,
fuori dal suo stesso corpo. «Che ti è successo?»
Ichigo
arrossì come una bambina, come se non avesse l'età riportata sulla
carta d'identità: «Ero di fretta … » bofonchiò, «Stavo
correndo e pioveva, ho urtato qualcuno sul marciapiede, io sono
caduta e una macchina stava passando … per fortuna era al semaforo,
quindi era praticamente immobile, però …»
«Però polso rotto e qualche contusione,» un dottore
dall'aria
stanca ma gioviale si era avvicinato a loro reggendo una cartella
clinica, «Ha avuto fortuna, signorina Momomiya, ma non è la prima
personcina frettolosa che vediamo in queste giornatacce. Può già
andare a casa se vuole, gli esami sono a posto, bisognerà solo
tenere controllata la frattura. Vedo che l'aiuto è arrivato subito.»
Ryo
strinse le labbra e annuì, poco sicuro su cosa dire. La
rossa stessa era il ritratto dell'imbarazzo.
«Grazie, dottore, se mi dà le carte firmo subito …»
pigolò,
evitando lo sguardo di entrambi gli uomini.
L'americano
rimase in silenzio mentre lei compilava le carte per le dimissioni e
ringraziava nuovamente il medico; non riusciva a capire se il suo
cervello rimanesse silente per l'assurdità della situazione, o
perché sapeva che se avesse lasciato scappare anche uno solo dei
pensieri che si stavano affollando nella sua mente, lui sarebbe
impazzito.
«Grazie,» mormorò di nuovo lei quando lui le porse
i vestiti sulla
sedia, «Oh, accidenti, la mia camicetta nuova è tutta strappata …»
Ryo
rimase voltato mentre lei si rivestiva, gemendo ogni tanto e
sbuffando.
«Vorrei poter dire che è bello rivederti,» esclamò
dopo un po'.
La
rossa ridacchiò: «Una circostanza un po' in solita. Comunque sono
pronta.»
L'americano
le prese la borsetta, conscio di quanto potesse essere goffa anche
completamente abile.
«Sono venuto qui in taxi,» le disse, «Dobbiamo
andare da quella
parte. »
Lei
lo seguì in silenzio fino all'uscita, l'aria fresca che li investì
in pieno e le gocce di pioggia che cadevano più leggere. Rimasero
sotto la balconata ad aspettare che uno dei soliti taxi comparisse, a
qualche passo l'uno dall'altra.
«I gotta ask,» Ryo continuò a
fissare dritto davanti a sé,
le mani in tasca e la borsetta a penzoloni, «Come mai sono io il
tuo contatto d'emergenza? »
«Be', ecco … in realtà non mi ricordavo nemmeno di
averti inserito
come tale. Sai, non ho mai pensato in realtà che sarei finita in
ospedale, per cui … o almeno, non che qualcuno avrebbe chiamato al
posto mio…»
Lui
annuì e non si spostò, avvertendo sollievo quando vide i fanali e
il simbolo verde illuminarsi poco lontano.
Le
aprì la portiera con un sorriso, aggirando poi la macchina per
prendere posto dall'altra parte.
«Ti porto prima a casa, non è un problema,» le
disse, e lei recitò
a bassa voce il proprio indirizzo.
Ryo
si rilassò un attimo contro lo schienale, esalando piano. Sapeva,
più o meno, quanto sarebbe durato il tragitto, e non seppe nemmeno
se meravigliarsi di poterlo ancora ricordarsi.
«Vivi ancora nel vecchio appartamento,» disse poi,
dopo dieci minuti
di silenzioso passare tra le strade mai vuote della capitale.
Ichigo
si morse un labbro mentre annuiva: «Senti, lo so che è tardi, ma
non ci vediamo da anni e sei stato trascinato qui, quindi … ti devo
almeno un caffè. Ti va? »
Ryo
si voltò piano verso di lei, il cuore che batté un po' più forte e
lo stomaco che gli gridava quanto non fosse una buona idea. Lei
abbozzò un sorriso, il viso tondo che si illuminò appena, la
stanchezza che lo avvolgeva e la voglia di casa.
«D'accordo.»
**
Era
stata una pessima idea, e lui lo sapeva.
