Ci
sono molti misteri a questo mondo, ma il mistero piu' grande e'
quello piu' difficile da scoprire: chi siamo veramente. Nessuno ce lo
puo' dire, a volte neppure noi stessi. E quando il proprio aspetto e'
diverso da quello di chunque ci circondi allora e' ancora piu'
difficile capirlo.
Shin
non pensava esattamente questo, ma lo percepiva dentro di se' mentre
osservava come d'abitudine la vita che si svegliava dopo la notte
passata. Non sapeva quanti anni aveva, da dove veniva, chi erano i
suoi genitori o qualunque altra cosa che riguardasse la sua storia.
Persino il proprio nome se lo era scelto da sola, e solo perche' quel
suono le piaceva. Pero' non era triste, solo curiosa. Adesso era alta
come una bambina di sette anni, ma la sua eta' era quella di una
donna quasi anziana. Lo sapeva perche' mentre le altre bambine oramai
avevano gia' avuto dei figli lei era rimasta quasi uguale. Le piaceva
osservarle. Le piaceva piu' di ogni altra cosa, anche piu' di
procurarsi quello che desiderava. E adesso aveva deciso di osservarsi
un'altra volta.
Scese
dal tetto arrampicandosi per la parete come un insetto, ma nessuno la
noto'. Nessuno la notava mai. Sapeva benissimo che sarebbe riuscita a
sgattaiolare ovunque e nessuno l'avrebbe vista se non lo voleva. Non
sapeva perche', ma era cosi'. A volte aveva pure delle specie di
illuminazioni che le dicevano che poteva fare una cosa che subito
prima non sapeva di poter fare, come nell'occasione in cui si era
gettata giu' da un palazzo di sei piani ed era atterrata illesa e lei
le accettava con la stessa naturalezza del suo respiro. Percio' non
si preoccupo' troppo di venire scoperta quando si infilo' in una
finestra lasciata aperta di quello che aveva sentito definire come
“Palazzo estivo reale”, e quando atterro' silenziosamente sul
tappeto non si sforzo' neppure di nascondersi alla cameriera che
stava rifacendo il letto. La osservo' un po', poi si accorse che
c'era quacosa dietro la tenda e si infilo' li dietro. Un quadro
nuovo. Carino. In quel momento la servetta spazio' lo sguardo
sull'intera stanza prima di uscire, ma non si accorse della bambina
invisibile dietro lo spesso strato di tessuto. Quando richiuse la
porta dietro di se' Shin usci' e si diresse allo specchio all'angolo
della stanza. Quello in particolare era il suo preferito,
nessun'altra casa ne aveva uno cosi' bello. Per l'ennesima volta
contemplo' il suo riflesso. Sapeva che aspetto aveva la sua pelle:
candida, quasi trasparente, e decorata con tanti, tantissimi sottili
tatuaggi azzurri che potevano cambiare l'intensita' del loro colore e
della loro luminosita' secondo il suo volere, da segni quasi
invisibili a blu cupo, da nessuna luce a quella intensa di molte
torce percio' non li osservo' molto e si concentro' invece sui suoi
capelli. Aveva guardato spesso le altre persone, sia umani che elfi e
aveva visto colori di ogni tipo ma mai come il suo. Anzi, il suo non
era neppure un colore dal momento che i suoi capelli erano
trasparenti, come tanti piccoli fili di vetro tessuti appositamente
per la sua testa e che rendevano visibili i tatuaggi del suo cranio.
Li osservo' con attenzione dato che non poteva certo vederli
altrimenti, ma non riusciva mai a ricavarne un senso. Si tocco' i
lunghi capelli, spostandoli bene dal viso e chiuse gli occhi per
prepararsi a osservare quella partedi se' che piu' amava e la
affascinava al tempo stesso: il suo sguardo. Questo di certo non
poteva averlo nessuno, perche' lei non possedeva ne' iride ne'
pupille ne' qualunque altro segno che facesse sembrare i suoi occhi
umani. Perche' i suoi occhi erano uguali a due piccoli, perfetti
specchi che riflettevano tutto cio' che guardavano, e quando guardava
uno specchio l'effetto era quello di perdersi in infiniti mondi
eternamemte riflessi l'uno nell'altro. Quando li chiuse, seppe che
era il momento di andare. Usci' di nuovo dalla finestra, saltando a
terra con leggerezza sulla strada deserta e si incammino' per le vie
della citta'. Senti' qualcuno da una finestra parlare del diadema di
una contessa, e decise che voleva vederlo. Poche ore dopo ciondolava
in un vicolo contemplando ammirata il gioiello, ma poi una farfalla
colorata le volo' accanto e lei lo lascio' cadere a terra per
seguirla, affascinata. Non c'erano molte farfalle in quella citta'.
