LA STORIA DI
BRIO
Brio, con lo sguardo perennemente
indifferente, guardava ciò
che si trovava dinanzi a lui. Era uno dei ricordi più vividi
che avesse, e
nulla avrebbe potuto cancellare quella memoria. Era inciso nella sua
mente in
modo preponderante: nessun ricordo, neanche uno, era ancora
così chiaro nel suo
cervello. Eccetto quello. Era un momento cruciale della sua vita, un
momento
veramente importante. Quella era per lui l’unica via che il
destino gli aveva
preparato: sin da quando era nato, dall’esatto momento in cui
il suo embrione
aveva iniziato a formarsi, quella via era stata scritta. Il percorso
era uno,
perfettamente lineare. Niente bivi, niente di tutto questo. Per Brio
sarebbe
stato tutto molto semplice: bastava percorrere quella strada, ed il
destino
avrebbe fatto tutto per lui. Un destino a dir poco meraviglioso. Per
uno malvagio
come lui, quel
posto era paradisiaco:
scuro, terrificante, che metteva un intensa ansia addosso. Ma era
fantastico. E
pensare da chi era nato, quel grande genio del male.
I suoi genitori erano inizialmente persone benestanti, che vivevano una
vita normale. Ma un giorno successe un episodio che
scombussolò completamente
la loro vita: furono derubate da due ladri esperti, che lasciarono un
biglietto
scritto con il sangue dell’uomo, in cui dicevano di averli
uccisi, e che
avevano nascosto i copri. In verità, i genitori furono
semplicemente cacciati
di casa, buttati in strada, come dei barboni; avevano pochissime
scorte, per lo
più regalategli dalla piccola parte di bontà dei
ladri, e una borraccia di
acqua. I loro abiti iniziarono ad essere malandati, e vivevano nella
miseria:
dovevano infatti cercare di rubare la notte per accaparrarsi il cibo e
l’acqua,
non avendo nemmeno uno spicciolo. Non furono mai beccati, e
ciò fu per loro una
fortuna. Per dormire, andavano invece nelle case altrui, dormendo in
qualsiasi
periodo in cui gli inquilini fossero fuori casa. Furono anche qui
beccati
pochissime molte, e il più non furono riconosciuti
nonostante i manifesti
appesi per la loro scomparsa: il poco mangiare e il poco bere (i furti
non
andavano spesso alla grande) li aveva resi magrissimi, ed erano
irriconoscibili
in ogni dettaglio (anche perché era difficile che si
lavassero, non avendone
modo). Per questo, nemmeno gli amici li riconoscevano, e li cacciavano
per
questo di casa.
Purtroppo,
un triste giorno il marito della coppia scoprì che la moglie
era incinta.
Andarono in un ospedale, dove rivelarono le loro identità:
dovevano pur
rischiare. Così, i due, che furono ritenuti ritrovati dalle
autorità, che lo
rivelarono in televisione, furono
ospitati in ospedale, dove gli diedero da bere e da mangiare.
Così, Brio
nacque. L’esatto momento in cui il uso embrione si
formò fu quello che scrisse
l’intera storia di Brio: come sarebbe andata,
cos’avrebbe fatto, perché
l’avrebbe fatto, eccetera. Per quello che si sarebbe
dimostrato, non era degno
di vivere con gente nella media come i suoi genitori. Pochi attimi
dopo,
infatti, un criminale irruppe nell’ospedale, ed uccise la
madre di Brio e varie
altre persone, per poi rapire il padre e il bambino. I due sparirono
all’apparenza dalla faccia della terra.
*
Il criminale, tuttavia, invece di
uccidere subito i due
malcapitati, decise di mantenerli in una stanza del suo rifugio, in
modo da
poterli in seguito torturare, dato che era proprio il motivo del
perché avesse
risparmiato almeno loro: adorava torturare le persone, e lo avrebbe
fatto con
molta felicità. Tuttavia, si presentò un
imprevisto. Grosso come una casa. Infatti,
il criminale si rese subito conto del grande potenziale intellettuale
di Brio,
dato che costui, dopo solo un anno dalla sua nascita riuscì
a progettare un
piano di fuga dal rifugio del malvagio, dove erano stati intrappolati.
