LA STORIA DI
TINY
Aprì gli occhi. Si trovava
all’interno di una scatola: essa
era addobbata a dovere, anche solo dall’interno. Il colore
era così accesso che
si vedeva anche nella penombra della scatola: un rosso cremisi,
circondato da
strisce verdi chiarissime, e un verde acqua che ricolorava ed
evidenziava gli
spigoli della scatola. L’animale si sentì
disgustato. Era come se venisse
sfruttato come un regalo, come un qualsiasi futile bene materiale. Come
un
regalo tra mille regali, che poi si sarebbe rotto. Lui nemmeno sapeva
che
cos’era un regalo. Nemmeno sapeva che stava sentendo quelle
sensazioni. Ma
istintivamente, era ripugnato da quell’atteggiamento.
Perché lo avevano messo
lì? Cosa voleva da lui l’uomo che lo aveva trovato
e rapito? Non lo sapeva. E
non avrebbe avuto il tempo di pensarci. Infatti la scatola fu aperta. E
lo
vide. Era un bambino dallo sguardo decisamente poco rassicurante: era
maligno,
con quel ghigno così grosso, talmente splendente per quei
suoi denti
bianchissimi, e inquietante per la sua assurda lunghezza; ma non era
solo la
bocca a renderlo inguardabile. Era anche la sua testa oblunga, retta,
con due
chiodi laterali in cima alla testa. Era un bambino terrificante,
già
dall’aspetto. Il tilacino voleva uscire da lì. Ma
Brio, prima che il cucciolo
potesse fare qualsiasi cosa, lo stese a terra con un braccio,
mantenendolo
fermo. Era solo l’inizio della sua complicata esistenza.
*
Per fortuna, il tilacino non dovette
passare molto tempo con
quel bambinetto. Quel mostriciattolo era decisamente poco interessato
all’animale, e una dopo averlo torturato per un
po’, lo rinchiuse nella
scatola. E questa volta, l’animaletto pensava che in quella
cosa ci sarebbe
rimasto per l’intera esistenza. Invece, dopo poco tempo,
arrivò una persona
muscolosa e per nulla affidabile. Ma del bambinetto non c’era
più traccia. Il
tizio prese il tilacino con la sua grande mano destra, e questa cosa
terrorizzò
il povero animaletto: era un essere terrificante, imponente. Eppure,
non aveva
la stessa aria inquietante di quel bambino. Il tizio, dopo essersi
messo il
tilacino in spalla, salì le scale di quella che era la sua
casa: una lussuosa
villa, molto ampia e alta. Raggiunse il secondo piano, e
aprì la prima porta a
destra. Era un posto decisamente strano. Sembrava una sottospecie di
palestra
in miniatura con pochissima luce. C’erano solo due strumenti:
i pesi, ed una
strana macchina. Era probabilmente un tapirulan, eppure aveva delle
mani che
partivano dallo strumento, e che portavano con loro delle manette. Al
centro
della stanza c’era un computer piuttosto grande, con una
pulsantiera piuttosto
piccola, composta da soli quattro pulsanti: “Visualizza
situazione tapirulan”;”Visualizza
situazione pesi”;”Aumenta intensità
tapirulan”;”Aumenta intensità
pesi”. Il
tizio, senza far capire nulla al tilacino, puntò due luci
sul tapirulan, ed una
sola sul computer. Prima infatti le luci erano distribuite tra pesi,
tapirulan
e computer. Adesso la stanza era ancora più scura di prima,
dato che non c’era
nemmeno un filo di luce che illuminasse i pesi. Il tizio prese il
tilacino, e
lo posizionò sul tapirulan. L’animale era
terrorizzato: era piccolo, e appena
vide che quelle mani con le manette in bella vista si avvicinavano,
pronte a
fargli qualcosa, si rinchiuse in sé; ma l’uomo
misterioso le fermò in tempo.
Premette dei pulsanti posti al lato sinistro del tapirulan. Qualcosa si
aprì, e
l’uomo se ne uscì con due manette molto
più piccole, della grandezza delle
zampe del tilacino. Le sostituì a quelle grandi, per poi
rinchiudere le zampe
posteriori del tilacino, non prima però di costringerlo a
stare in una
posizione eretta. Accese il computer. Comparve una
scritta:”Allenamento
iniziato. Intensità:5. Intensità variabile fino
a:10”. Poi, il tapirulan iniziò
a muoversi. Il tilacino cominciò a correre, in modo
ovviamente goffissimo: per
i tilacini le zampe posteriori servono a saltellare per compensare la
loro
corsa mediocre dovuta alla loro goffaggine. Invece, in quel momento,
quel
tilacino doveva correre in una posizione a cui non era per nulla
abituato. Era
piccolo, e l’intensità era bassissima. Eppure
aveva già le prime difficoltà.
Non pensava nemmeno al tempo che nel frattempo stava trascorrendo: in
quel
momento, pensò solo a correre, con la figura
dell’uomo che lo guardava da
lontano, con una faccia di stana soddisfazione.
