Upside Town

di Frulli_
(/viewuser.php?uid=658955)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


7. Phantoms & Monsters





 
Little Hall, 7 Aprile 1911
 
Aprile arrivò prima che tutti se ne potessero accorgere. L'inverno freddo e piovoso si sostituì ad un'aria più mite, giornate più lunghe, il sole più presente e battente, e qualche sporadica giornata di pioggia che rendeva l'erba di casa verde come uno smeraldo. Era arrivato il tempo degli abiti più leggeri, dei colori più chiari e pastellati, delle torte di frutta di Mr Conti, delle passeggiate ad Hyde Park, della banda che suona, dei valzer e delle danze improvvisate nel parco...Ethel sorrise tra sè, sognante: adorava la primavera e poteva già assaggiare i colori e i profumi dell'estate, la sua stagione preferita. Le sue estati nella famiglia Norton le ricordava praticamente tutte....

 
Estate 1897
 
«Se starai tutto il giorno davanti la finestra non arriverà prima, Lulù» brontolò George, girando la pagina di un enorme Atlante geografico.
«Lo so, ma non riesco a distrarmi. E se non tornasse più?»
«Chi non torna più?» chiese la piccola Daisy, seduta sulle gambe del ragazzino.
«Nessuno Daisy, tranquilla. Visto dov'è il Nilo? Eccolo...» le spiegò George, indicando col dito un punto sulla cartina dell'Egitto.
Ethel li osservò un istante, sorridendo tra sè, prima di venir distratta dal clacson di una vettura che velocemente superò i cancelli di Rose Castle, divorando l'ampio viale alberato che anticipava lo spiazzo dove si sarebbe fermata.
«Eccolo!» gridò Ethel, correndo veloce verso l'uscita della porta. Le sembrava di volare, tanto correva. Non riusciva a credere che finalmente era arrivato, era tornato! Una volta arrivata all'ingresso del castello, grande com'era, la macchina era già ferma in fondo alla scalinata ed un giovanotto biondo, con ancora addosso la divisa dell'Eton College, stava salutando Lord Norton con grande affetto.
«Alfie!» gridò, sventolando in aria una mano.
«Lulù!» rispose a sua volta il giovanotto. Ethel scese velocemente la scalinata, prima di gettarsi finalmente tra le braccia del ragazzo che ridendo la prese al volo, abbracciandola.
«Finalmente, quanto ci hai messo» commentò lei, sorridendo raggiante «abbiamo aspettato così tanto!»
«Solo qualche giorno» la corresse con calma Lord Norton, osservando il primogenito «per non perderci il tuo ritorno. Ma ora che sei tornato, possiamo andare tutti a Londra no?»
I due giovani annuirono, felici, e stretti uno all'altro risalirono i gradini della scalinata, cominciando a raccontarsi a vicenda le esperienze vissute. Lord Norton, osservandoli, ebbe la certezza che nulla avrebbe mai potuto rompere quel legame che c'era tra i due ragazzi...


«Ethel?» George bussò alla porta della camera, riportandola di colpo alla realtà «Sei pronta? Stanno arrivando»
Ma certo, pensò Ethel con rammarico, ecco la nota stonata di quel mese primaverile. Zia Adel. Erano anni che non la vedeva, ma poteva ancora percepire il suo odore di cenere e candele, per le troppe preghiere dette, per essersi cosparsa il capo fin troppe colpe per i peccati del marito. Ricordava ancora l'odio con cui si rivolgeva a lei e a George. Come due schiavi, come due bestie esotiche. "Arrampicatori sociali", li aveva sempre chiamati così. Come se una bambina di dieci anni potesse capirne il significato...
Scese velocemente la scalinata che portava dalla zona notte all'ingresso, già occupato dal resto della famiglia, mentre la servitù era fuori, in fila come uno squadrone di soldati, in attesa di accogliere la Duchessa.