L'aveva
capito non appena avevo messo il piede giù dal taxi, se l'era
ripetuto nel breve tragitto nel piccolo ascensore dalle pareti di
vetro, e ne aveva avuto la conferma finale una volta varcata la
soglia dell'appartamento ed essere invaso dall'odore di lei.
Si
era quasi morso la lingua per non dire a voce alta, mentre si
accomodava su una sedia della cucina, che gli sembrava nulla fosse
cambiato.
Perché
invece era tutto il contrario.
Ichigo
gli passò una tazza sbeccata fumante, sedendosi davanti a lui con
una smorfia quando poggiò il gesso sul tavolo.
«E così… sei tornato.»
Ryo
annuì, guardò l'orologio sul microonde: «Da nemmeno sette ore.»
«Be', bentornato. Scommetto che non te lo saresti
mai immaginato così.»
«Avrò sicuramente una storia da raccontare.»
La
rossa sorrise, soffiò un paio di volte sul liquido scuro. Lui la
stava guardando di sottecchi, conosceva quel visetto nonostante
tutto.
«Come on, ginger. Chiedi quello
che vuoi chiedermi.»
Lei
sobbalzò appena al soprannome, si strinse nelle spalle: «Nulla.
Ero solo curiosa del perché fossi tornato, ecco.»
Ryo
alzò appena il sopracciglio: «Niente di che. La compagnia ha
finalizzato l'espansione, abbiamo dato ufficialmente il via ai lavori
della nuova sede globale qui. E visto che ho supervisionato il
progetto fin dall'inizio, sono tornato in avanscoperta a controllare
questi primi passi. Venivo da qui, qui torno. Come futuro CEO della
sede. »
Ichigo
storse il naso, prendendo un sorso: «E' buffo, no? » mormorò poi,
senza guardarlo, «Sei tornato per lo stesso motivo per cui te ne
sei andato.»
Il
biondo sentì il caffè bruciargli lo stomaco, un sapore acido
risalirgli piano lungo la gola e la stanchezza ripiombargli addosso
tutto insieme. «Ce l'hai ancora con me per quello?» le chiese
infine.
«È un po' difficile chiudere la questione quando in
meno di un mese
decidi di sparire per due anni,» bofonchiò lei con malcelato
nervosismo.
Ryo
si lasciò scappare un sospiro pesante, si passò una mano sul viso:
«Senti, Ichigo, non sono venuto qui per rivangare discorsi già
affrontati e ormai vecchi.»
«Pensavi di tornare e ignorarmi? »
«No, ma di sicuro non programmavo di rivederti nel
bel mezzo della
notte in ospedale per poi essere accusato per le scelte che ho fatto
e che ho già vissuto da solo.»
Lei
abbassò di nuovo lo sguardo, le labbra strette e una punta di ansia
e vecchio dolore che ritornava a galla. Se si fosse detta che era da
molto che non pensava a lui, sarebbe stata una bugia. Al tempo
stesso, però, non sapeva nemmeno se definirla una storia importante,
la loro. Era durata quasi un anno, vissuto intensamente abbastanza
perché entrambi si perdessero completamente l'una per l'altro, ma
non abbastanza da convincerlo a non partire o a farle decidere di
seguirlo, quando gli si era presentata l'occasione di spostarsi nella
sua terra d'origine, dall'altra parte del mondo, per fare un salto di
carriera.
O
almeno, questo era ciò che lei aveva sempre pensato. Nonostante
tutto, aveva sempre avuto il timore di non essere mai stata capace di
comprenderlo; lui, sempre così inafferrabile, distante, complesso,
tormentato da un passato che non aveva mai voglia di divulgare. Si
erano conosciuti per anni, battibeccandosi addosso per nascondere la
voglia di scoprirsi in maniera differente, eppure lei aveva sempre
avvertito un divario, uno scalino tra di loro che lei non riusciva a
sormontare.
Lui,
dal canto suo, non era mai stato capace di dirle quanto avesse tenuto
a lei, davvero. E una parte di sé, quella che più
l'aveva
spinto, aveva sempre instillato nella sua mente il timore di vedersi
schiacciato dalla sua mancanza, che non era stato troppo difficile
convincersi a scappare lontano.
«L'hai detto a qualcuno che saresti tornato?» gli
chiese sottovoce.