Il
rifugio era una grande e lussuosa villa unifamiliare. Possedeva
numerose
stanze, e un grande ed ampio atrio, dove al centro c’era un
grande tappeto
rosso rotondo, addobbato qua e la da varie stelline di un giallo
chiarissimo.
Il tappeto era tutt’intorno circondato da un sacco di
poltrone, decisamente
molto comode, che si guardavano l’un l’altra, con
un solo divano rivolto verso
l’immenso camino dell’atrio, parecchio grande, e
con fuoco molto scoppiettante.
C’erano due piani, uniti all’atrio tramite delle
scale. Ma questa villa, in
apparenza bella ed accogliente, era l’esatto contrario di
ciò che appariva.
Sembrava più un carcere: c’erano trappole e
telecamere qua e là, e quest’ultime
poteva rivelarsi veri e propri mezzi di tortura. Al momento opportuno,
potevano
sfoderare un ampio e distruttivo arsenale: fucili, pistole,
mitragliatrici,
ecctera. Coem guardiano dell’atrio c’era un robot,
costruito dal criminale, che
da come capiremo, è più un genio del male che un
semplice malvivente. Esso
aveva lo stesso aspetto del criminale, quindi era muscoloso e a petto
nudo.
Questo robot aveva lo scopo di impedire a chiunque di fuggire dalla
villa, ma
il criminale fece un grave errore. Decise infatti di tenere
intrappolati il
padre di Brio e Brio stesso nella stanza che lui usava da laboratorio,
dove,
col suo grande genio, costruiva macchine di tortura, e dove Brio e il
padre
sarebbero rimasti a marcire per molto tempo, con pochissimi viveri
concessi dal
criminale. Per fortuna, un anno dopo, la grande testa di Brio
rivelò, a quanto
pare, di servire davvero per contenere un cervello gigante, un
altissimo
potenziale intellettivo, dato che il bambino riuscì a
costruire un robot, con
tutto ciò che aveva trovato nel laboratorio, che doveva
contrastare quello
dell’atrio. E questo solo un anno dopo dalla sua nascita. E
per poco, il robot
non riuscì nel suo intento.
Il piano
di fuga era ben preciso, e fu pensato tutto da Brio: il robot sarebbe
servito
come distrazione, in modo da permette al padre di Brio e a Brio stesso
di
andare avanti senza pericolo, dato che o il robot avrebbe attirato le
attenzioni delle telecamere o ci avrebbe pensato lui a trovare le
trappole,
grazie a dei sensori particolari installati al suo interno, per poi
neutralizzarli. A volte, a fare da esca sarebbero dovuti essere i due
umani, in
modo che il robot potesse distruggere le cose più
pericolose, che altrimenti,
se avessero localizzato la sua presenza, l’avrebbero potuto
danneggiare
parecchio. Per esempio, ci fu una telecamera munita di razzi a ricerca,
che
avrebbero potuto far parecchio male al povero Robot. Alla fine, arrivo
il
confronto definitivo, quello che avrebbe sancito la riuscita o il
fallimento
del piano: il robot di Brio contro quello del criminale. E purtroppo, a causa della
sua maggiore
complessità, il robot del criminale ebbe la meglio, e il
padre di Brio fallì
miseramente il suo tentativo di fuga col bambino in braccio. Il robot
del
criminale li prese e li sbatté nuovamente nel laboratorio.
Il criminale, che
nel frattempo era affascinato dall’intelletto di Brio, decise
di doverlo
sfruttare… ma doveva fare di piccoli lavori di
“restrizione”. Così, uccise il
padre di Brio, e utilizzò un particolare macchinario per
diminuire l’intelletto
di Brio. In pratica, con delle pinze, alzo parte della testa di Brio
facendola
diventare retta. Il cervello di Brio ebbe un sacco di
difficoltà ad abituarsi
in quello spazio, e ciò gli diede grossi problemi: il suo
intelletto, infatti,
diminuii molto. Perché il criminale non poteva permettersi
per nessuna ragione
al mondo che qualcuno lo superasse in intelligenza. Per nessun motivo.