Il diadema cadde dimenticato con un tonfo metallico, scintillando al
sole come in una muta richiesta di attenzione. Fu raccolto da un
ladro che se lo infilo' in tasca con un mezzo sorriso.
"Lo
Spettro ha colpito ancora" commento' rivolto al suo giovane
allievo.
"Lo
Spettro?" domando' questi. Era forestiero e la sua natura
scettica lo portava continuamente a indagare e fare domande.
"E'
una ragazzina. O almeno lo sembra. Sentirai ancora parlare di lei,
soprattutto se rimarrai quassu', nella sua citta'. Dicono che sappia
rubare qualunque cosa. Se volesse, credo riuscirebbe a portarsi a
casa anche la punta delle tue orecchie da elfo. Molti non la
conoscono o credono sia una leggenda messa in giro dalla gilda...ma
io l'ho vista"
Il
ragazzo rimase in silenzio, come faceva spesso. Attendeva che il
ladro si spiegasse.
"Possiamo
andare, Krysian. Oggi sara' una buona giornata per noi. Quando si
trova qualcosa che lo Spettro ha perso la fortuna sorride"
"Si
maestro" disse il ragazzo elfo, seguendolo obbediente. Comincio'
a contare dentro di se: tre, due, uno...
"Devi
sapere che un paio di anni fa stavo per essere impiccato nella piazza
di questa citta'" esordi'. Il giovane elfo sorrise tra se'. Dopo
una settimana passata assieme conosceva l'uomo abbastanza da sapere
che non era necessario stimolarlo per farsi raccontare una delle sue
storie. Quella in particolare l'avrebbe sentita fino alla nausea.
"Ero
finito, capisci" continuo', con gli occhi che gli brillavano al
ricordo "pensavo: Hook, vecchio mio stavolta e' proprio finita.
Gia' mi raccomandavo a Mercurio. E poi da lontano l'ho vista. Avevo
trovato un capello il giorno prima, subito prima che mi arrestassero.
Era uguale a questo, sembrava vetro. Adesso l'ho perso, capisci.
Stupide scommesse. Ma allora me lo avevo legato al dito. Mi
affascinava. Insomma, stavano per buttarmi giu' lo sgabello quando
l'ho vista. Penso di essere stato solo io a vederla, e si che era in
mezzo a una folla. Ma nessuno sembrava badarle. E si che era strana.
Capelli tutti di vetro, e una pelle bianca, ma bianca come un
vampiro. Sembrava un fantasma, sai. E' per questo che la chiamano lo
spettro.
"Insomma,
mi stavo giusto dicendo che era strana e che era strano nessuno la
guardasse che ecco sento qualcosa...come una scossa in tutto il corpo
e mi ritrovo a terra in ginocchio"
Il
ladro guardo' l'allievo per vedere se fosse colpito. Stando al gioco
il giovane elfo domando' cosa fosse successo. L'uomo sorrise,
compiaciuto.
"Un
mago, capisci, che doveva lanciare un incantesimo di chissa' cosa. Ma
deve avere perso il controllo e ha colpito me. E io dalla piazza di
Zeusia mi sono ritrovato a Eufrosine, a trecento miglia di distanza.
Subito non ho capito che fosse successo. Nessuno mi badava piu' e io
non avevo neppure piu' il collo attorno al cappio. In parole povere
me l'ero cavata per un colpo di fortuna. E che colpo di fortuna! Un
miracolo, altroche'. Solo qualche tempo dopo sono riuscito a mettere
insieme i pezzi e a capire che un mago mi aveva lanciato per sbaglio
un incantesimo per cui ero praticamente fuggito. Ma se non avessi
avuto il capello dello Spettro...adesso non sarei qui a parlare con
te, no"
"Una
storia interessante" commento' dato che il maestro si aspettava
un qualche commento.
"Altroche'
se lo e'" annui' lui "ed e' tutto vero, parola mia. Percio'
vedi...oggi sara' una giornata fortunata"
Il
ragazzo non disse nulla. Non credeva a quelle cose e gli sembrava
strano che il suo maestro, un veterano del crimine per cosi' dire vi
prestasse fede. Avrebbe indagato in seguito sulla veridicita' della
storia. Trovare quel diadema era certo stato un colpo di fortuna, del
genere che non ci avrebbe creduto se glielo avessero raccontato,
quanto alla sua storia...chissa', magari era stato tutto deciso da un
membro della gilda che intendeva salvare Hook. Altrimenti quella
storia andava oltre la semplice fortuna.
