Echoing Green, Poison Tree di koan_abyss (/viewuser.php?uid=1023690)
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Capitolo 5
Mentre risaliva ai piani superiori del castello, arrivò all’orecchio di
Piton il rumore di passi sgraziati. Un clung di legno che rimbombava
assurdo e inaspettato sotto le volte dei sotterranei. Per un attimo
l’uomo pensò che si trattasse di uno scherzo della sua mente, un’eco
delle paure della sera precedente, quando Moody era entrato in Sala
Grande nel bel mezzo della tempesta.
Ma in fondo al corridoio apparve davvero Alastor Moody, fendendo il
gruppetto di studenti di Tassorosso che aveva appena terminato la
lezione di Pozioni, e trascinandosi dietro un Draco Malfoy con l’aria
più arruffata, umiliata e velenosa che Piton avesse mai visto.
“Che succede?” domandò.
L’effetto combinato della sua voce secca e dell’occhio magico di Moody
che perlustrava il corridoio riuscirono a trasformare i sotterranei in
un deserto. Non appena l’ultimo paio di piedi si affrettò a girare
l’angolo, Malfoy si divincolò dalla presa di Moody e corse a
nascondersi dietro Piton.
“La professoressa McGranitt mi ha consigliato di parlare con te, Piton.
Il signor Malfoy si è comportato in modo indegno e vigliacco,
attaccando alle spalle un compagno. Ho ritenuto opportuno correggerlo,
anche se forse è il buon esempio, che gli manca…” sorrise Moody.
Piton scambiò una rapida occhiata con Malfoy. Non aveva neanche bisogno
della Legilimanzia, per sapere di chi si stava parlando. Il ragazzino
riabbassò gli occhi, sconvolto e tremante di rabbia.
“E come l’avrebbe corretto, professor Moody?” domandò Piton, cercando
di non pensare a quanto l’espressione di Malfoy gli aveva ricordato se
stesso.
“Trasfigurazione,” rispose l’ex-Auror, con indifferenza. “La McGranitt
mi ha ricordato che i professori normalmente non lo fanno. Me lo
ricorderò per il futuro.”
“Cosa?!” strillò Piton.
Si chinò di nuovo su Malfoy, afferrandogli le braccia per guardarlo
negli occhi: ecco l’atrio davanti alla Sala Grande, il capannello di
ragazzini in divise nere stranamente torreggianti su di lui…ed eccoli
allontanarsi, sparire verso il basso, appena prima della sensazione di precipitare…
Malfoy si divincolò e Piton allentò la sua stretta.
“Avresti potuto ferirlo!” sibilò a Moody con furia.
“Non credo, i furetti sono così leggeri…e le lezioni imparate duramente
sono quelle che non si dimenticano, no?” rispose il vecchio.
Moody doveva essere più pazzo di quanto Silente si era concesso di
credere, si disse Piton allarmato.
“Ti porto in Infermeria,” comunicò a Malfoy e cominciò a sospingerlo
verso le scale.
“Dobbiamo scambiare due parole, Piton,” fece Moody.
“Ha già detto e fatto anche troppo, professore!” ringhiò lui in
risposta.
“Ricorda il messaggio per tuo padre, ragazzo!” gridò loro dietro
l’ex-Auror.
Incredibile, si disse Piton: Moody era a Hogwarts da nemmeno
ventiquattro ore e già si comportava come la guardia del corpo di
Potter. E dannazione a Malfoy: possibile che fosse sempre pronto a
cacciarsi nei guai? Perché non poteva stare lontano da Potter?
“Quale sarebbe, il messaggio per tuo padre?” chiese a bassa voce.
“Che Moody tiene d’occhio suo figlio come si deve,” piagnucolò il
ragazzino.