*
Gli anni passarono, e
l’intelletto di Brio (che inizio a
chiamarsi così solo dopo l’episodio della fuga,
essendo un nome attribuitogli
dal criminale), seppur potesse essere ancora maggiore, cresceva giorno
dopo
giorno, momento dopo momento. Il piccolo era infatti riuscito a
progettare
nuovi sistemi di difesa per la villa:
aveva progettato nuove trappole situate nei posti
più imprevedibili, e
aveva costruito nuove armi per la tutela della villa, capaci di
polverizzare
qualsiasi invasore. Il suo enorme genio spaventava molto il criminale,
il quale
aveva cresciuto Brio nella malvagità più totale.
Il bambino, di appena otto
anni, era infatti sadicissimo, e adorava torturare le proprie vittime,
che
venivano portate in villa dal criminale, per via del suo particolare
lavoro, di
cui parleremo a breve. Brio si divertiva a far fare una fine lenta,
dopo aver
capito che una morte dolorosa è peggio di una veloce ed
indolore.
Il piccolo cominciò a capire
sempre di più il mondo del crimine, grazie anche al lavoro
che svolgeva il suo
tutore: Brio scoprì infatti che il criminale era un sicario,
un assassino a
pagamento. Egli aveva infatti un sito segreto, dove lo contattavano
spesso per
assassinare le persone più disparate nei posti
più disparati. A volte portava
alcune vittime nella sua villa, per torturarle (come aveva per esempio
fatto
con Brio e con il padre), siccome, come detto prima, amava
la tortura (anche se mai quanto Brio,
che imparò questo terribile strumento proprio per queste
persone che il proprio
“tutore” portava). Ma tutto questo lui non lo
faceva se non c’era in palio una
bella e grande quantità di soldi. Il bambino
scoprì che la madre fu uccisa per
pura casualità: infatti, il sicario aveva ricevuto un
messaggio, dove un certo George
gli chiedeva di assassinare almeno dieci persone presenti in
quell’ospedale. Non
ne specificò il motivo,
disse solo che la ricompensa sarebbe stata molto alta, ma egli doveva
uccidere
esattamente dieci persone. Magari qualcuno di più, ma
nessuno di meno. Il
criminale non gli disse mai di aver rapito due persone, e di averne
uccise
infine solo otto, e per questo George gli diede comunque il compenso. Brio scoprì anche
il perché il criminale li
aveva portati nella villa, ma non se ne importò. Provava
indifferenza per la
sua triste storia. Ormai per lui contava solo la malvagità e
la cattiveria.
Il criminale cominciò ad
essere sempre più terrorizzato da quel bambino,
perché sottosotto, anche se era
un genio del male, anche se era un sicario temutissimo, era un pauroso.
Il
criminale fece allora diverse ricerche su internet, per trovare una
maniera per
sbarazzarsi di Brio. Aveva fatto fin troppo con quel bambino: lo aveva
cresciuto, trasformandolo in un futuro genio del male e gli aveva anche
fatto
un regalo speciale per il suo ottavo compleanno. Ma questa è
un’altra storia, e
ci sarà tempo di raccontarla. Oramai quel bambino era troppo
pericoloso! Il suo
intelletto sembrava non avere limiti, e presto sarebbe potuto diventare
una
potenziale minaccia per il criminale. Doveva mandarlo via, lontano da
lui.
Doveva mandarlo in un posto dal quale non avrebbe più fatto
ritorno.
*
E così, torniamo
all’inizio di questa storia. Non ricorda
come ci finì, non ricorda nemmeno il perché:
ricorda solo che ci era finito, e
basta. Ma tanto, in quel preciso momento, lui capì subito
cos’era quell’enorme
scuola dall’aspetto tenebroso: un grande cartello comparve
improvvisamente
davanti a lui, pieno di terriccio, e alzò un sacco di
polvere, che sporcò le
scarpe di Brio, provocandone la furia. Sul cartello era scritto con un
carattere parecchio stravagante:”Benvenuto, nuovo alunno
dell’Accademia Del
Male di Madame Amberly!”. Brio era ancora arrabbiato per
l’affronto verso le
sue scarpe, essendo di temperamento facilmente irritabile, ma appena
lesse quel
cartello, non gliene importò più assolutamente
nulla delle sue stupide scarpe;
infatti, per lui, la sola vista della parola male bastava ad attivare
un
processo di eccitazione, che lo mandava al settimo cielo. In un
istante, decise
e capì che quello era il posto perfetto per lui. Un posto
quasi paradisiaco.
