Annie,
are you ok?
«Cosa succede, Reiner?», chiese Annie con
un filo di voce. Era estremamente preoccupata per Berthold.
«Mi sono svegliato un’ora fa, e Berthold non era più nel suo letto»,
spiegò lui, in apprensione. «Non lo trovo più. Prima di disturbarti
l’ho cercato dappertutto».
[RAB]
FanFiction partecipante al "COW-T
8" indetto dal sito Lande di Fandom
- Titolo: Annie, are you ok?
- Autore: XShade-Shinra
- Fandom: Shingeki no Kyojin /
L'Attacco dei Giganti
- Personaggi: Reiner Braun,
Annie Leonhart, Berthold Hoover
- Pairing: no pair
- Genere: Introspettivo,
Malinconico, Slice of Life
- Rating: Giallo
- Avvisi: Missing Moment
- Timeline: 104th Training
Corps arc
- Capitoli: One Shot
- Prompt: COW-T 8, W8, M5:
Ansia
- Wordcount: 1600 parole (LdF)
- Disclaimer: Tutti i
personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non
esistono/non sono esistiti realmente, come d'altronde i fatti in essa
narrati. Inoltre questi personaggi non mi appartengono (purtroppo...),
ma sono proprietà dei relativi autori; questa storia è stata scritta
senza alcuno scopo di lucro ma solo per puro divertimento.
- Note: Tempo fa rilessi
"Misery" di Stephen King, e rimasi sorpresa nel riscoprire che anche lì
l'antagonista si chiamava Annie. L'idea per questa storia mi venne in
mente proprio durante la lettura del libro, quando arrivai ad una certa
frase che ho riutilizzato anche qui.
Vi auguro buona lettura! ^^
Annie,
are you ok?
Annie, are you ok?
So, Annie, are you ok?
Annie, are you ok?
So, Annie, are you ok, are you ok, ok
Annie?
Annie, are you ok?
Will you tell us that you’re ok?
[Michael Jackson - Smooth Criminal]
Quando Mikasa Ackerman aprì la porta
della camera delle ragazze, non si aspettò che quel bussare fermo e
cadenzato appartenesse al suo commilitone biondo, grande e grosso di
cui non ricordava il nome – erano state troppe le facce nuove
conosciute in appena un paio di giorni. Non lo salutò, si limitò a
guardarlo con una mano ancorata alla maniglia della porta e il corpo
messo come a bloccargli il passaggio. Fece per chiedergli cosa ci
facesse lì a notte fonda, ma lui la anticipò:
«Annie», disse solo, prendendosi poi
una breve pausa. «Devo parlare con Annie Lionheart».
Mikasa strabuzzò gli occhi e si girò
alla ricerca della ragazza in questione. Ne ripeté il nome tra le
lamentele delle altre che volevano dormire, e una bassa – veramente
bassa – ragazzina dal naso aquilino si avvicinò, scortata da un’altra
recluta dai capelli raccolti in due basse code corvine.
«Chi mi cerca?» domandò l’interessata.
Indossava corti pantaloncini leggeri e una larga maglia bianca a
maniche lunghe; i capelli, dapprima legati in un ispido chignon, le
incorniciavano il viso, coprendole in parte gli occhi cerulei con la
frangia. La discendente della tribù Ackerman li notò subito, quegli
occhi svegli, aperti e vigili: erano così simili ai propri, sebbene
come forma e tonalità fossero in contrapposizione.
Quando Annie fu abbastanza vicina e
vide chi era il visitatore notturno, l’unica espressione che le si
disegnò sul volto fu d’indignazione. «Cosa c’è?» chiese con un tono
decisamente più freddo rispetto a quello che aveva usato con Mikasa,
mentre la sorpassava e usciva dal dormitorio.
Reiner non si perse d’animo: «Un mio
amico… è molto timido… vorrebbe parlarti e ha mandato me a prendersi un
calcio in mezzo alle gambe» ridacchiò a disagio. Sapeva che Annie
probabilmente lo avrebbe fatto e in effetti, non vista, gli scoccò una
delle sue migliori occhiatacce.
«Rayan…». Sbagliò il suo nome apposta.
«Reiner», la corresse lui, come da
copione.
Avevano delle frasi che si erano
preparati per far vedere che non erano intimi prima di entrare a far
parte dell’esercito, e anche l’accordo di farsi vedere assieme il meno
possibile.
Non erano passati nemmeno due giorni
che Reiner ne stava già venendo meno.
«Parli di un amico… sarà vero?», chiese
lei atona. Non che la risposta le interessasse così tanto; la domanda
che le martellava nel cervello era un’altra: “Cosa ci fai veramente
qua, idiota?”.
