Pacchetto:
“All
I want for Christmas is you”; Prompt: Regalo
Fandom
scelto: Le Cronache di Narnia
Note dell’autore: Ovviamente
l’idea di una relazione tra Susan e Caspian l’ho
presa dai film, ma qui seguo gli eventi dei libri: Susan non
l’ha baciato prima di attraversare il portale e i
due non si
sono quasi parlati – l’unico accenno ad una loro
conversazione è nell’ultimo
capitolo, con Caspian che cerca di riconsegnarle il corno mentre lei lo
persuade a
tenerlo. Detto questo, buona lettura!
All
I want for Christmas is…
A Londra quel pomeriggio pioveva; non
che fosse insolito,
tanto più in una giornata di dicembre.
Era il 20, per l’esattezza,
e Susan Pevensie iniziava a
rimpiangere d’aver accettato l’invito di Arthur
Mace, uno dei ragazzi più
carini del suo istituto, ad accompagnarlo ad acquistare dei regali per
i suoi
familiari.
Non che ci fosse qualcosa di
particolarmente sbagliato in
Arthur, Susan aveva avuto spasimanti ben peggiori – primo fra
tutti Rabadash,
un principe di Calormen che aveva tentato di sposarla con la forza
–, ma… era
così noioso.
Parlava sempre e solo di rugby,
feste, ragazze che aveva
frequentato in passato… quest’ultimo argomento, in
realtà, usciva raramente
quand’era con Susan, ma dal canto suo la ragazza
l’avrebbe quasi preferito
all’ennesimo racconto delle sue brillanti vittorie sportive.
L’esperienza vissuta a
Narnia l’aveva cambiata; lì, anni
prima, Susan aveva vissuto un’altra vita, era diventata
adulta. Tornata nel suo
mondo e alla sua età reale, i ricordi dell’altra
sé stessa si erano fatti fumosi,
difficilmente riusciva a richiamarli con assoluta chiarezza. Ma erano
comunque
presenti.
La consapevolezza d’aver
vissuto quell’altra vita le dava
una strana sensazione. In presenza di chiunque, con l’unica
eccezione dei suoi
fratelli, si sentiva alienata, fuori posto.
Non riusciva ad integrarsi con i suoi
coetanei, ammesso di
poterli definire così.
Avrebbe voluto parlar loro di Aslan,
di quanto amasse
esplorare luoghi sconosciuti e, perché no, della sua
passione per il tiro con
l’arco. Non poteva: temeva che non la capissero e la
deridessero, e non osava
confessare la sua bravura in uno sport così poco appropriato per una giovane donna.
I suoi compagni non pensavano che a
vestirsi eleganti e
partecipare a feste che Susan non riusciva a non paragonare ai balli
che aveva
atteso a Cair Paravel, nel suo bellissimo castello, a Narnia. Come
Regina.
Pensava che crescendo i suoi compagni
sarebbero maturati,
che con il tempo si sarebbe integrata; non era stato così,
anzi, ora che avevano
sedici anni le sue amiche – chiamiamole così
– parevano avere un unico scopo:
l’alcool che alcuni ragazzi introducevano di nascosto alle
loro feste.
Lei non riusciva proprio a capirlo,
le altre dal canto loro
non capivano lei.
L’unico modo per incontrare
la loro approvazione era civettare
con i ragazzi, apparentemente.
Forse proprio per questo aveva
accettato l’invito di Arthur,
per farsi accettare. Sono una sciocca,
pensò.
«…Susan?»
La voce a metà tra
l’irritato e il preoccupato del giovane
Mace – doveva averla già chiamata un paio di volte
– la riportò alla realtà.
L’amara e piovosa realtà in cui passeggiavano
sotto un ombrello su uno dei
tanti viali commerciali della capitale britannica.
«Sì?»
rispose, cercando di suonare naturale.
«Mi stai seguendo? Ti
dicevo di quando…»
«Di quando la tua meta
miracolosa ha portato alla vittoria
la squadra della scuola contro ogni previsione, sì. Lo
so» completò lei senza
entusiasmo.
Susan comprendeva bene la passione
per un’attività sportiva,
ma nei racconti di Arthur non ne trovava traccia. Per lui sembravano
contare
solo i risultati, i suoi motivi di vanto; lei prediligeva lo svolgersi
dell’attività, l’intrico di emozioni che
provava nel tendere la corda, prendere
la mira e scoccare.
In quei pochi attimi si sentiva
eccitata, tranquilla, sicura
di sé.
Provava tutto ciò a
prescindere dal risultato. Se poi questo
era positivo – ed i suoi erano quasi sempre ottimi
– al piacere si aggiungeva
la soddisfazione, ma questo veniva dopo.
Praticare uno sport senza trarre
piacere dal suo svolgersi
era qualcosa che Susan non riusciva a concepire.