«Sempre in ritardo» mormorò Alfred, facendole un vago occhiolino. Ethel si limitò a sorridere appena, passando davanti a loro prima di fermarsi, in piedi, vicino a George. Stava evitando Alfred come la peste, ne era consapevole, ed il ragazzo se n'era accorto eccome. Era la verità. Dopo la cena a casa sua non voleva dare preoccupazioni a Candice, che la vedeva sempre più attaccata al fidanzato, tormentandolo in ogni maniera.
«Sei in ritardo» ripetè George, più serio rispetto ad Alfred.
«Lo so, scusa, ma ancora non sono arrivate no?» rispose subito Ethel, a bassa voce.
«Sssh!» sibilò nervosamente Daisy, davanti a loro, mentre rimaneva sottobraccio in piedi a sua madre, al centro dell'ingresso. Poi, quasi all'unisono, uscirono dalla villa fermandosi sulla soglia della porta.
Erano tutti nervosi, tutti agitati, a cominciare dalla servitù che aveva ripulito da cima a fondo tutta la tenuta, ogni angolo, ogni lampadario...zia Adel avrebbe potuto trovare da ridire per qualunque cosa.
Quando sentirono rumore di cavalli e di ruote di carrozza, capirono che erano arrivate. Tra di loro cadde il gelo. Persino Candice riuscì a percepire il nervosismo che aleggiava nell'aria, e pensò bene di tacere. Una carrozza nera e oro, di moda probabilmente cinquant'anni prima, si fermò davanti alla villa.
Due valletti andarono ad aprire la porta della carrozza, mentre l'autista scendeva e cominciava a scaricare i rumerosi bauli delle due nobili.
«Duchessa, ben arrivata a Little Hall» annunciò il maggiordomo, porgendole la mano. Un braccio magro e avvolto da una manica nera si poggiò su di essa, prima che la figura della Duchessa scendesse gli scalini della carrozza. Ethel rabbrividì: non era cambiata di una virgola. Era una figura ricurva su un bastone di ebano e argento, pienotta, vestita come una bambola di porcellana in lutto perenne. La moda non era una cosa che avesse mai interessato la Duchessa, che aveva sempre mantenuto uno stile vittoriano, spartano, vecchio di almeno cinquant'anni. Non che ci fosse nulla di male per una donna della sua età, almeno sotto quel punto di vista. Il problema della Duchessa era la sua mentalità, vecchia come il resto.
La Duchessa fece per camminare verso la soglia della porta, lentamente, lo sguardo arcigno che fissava i parenti avanti a loro. Li studiava, li analizzava, trovando critiche e difetti che avrebbe debitamente esposto più avanti.
«Muoviti, Agatha, o con la tua lentezza facciamo notte» esclamò a gran voce. Ethel si era quasi dimenticata della duchessina, ed allungò appena il collo verso la carrozza, curiosa. Un valletto porse la mano verso la ragazza, e lentamente, con aria goffa, scese dalla vettura una giovane ragazza di vent'anni, capelli biondi e un grazioso viso tondo. Era bassa di statura, e con forme curve e piene. Il problema, ovviamente, era l'influenza che zia Adel aveva su quella povera ragazza. Aveva i capelli stretti in due trecce tenute dietro le orecchie, la linea dei capelli perfettamente a metà, in pieno stile vittoriano. Anche l'abito che indossava, di un grigio spento, era completamente anacronistico, casto come l'abito di una suora. Non c'era nessun accenno di femminilità e la rigidità ed ampiezza dell'abito certo non l'aiutava.
Povera cara, pensò Ethel. Crescere sotto le direttive di zia Adel sarebbe per lei un vero incubo.