Reiner le rispose con un secco cenno
del capo a indicare un sì e poi bisbigliò un nome: «Berth». Berth.
Berthold. Il suo diminutivo era uno schiudersi di labbra in un sospiro.
Annie dubitava che le due ragazze dietro di lei lo avessero sentito.
Il suo cuore perse un battito a quella
notizia.
“Berth”.
Si girò verso Mikasa e Mina. «Vado a
vedere che vuole».
«Ti accompagno?», si offrì gentile la
sua amica. Non si fidava: non conosceva quell’armadio biondo e non
sapeva, dunque, se fosse magari un trucco per fare qualcosa di male ad
Annie.
«Posso venire anch’io», si propose
anche Mikasa – aveva visto Annie durante l’allenamento, e sapeva che
era una tipa forte, ma la prudenza non era mai troppa.
«Grazie, ma so badare a me stessa; più
siamo e più rischiamo che qualcuno ci scopra» “Vero, Reiner?” «a
sgattaiolare dalle camere», spiegò lei, seguendo immediatamente il
ragazzo. I due mantennero un passo tranquillo e leggero fino quando non
uscirono dal loro campo visivo; Mikasa, intanto, chiuse la porta, ma si
ripromise di andare ad avvisare Pixis se Annie non fosse ritornata
quanto prima.
«Cosa succede, Reiner?», chiese Annie
con un filo di voce. Era estremamente preoccupata per Berthold.
«Mi sono svegliato un’ora fa, e
Berthold non era più nel suo letto», spiegò lui, in apprensione. «Non
lo trovo più. Prima di disturbarti l’ho cercato dappertutto».
Reiner era veramente costernato. Era
passata un’ora da quando aveva visto nella penombra le lenzuola
disfatte e vuote; aveva tastato il materasso, trovandolo ormai freddo,
come i sudori che avevano iniziato a colargli giù per la schiena.
«E se lo avesser-».
«No», disse decisa Annie. «Non solo
lui, almeno». L’aveva detto convinta, ma non ne poteva essere certa
nemmeno lei.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo,
poi Annie gli chiese dove aveva già cercato.
Tutte le aree comuni del caseggiato
erano state controllate, poi era passato alla mensa e parte
dell’esterno. Annie annuì, prendendone atto.
Nella camera delle ragazze, ovviamente,
non c’era – e a Reiner mancava quella stanza. Gli occhi chiari di Annie
si allargarono appena. Mancavano anche le stanze dei loro superiori, ma
non poteva essere andato là. Non di sua spontanea volontà…
La ragazza sentì una stretta allo
stomaco. Se Berthold era in pericolo dovevano trovarlo prima di subito.
«Berthold è andato in un posto dove si
sente al sicuro e a suo agio…», mormorò Annie. «Un posto non stretto,
perché è troppo alto, e dove non è troppo allo scoperto».
Reiner ci pensò, aggrottando la fronte
mentre si metteva talmente d’impegno che le fini sopracciglia quasi si
unirono in una linea continua.
Poi, d’un tratto, un’idea.
C’era un posto dove non aveva ancora
guardato.
«Le mura circondariali della zona
militare», disse.
Annie capì subito: le mura erano il
terreno favorito di Berth per un attacco, era lontano dai nemici e
avrebbe avuto una via di fuga sicura.
«Pensi che…».
«Sì. Berthold ha paura».
*
I due giovani ci misero ben poco a trovarlo, e non sembrava esserci
nessuno fuori, grazie al coprifuoco. La luna piena illuminava
abbastanza bene la zona, quindi non presero nemmeno il rischio di
utilizzare una lampada. Videro Berthold in una zona d’ombra,
rannicchiato con la schiena contro il muro di cinta.
Quando li sentì, alzò di scatto gli
occhi umidi e, riconosciuti, tornò a guardare l’erba. Tremava,
Berthold, tanto che sembrava avere delle piccole convulsioni.
I due si avvicinarono come se fosse una
bestia feroce, ferita e braccata.
«Berthold?», lo chiamò piano Reiner.
«Ti hanno fatto del male?».
Lui nego con la testa.
Annie si sedette accanto al più alto,
che per fortuna non si scansò, né tentò la fuga.
Con i suoi amici si sentiva più al
sicuro.
«Cos’è accaduto?», chiese ancora
Reiner. Si preoccupava sempre dei suoi amici, soprattutto per Berth,
l’unico che per primo gli aveva teso la mano.
La domanda fu posta per altre due
volte, prima che Berthold riuscisse a rispondere con voce spezzata:
«Loro ci scopriranno».
