Spencer Gilpin era sempre stato un ragazzo indeciso; solo nei
videogiochi riusciva a comprendere da che lato avrebbe pesato di più il
piatto della bilancia e a muoversi di conseguenza per riportare
l’equilibrio a proprio favore. Come aveva scelto bene chi tra i suoi
nuovi amici avesse dovuto giocare i relativi livelli, compreso il
proprio, fu risoluto nell’ultima sua scelta.
«Restiamo», disse a Martha, prendendo per mano il suo avatar.
Non voleva tornare a essere Spencer il nerd, voleva restare il
dottor Smolder Bravestone, l’eroe di Jumanji.
Martha soppesò quella proposta. Ora Jumanji era libera da tutto, ma
avrebbero condotto una vita fittizia in un regno immaginario, e lei non
voleva questo.
Cercò di convincere Spencer che quella non era la scelta giusta, e
che avrebbero potuto essere quello che volevano, una volta tornati alla
loro vera casa, se solo avessero voluto.
Il rumore del piattino della bilancia che toccava la base della
stessa fu come il rombo di una cannonata.
Solo l’amore per Martha, che voleva tornare, era bastato per farlo
decidere, andando contro a tutto ciò che sognava davvero.
«Ci vediamo dall’altra parte», gli sussurrò Ruby Roundhouse,
stringendo la mano a Nigel e attivando così il portale che le avrebbe
permesso di ritornare Martha Kaply.
Spencer si girà verso Jumanji, volendola guardare un’ultima volta.
Non vi era più traccia dell’oscurità che avvolgeva ogni antro come
un serpente costrittore: era tornata la vecchia Jumanji, vegliata dalla
statua del leopardo non più cieco a un occhio, che si ergeva lì vicino
a lui in tutto il suo splendore.
La verde e florida giungla sembrava una bellissima bestia
addormentata: avrebbe potuto guardarla per tutto il tempo che avesse
voluto, ma non appena vi avesse rimesso piede – appena avesse
risvegliato quella fiera – avrebbe dovuto riniziare a lottare. Alex
aveva vissuto lì per vent’anni, avrebbe potuto farlo anche lui, ma
aveva promesso a Martha che sarebbe tornato e, soprattutto, aveva
deciso di accettarsi, con i suoi limiti e le sue paure, certo che
sarebbe diventato migliore.
Quella giungla lo aveva cambiato, non solo fisicamente, ma
soprattutto psicologicamente. Aveva provato la morte in prima persona
per ben due volte, aveva visto morire i propri amici, aveva vissuto
epiche peripezie in quella landa piena di pericoli e opportunità. Si
era visto migliore in quel corpo senza alcuna debolezza, però ciò non
gli era bastato per completare da solo tutti i livelli: senza i suoi
amici non sarebbe riuscito ad arrivare fino a lì e lo sapeva benissimo.
Voleva continuare a vivere delle avventure con loro, perché era sicuro
che insieme sarebbero riusciti a superare tutto, con i loro pregi e il
loro forte vincolo di amicizia.
Fu il suo turno di stringere la mano a Nigel e abbandonare i panni –
e i muscoli – del dottor Bravestone, lasciandosi per sempre
quell’avventura alle spalle.
Dopo essere stato il protagonista di un videogioco, si ripromise che
sarebbe diventato il protagonista della sua stessa vita.
Ora, il gioco era veramente finito.
Si tornava a casa.