Finalmente aveva la possibilità di diventare un vero
cattivo, un genio del male
pronto a conquistare il mondo, con grande facilità, grazie
al suo enorme
cervello irraggiungibile dai suoi occhi; infatti, Brio era sicuro che
non
avrebbe avuto rivali, perché lui era superiore alla media.
Ma che dico. Lui era
superiore a tutti… o almeno, così pensava.
*
L’Accademia fu bellissima:
Brio era un genio,
intelligentissimo, il più bravo, il migliore della sua
classe. Non prendeva mai
un brutto voto, e anche se non eccelleva ogni singola volta, la sua
media era
altissima. Durante quelle lezioni si divertiva. E si vantava. Brio era
un vero
e proprio galletto: arrivava addirittura a farsi i complimenti da solo,
qualsiasi cosa facesse, anche la più semplice. Per questo
motivo, fu
disprezzato dai compagni, che non lo apprezzavano minimamente, per ogni
singolo
aspetto di lui; e non intendo solo il carattere, dato che nemmeno
l’aspetto di
Brio lo aiutava. Egli era infatti un semplice umano con due chiodi ai
lati di
una lunga testa retta. Sembrava come voler imitare un mostro, seppur
con
risultati piuttosto miseri. Inoltre Brio era molto infastidito di
essere
l’unico essere umano presente nel terreno della scuola: il
resto era tutti
mostri, che amavano anche bullizzare Brio per questa sua
diversità, e anche perché
gli era antipatico. Ma i bulli sembravano non aver effetto su di lui:
riceveva
costanti spintoni, e spesso lo pestavano violentemente, senza dargli un
attimo
di tregua. Ma dopo ogni pestaggio, il bambino sembrava uscirne illeso,
almeno
mentalmente. Brio era felice. Malvagiamente felice. Fino a quando LUI
non
arrivò.
Infatti, precisamente un anno
dopo l’entrata di Brio nell’Accademia,
arrivò un nuovo bambino prodigio: il suo
nome era Cortex, ma tutti lo chiamavano Dottor Neo Cortex, per via
della N
sulla sua fronte, che a detta del bambino stava a significare
“Neo”. Per Brio
furono anni terribili, di invidia: quel bambinetto, Cortex, era
migliore di lui
in tutte le materie esclusa la tortura. Prima, Brio era il primo della
scuola
in media e malvagità. Ora, aveva perso il primato in media,
per colpa di quel
piccolo verme, che però ancora non lo sfiorare nemmeno in
malvagità. Il ragazzo
era infatti stranamente troppo buono per uno strandard cattivo, e,
proprio per
questo, veniva preso in giro e bullizato, anche se non era mai colpa
sua. Brio
era inoltre molto infastidito era che quel bambino indegno dalla pelle
gialla
lo guardasse, e sembrava interessato a conoscerlo. Tuttavia, Brio, dopo
un paio
di ripensamenti, decise che avrebbe potuto sfruttare la debolezza
caratteriale
di Cortex a suo vantaggio. In fondo, aveva pur sempre bisogno di
trovarsi un
alleato, un aiutante, qualcuno che gli leccasse i piedi. E Cortex
sembrava la
pedina perfetta. Anzi. Non sembrava. ERA la pedina perfetta.
Così, dopo una
serie di ragionamenti, Brio stabilì il tutto. Sarebbe stato
facile. Troppo
facile. E quale momento migliore per adescarlo, se non la ricreazione?
Così, un giorno, quando
la campanella della ricreazione suonò, Brio entrò
in azione. Si avvicinò senza
destar alcun sospetto a Cortex, ma caso strano volle che fu proprio
Cortex ad
avvicinarsi al nostro testa lunga.”Come ti chiami?”
incalzò il bambino giallo.
Brio, con un piccolo ghigno, rispose:”Emh, perché?