«Come hanno fatto a scoprirci?»,
domandò preoccupata la ragazza. Nessuno in quel concentrico rifugio
sapeva ancora degli shifter, avevano l’effetto sorpresa dalla loro
parte… come era stato possibile?
Reiner e Annie pendevano dalle labbra
di Berthold; qualcosa non tornava. Il loro amico sarebbe corso ad
avvisarli, non li avrebbe mai lasciati indietro, mettendosi a tremare
in un angolo.
«Succederà», rispose Berth, stringendo
si ancora più forte le ginocchia al petto. «Succederà e ci cattureranno
senza che noi portiamo a termine la nostra missione». Diceva quelle
cose ad occhi sbarrati, fissando il buio davanti a sé come una veggente
che legga nel futuro.
Reiner si accovacciò vicino a lui,
dalla parte opposta a quella della ragazza, e gli pose una mano sulla
spalla, cercando di calmarlo e infondergli coraggio. Capiva benissimo
la sua situazione: si ritrovavano a mangiare, allenarsi, dormire, vivere con il nemico. Era
difficile, ma dovevano adattarsi e mischiarsi a loro, solo così
sarebbero riusciti a sopravvivere. Gli mormorò parole di conforto,
ricordandogli che non avevano destato i sospetti di nessuno e che
presto sarebbero riusciti a comportarsi del tutto normalmente, ma Berth
sembrava sentirlo senza però ascoltarlo, come se le parole
sussurrategli all’orecchio dalla paura coprissero quelle dell’amico.
Vedendo che non c’erano risultati,
Annie si alzò in piedi, parandosi davanti agli altri due.
«Alzati», ordinò fredda a Berthold, ma
lui non si mosse. «Alzati in piedi e tornatene ai dormitori. Sarai tu a
farci scoprire e catturare come dici, se continui con questo
comportamento».
Entrambi la guardarono un po’
preoccupati.
«Essere catturati qui è il minimo»,
incalzò, sperando di smuoverlo; avevano già perso un compagno, non
potevano perderne un altro.
«Annie…».
«Lo
sai, che cosa vogliono?»1, chiese la ragazza,
fissandolo seria. «Questo vogliono!»
esclamò lei e si portò la mano alla
fronte con le dita contratte come un artiglio. Fece una mossa
repentina, dall'alto verso il basso, bruciante, aprendosi quattro
solchi nella pelle. Il sangue le colò nelle sopracciglia, ai lati del
naso, giù per le guance.
«Annie!
Ferma!»1, urlò Berthold. Aveva troppa paura. E se si
fosse trasformata in un gigante?
Passò qualche secondo, ma ciò non
accadde.
Le ferite della ragazza iniziarono a
fumare e a guarire, mentre il sangue pian piano si rapprendeva.
«Loro vogliono che noi moriamo
nel modo peggiore possibile. Lo desiderano di tutto cuore e non avranno
pietà per noi. Nessuna pietà». Lo disse con voce ferma e determinata.
«Annie?» La chiamò Reiner, inquieto.
«Annie, stai bene?».
No, Annie non stava bene.
Non stava affatto bene.
Con quel sangue ancora sulla faccia
sembrava un leone2 dopo aver sbranato la propria preda. Tornò a fissare
Berthold. «Andiamo?», incalzò.
Il ragazzo, turbato, le obbedì e si
alzò, sorreggendosi a Reiner; in quel momento gli faceva molta più
paura Annie di tutto il corpo militare.
La cadetta, senza mutare la sua seria
espressione, nonostante fosse compiaciuta di essere riuscita a
riportare Berthold alla realtà, si avvicinò al pozzo per prendere un
po’ di acqua per lavarsi il viso, sotto lo sguardo degli altri.
«Reiner, stagli vicino, fai in modo che
non accada più», disse rigorosa lei, ricevendo un cenno affermativo
dall’amico più grosso. Nonostante paresse fredda e distaccata, Annie
non abbandonò mai di vista gli altri due finché non furono al chiuso,
volendo essere sicura che Berthold non cadesse di nuovo preda del
panico.
Sarebbe stata dura per tutti, a
prescindere da quale lato della barricata fossero nati, poiché quella
era una guerra vera e propria, e non esistevano vincitori o vinti,
esistevano solo vincitori o morti, e loro dovevano sbrigarsi a vincere,
prima di morire dentro.
Fine
XShade-Shinra
Note:
1Citazioni tratte da “Misery”, di S. King.
2Immagino che in SnK non abbiano mai visto un leone, ma
Annie si chiama Leonhart e non posso far altro che associarla a questo
animale.
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