"Andiamo
a bere qualcosa" disse quindi il maestro "e' da un pezzo
che non torno in questa citta' ma forse la taverna dell'Aquila e'
ancora aperta..." e s'incammino' parlandogli di altre cose.
Nessuno
dei due si era accorto per tutto quel tempo di una bambina dallo
strano aspetto che li osservava, a pochi passi di distanza. Quando se
ne andarono si disinteresso' di loro e si arrampico' sul muro privo
di appigli di una casa con la stessa facilita' che se avesse avuto
una scala a disposizione. Stesa sul tetto si mise a contemplare il
cielo fino a quando, lo sapeva, non le sarebbe venuta voglia di fare
qualcos'altro.
Settant'anni
dopo
L'imperatore
Taddeus Augustus III e Lord Iulius Ressalt, capo di una delle
famiglie piu' ricche e influenti dell'impero attendevano in silenzio
l'arrivo dei loro ospiti. Erano soli nella stanza, come richiesto da
questi ultimi e trascorrevano l'attesa il primo rimanendo seduto
immobile sulla propria sedia e il secondo misurando la stanza a
grandi passi.
"Avete
idea di quello che gli elfi vogliono? Siete stato voi ad insistere
perche' accettassi questo incontro" disse infine il sovrano,
spezzando il silenzio che durava ormai da piu' di mezz'ora.
"Vagamente,
maesta'".
"Ha
a che fare con la lettera che avete ricevuto da vostro figlio?".
"Si,
maesta'. Ho ragione di credere che alla famiglia Erysdlin sia
accaduto lo stesso".
"Capisco"
dichiaro' il sovrano "vorrei solo averla letta anch'io".
Lord
Ressalt fece per rispondere ma una guardia busso' alla porta e
annuncio' l'arrivo degli ospiti con tono accuratamente neutro.
"Falli
entrare" ordino' il sovrano alzandosi e quattro elfi fecero il
loro ingresso nella piccola sala con l'aria di trovarsi perfettamente
a loro agio e cio' sconcerto' leggermente l'imperatore, abituato alla
soggezione di quanti si trovavano per la prima volta in sua presenza.
Il
primo ad entrare sembrava estremamente anziano. La pelle chiara
normalmente liscia in un elfo anche di una certa eta' era una
maschera di rughe sottili e una barbetta bianca gli ornava il mento,
unico indizio che un tempo forse anche dei capelli ne avessero ornato
il cranio. Per camminare si appoggiava a un bastone nodoso fatto su
misura, e nonostante il fisico debole e sottile come quello di un
passerotto il suo sguardo possedeva la stessa acutezza di quello di
un'aquila. Il secondo era un elfo dalla pelle scura, calvo a sua
volta e dall'aria seria e compassata. Sia l'impratore che il nobile
umano lo conoscevano bene, dato che si trattava dell'ambasciatore
scelto dagli elfi e avevano piu' volte avuto modo di collaborare alle
questioni tra i due regni. La terza era sua moglie, una donna elfica
molto bella e seria come il marito, con lunghi capelli neri che le
incorniciavano il volto grigio cenere e gli occhi neri intelligenti
ed espressivi. L'ultima era meno bella, ma tutta la sua persona
emanava una innata maesta' tale che persino in mezzo a una folla si
sarebbe potuta rconoscere per quello che era.
"Maesta',
voi mi onorate" esclamo' il sovrano umano preso alla sprovvista.
Aveva visto solo una volta la regiona elfica alla propria cerimonia
di inaugurazione ed era stato certo che non l'0avrebbe mai piu' vista
per tutto il resto della sua vita. Lei rispose secondo le convenienze
e prese posto alla sedia offertagli dal re umano.
"Non
prevedevo di venire a farvi visita, sire, ma i miei consiglieri hanno
tanto insistito che alla fine ho deciso di accontentarli...e poiche'
persino il maestro Bolzac" e chino' il capo verso l'anziano elfo
"si e' unito a loro alla fine ho ceduto. Spero che sia
quantomeno questione di vita o di morte" aggiunse storcendo il
naso.
"Maesta',
volete che vi facia portare qualcosa?" chiese il sire sollecito
prendendo un'altra sedia per se' e sistemandola a poca distanza da
quella della nobile elfa. Era ancora scosso da quell'incontro
inaspettato.
"Tutto
quello che vorrei" ribatte' la regina "e' sapere finalmente
perche' dobbiamo per forza trovarci insieme qui invece di condurre le
nostre questioni come sempre. Non lo dico per offendere la vostra
ospitalita', Maesta', che e' eccellente nonostante la situazione
improvvisa in cui vi siete trovato" aggiunse quindi dato che si
era resa conto di essere suonata un po' dura "ma davvero non
comprendo cosa possa esserci di cosi' importante".