«Arrivo, zia» mormorò mesta la giovane, scendendo dalla carrozza quasi senza nemmeno vedere dove fossero gli scalini del veicolo. «Grazie...» mormorò gentile verso il valletto, che rigido s'inchinò prima di richiudere la porta. La giovane nobile affrettò il passo per seguire la zia, affiancandola, ma nel farlo non si accorse del piccolo gradino che divideva la strada principale dal vialetto del giardino. Mise il piede in fallo, cadendo miseramente in avanti, gridando appena per lo spavento.
«Sgraziata» brontolò la Duchessa, continuando ad avanzare. Ethel arrossì immedesimandosi in lei, per la vergogna di essere caduta a due metri dalla sua carrozza e per di più dietro zia Adel. Fece per avvicinarsi a lei, per aiutarla, ma qualcuno la anticipò prontamente: George, che a passo svelto superò zia Adel e si chinò verso la duchessina, porgendole le mani.
«Venite, forza...inciampo anche io su quel dannato gradino» mormorò George. La duchessina sollevò gli occhi velati di lacrime e il viso rosso verso il giovane, arrossendo ancora di più se possibile.
«Mi spiace, ho fatto una figuraccia...» sibilò mortificata sistemandosi l'abito.
«Non dovete scusarvi» mormorò a sua volta George, porgendole il braccio e scortandola verso zia Adel prima di rimettersi al suo posto, vicino ad Ethel. Gli lanciò un'occhiata, la sorella, curiosa e soddisfatta. In risposta George finse di guardare zia Adel, prima che tutti s'inchinassero davanti a lei. L'etichetta con zia Adel non doveva essere mai dimenticata, che voleva essere riverita come se fosse la Regina.
«Adelaide, che piacere rivederti. Com'è andato il viaggio?» chiese Lady Maud.
«Noioso e stancante, Vittoria, mi piacerebbe riposare subito dopo pranzo» annunciò la duchessa. Lei era l'unica che chiamava Lady Maud con il suo nome di battesimo, una cosa che la faceva andare su tutte le furie ogni volta.
«Certamente. Lascia che ti presenti Miss Candice Williams, la fidanzata del nostro Alfred. Miss Williams, lei è la Duchessa Adelaide Howard»
«Duchessa Willelmina Adelaide Alexandra Norton in Howard, ma voi potete chiamarmi Lady Howard se volete» si presentò da sola zia Adel, prima che Candice eseguisse un profondo inchino.
«Onorata, Lady Howard» rispose solamente Candice, emozionata come una bambina.
«E questa sgraziata creatura vicino a me è mia nipote, la Duchessa Agatha Cathleen Cassandra Howard» precisò zia Adel, sospirando spazientita.
«Felice di conoscere tutti voi...» mormorò la nipote, ancora imbarazzata per la caduta.
«Benvenuta a Little Hall, Miss Howard. Lasciate che vi presenti la vostra famiglia» annunciò Lady Maud, sorridendole garbata «Mio figlio, il Conte Alfred Norton, e mia figlia la Contessa Daisy Norton...Sir George Herbert, che avete conosciuto poc'anzi, e Miss Ethel Herbert, sua sorella gemella»
«Piacere di conoscervi tutti» ripetè ancora la duchessina, imbarazzata.
«Siete ancora qui, vedo...ancora a spillare soldi, mh?» commentò inesorabile zia Adel verso George ed Ethel. La sua spada della vendetta si era abbattuta ancora su di loro.
«Adelaide, lo sai che George e Ethel sono...» fece per dire Lady Maud.
«Si, certo, sono stati presi in custodia dal mio amato fratello, che Dio lo abbia in Gloria» precisò zia Adel, facendosi il segno della croca. Lanciò un'occhiata quasi disgustata verso i due fratelli, quindi sospirando varcò da sola la soglia della villa.


Un tuono profondo squarciò il silenzio nella stanza, facendo vibrare i vetri delle finestre. Cassie sobbalzò sul divano, spaventata da quel suono improvviso. Un lampo illuminò il cielo, facendo luce in un cielo improvvisamente ingombro di nuvole nere come le tenebre. Qualche secondo dopo, la pioggia si riversò inesorabile su Londra, inondando qualunque cosa.