Ryo
esitò un secondo prima di rispondere: «Solo a Zakuro, aveva un
doppione delle chiavi del mio appartamento.»
A
quelle parole, la rossa storse appena il naso in un gesto che non gli
sfuggì.
«Cosa? »
«Niente, ma… Zakuro…» rispose vaga lei, nella
stessa maniera in
cui gli aveva sempre risposto anni prima quando il nome della modella
si faceva largo tra le loro conversazioni.
«Cos'è, sei ancora gelosa?» le chiese con tono di
scherno, una
subdola voglia di irritarla.
Ichigo
si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza poter mai
incrociare il suo sguardo: «Immagino che non dovrei stupirmi che
voi due abbiate mantenuto un rapporto in questi anni, sicuramente lei
sarà venuta a trovarti qualche volta. Avete sempre avuto un legame
particolare, in fondo.»
A
Ryo venne voglia di ridere, una risata carica di sarcasmo e un filo
di rabbia: «Are you even serious right now? Ci
conosciamo da
quando eravamo adolescenti, io e lei. Se non sbaglio, la tua migliore
amica Minto aveva una cotta molto più grande di chiunque altro
conoscessi per Zakuro. E io non ti ho mai rotto le scatole per la tua
amicizia con quel Kisshu – anche se forse avrei
dovuto - o
sbaglio?»
Ichigo
sembrò farsi più piccola sulla sedia, la ciocca rubino che le
ricadde davanti al volto senza che lei facesse nulla per spostarlo.
Lui aggrottò la fronte, improvvisamente conscio del cambio di
atmosfera dentro la stanza.
«Che c'è?»
La
rossa si morse un labbro, le dita della mano libera che
tamburellarono a disagio sul tavolo di legno: «Io … ecco … »
«Oooh, I see,» questa volta fu
lui ad avvertire un
chiarissimo, familiare brivido di gelosia corrergli lungo
l'intestino, una vecchia sensazione di sdegno che gli fece stringere
il pugno sopra la gamba, «Alla fine ce l'ha fatta a ottenere quello
che aveva sempre voluto, vero? E bravo Ikisatashi, lesto come un
gatto.»
Ichigo
alzò di scatto la testa, il volto rosso forse per vergogna o per
collera, gli occhi che si inumidirono come tutte le volte che avevano
iniziato una discussione: «Almeno lui è rimasto.»
«La devi smettere con questa storia,» il biondo lo
sibilò con un
fil di voce, stringendo il manico della tazza con tale forza che le
nocche gli diventarono bianche, «Hai preso anche tu la tua
decisione, sai.»
«Credevo di essere più importante di un lavoro che,
come vedi,
avresti potuto trovare benissimo anche qua.»
«Potrei dirti la stessa cosa, sai. Non mi sembra
che nemmeno tu abbia
lottato come secondo te avrei dovuto fare io.»
«Cosa sarei venuta a fare, eh? La bella statuina?»
«Per una volta, avresti fatto tu
un passo verso di me.»
Ichigo
girò il volto come se avesse preso uno schiaffo, alzando gli occhi
al cielo per evitare che quelle maledette lacrime le bagnassero le
guance.
«Quando mi dicevi che mi amavi, era almeno
vero?»
Se
gli occhi avessero potuto incenerire, di lei non sarebbe rimasto
nulla: «Ma vaffanculo, Ichigo.»
Lei
trasalì appena: «Però te ne sei andato senza nemmeno pensarci un
secondo.»
«Non mi sembra tu sia stata a straziarti troppo a
lungo.»
«Cos'è, volevi che ti aspettassi in vano,
supplicandoti per favore di
tornare da me?!»
«Perché avrei dovuto? Non ci hai nemmeno pensato,
quando ti ho
chiesto di venire con me. Hai detto di no subito, dovevo essere io a
rincorrerti? Avevo avuto già tutte le risposte che mi servivano,
avevo già pensato abbastanza con quello.»
Ryo
si alzò di scatto, non sopportando più la vista di lei, si passò
una mano tra gli arruffati capelli biondi mentre esalava in silenzio
per riuscire a calmarsi.
Era
sempre stata così, la loro relazione. Un battibeccare continuo, per
due che non erano bravi a parlarsi, a confidarsi, a lasciarsi andare.