Dannazione. Era quello il grande senso dell’onore del famoso Alastor
Moody? Trasfigurare un ragazzino e minacciare suo padre? Cosa si
sarebbe sentito autorizzato a fare Lucius, in risposta? Non che potesse
fare alcunché…non si poteva pensare di cercare vendetta contro un
Auror, e contro quell’Auror in particolare. Ma non poteva certo
chiedere a Draco di non invocare l’intervento paterno, dirgli che era
stato ferito ed umiliato e avrebbe dovuto accettarlo e basta. Piton
sapeva perfettamente quanto la vita potesse essere ingiusta. Ma che i
Malfoy fossero in grado di accettarlo era un altro paio di maniche.
Piton si fermò davanti alla porta dell’Infermeria e guardò il ragazzo:
“Moody è pazzo, e pericoloso. Starai lontano da lui, vero?”
Malfoy lo fissò: “La pagherà?”
Piton sospirò, stizzito: “Non lo so. È improbabile. Silente sarà
ovviamente sordo ad ogni lamentela. Stari lontano da lui, al riparo?”
insistette.
“Sì,” promise controvoglia il ragazzino. “È tutta colpa di San Potter…”
aggiunse sottovoce con astio.
“Come sempre,” gli diede ragione Piton.
Sempre Potter, e i suoi compagni Grifondoro. Protetti e osannati,
scusati per ogni loro mancanza. Be’, lui non era
disposto a perdonare nulla.
Le chiacchiere sul torneo Tremaghi sembravano seguirli ovunque
andassero. Nella sala comune di Serpeverde erano più frequenti le
lamentele per la sospensione del quidditch e il timore che la gestione
di Silente dell’evento avrebbe in qualche modo favorito Grifondoro, ma
altrove prevalevano l’eccitazione per le meraviglie a cui si diceva
avrebbero assistito e per l’incontro con gli studenti di altre scuole
di magia.
I Tassorosso non vedevano l’ora di mostrarsi amichevoli con i loro
ospiti e di impegnarsi a fondo per rendere il loro soggiorno piacevole
e proficuo; i Grifondoro non facevano che proclamare che il campione
della scuola avrebbe dovuto avere il coraggio di un leone, per
affrontare le terribili prove del Torneo; Corvonero rifletteva sulle
sfide d’ingegno che avrebbe comportato partecipare a gare di magia con
allievi tanto diversi da loro.
Madeline, con sorpresa degli altri, era entusiasta quanto gli studenti
delle altre Case, all’idea del Torneo.
“Possibile che nessuno di voi lo veda nella giusta prospettiva?” stava
dicendo a Liam. “Un Torneo di Magia! È persino meglio di un Torneo di
Duello…”
“Non so, Maddie…non è che mi importi poi molto di socializzare con
quelli di Durmastrang. Questo è un dannato anno tranquillo, niente
esami, né cazzate, ho poche materie da seguire…avrei preferito godermi
il ruolo da capitano della squadra,” le ripose l’amico. Occhieggiò
Isabel, poco più avanti nel corridoio, che parlava fitto con Euriale,
mentre Will sbuffava annoiato accanto a loro. “Credi che le importi che
io non sia capitano?” fece a bassa voce.
“Sai quanto le importerebbe, se tu fossi Campione di Hogwarts?” ribatté
Madeline. “Non ci hai pensato? Ecco perché dico che non lo vedete nella
giusta prospettiva: pensa al prestigio di essere Campione, pensa al
potere di avere l’intera scuola alle tue spalle, pensa alla gloria! Non
ti senti bruciare
al pensiero?” lo incalzò Madeline, alzando inconsciamente la voce.
Liam ci pensò per un attimo e sorrise un poco.
“Visto? Questa è la reazione giusta,” gli disse Madeline, facendolo
ridere.
“Hai ragione, va bene. Ma non sappiamo ancora nulla del Torneo. E se
appena Silente avrà voce in capitolo, il Campione sarà un deficiente di
Grifondoro…”
“Sarà un giudice imparziale, a scegliere.”
Liam rivolse all’amica un’occhiata condiscendente.
“Comunque, c’è la questione dell’età,” continuò. “Diciassette anni
compiuti.”