Si posò una mano sul petto, ansante. Ti sei solo suggestionata, pensò tra sè. Era così facile spaventarla, come se avesse sempre i nervi a fior di pelle. Mai un attimo di tregua, anche quando zia Adelaide non la tormentava con le sessioni di preghiere, di etichetta, di postura...Aveva solo uno svago, la lettura, che la zia nutriva generosamente acquistandole libri di religiosi e saggisti, oltre che romanzi rosa. Ma a lei piacevano i romanzi gialli, quella loro sensazione di paura e terrore, di investigatori, sospetti e teorie...e doveva acquistarli di nascosto, senza che ne accorgesse la zia, o erano guai seri.
Si dimenticò quasi della sua lettura e automaticamente riporto gli occhi sul libro che teneva aperto sulle gambe, con entrambe le mani. La lampada sul tavolino vicino a lei illuminava solamente la sua zona, lasciando il resto della piccola biblioteca nell'oscurità assoluta. Le piaceva leggere così: la isolava dal resto del mondo. Riportò gli occhi e la mente nella lettura, immergendosi completamente in essa...
"Il fantasma è di una straordinaria magrezza e il suo abito nero svolazza sopra un'ossatura scheletrica. I suoi occhi sono così infossati che non si distinguono bene le pupille immobili. Non si vedono, insomma, che due fori profondi come nei crani dei morti. La sua pelle, tesa sull'ossatura come una pelle di tamburo, non è bianca ma orribilmente giallastra; il suo naso è talmente piccolo da non poter essere distinto di profilo e la mancanza di naso è una cosa orribile a vedersi. Due o tre lunghe ciocche brune sulla fronte e dietro le orecchie fanno le veci della capigliatura...."1
«Miss Howard?» chiamò una voce incerta.
Sobbalzò di nuovo, spaventata da quel suono improvviso. Sobbalzò anche il giovane in piedi davanti a lei, appena visibile. Mise a fuoco la figura, riconoscendo Mr Herbert. Si sentì il viso infuocarsi nel giro di pochi secondi, imbarazzata per essersi spaventata e per il ricordo di quel disastroso arrivo.
«Mr Herbert! Perdonate, i-io ero...leggevo, non vi ho sentito...» brontolò, alzandosi di scatto, sgraziata, facendo cadere il libro a terra e colpendo col gomito la lampada, che oscillò pericolosamente «Oh Dio, ecc-ecco fatto» brontolò, sempre più nel panico, sistemando al volo la lampada. Si raddrizzò, rigida come un bastone, fissando il giovane.
«Tutto bene?» chiese lui, sorridendo appena, rigido, le mani appena protese per eventualmente raccogliere al volo la lampada...o la ragazza stessa. Indossava dei semplici pantaloni scuri e stivaletti, camicia bianca, doppiopetto e giacca marroni, la catenella d'oro di un orologio da taschino pendeva sul panciotto. I capelli neri erano tenuti lunghi appena sopra le orecchie, tirati indietro con la brillantina. Non portava i baffi, come la moda maschile suggeriva, e i tratti affilati del viso erano in bella vista, duri come il ghiaccio. Le labbra carnose tese in un'aria seria, gli occhi ghiacciati che la fissavano, come privi d'espressione. Eppure Cassie non potè fare a meno di reputarlo bello, a suo modo.
«Si, tutto bene! Voi?»
«Tutto ben, grazie. Come sta la vostra caviglia?» chiese George, avvicinandosi.
«Oh sta bene, ho le ossa spesse io. E cado talmente tante volte che ormai mi sono fortificata» commentò Cassie, con un'ironia che il ragazzo sembrò non cogliere.
«Mi fa piacere...»
«Grazie...»