Comunque, mi chiamo Nitrus
Brio, per gli amici Brio”. Cortex rispose con disinvoltura e
felicità:”Bel
nome! Ma a te non hanno tatuato una N sulla testa?”. Brio, il
quale perse il
suo odioso ghigno , domandò:”Cosa?”. E
il piccolo Cortex rispose:”Niente,
niente, lascia stare. Piuttosto, che ne diresti di diventare un mio
amico ed
alleato? In questa scuola non c’è mezzo
umano!”. Brio, che
capì che forse c’era qualche collegamento in
più
tra lui e Cortex, rispose:”Hai proprio ragione. Ah, mi sono
dimenticato di
chiedertelo:come ti chiami?”. Brio sapeva già la
risposta, ma era divertente
vedere quel moccioso rispondere pensando di aver rivelato una cosa
nuova.
Cortex fu anche abbastanza stupito della domanda: lui e Brio erano
nella stessa
classe, com’era possibile che non avesse imparato il suo nome
con l’appello?
Tuttavia, ben presto ritornò all’espressione
precedente, probabilmente pensando
al fatto che anche lui si era dimenticato il nome di Brio, anche
perché, da
quanto Brio aveva visto, Cortex era sbadato e anche uno che dimentica
in fretta
certe cose (infatti, durante molte lezioni, si dimenticava
improvvisamente il
suo discorso, per poi farlo ritornare pochi istanti dopo); e quindi,
era molto
probabile che Cortex avesse pensato che anche Brio raramente potesse
manifestare quel problema, anche se durante le lezioni non lo
manifestava per
nulla. “ Dr.Neo.Cortex, e voglio diventare uno
scienziato!” disse
Cortex. E Brio, con un tono malizioso, rispose:”Oh, si che lo
diventerai…”,
ponendo fine a quella discussione. Fu così
l’inizio del piano di Brio per
diventare il miglior cattivo mai esistito. Ma non tutto sarebbe andato
secondo
ai suoi piani.
*
Il
piano di Brio di manipolare Cortex
prese la strada sbagliata: inizialmente, Cortex non amava i proprio
compagni di
classe, ma nemmeno li disprezzava. Gli era indifferente, essendo tutti
mostri
piuttosto stravaganti. E a Cortex non stava simpatica nemmeno la
preside, che
detestava profondamente e il sentimento sembrava esser reciproco.
Cortex aveva
infatti fatto uno scherzetto alla preside, riuscendo ad avvicinarsi a
lei e a
colpirla brevemente con una pistola laser, in piena pancia, facendola
ingrassare ancor più di quanto non fosse prima. E tutto
ciò successe grazie ad
un piano del precoce genio dell’umano giallo. Infatti, il
futuro scienziato
aveva fatto finta di bullizzare un suo compagno, facendo finta di
ucciderlo. In
realtà, era una strategia conosciuta da tutta la scuola,
eccetto i bidelli e i
professori (e la preside, ovviamente): Cortex voleva fargliela pagare a
quella
maledettissima preside, che riusciva a far sembrare i più
malvagi dei teneri
agnellini. Fece quell’atto per essere portata da lei e
sgridato, perché una
delle regole fondamentali era:”Tratta male il tuo compagno,
ma non ucciderlo.
Potrai sfruttarlo più avanti come schiavo, se si sottomette
a te. Mai sprecare
un possibile aiutante. Mai!”. Cortex riuscì a
mettere in atto il suo piano, ma
tutto finì in tragedia, dato che alla fine Cortex fu non
solo messo in
punizione per una settimana, ma dovette anche fare i conti con la
materia
insegnata dalla preside Amberly, che era anche professoressa di una
materia:
musica maligna. Cortex prendeva sempre pessimi voti in quella odiosa
disciplina, anche se stava cominciando a migliorare in tortura.
Infatti, Brio,
involontariamente, spiegandogli come essere un vero malvagio, lo aveva
reso fin
troppo cattivo, e lo stesso Brio temeva in quel momento che quella
crapa pelata
gialla potesse superarlo e opprimerlo, per poi prendere lui il comando
nella
loro “amicizia”. Cortex, infatti, stava diventando
sempre più cinico e maligno.