“Ma compiuti quando?” fece Madeline. “BeauxBatons e Durmstrang
arriveranno a ottobre. Se i Campioni venissero selezionati alla fine
del mese…”
Liam rimase a bocca aperta, poi si riscosse: “Allora potremmo
partecipare.”
Lui e Madeline erano nati il 24 e il 27 ottobre.
Madeline gli sorrise, gli occhi accesi, poi abbassò lo sguardo e si
sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Tu ci hai pensato seriamente?” le chiese Liam, avvicinandosi un po’.
“Be’, sì. Da quando Elly ce l’ha detto…ho fantasticato. Ma ora che so
che forse c’è la concreta possibilità di farlo…” Rialzò lo sguardo e
gli piantò gli occhi in faccia: “Non voglio aspettare altri due anni
per dimostrare quello che so fare.”
Lei non era un Prefetto, non era il capitano della squadra di
quidditch. Con tutta probabilità avrebbe passato l’anno a trattenersi,
alle lezioni di Difesa, per non scoprirsi troppo con quel Moody. Non
poteva pensare di dover aspettare di diplomarsi e diventare
Spezzaincantesimi per mettersi alla prova. L’idea del Torneo Tremaghi
era una ventata di aria fresca, un vento gelido e potente che la
esaltava.
Liam annuì, serio: “Ok. Ci sto.” Ghignò: “E poi, quanto manderebbe
fuori di testa i Weasley, avere un Campione Serpeverde?”
“Al diavolo i Weasley, e al diavolo la scuola. Lo farei per me sola,”
rispose Madeline stringendosi nelle spalle.
Liam gliele circondò con un braccio: “Perché ci tenevi a convincermi?”
Madeline gli sorrise: “Non ho paura della concorrenza. Ed è un peccato,
che tu non sia capitano.”
“Come è un peccato che non si possa avere uno stramaledetto club di
duello, e che tu ne sia la Presidentessa,” replicò l’altro.
Non aveva molte occasioni di dimostrare supporto a Madeline, mentre
l’amica era sempre stata sotto uno striscione, durante le sue partite d
quidditch.
“Sdolcinato,” commentò Madeline.
Liam rise e la rivide nella sua mente scattare e prendere sotto tiro
Lee Jordan, nella classe di Rüf, e poi alla Coppa del Mondo, in
pantaloncini e maglietta, con la bacchetta in pugno e gli occhi che
promettevano battaglia a chiunque si fosse messo sulla sua strada. Fu
colpito dal pensiero che era davvero una fortuna, che Madeline fosse
dalla loro parte.
Gli altri si erano fermati ad aspettarli sulla porta dell’aula.
“Vediamo questo tizio,” fece Madeline.
“Non sopporto neppure di guardarlo,” rispose Isabel, incrociando le
braccia e arricciando le labbra con disgusto.
“Non facciamo tardi,” li esortò Euriale. “Non facciamoci notare.”
I Corvonero erano già quasi tutti ai loro posti, composti ma eccitati
all’idea della prima lezione di Moody.
“Forse il professor Moody replicherà lo spettacolo e trasformerà un
altro Serpeverde in un furetto,” disse Roger Davies quando i ragazzi
entrarono.
“Perché dovrebbe? Nessuno di noi avrebbe bisogno di attaccarti alle
spalle, per umiliarti in duello,” gli ripose Madeline.
“Ouch,” replicò Davies, massaggiandosi il petto in corrispondenza del
cuore e sorridendo.
Madeline sbuffò, leggermente divertita.
“Credete che romperà le palle, con questa stoia di Malfoy?” domandò
Liam agli altri.
“Sembra più una cosa che farebbe Piton,” ammise Euriale.
“No, penso di no,” ripose Will. “Ieri non ha fatto commenti…”
Lui aveva già incontrato Moody alla capanna di Hagrid il giorno prima.
