A life in the Darkness
Le tenebre lo circondavano totalmente da troppo tempo ormai.
I suoi occhi,
benché non potessero sopportare la luce del sole, bramavano un
flebile bagliore che potesse mutare, anche solo di poco, lo scenario
monotono che era costretto ad osservare ogni volta che il suo sguardo
si posava sul nulla che si stagliava davanti a sé.
I ciuffi di capelli
che solitamente coprivano la sua fronte, vi stavano incollati per il
sudore e i suoi occhi, bassi, indugiavano nelle tenebre, mentre la sua
gola implorava pietà: solo un poco di sangue...
Il collo gli faceva
male per le cinghie di cuoio che lo stringevano senza
possibilità di scampo e gli stavano segando la pelle: prima o
poi, sarebbe morto per soffocamento.
Faceva male, terribilmente male, ma chiunque l’avesse rinchiuso lì non pareva esserne preoccupato.
Cercò, per
l’ennesima volta, di muovere appena i polsi, in un labile,
disperato tentativo di trovare una posizione che potesse permettere al
sangue di circolare nelle vene, ma era tutta fatica sprecata e lo
sapeva, ma non voleva darsi per vinto, perché almeno quei gesti,
seppur futili, gli confermavano che era ancora vivo.
Stare in quella
posizione, penzolante dalla parete, appeso per gli arti, gli mozzava il
fiato. Teneva il capo poggiato sul petto e respirava a fatica,
sforzandosi di far entrare nei polmoni abbastanza aria, ma quella
sistemazione glielo impediva.
Sentiva lungo le caviglie scendere sottili rivoli di quello che, senz’ombra di dubbio, era sangue.
Caldo, delizioso sangue...
Avvertì la sete
più intensa di quanto il suo corpo martoriato potesse
sopportare, così intensa da sembrare un fuoco vivo nella sua
gola e provò l’improvviso impulso di mordersi, il
desiderio di bere il proprio sangue.
A che stregua era giunto: non riusciva più neppure a controllare i propri istinti di vampiro.
Desiderare addirittura
il proprio sangue pur di scampare alla sete travolgente e priva di
pietà che lo stava lentamente consumando minuto dopo minuto.
Alzò appena il
capo: avrebbe tanto voluto avere la forza di liberarsi, ma era talmente
debilitato da non avere neppure la forza di pensare lucidamente.
Dolore.
L’unica cosa
coerente alla quale riusciva a rivolgere i propri pensieri: il
terribile dolore che provava sia nel corpo che nella mente.
Perché un
essere vivente, umano o vampiro che fosse, doveva patire tutto
quell’atroce dolore senza saperne neppure il motivo?
Era raccapricciante, dilaniante, insopportabile.
Era il genere di dolore che spinge i viventi alla follia, alla morte pur di non patire più una tal sofferenza.
Lui cercava con tutto
se stesso di sfuggire a quella perdizione della mente, molto più
incombente e spaventosa della morte stessa.
Continuare a vivere
senza avere più la cognizione di niente, essere solo un guscio
vuoto che attende l’oblio eterno era ancora peggio che morire nel
corpo.
- Aidooo... -.
Quel femmineo,
sussurro dal sapore di scherno nell’oscurità era lo stesso
che tante volte aveva udito, ma non aveva la forza per sorprendersi che
fosse tornata ancora, per torturarlo, per infierire su di lui come
tante altre volte prima di allora.
Le innumerevoli ferite
e i lividi che intaccavano la sua pelle e che ancora, durante il sonno,
gli bruciavano, mandandogli fitte intermittenti di dolore, erano i
segni che gli ricordavano costantemente che si trovava lì solo
per soffrire sia nel corpo che nella mente: ogni genere di tortura era
lecita in quel luogo d’agonia perpetua.
Lanciò un flebile gemito di dolore e rassegnazione: sperava che almeno fosse un dolore rapido.
- Immagino tu abbia sete... - continuò la voce.
Il ragazzo
sentì una mano afferrargli il viso, piantandogli le unghie nella
carne, che riprese a sanguinare, portandogli sotto naso
l’invitante profumo del suo sangue.
Sentì poi
un’unghia tracciargli un taglietto sulla fronte e da questo, Aido
avvertì il sangue uscire silenziosamente in dolci fiotti che gli
rigarono il viso come lacrime rosse, scendendogli fino alle labbra.
Lo leccò
avidamente, mentre in cuor suo non poteva far altro che provare
compassione e al contempo disgusto verso il miserabile essere che era
divenuto, assetato del suo stesso sangue.
Una risata maliziosa riecheggiò nella stanza.
La mano che gli
ghermiva il viso svanì e lui avvertì di nuovo la
sensazione di solitudine che lo accompagnava in ogni istante di quegli
infiniti giorni di prigionia.
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