Cadde il silenzio fra loro, interrotto solo dallo scrosciare violento della pioggia fuori dalla finestra. Cassie si ritrovò ad abbassare gli occhi in basso non riuscendo a reggere lo sguardo gelido del ragazzo. George la imitò chinando lentamente gli occhi sul pavimento, inarcando poi un sopracciglio quando riconobbe il titolo scritto sulla copertina del libro a terra.
«"Il fantasma dell'Opera"?» chiese, curioso.
Cassie annuì. «E' la terza volta che lo leggo, veramente. Vi sarei grata se zia Adel ne fosse all'oscuro, Mr Herbert»
«Chiametemi pure George, Miss Howard...e no, zia Adel non verrà a sapere nulla. Vi è piaciuto?»
«Molto. Trovo le descrizioni dell'Opera fantastiche, e provo una sensazione di odio e amore verso Erik. E' un personaggio oscuro ma anche misero...il risultato di quel che gli è stato fatto. E chiamatemi pure Cassie» precisò poi, sorridendo appena.
«Cassie?»
«Sì, Agatha è il mio nome di battesimo, ma zia Adel è l'unica che mi chiama così. Chi mi conosce di solito mi chiama Cassie»
«Molto più carino, sì» ammise sincero George, tirando un sorriso vago sul volto che ebbe l'effetto inverso di renderlo quasi sinistro. Qualcuno bussò alla porta prima di entrare, e intravidero la figura di una cameriera sulla soglia della porta.
«Mr Herbert, chiedo scusa...vostra sorella chiede se volete entrambi unirvi al thè insieme a lei. Lady Maud e Lady Howard sono ancora nelle loro stanze a riposare, e Miss Herbert è da sola»
«Alfred e Candice?» chiese curioso George.
«Sono andati via circa mezz'ora fa, Mr Herbert. Cosa debbo dire a Miss Herbert?»
«Che stiamo arrivando, grazie Charlotte»
«Dovere, signore» e come arrivò la ragazza andò via, silenziosa.
George si voltò verso Cassie, porgendole il braccio. «Meglio non far attendere mia sorella...andiamo?»


«Allora Miss Howard, cosa vi piacerebbe fare qui a Londra? E' la prima volta per voi, e ci sono molte cose da vedere» annunciò sorridente Ethel, prima di sorseggiare il suo thè. Erano tutti e tre seduti intorno ad un tavolino, su morbide poltrone verdi, ed il camino era stato acceso per riscaldarli in quella piovosa giornata primaverile.
«Chiamatemi pure Cassie, Miss Herbert. Non saprei, in verità...vorrei visitare molti posti culturali, ma anche di svago. Potete consigliarmi?»
«Beh Londra è una città molto grande e variegata, Miss Cassie» si corresse Ethel, sorridendole «ma se fossi in voi andrei dritta dritta a visitare il British Museum, la National Gallery e poi magari un giro per i parchi, Hyde Park soprattutto. Ma c'è anche Buckingham Palace, il Crystal Palace, Westmister...»
«Accidenti, dite che mi basterà una stagione intera?» chiese preoccupata Cassie.
«Una stagione intera?» ripetè George, con una vena di preoccupazione nella voce.
«Si, zia Adel ha intenzione di rimanere fino alla fine della stagione, vuole...trovarmi marito» precisò tra i denti Cassie, sorseggiando il thè.
«Oh bene, certo...non fraintendete il tono di mio fratello, Miss, è solo che zia Adel non...ci ama molto»
«Diciamo pure che ci odia, dai» precisò ironico George, divorando un biscotto.
«Zia Adel odia tutti, se vi può consolare. Anche se non capisco perchè odia tanto voi, siete i suoi nipoti e...»
«Errore» precisò con sarcasmo George, guardando fuori dalla finestra «siamo stati adottati da suo fratello, il Conte, ma non...legalmente. Diciamo che siamo ospiti dei Norton da ventotto anni, siamo cresciuti qui, e reputiamo Alfred e Daisy come nostri cugini. Ma non abbiamo legami di sangue»
«Quindi io e voi non siamo parenti?» chiese curiosa Cassie.