Will aveva raggiunto il professore di Cura delle Creature Magiche per
cominciare ufficialmente il suo Apprendistato, dopo gli accordi che
avevano preso l’anno prima a giugno e poi per lettera. Stava aiutando
Hagrid a spostare delle casse che contenevano delle creature ibride (il
Guardiacaccia riteneva che Will potesse basare almeno uno dei suoi
progetti di ricerca su di loro, qualunque cosa fossero…) quando Moody
era arrivato zoppicando, il rumore della gamba di legno attutito e
gorgogliante sul terreno umido.
“Professor Moody! Che bella sorpresa! È un piacere rivederla, non sa
che piacere sapere che è a scuola,” aveva esclamato Hagrid,
facendoglisi incontro per stringergli la mano.
“Hagrid. Non c’è altro posto dove sarebbe stato più utile trovarmi…”
aveva riposto Moody, lasciandosi scrollare il braccio dal gigantesco
Guardiacaccia, l’occhio blu elettrico che scandagliava i dintorni, il
sentiero, la capanna, Will e le casse.
“Venga dentro, professore, che ci facciamo un tè o un goccio alla
salute, prima che piove,” aveva proposto Hagrid.
L’Auror continuava a fissarlo, così Will aveva mormorato un ‘buonasera’
privo di ogni inflessione o entusiasmo, continuando a occuparsi di quei
crostacei grigiastri. La punizione di Malfoy aveva già fatto il giro
della scuola almeno due volte, e nonostante tutta l’antipatia verso
quel bastardello arrogante, Will era un Serpeverde e non poteva non
schierarsi dalla sua parte. Ma non poteva nemmeno permettersi di
mostrarsi troppo ostile, come Madeline aveva sottolineato pochi giorni
prima.
“Rischi di prendere un bell’acquazzone, McIver, se non torni al
castello. Non ti preoccupare, posso finire da solo,” aveva detto
Hagrid. “McIver è il mio Apprendista, professore. Ci sa fare con gli
animali, già dai tempi di Kettleburn, eh?”
“McIver?” aveva ripetuto Moody, e Will si era preparato a fingere di
essere muto e sordo, ma il professore non aveva fatto commenti.
“Un ragazzo che si impegna, McIver,” aveva continuato Hagrid, ignaro
della rigidità di Will. “Allora, per quel goccetto…”
Moody aveva riportato entrambi gli occhi su di lui: “Non sarò io a
impedirtelo, ma sai che ho con me le mie scorte sicure,” e aveva
estratto dal mantello una fiaschetta metallica. “Comunque non dirò di
no a un bel fuoco e a un riparo,” aveva aggiunto, accennando a
dirigersi verso la capanna. “Tu è davvero meglio che torni al castello,
ragazzo,” aveva detto a Will.
E questo era quanto. Will si era fatto l’idea che l’uomo non avrebbe
rinfacciato loro le colpe dei padri o la fama oscura di Serpeverde, se
non gliene avessero dato valido motivo (in fin dei conti, Malfoy se
l’era cercata). Lui non intendeva fornirglielo: non aveva più tredici
anni, sapeva controllarsi. Stava lentamente comprendendo a fondo il
concetto su cui aveva visto Liam sbattere il muso tante volte da
bambino, prima che anche lui imparasse la lezione. Perdere il controllo
non serviva a niente.
Will sbirciò con la coda dell’occhio Euriale mentre tutti si sedevano
verso il fondo dell’aula, ai posti rimasti liberi. A essere del tutto
onesti, per Will il problema più urgente non era Moody, ma ben altro:
che cavolo aveva fatto a Euriale per farla incazzare così con lui?
Quando erano con gli altri sembrava che andasse tutto bene, ma quando
restavano da soli (non che fosse successo spesso, eh) la sua fidanzata
era distante e decisamente poco propensa a dedicarsi a lui. Il pensiero
era incredibile, per Will, contando quanto a lui mancava
restare solo con Euriale, specie da dopo la Coppa del Mondo. E aveva
sempre avuto l’impressione che fossero sulla stesa lunghezza d’onda, su
quella faccende, prima. Quindi cos’era cambiato? Forse in campeggio le
cose non erano andate bene come credeva lui? Cosa aveva sbagliato?