Che non riuscivano ad amarsi appieno, nonostante si amassero.
O
almeno, nonostante lui avesse amato lei sopra ogni altra cosa al
mondo, sbattendoci la testa contro così tante volte che ormai ci
aveva fatto il callo.
«Ryo.»
Bastò
quella sillaba a spezzargli il cuore di nuovo.
La
consapevolezza che non ci sarebbe mai potuto essere qualcosa tra di
loro per davvero lo avviluppò in un istante, spezzandogli il fiato.
E non perché non avessero mai voluto, o non ce ne fosse mai stata
occasione, ma semplicemente perché erano troppo diversi, e al tempo
stesso così simili in troppi punti.
Sarebbe
stato così semplice, eppure non erano mai riusciti a non renderlo
complicato.
«Mi
dispiace, Ichigo, » mormorò, «Ma non posso rimanere. Non
posso.»
Avrebbe
voluto dirle tante altre cose, ma al tempo stesso, si rese conto che
sarebbe stato tutto dettato solamente dalla nostalgia, dal profumo di
quella casa e da tempi più acerbi, ma più semplici.
Lei
annuì, una singola lacrima che le sfuggì dagli occhioni scuri, che
in tutta la loro tristezza non gli trasmettevano più nulla: «Credi
che… potremo sentirci, qualche volta?»
Ryo
non esitò nemmeno un istante: «No,» esclamò secco, senza
provare nulla, senza pensare a nulla, «Non sarebbe una buona idea.
»
Ichigo
acconsentì di nuovo: «Hai ragione,» mormorò solo.
«I
always do, ginger.»
La
vide sorridere appena, aprire un paio di volte la bocca come per dire
qualcosa, poi scuotere la testa: « Grazie per avermi aiutata, oggi.
»
«Di
nulla.»
Rimasero
così, in silenzio, senza più null'altro da dirsi, per qualche
istante ancora, prima che lui raccogliesse infine il suo giubbotto.
«Ciao,
Ichigo. Abbi cura di te.»
«Ciao,
Shirogane-kun.»
Il
nomignolo quasi infantile lo accompagnò fino alla porta, il silenzio
del palazzo avvolto dal sonno che gli rimbombò nelle orecchie mentre
scendeva le scale a piedi, per far pompare il cuore.
Il
cerchio era stato chiuso, si disse, mentre usciva dall'edificio
incontro alle luci dell'alba che cominciavano a sorgere lontane.
L'avrebbe presa come un segno del destino, se avesse creduto in
quelle cose. Ma la tranquillità che lo pervadeva in quel momento era
molto più forte del sordo dolore che sapeva non sarebbe mai riuscito
a scacciare del tutto dal suo petto.
L'odore
della poggia che cadeva fitta nascose tutto il resto.
§§
Credo di non aver mai odiato scrivere una Ryochigo così tanto come
questa volta. Avevo il rifiuto per questi due e la loro incredibile
stupidità, non riuscivo proprio ad andare avanti a scriverla, e come
avrete notato è rimasta ferma mesi, mesi in cui avrei
voluto prenderli entrambi a sprangate. Poi come al solito in due ore ho
chiuso la questione, scrivendola proprio con rabbia nel disperativo
tentativo di liberarmene e non doverci pensare più xD Scrivere la frase
finale è stato quasi liberatorio (tanto quanto il vaffanculo Ichigo,
erano SECOLI che speravo di poterlo scrivere ahahaha).
Quindi chiedo perdono in caso
la ff non soddisfacesse ^^'''' Ah, in caso foste interessate: essendo
questa una AU, il
progetto Mew non è mai esistito, KIsshu non è un alieno, né loro sono
geneticamente modificati. A voi immaginare come si sono
conosciuti :P
Avviso che questo è il PENULTIMO universo alternativo che
affronteranno, ahimé la prossima è di nuovo una Ryochigo che manco è
iniziata, quindi se non decido di ucciderli tutti e farla franca, mi sa
che mi farà penare di nuovo ^_^
Grazie a tutti coloro che seguono, leggono, smipicciano, ma soprattutto
a quelli che commentano <3
Un bacione (e buonanotte vista l'ora xD)
Hypnotic Poison
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