«No, per vostra fortuna no» rispose George, facendole un vago occhiolino.
«Oh bene! Cioè voglio dire, mi dispiace ovviamente ma-ma sono, ecco...» Cassie osservò imbarazzata i due, arrossendo per l'ennesima volta.
«Se poteste non farvi uscire la cosa con Miss Williams, ve ne saremo grati» tagliò corto Ethel, distraendola dalle sue figuracce «non tanto per noi, ma per lei. Credo che Alfred non le abbia detto della nostra non-parentela, e temo potrebbe uscirne turbata. Insomma, noi tre siamo molto uniti e potrebbe...indispettirsi»
«Oh sarò muta come una tomba. Purchè voi mi farete da chaperon in giro per Londra» commentò Cassie, sorridente «se avete cuore, non mi farete andare in giro con zia Adel»
I due fratelli risero appena, e finalmente Cassie potè vedere un'ombra di gaiezza sul viso di George, che sembrò quasi illuminarsi, cambiare forma.
«Che ricatto bello e buono! E sia, allora. Alla prossima giornata soleggiata faremo un primo tour per la città»
«E le biblioteche?» chiese Cassie, entusiasta.
«E le biblioteche...e le sale da ballo, ovviamente. La sera dovremmo pur far qualcosa» precisò Ethel, facendole l'occhiolino.
Cassie sbiancò, fissando tutti e due. «N-no, meglio di no Miss, io...non so ballare» sussurrò, come fosse un segreto di sicurezza nazionale.
«E che problema c'è! Nemmeno io sono bravissima, ma si può sempre imparare, con un bravo maestro» precisò Ethel prima di spostare eloquente lo sguardo su George, che si era bloccato con una mano a mezz'aria, che reggeva un biscotto.
«Che?»
«Oh no, Miss, non dovete preoccuparvi, io...sono davvero un caso anomalo, disperato, sono sgraziata»
«Se Miss Cassie vuole provarci...» si limitò a dire George senza particolare enfasi.
«Visto, Miss? Provate, almeno, vi assicuro che comunque non ve ne pentirete» precisò Ethel sorridendo appena.


Lady Howard andò su tutte le furie quando si accorse di non essere stata svegliata in tempo per il tè delle cinque. Una furia che si abbattè su chiunque: sulla nipote, che segregò praticamente in camera sua a pregare e pentirsi per non aver avvisato la servitù; ai suoi ospitanti, a cui non rivolse la parola per intere ore salvo poi sfogare la sua ira su George ed Ethel; ed ovviamente sulla servitù, oggetto preferito delle sue angherie. Purtroppo Lady Howard aveva una mente antiquata, chiusa e prepotentemente ostile nei confronti di qualunque essere non fosse di sangue inglese. Il suo umore peggiorò quando venne ora di cena.
Si rifiutò di mangiare con il resto della "famiglia", irritata dal fatto che avessero fatto cucinare la cacciagione di Venerdì di Quaresima. Si chiuse nelle sue stanze e fece cucinare da principio, solo per sè, ricette vecchie di decadi riguardanti le strette e rigide tradizioni culinarie vittoriane. Nessun esoticismo era ammesso, nessun errore sarebbe stato accettato.
«Cercate di essere comprensibili, è una donna vecchia che ha tanto risentimento nel suo cuore» sussurrò Lady Maud verso Charlotte e Josephine, che si apprestavano a portarle la cena al piano di sopra. Lady Maud poteva fare solo quello: cosa avrebbe potuto dirle? Quella casa, i mobili, tutto appartenevano a suo marito e solo in parte a lei. Lady Howard era la sorella maggiore di suo marito, oltre che un membro molto familiare ai Reali. Non poteva fare molto che sopportare, come aveva fatto negli ultimi trentaquattro anni.