Si accorse appena che Moody era entrato nell’aula, annunciato dal
rumore della sua gamba di legno. Dovette costringersi a guardarlo
quando l’uomo ordinò di mettere via i manuali con voce secca, mentre il
resto della classe sembrava pendere dalle sue labbra.
“Corvonero e Serpeverde, sesto anno,” cominciò il professore, scorrendo
il registro con un occhio solo. “Sia il professor Vitious che il
professor Lupin mi hanno parlato bene di voi, quindi mi aspetto molto.”
I Corvonero gonfiarono il petto, scintillanti d’orgoglio. “Un’intera
classe di duellanti, eh? Vedremo di mettere a frutto quello che sapete
fare,” riprese, iniziando a camminare tra i banchi, osservando tutti
con attenzione, “ma sappiate che combattere le forze oscure non è la
stessa cosa che mettersi in mostra su una pedana da duello. Misurarsi
con un avversario che mira a uccidere significa lottare con tutti se
stessi, a volte sacrificare qualcosa per sopravvivere…VIGILANZA
COSTANTE!” abbaiò all’improvviso davanti al banco di Isabel, che aveva
tenuto ostinatamente lo sguardo basso, evitando il suo viso.
Lei sobbalzò, come il resto della classe, e chiuse gli occhi per un
attimo, prima di riaprirli e sollevarli lentamente sulla faccia di
Moody.
“Un combattimento per la vita richiederà tutta la sua attenzione,
signorina…?”
“Gascoyne-De Atienza,” ripose Isabel a denti stretti.
“Vorrà sempre tenere lo sguardo sul suo avversario, Gascoyne-De
Atienza, quando combatterà per la vita. Non avrà tempo per i pensieri
frivoli, o per farsi prendere dalla paura o dal disgusto,” disse Moody,
sorridendole e regalandole una perfetta visuale di naso mozzo,
cicatrici e occhio magico.
“Ora non sto combattendo per la vita, professore,” replicò Isabel.
“Oh, certo, ora no,” le diede ragione Moody con dolcezza. “Ma chi non
impara a prestare attenzione, a vigilare
costantemente, nella mia aula, rischia di impararlo troppo
tardi, là fuori nel mondo, dove le forze oscure sono numerose e capaci
dei travestimenti più subdoli.” Finalmente si allontanò dallo sguardo
d’odio di Isabel e si rivolse a tutta la classe: “Quest’anno vedremo
Maledizioni e Contro-Maledizioni di Prima Classe, Incantesimi
Non-Verbali, Creature Oscure Superiori e Semi-Umane. E vedremo di
insegnarvi davvero come si combatte da mago a mago, quando la sconfitta
non un’opzione.”
Di sicuro Piton non si aspettava di rivedere il volto devastato dalle
cicatrici di Moody già la sera successiva, soprattutto nei sotterranei,
a pochi passi dal suo ufficio.
Si immobilizzò a distanza di sicurezza, cercando di fissare lo sguardo
sull’occhio sano di Moody, ignorando quello magico, che saettava lungo
la sua figura, rimbalzava sulle pareti di pietra e occasionalmente si
rovesciava all’indietro nel cranio, cercando, pareva a Piton, la sua
porta.
“Professor Moody…avevo pensato che il Preside le avrebbe riservato gli
alloggi del primo piano, data la condizione della sua gamba,” gli disse
freddo.
“Risparmiami i convenevoli, Piton. Ti ho detto che dovevamo parlare, e
la mia gamba non c’entra nulla,” replicò Moody bruscamente, fissando
entrambi gli occhi su di lui e riservandogli una smorfia di disgusto.
“Ti posso comunque assicurare che la mia gamba non mi ha mai impedito
di dare la caccia alla peggior feccia di questo mondo. Non mi
impedirebbe certo di occuparmi di te,
se fossi tanto stupido da estrarre la bacchetta magica ora.”