Cominciava a vantarsi come Brio, e ad essere discriminato dai compagni
per la
sua arroganza. Inoltre, trattava tutti gli altri studenti come bestie,
Brio
compreso. Usava i suoi numerosi macchinari, creati artigianalmente da
lui in
persona, per fare degli scherzetti spesso pericolosi. Una delle sue
invenzioni
più pericolose fu
“L’elevastuggitore”, che era capace di
far volare le persone
con un misero pulsante, farle muovere con una levetta (e ciò
era utile per
farli sbattere qua e là, distruggendogli completamente le
ossa e l’ego,
umiliandoli e torturandoli pubblicamente), ed infine, con un altro
pulsante, era
capace di farli cadere violentemente a terra, aumentando il loro peso
in modo
esponenziale per un breve lasso di tempo; in questo modo, il colpo
sarebbe
stato molto più duro, e avrebbe provocato molto
più dolore, e molta, molta,
molta più sofferenza. In fondo, più sono grandi,
più si fanno male quando
cadono. Comunque, tornando al discorso originario, vi starete chiedendo
se in
Cortex c’era ancora qualcosa di umano. Bé, in
effetti c’erano due esseri
viventi capaci di farlo ancora ragionare come una persona normale: i
suoi
pappagalli Victor e Moriz. Tuttavia, un giorno… successe
l’inevitabile. Quello
che Brio sperava non sarebbe mai accaduto. La totale conversione di
Cortex al
male. Brio
aveva infatti ideato insieme a Cortex (anche se il primo aveva fatto
praticamente tutto da solo, mentre il secondo si era limitato ad
aiutarlo a
perfezionare questa invenzione) un particolare marchingegno chiamato
Evolvo-Raggio capace di trasformare dei comuni animali in esseri
antropomorfi.
Il loro paino era quello di utilizzare quegli animali per conquistare
il mondo.
Si. Era un piano geniale. Se non fosse che il primo esperimento non
andò poi
tanto bene. Brio non seppe mai precisamente cosa successe quella notte.
Tutto
ciò che seppe fu che Cortex aveva perso Victor e Moriz, per
sempre. E dopo un
iniziale periodo di sconforto, Cortex si riprese ben presto, anche
grazie a
Brio, che era incredibilmente preoccupato per lui. Col tempo era come
se i
posti si fossero invertiti: ora, Brio era una persona decisamente
più buona e
meno malvagia, mentre Cortex era ormai il male incarnato, qualcosa
contro cui è
impossibile combattere; Brio cominciava a provare timore per Cortex, ma
al
contempo rispetto. Rispetto per esser riuscito a emergere dal suo
guscio;
rispetto per esser risuscito a superare Brio in tutto; rispetto per
aver
lasciato alle spalle il suo passato, che lui non raccontò
mai nei dettagli,
almeno a Brio, che purtroppo, invece, fu costretto da Cortex stesso a
raccontare il suo passato, tramite un invenzione che costrinse Brio a
dire
tutta la verità su di lui, davanti anche a molti studenti
che erano stati
attratti dallo strano casco che indossava Brio (che era la macchina
della
verità di Cortex). Brio finì per essere preso in
giro per il misero modo in cui
perse i genitori, e ciò colpì molto nel profondo
il nuovo lui. Adesso, il
testa-lunga, anche se ancora faticava ad ammetterlo, era totalmente
diverso: il
lui di un tempo era cinico, mentre quello attuale era spesso sensibile,
e per
ogni minimo atto di bullismo si chiudeva per giorni dentro di
sé, come se fosse
incapace di difendersi; il lui di un tempo era perfido, mentre il lui
attuale
stava diventando sempre più dolce. E così via.
Brio non seppe mai come fu
possibile questo cambio così repentino. Forse era quello il
suo vero carattere,
che per era stato represso per troppo tempo, e che ora veniva a galla
per via
del cambiamento di Cortex. Ma perché proprio in quel
momento? Forse… poteva
essere una conseguenza della sempre maggior autorità di
Cortex? Forse, le
alleanze tra nemici sono sempre così: uno è
l’autorità massima, chi controlla
tutto. Gli altri solo luride pedine inutili. E non importa se sei tu il
capo:
se uno solo dei membri della tua perfida alleanza ti supera in
malvagità,
cominci a diventare quasi buono. E tutto questo perché
probabilmente stai
ripensando a cosa sarebbe successo se non avessi preso quella strada.