"Vorremmo
che leggeste una lettera" dichiaro' l'elfo piu' vecchio,
imperturbato. Gli altri due elfi e il nomile umano trasalirono e si
scambiarono un'occhiata. Non era cosi' che si erano aspettati di
esordire nello spiegare la questione.
"Tutto
qui?" chiese il re, accigliandosi visibilmente. La regina si
imporporo' visibilmente, e cio' non era facile data la sua carnagione
color cenere.
"Avete
importunato la vostra sovrana e il re nostro vicino per leggere
una lettera?"
chiese lei con voce gelida.
"Si"
ribatte' Bolzac, imperturbato.
"Spero
almeno che sia qualcosa di importante" ribatte' la regina.
"Maesta'"
disse il vecchio elfo "voi mi conoscete da quando siete nata, e
quanto a voi, Maesta'" aggiunse con un lieve cenno del capo in
segno di rispetto al re umano "voi e i vostri antenati avete
avuto modo di conoscere se non la mia persona almeno la mia fama, e
vi assicuro che in tutta la mia vita nulla,
e ripeto nulla
di
quel che ho visto e vissuto ha la stessa importanza che potrebbe
avere in futuro questa lettera"
I
due sovrani si scambiarono un'occhiata. Avevano solo una vaghissima
idea di quello di cui parlavano i propri consiglieri, e avevano
acconsentito a quell'incontro solo dopo pressanti richieste. D'altra
parte entrambi, specialmente la regina, conoscevano la fama del
Maestro Bolzac Yassumandol, piu' una leggenda di una persona in carne
ed ossa e non avevano dubbi che le sue parole fossero vere.
"Cosa
c'e' in queste lettere?" chiese infine l'imperatore cedendo suo
malgrado.
"Leggete"
li invito' il vecchio elfo, e la nobile elfa e il nobile umano
porsero ai loro sovrani un plico di carta. Entrambi afferrarono il
primo foglio e iniziarono a leggere.
"E'
il caso che vi avverta che alcune parti sono state aggiunte da me per
spiegare cose altrimenti difficili da comprendere per voi"
spiego' l'elfa non appena le loro maesta' ebbero terminato la prima
pagina, che cosi' riportava:
“Ai
popoli che vivono nel Bosco Azzurro e nell'Impero delle Nuvole,
presso le famiglie Erysdlin e Ressalt e i loro sovrani e ad ogni
popolo che vive nel mondo perche' apprendano la nostra storia.
Shin,
Kayon Jeen, Mihael Ruben Ressalt, Shridan Erysdlyn e Tina Ditalievi
inviano
i loro diari e il loro affetto.
Per
iniziare
Sono
successe molte cose da quando abbiamo iniziato il nostro viaggio, e
qui riportiamo i fatti come si sono svolti dal nostro incontro con
Shin ad oggi. La prima parte e' costituita dalle testimonianze su
quanto ricordiamo dei primi mesi in cui e' iniziata la nostra
avventura, successivamente abbiamo ricopiato in ordine cronologico i
diari che ognuno di noi ha tenuto dal momento in cui siamo divenuti
parte dell'equipaggio della “Estella” in poi.
Ci
sono commenti personali che possono non farci onore, e non abbiamo
ne' il tempo ne' l'intenzione di cambiare quanto scritto, ma ognuno
di loro e' assolutamente sincero.
Speriamo
che la nostra esperinza possa essere utile a voi anche solo un decimo
di quanto lo e' stata a noi.
Con
affetto, i Viaggiatori e Shin, lo Spettro di Zeusia.
Ps:
alla fine del viaggio il capitano ci ha chiamato e ha inserito alcune
pagine di sua iniziativa, che troverete con una calligrafia
differente dalla nostra. Ignoriamo quando le abbia scritte, ma
pensiamo si tratti di occasioni particolari.”
Molte
ore dopo, interrotte solo da qualche intervallo per riposare gli
occhi o mangiare qualcosa i due sovrani deposero l'ultimo foglio in
cima alla pila. Entrambi erano pallidi in viso e preoccupati.
"Ma
e' tutto vero?" chiese il re.
"Al
di la' di ogni piu' ragionevole dubbio" rispose Bolzac.
"Non
si puo' fare nulla?" chiese la sovrana guardandolo fisso negli
occhi.
"Non
piu'" rispose lui.
"Ma
allora...che succedera'?" chiese l'imperatore, pallido in volto.
Nessuno
gli diede una risposta.
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