Piton sciolse di scatto le mani che aveva intrecciato nelle maniche
della veste e che avevano accarezzato nervosamente la sua bacchetta,
pensando che la gamba malconcia dell’ex-Auror non gli aveva neanche
impedito di attaccare un quattordicenne, il giorno prima. Piton valutò
se ricordarglielo, poi decise di attenersi al piano che aveva stabilito
per Moody: evitare ogni scontro, se appena possibile.
“Che ragione avrei di farlo?” chiese, cercando di apparire solo seccato.
L’ex-Auror sorrise, stendendo le sue numerose cicatrici: “Chissà?
Potrebbe rivelarsi una tentazione troppo forte…”
“Si può sapere cosa vuoi, Moody? Credevo avessi detto di essere qui per
un motivo…” lo interrogò Piton, serrando i denti.
“Esatto. Sono qui per perquisire il tuo ufficio.”
Piton sbatté le palpebre.
“Il mio ufficio?” ripeté poi, un sorriso sgradevole che si allargava
sul suo viso. “Non credo proprio.”
“Oh, invece sì. Ieri mi sei sfuggito per rifugiarti in Infermeria, ma
ora siamo entrambi qui,” rispose Moody, muovendo un paio di passi male
assortiti verso d lui. “Perquisirò il tuo ufficio, e mi accerterò che
tu non abbia niente da nascondere. Sta sicuro che ti terrò d’occhio e
avrò sempre un pensiero rivolto a te.”
L’orrido occhio blu elettrico tremò nell’orbita.
Piton dovette combattere il moto di repulsione che stava per farlo
indietreggiare: “Con che autorità
pensi di poter venire qui a darmi ordini? Non sei più un Auror da
parecchio, e per ragioni più che valide, si dice…”
Moody rise: “Credi che si qualcosa che si smette di essere? Non
funziona così. Silente lo sa. Ecco perché mi ha voluto ad Hogwarts.”
“Di certo non per perquisire il mio ufficio!” ringhiò Piton.
L’eco delle parole di Moody lo colpì all’improvviso: ‘potrebbe
rivelarsi una tentazione troppo forte’. La sua furia vacillò un
istante. Era la giustificazione con cui Silente rifiutava sempre la sua
richiesta di insegnare difesa Contro le Arti Oscure.
Possibile? Che Silente non si fidasse davvero di lui come professava?
‘Perché no, ha creduto a Black e non a te,’ gli ricordò la sua mente.
“Non ho niente da nascondere,” si sforzò di proseguire.
Il sorriso di Moody si allargò: “Allora non hai motivo di impedirmi di
dare un’occhiata, giusto? Andiamo, Piton. Facciamolo con le buone.” Il
vecchio si scostò, facendogli spazio nel corridoio. “Dopo di te.”
Aveva scelta? Poteva rifiutare, pretendere l’intervento di Silente?
Immaginò il Preside ribadirgli il suo sostegno e allo stesso tempo
esortarlo a collaborare con Moody. No, non aveva davvero scelta. Né
correre da Silente sarebbe bastato a zittire la voce nella sua testa:
‘Non ha creduto a te’.
“Se non c’è altro modo di placare la tua paranoia,” disse a Moody,
aggredendo i pochi metri che lo separavano dalla porta del suo ufficio.
Disattivò il talismano sullo stipite con un incantesimo non-verbale e
gesti il più possibile vaghi. Aprì con riluttanza la porta e si voltò a
guardare Moody.
Il clung della sua gamba di legno riecheggiò tra le volte del soffitto,
assieme a un passo leggero.
Sulla soglia, l’ex-Auror fece cenno di precederlo: “Non sono un tipo
che ama le sorprese.”
Imprecando tra i denti, Piton gli fece strada nel suo ufficio, e rimase
a fissarlo torvo in centro alla stanza. Moody avanzò circospetto,
levando la bacchetta e borbottando tra sé.