Arthur si portò una mano
– quella non impegnata a reggere l'ombrello
sotto cui procedevano entrambi – dietro alla testa,
imbarazzato.
«Mi eri sembrata
assente», mormorò.
La maggiore delle Pevensie
considerò tra sé che quando si
ascolta lo stesso aneddoto per la trentesima volta essere assenti
è legittimo,
ma non disse nulla.
Arthur sospirò e
abbassò il braccio.
«Vedi, Susan, parli
così poco…» iniziò incerto.
«Sì,
insomma, una ragazza non dovrebbe parlare troppo,
ma…» tossicchiò, in
difficoltà. La verità era che il silenzio quasi
perenne della ragazza lo
metteva in soggezione.
Le ragazze che aveva frequentato
prima di lei erano solite
riempirlo di complimenti, mentre sua sorella minore Alice –
unico altro
esemplare femminile sotto i vent’anni con cui Arthur
interagisse – parlava
anche troppo.
Per questo non sapeva mai cosa
aspettarsi da Susan, il suo
atteggiamento così insolito lo spiazzava.
Allo stesso tempo, però,
lo attirava.
Non poteva certo esporle
così le sue debolezze, però; era un
gentiluomo.
Decise di cambiare argomento,
regalandole comunque una
verità.
«Sei bellissima,
Susan».
L’aveva sentito anche
troppe volte, era piuttosto chiaro che
il suo aspetto fisico fosse l’unica cosa che i ragazzi
notavano in lei – ma
qualcosa nel tono di Arthur l’intenerì.
«Ti ringrazio»,
disse.
Fino a quel momento aveva osservato
le vetrine solo
distrattamente, ma ora qualcosa attirò la sua attenzione. Si
fermò di colpo.
Arthur, preso in contropiede,
cercò di capire cosa l’avesse
colpita così tanto, ma quello che vide non fece che
confonderlo ulteriormente.
Nella vetrina davanti a loro erano
esposte spade e antichi
stemmi; dall’angolo in alto a destra pendeva un corno da
guerra. Non
esattamente gli interessi che avrebbe attribuito ad una compagna di
classe,
neanche a quella sorpresa continua che era la Pevensie.
La mente di Susan, intanto, volava
indietro.
Quel corno le aveva ricordato il suo
– ovviamente non lo
era, però.
Il suo l’aveva lasciato a
Narnia, al ragazzo che li aveva
richiamati, al nuovo Re.
A Caspian.
Avvertì una stretta al
petto.
Era… nostalgia, quella?
Non poteva essere. Aveva conosciuto
appena quel ragazzo, anche se sì, l’aveva
incuriosita. Come lei e i suoi
fratelli discendeva da Adamo, ma diversamente da loro era nato a Narnia.
Era grazie a lui se era potuta
tornare in quel magico mondo,
l’unico in cui si sentisse realmente felice, una seconda
volta.
Inoltre, aveva ammirato il suo
coraggio. Era un vero Re,
degno del suo trono.
Si trovò a pensare che
avrebbe voluto avere l’occasione di
conoscerlo meglio – ma era un pensiero stupido, se ne rendeva
conto. Per quel
che ne sapeva lei, il giovane dei suoi ricordi a quel punto poteva
essersi
sposato. Poteva perfino – considerò tristemente
– essere morto.
Scosse la testa per scacciare quel
pensiero.
Finalmente notò lo sguardo
confuso del suo accompagnatore.
Chissà cos’aveva pensato, vedendola imbambolata di
fronte alla vetrina di un
antiquario militare.
«I miei fratelli amano le
spade», improvvisò. «Non che siano
un regalo appropriato. Proseguiamo pure».
La vetrina successiva esibiva
accessori per donne; Susan
poté muovere due passi prima di avvertire sul braccio la
presa di Arthur,
ripresosi dalla sorpresa. Le indicò il nuovo negozio.
«Entriamo qui, va
bene?»
Immaginando che volesse prendere
qualcosa per sua sorella
Alice, Susan annuì. Magari anche lei avrebbe trovato
qualcosa per Lucy.
Una volta dentro si
allontanò dal ragazzo. Si mise a
curiosare fra gli scialli.
La malinconia scatenatale dal corno
non l’aveva lasciata; il
desiderio sopito di tornare a Narnia e poter sostenere una
conversazione
completa con Re Caspian almeno una volta tornò a farsi
sentire.
Quegli assurdi pensieri erano
provocati dal suo senso di
straniamento rispetto alla realtà che la circondava, decise.
Questo, però, non
la aiutava minimamente a scacciarli.
Un tocco leggero sulla sua spalla la
fece sussultare. Si
voltò di scatto.
Forse un po’ troppo,
perché Arthur – era stato lui, nel
tentativo di attirare la sua attenzione –
indietreggiò.