Se avessi
preso la via del bene, tutto sarebbe cambiato: non saresti stato
considerato
come semplice carne da macello, ma come persona, con dei sentimenti.
Forse, la
via da te presa era quella sbagliata, ma ormai hai già i
tuoi piani, e devi
continuarla, cercando di essere il più cattivo possibile. E
questo era quello
che probabilmente era successo a Brio: aveva ripensato alle scelte da
lui
fatte, e aveva capito che erano sbagliate; ma ormai era tardi. Doveva
tornare
cattivo, altrimenti avrebbe perso tutto. Tutti i suoi piani, tutte le
sue
invenzioni (seppur inferiori a quelle di Cortex, tranne
l’Evolvo-Raggio), tutte
le sue ambizioni, tutto quello che riguardasse il male era ormai acqua
passata
per lui. Bé, in verità lui voleva che fosse acqua
passata. Ma per Cortex non lo
erano. No signore. E così, i due passarono molto tempo
lì, in quella scuola.
Fino a quando, ad un certo punto le loro vite si separarono, e per un
po’ non
si sentirono più…
*
Erano ormai passati
quarant’anni dalla
loro entrata nell’Accademia di Madame Amberly, che poco tempo
addietro avevano
raso al suolo, per vendicarsi di tutti coloro che li avevano umiliati.
Sfortunatamente, sapevano che la preside era sopravvissuta, e che
probabilmente
si sarebbe vendicata di loro, un giorno lontano. Ma a loro non
importava. Ora,
stavano osservando le isole dell’Arcipelago Wumpa, da sopra
al castello eretto
da Cortex su una di queste isole, che fu chiamata “Isola di
Cortex”. Brio
osservò l’Evolvo Raggio e il Cortex Vortice, una
nuova invenzione non ancora
perfezionata. Poi, tornò con lo sguardo sulle isole. Era
fantastico, guardarle
da lì, da una misera finestra. Gli sembrava di avere il
mondo sotto i piedi. E
la sua rediviva cattiveria, rinata grazie al suo momentaneo
allontanamento da
Cortex, era pronta ad avere il dominio assoluto sul mondo, in modo che
il sogno
di Brio diventasse realtà. Cortex sogghigno, e poi
parlò:”Adesso, tutti coloro
che mi hanno umiliato, che mi hanno preso in giro per la MIA
invenzione…
subiranno la mia ira!”. Brio annuì, ma in cuor suo
pensò:”Si, certo. Una TUA
invenzione. Ma non farmi ridere. Mi rubi anche le idee. Mi rubi il
posto di
malvagio, di capo. Mi fai riscoprire una parte di me per te pericolosa.
Sappilo
Cortex, la vendetta arriverà, qualsiasi sia il mio
schieramento. Chissà, forse
un giorno uno degli animali da te mutati potrà essere la tua
rovina. Ti
distruggerai con le tue stesse mai. Oh, si…
Muahhhhhhhhhhhhhhh, Muahhhhhhhhhhh,
Ahhhhhhhhhhhhhhh!”. E poi, osservò per un ultima
volta le isole, con un ghigno,
per poi voltare definitivamente lo sguardo a terra. Il tempo passa in
fretta,
ed il giorno della sua vendetta non era poi così lontano.
Doveva solo
aspettare, e tutto sarebbe andato liscio. Per lui, ormai esisteva
soltanto una
cosa seria: la vendetta.
ANGOLO
AUTORE: Salve! Finalmente, dopo un periodo di lunga
scomparsa, sono
ritornato! So che dovevo scrivere la storia di Tiny, ma poi mi
è venuta un idea
e ho deciso di scrivere quella di Brio prima. Ah, via avviso subito che
quel
regalo speciale per l’ottavo compleanno di Brio…
ricordatevelo. Sarà importante
nella prossima storia. Beh, io qui ho finito. Spero
che la storia vi sia piaciuta. Ci vediamo
alla prossima storia! Ciau!
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