“Ti sei messo comodo. Hai scavato un bel nido confortevole…” commentò
osservando l’imponente scrivania, gli scaffali colmi di libri e il
divanetto contro la parete, prima di passare ad esaminare gli
ingredienti nei barattoli su mensole e ripiani, gli oggetti più rari e
curiosi che Piton aveva collezionato durante i suoi anni di ricerche
come Pozionista.
In realtà, il suo ufficio era rimasto spoglio a lungo, dopo che lui
aveva cominciato a insegnare.
Non aveva foto di famiglia da appendere, i pochi cimeli della sua
adolescenza rievocavano solo ricordi dolorosi e non sopportava di
posarci sopra gli occhi. Il suo ufficio somigliava di più a una cella
monastica, o forse alla cella di Azkaban che aveva evitato, e a lui
andava bene così. Era anche perfetto per intimorire i suoi nuovi
studenti, quanti di loro avevano pensato che un ragazzo di 21 anni
appena diventato professore sarebbe stato facile da raggirare.
Per anni era stata la soluzione ideale: niente attorno a lui a
ricordargli chi era, chi era stato; niente a riflettere all’esterno
quello che provava; niente che non fosse freddo, minaccioso, tagliente
o disgustoso. La sua aula e il laboratorio erano ancora così. Ma il suo
ufficio…
Poco alla volta, senza rendersene conto, Piton aveva riscoperto
l’orgoglio per le sue capacità (quelle stesse capacità che l’ambizione
aveva rivoltato contro di lui) e invece di usarlo rivestito di sarcasmo
e veleno contro i suoi studenti, gli aveva permesso di manifestarsi. Ed
ecco apparire un’ampolla di cristallo pregiato per contenere poche
gocce di un distillato di valore incalcolabile, un’urna con dentro la
radice perfetta, colta nelle migliori condizioni immaginabili,
preservata dal tempo, ode all’impeccabilità e alla fermezza della sua
mano. La sete di conoscenza che lo aveva spinto a cercare il potere,
mitigata e plasmata in erudizione, nei suoi libri, nei codici, nelle
pergamene antiche e nelle riviste attuali che ospitavano le sue
scoperte. Accanto a tutto questo, un’infinità di segni più piccoli che
testimoniavano che Severus Piton era vivo, esisteva, aveva gusti e
conoscenze.
E ora Moody frugava tra le cose che gli appartenevano, con gli occhi e
con le mani, sfogliava i suoi libri esponendo la magia che li permeava,
controllava le sue
lettere, conservate in un piccolo scrigno sulla scrivania
(“Siamo rimasti in contatto con i vecchi amici, Piton?”), rovesciava i
cassetti sul piano, esaminando con osceno compiacimento anche gli
oggetti più insignificanti: appunti personali, compiti da correggere,
un’ampolla da viaggio contenente un rimedio per il mal di schiena (il
vecchio l’annusò, con quel suo naso smozzicato), un elastico per
capelli che De Atienza doveva aver dimenticato in giro l’anno prima, i
biglietti di invito con l’elegante calligrafia di Narcissa, e…
Piton allungò la mano prima di pensare, ma arrestò il gesto quasi
all’istante.
“Una bacchetta?” chiese Moody, studiando con cura il legno scuro e
sottile. “Di chi è questa bacchetta, Piton?” chiese sospettoso,
spostando lo sguardo sul volto del professore di Pozioni.
“Di mia madre,” ringhiò sottovoce lui.
“Ah, sì? Dovrò accertarmene…”
“Vuoi scrivere a Olivander? Fa come se fossi a casa tua,” rispose
Piton, accennando alla scrivania ingombra della piccola e ripetitiva
quotidianità.
“Ci sono altri modi. Prior
Incantatio,” disse Moody, puntando la propria bacchetta
sull’altra.
L’eco fumosa di un innocuo incantesimo domestico si levò dalla
bacchetta scura e svanì dopo poco.
“Allora? Niente di oscuro, direi,” sibilò Piton. “Cominci a sentirti
soddisfatto, Moody? O vuoi restare tutta la notte?”