«E' tutto come ha ordinato lei?» sibilò Charlotte, cercando di fermare il tremolìo che aveva nelle mani che reggevano il vassoio d'argento. Faceva attenzione anche solo a respirare più del dovuto, o a camminare in maniera troppo scomposta. Aveva il terrore di quella donna.
«E' tutto apposto, vedrai, sarà un gioco da ragazzi. Entri, inchino, poggi il vassoio sul tavolo senza guardarla negli occhi, esci lentamente senza mai darle le spalle, un altro inchino e chiudi piano la porta. Io sarò proprio qui dietro, non preoccuparti» mormorò Josephine, fermandosi a pochi metri dalla porta.
«Non entri con me?» chiese Charlotte, spaventata.
«Lady Maud dice che è meglio...che non mi faccia vedere, almeno per oggi» mormorò l'altra, alludendo con un gesto alla sua pelle scura. Charlotte deglutì a vuoto, quindi afferrò saldamente il vassoio e diede il via alla capo cameriera per bussare.
«Avanti» annunciò gelida la nobildonna oltre la soglia.
Josephine abbassò piano la maniglia ed aprì la porta, mostrando a Lady Howard la cameriera con la sua cena.
«Finalmente» fu l'unico commento della Duchessa, facendo poi cenno alla ragazza di avvicinarsi. Charlotte eseguì gli ordini, ricordandosi le direttive di Charlotte: s'inchinò profondamente, il vassoio in mano, quindi si avvicinò senza guardarla negli occhi, poggiò la cena sul tavolo e, sempre a capo chino, fece per uscire senza darle mai le spalle, fissando le assi di legno del pavimento.
«Da dove vieni?» chiese la Lady, facendola gelare sul colpo. Forse era una sua impressione, ma poteva quasi percepire la nobildonna annusare l'aria, come un segugio.
«Abito in Inghilterra da quando ho cinque anni, milady...»
«Non è quello che ti ho chiesto. Ti ho chiesto da dove vieni...»
«Dublino, milady...» mormorò Charlotte, il capo ancora chino, pietrificata in quella posizione per la paura.
Lady Howard sbuffò, con risentimento. «Ecco quanto mi vuole bene mia cognata. Mi fa servire da una mangiapatate...» mormorò, composta ma le parole ben chiare, affinchè vengano ben udite dalla cameriera «spero tu non abbia toccato il mio cibo, vero?»
«No, milady...» sibilò Charlotte, sentiva la gola bloccata da un pianto che stava per scoppiare. Non piangere, si gridò nella testa, non vergognarti di quel che sei!
«Sai cosa c'è di peggio di voi irlandesi? Gli italiani2. Ah quelli sono i peggiori! Una mescolanza indegna di negri e bianchi, un sangue criminale, dei ladri approfittatori, bugiardi mendicanti...è la feccia dell'umanità! Voi irlandesi siete appena appena sopra, ed i negri sono addirittura anche al di sotto degli italiani, ma solo perchè sono più simili alle bestie che agli uomini no?»
In un colpo solo, Lady Howard aveva offeso Charlotte, Josephine e Mark. La cameriera dovette ingoiare più di un rospo per zittirsi, ricordandosi chi era lei e chi era la donna che aveva davanti. Poteva sentire il respiro di Josephine, dietro la porta, a due passi dietro di lei. Taceva, come taceva l'altra. Inermi, davanti alle offese gratuite e stupide di una nobildonna ignorante, forse più di loro.
«Vattene adesso, prima che mi passi questa vena misericordiosa e ti picchi col mio bastone...E dì a mia cognata che voglio essere servita solo da servi inglesi!» gridò quasi Lady Howard, spazientita. Charlotte affrettò il passo a gambero e chiuse veloce la porta, senza sbatterla. Si girò verso Josephine, il suo viso furente le apparve nella semi-oscurità, ma la prese per un braccio e la trascinò via da lì, più lontano possibile da quel mostro.


