Aveva
16 anni, aveva amici, aveva una famiglia. Ma era infelice; non stava
bene, si sentiva sfruttata, usata sola, indifesa. Non sapeva a cosa
aggrapparsi; non sapeva come ritrovare la felicità perduta. Si
chiedeva se era mai stata felice in vita sua, si chiedeva come mai
aveva questo disperato bisogno di sentirsi amata, si chiedeva come
mai non si sentiva amata, si chiedeva perché si sentiva ignorata. Si
domandava se non era un peso per gli altri; ma era un attrice; era
brava a fingere: aveva imparato a mascherare il dolore, la
preoccupazione, la sofferenza, dietro una maschera di innocua
innocenza e felicità. Solo a volte si rinchiudeva in silenzi, che
nessuno comprendeva.
Era
considerata la classica brava ragazza, ma a lei non andava bene: era
stanca di venir chiamata a fare qualsiasi cosa, era stanca di non
saper dire no, era stanca di non essere integrata; era stanca, tanto
stanca. Voleva solo chiudere gli occhi e non svegliarsi più, voleva
dormire in eterno, voleva smetterla di soffrire, inutilmente,
chiedendosi se le persone che lei riteneva importanti la reputava
tale.
Era
stanca di piangere in silenzio cosicché nessuno potesse
accorgersene, era stanca di dover mentire a se stessa e agli altri,
era stanca di lottare, era stanca di non essere capita, e aveva
troppa paura o vergogna per spiegare come stava. Era stanca di
mostrarsi forte quando in realtà era una debole che aveva bisogno
dell’approvazione degli altri. Era stufa di incassare colpi senza
far capire quanto stava male. Era stanca di non sapere cosa fare, di
non avere progetti, di non avere idee.
Era
stanca di vivere. Era stanca tanto stanca. Voleva una pausa, ma non
riusciva ad averla, voleva smetterla di pensare quelle cose, ma non
ci riusciva.
Era
stanca di avere le occhiaie per le notti passate insonni, era stanca
dei continui e martellanti mal di testa. Era stanca di andare in
crisi alla prima stronzata, era stanca di essere la prima, di dover
aiutare, di dover badare, era stanca.
Non
voleva lottare. Tutti le ripetevano: “La vita è fatta di ostacoli,
dobbiamo rassegnarci e superarli.” Lei aveva solo continuato a
superare ostacoli, su ostacoli e cosa aveva ottenuto alla fine?
Nulla!
Non
voleva più dare una mano, non voleva più essere chiamata solo se
c’era bisogno, non voleva più essere solo la ruota di scorata….
Sentiva
un grande vuoto dentro: un vuoto che non riusciva a colmare. Di
solito lo ignorava; ma il vuoto era più forte di lei, la coglieva
alla sprovvista quando meno se lo aspettava; quando riusciva a
trovare un attimo di serenità, la riportava giù con se: non c’erano
appigli, e lei continuava a cadere. Sapeva di non essere abbastanza
forte per combattere contro il vuoto, ma sperava di essere in grado
di ritrovare al meno un po’ di lume prima di commettere qualche
idiozia.
Ma
doveva combattere una dura battaglia conto una voce dentro di lei e
non era sicura di riuscire a batterla. Si ripeteva che non era sola,
ma non bastava a convincerla; lei si sentiva sola. I commenti, le
rassicurazioni delle persone a lei vicine, non servivano a
tranquillizzarla; la voce le diceva che era sola, che non aveva
nessuno, che nessuno interessava a lei. E lei che era una bambina in
cerca di attenzioni, appena queste venivano a mancare stava male.
Capiva
benissimo che il suo era un comportamento infantile ma non riusciva a
farci niente. Aveva 16 anni, quando si lasciò andare. Aveva 16 anni,
e faticava a ricordare cosa voleva dire felicità. Aveva 16 anni ma
era una bambina.
Aveva
solo 16 anni……
|