“Niente di oscuro, dici, Piton?” replicò l’ex-Auror. “La tua biblioteca
è piuttosto interessante, invece.”
“Sono…nessuno è un testo proibito,” ribatté lui.
“Non tutti sarebbero della medesima opinione,” fece Moody. Il suo
occhio magico si fissò su Piton. “Che c’è lì?”
“La mia dispensa,” ripose l’uomo, rigido.
“La tua dispensa personale? E il laboratorio?”
Piton fece un brusco cenno d’assenso.
“Fatti da parte, Piton. Ti vedo attraverso, ma non sei incorporeo.”
Si mise da parte. All’occhiata di Moody spalancò la porticina di legno
della dispensa con un gesto ampio del braccio, a distanza.
Moody controllò il locale, ma rimase fermo: “Sai già come funziona…”
Controllandosi a stento, Piton lo precedette nella dispensa.
Moody lo costrinse ad aprire ogni armadietto, ogni anta. Vedere le sue
scorte così accessibili, come pronte a essere razziate, era quasi
peggio che veder frugata la sua corrispondenza. Fissò con odio la
schiena dell’altro uomo, sentendosi la faccia bruciare, chiedendosi
come dovesse apparire la scena dall’esterno. L’idea che qualcuno,
magari De Atienza, assistesse per caso a quella violazione della sua
privacy e del suo lavoro mentre lui osservava impotente era
dannatamente umiliante.
“Ti ricordo che ti ho sempre sott’occhio,” gracchiò Moody, intento
nell’inventario di tutti i suoi ingredienti. “Nel caso pensassi di
attaccarmi alle spalle…”
Piton non ripose.
“Hai un bel po’ di roba che si potrebbe usare per preparati illegali…o
veleni.”
“Di nuovo, niente di proibito. Gli studenti del quarto e del sesto anno
devono cimentarsi nella preparazione di antidoti. Non serve che ti
spieghi perché sono necessari anche gli ingredienti del veleno da
contrastare: ricorderai la Terza Legge di Golpalott, spero,” rispose
fissando l’occhio blu elettrico di Moody.
Il vecchio zoppicò verso di lui: “E non servirà che io ricordi a te quante sostanze
illegali e veleni il ministero ha sequestrato dalle case della feccia
che ha servito i l signore Oscuro, quando sono, oh così
provvidenzialmente, rinsaviti. Ti sei scelto davvero un bel nido,
Piton,” disse ancora, abbassando la voce. “Lontano dal Ministero, sotto
l’ala di Silente…un’intera sezione della Biblioteca dedicata al tuo
hobby preferito, e la scusa perfetta per conservare gli ingredienti per
le tue pozioni…”
“Silente mi ha voluto qui!” rispose Piton, scoprendo i denti.
Moody gli sorrise, la grottesca voragine che aveva al posto della
narice destra più evidente che mai: “Silente però ha voluto anche me,
qui. O sbaglio?” Continuò a farsi avanti, costringendo Piton a
indietreggiare, poi lo superò. “Non mi inganni, e non mi coglierai di
sorpresa. Vigilanza costante!” strillò, dal centro dell’ufficio, prima
di uscire e allontanarsi nei sotterranei.
Il professore di Pozioni rimase sulla soglia della dispensa, cercando
di rallentare il respiro. Rinunciò, e prese a sbattere ante e porte,
richiudendo tutto ciò che Moody aveva voluto spalancare. Cercando di
cancellare ogni traccia del passaggio dell’ex-Auror.
Note:
Non me n'ero resa conto, pubblicando lo scorso capitolo, ma ho notato
che la storia ha raggiunto, e ora superato, le 200000 parole! Che
soddisfazione, che figata, che ansia.
Non ero molto convinta di descrivere la prima lezione di Moody con
Serpeverde e Corvonero, pensavo di saltarla a piè pari, dato che la
prima lezione ad Harry e co. è così memorabile in canon...ma poi in un
impeto di inusuale ispirazione Isabel si è messa in mezzo e ecco il
risultato. Spero sia convincente.
A presto!
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