Si ricompose. Forse voleva un parere
sul regalo per la
sorella?
Probabilmente in quel negozio il
ragazzo si trovava un po’
fuori posto. Anche se l’aveva proposto lui.
«Posso aiutarti in qualche
modo?» gli domandò gentilmente.
«Sì»,
rispose Arthur. Le rivolse un bel sorriso. «È
quasi Natale»,
cominciò. Un po’ alla larga.
«Lo so»,
affermò lei, un po’ stupita. «Non
è per questo che
siamo qui?»
«Sì, appunto.
Posso chiederti una cosa, Susan?»
La Pevensie
lo fissò inquisitoria, ma annuì. Non riusciva a
capire dove volesse arrivare – magari era solo un modo un
po’ più formale per
chiederle il favore? Poi sono io, quella
strana, si concesse di pensare.
«Cosa
vorresti come
regalo?»
Susan si immobilizzò e
sbatté gli occhi un paio di volte.
Aveva davvero detto quello che pensava? Aveva sentito bene?
Perché mai avrebbe dovuto
farle un regalo? Insomma, si
conoscevano appena. Fino alla settimana prima non avevano mai scambiato
nemmeno
un saluto.
Ma non era questo il suo unico
pensiero…
Che bel
sorriso,
aveva pensato anche, galeotta la parte più irrazionale del
suo cervello.
La stessa che continuava a riempirle
la testa con il ricordo
di Caspian.
Ecco, appunto… Caspian.
Anche lui le aveva rivolto un
bellissimo sorriso, subito prima che lei varcasse la porta preparata da
Aslan
per riportarla a casa. Era diverso da quello di Arthur,
però; era più caldo.
Caspian…
Inconsciamente, l’immagine del giovane Re si sovrappose a
quella del ragazzo
davanti a lei.
Caspian,
tutto ciò che
voglio per Natale… sei tu.
Arrossì di botto,
rendendosi conto di ciò che aveva appena
pensato.
La situazione le stava decisamente
sfuggendo di mano.
«Susan? Tutto
bene?» stava dicendo Arthur. «Ci terrei
davvero a farti un regalo…»
«Non è
necessario», disse Susan, appellandosi a tutta la sua
forza di volontà per non farsi tremare la voce.
L’assurda risposta che
aveva pensato continuava ad
echeggiarle nella mente, sembrava quasi il ritornello di una canzone
popolare.
Osservò Arthur accigliata.
L’aveva presa di sorpresa con
quella domanda… e comunque, se anche gli avesse detto cosa
voleva lui non
avrebbe potuto accontentarla. Sospirò.
Lui la prese per un braccio e la
trascinò verso uno
scaffale.
«Che ne dici di questo
nastro? Ti starebbe bene», propose.
«Credo».
Era un nastro piuttosto semplice, di
quelli per acconciare i
capelli, in semplice stoffa blu.
Susan pensò di rifiutare,
ma era proprio tenuta a farlo?
Il ragazzo sembrava deciso a farle un
regalo, e alla fine
che importanza aveva?
Quello che voleva non poteva averlo
comunque, a quel punto…
D’altra
parte,
pensò con una punta di vanità, non
ha
torto, mi starebbe bene.
Mentre Arthur lo faceva
impacchettare, Susan scelse un altro
nastro, rosso, per portarlo a Lucy.
Già si immaginava le
scenate di gelosia della sorellina, se
lei fosse stata l’unica con un nuovo accessorio.
Poco dopo uscirono dal negozio,
scoprendo che anche il cielo
aveva deciso di far loro un regalo: aveva smesso di piovere.
«Grazie»,
mormorò Susan prima di salire sul treno che
l’avrebbe riportata a casa.
Arthur aveva aspettato con lei in
banchina.
«È stato un
piacere», rispose lui. Avrebbe sperato in
qualcosa di più, ma la ragazza dopo un ultimo cenno di
saluto era salita in
carrozza e già non era più visibile.
Ragazza
strana, la
Pevensie, pensò tra
sé mentre tornava a casa. Durante tutto il tratto fino alla
stazione era sembrata
stranamente allegra – forse per il suo regalo? E dire che
aveva cercato di
rifiutarlo! – e quasi più assente di prima
– ammesso che fosse possibile –, aveva
avuto l’impressione che stesse canticchiando qualcosa fra
sé e sé.
A un certo punto aveva persino
mormorato una frase di cui non aveva capito nulla, se non
forse l’ultima parola; “tu”.
Quando l’aveva interrogata
al proposito, però, lei aveva
glissato. “Ripensavo a un sogno che ho fatto”, gli
aveva detto.
Qualunque fosse il suo segreto,
Arthur ora era anche più
interessato di prima.
Le
chiederò di
accompagnarmi alla prossima festa, decise. Le ragazze amavano
le feste, no?
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