«E' vero...?» chiese George.
L'ora di cena era passata da un bel pò. Josephine e Charlotte avevano detto a Miss Rossi quel che Lady Howard aveva detto per sommi capi, e Miss Rossi non ebbe dubbi: si rivolse immediatamente a Mr Herbert e Lady Maud. Si ritrovarono tutti nelle cucine, compresi Mark e Miss Herbert, che si era unita a quella piccola riunione per partito preso.
«Si, signore, confermo tutto quello detto da Miss Murphy. Ogni parola...» rispose Josephine dopo l'ennesimo resoconto di Charlotte.
«E' gravissimo» ammise serio George «Non possiamo permetterle queste offese gratuite. Finchè si rivolge a noi non ha importanza, zia, perchè sappiamo com'è. Ma la servitù che colpe ha?»
«E' inammissibile» sottolineò Ethel in un sospiro, accarezzando la spalla di Charlotte seduta vicino a lei, che sorseggiava del vino rosso, come se fosse stata appena sottoposta ad una tortura.
«Vi do ragione, ma cosa posso fare? Nulla. E' sempre stato così. E' una maledetta strega, e questo lo sappiamo tutti. Ho sbagliato io a mandare Miss Murphy, la prossima volta sarà servita da persone...a lei congeniali» precisò Lady Maud, mesta.
«E dargliela vinta? No, zia, lo sai che così peggiori solo le cose»
«Andrà via fra qualche settimana, George, lo sai che a fine maggio va in costiera. Durerà poco, voi stringete i denti» annunciò la nobile, dando poi la buonanotte e risalendo ai piani di sopra.
«Mi dispiace...sono mortificato» ammise George, sospirando. Diede la buonanotte e risalì lentamente insieme alla sorella, lasciando la servitù vigile e tesa.
«Non incolpate Lady Maud, purtroppo lei cerca di essere benevola con tutti, cosa che non si dovrebbe sempre fare. Per ora atteniamoci a quel che vi ha detto: servite Lady Howard solo con chi è inglese, e se ve lo chiede i cuochi sono inglesi anch'essi. Non verrà mai qui sotto a mescolarsi con noi comuni mortali» precisò Miss Rossi, con una nota di ironia finale.
«Ah ma se vuole venire nelle cucine può farlo eh! Io non vedo l'ora di offenderla in italiano, sai che divertimento? Non capirebbe nulla sicuramente» precisò Mark facendo sorridere Charlotte, per la prima volta da quella sera.
«Miss Rossi, accompagno Miss Murphy a letto se non le spiace. E' meglio andarci a riposare: domattina Lady Howard sarà sicuramente furiosa» ammise Josephine, alzandosi.
«Sì, credo sia la miglior cosa» annunciò Miss Rossi, prima di dare anche lei la buonanotte.
«Forza, andiamo Charlie...» mormorò Josephine, prendendo sottobraccio l'amico insieme allo chef pasticcere.
«Questa giornata è stata fin troppo lunga» ammise sincera Charlotte. Presero a risalire le scale verso le camere, in silenzio, cercando di non disturbare la famiglia che era andata a dormire.
«Stai bene...?» chiese Mark in un sussurro, affiancandola.
Charlotte annuì, sorridendo appena, cercando poi nel buio la mano del ragazzo. Dopo qualche secondo sentì la presa decisa della mano del ragazzo che stringeva la sua. In silenzio, senza dirsi null'altro, risalirono nella zona notte della servitù.


 
1G. Leroux, "Il Fantasma dell'Opera", p.12.
2Fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale, seppur in maniera minore, gli italiani all'estero erano oggetto di razzismo, insieme ad altre minoranze etniche. Erano particolarmente denigrati per i loro modi di vivere e le loro maniere.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3753154