*
Il giorno dopo, tizio non dovette
più portare il tilacino
sulla sua spalla: costei riusciva già a muoversi in una
posizione quasi eretta,
anche se a volte l’istinto lo faceva ancora saltellare. Ma
ormai era capace di
mantenersi in quella posizione. Doveva solo seguire quello strano
individuo che
lo stava portando in un posto altrettanto bizzarro. Andarono al secondo
piano,
e presero la terza porta a sinistra. Era un camera da letto, con un
armadio e
una finestra serrata. Il tizio, indicando con un dito e poi muovendo la
mano
sinistra per una migliore comprensione di quel linguaggio,
incitò il tilacino a
saltare sul letto. Lui obbedì. A quel punto,
l’atmosfera divenne poco
rassicurante: l’uomo chiuse la porta dietro di sé,
togliendo ogni bagliore di
luce da quella stanza. Il tilacino non vedeva assolutamente niente.
Sentiva
soltanto dei rumori molto strani: sembrava che il tizio stesse cercando
qualcosa da qualche parte. Istintivamente, il tilacino provò
a saltare via… ma
qualcosa lo afferrò in tempo, per poi schiacciarlo sul
letto. Il tilacino non
provò alcun dolore: per quanto fosse giovane, aveva
beneficiato dello strano
allenamento del giorno precedente, probabilmente artefice della sua
nuova
capacità di movimento eretto. Ma non erano questi i suoi
pensieri principali.
Ciò che gli importava era che vedeva una mano grande,
possente, pelosa; essa
stringeva dentro di sé qualcosa di verde. Quando la mano si
spalancò, il tilacino
poté vedere meglio una pillola verde. Ma il tempo per
contemplarla fu poco:
dopo averla vista, il tilacino se la ritrovò dentro di
sé. Fu velocissimo:
l’indice della mano spinse la pillola nella bocca
dell’animale, che
istintivamente la ingerì, addormentandosi.
*
Il resto del tempo che
l’animale trascorse insieme a
quell’uomo, e ciò che gli successe in
quarant’anni non ci è dato saperlo.
Sappiamo solo che un giorno qualcuno trovò il tilacino
seduto come un cagnolino
davanti al padrone vicino ad un cadavere, in quella che un tempo era
una
magione appartenente ad un criminale. Un posto decadente, con le travi a pezzi, polveroso e
puzzolente. La carcassa
vicino al tilacino era umana, ed era stata assalita da vari insetti. La
sua
carne era ormai quasi del tutto consumata, e molti brandelli erano
stati
strappati via. Anche l’animale portava rimasugli di quel
copro tra i suoi
denti: per sopravvivere, aveva
mangiato
anche lui. Colui che l’aveva cresciuto, colui che lo aveva
trattato in una
maniera impeccabile. Colui che l’aveva educato al bene, con
degli insoliti
discorsi sulla giustizia e sull’amore. Colui che
l’aveva reso un animale
obbediente. Che gli aveva dato sentimenti quasi umani. Qualcuno che
aveva redento.
Perché quell’uomo era malvagio, ma grazie alla
compagnia di quel tilacino, cambiò
improvvisamente schieramento. Si isolò completamente dal
mondo: il suo unico
obbiettivo era quello di aiutare quel marsupiale. E per
quarant’anni, lo aveva
cresciuto, aiutandolo con una pillola che gli aveva allungato la vita,
mutandone anche l’aspetto. Lo aveva fatto sopravvivere.
Invece, ora,
quell’animale era solo con lui. Col cadavere. Con
l’uomo misterioso. Era una
persona che se ne stava nell’ombra, e lo osservava. Non
sembrava voler
proferire alcuna parola. Il tilacino riuscì a vedere nelle
tenebre un qualche
movimento di bocca
dell’uomo, ma
successivamente, costei tacque. I due si squadrarono per bene.
Sembravano
chiedersi reciprocamente con i propri sguardi:”Ma tu chi
sei?”. Il silenzio si
diffuse nella stanza, interrotto solo dal rumore di qualche trave, che
cadeva
dal malandato soffitto, irradiando con un po’ di luce
quell’ormai deserta e
tenebrosa villa. E così, il tilacino poté
squadrare meglio l’uomo, e l’uomo
poté squadrare meglio il tilacino. I due si osservarono per
un po’ di tempo, e
sembravano irremovibili dalle loro posizioni. Poi, finalmente,
l’uomo
parlò.”Sei ancora vivo… questo dovrebbe
essere impossibile! I tilacini non
vivono così a lungo! Sicuramente ti è stato dato
qualcosa da quel miserabile
che ora giace a terra. Fammi pensare… maledizione! Se ti ha
dato una pillola
verde, non mi resta altra scelta. Ora fai il bravo e rispondi: ti ha
dato una pillola
verde?”. L’animale annuì, poi chino la
testa, per osservare ciò che rimaneva di
quello che un tempo era un cadavere. “Maledizione! Mutarti
sarà difficilissimo!
Però… le basi non sono mali. Sei molto grosso. E
forte. E sai anche interagire
con noi umani. Muhhhh… sei interessante. Il tuo aspetto,
però, dovrà essere
variato. Dimmi: è vero che sei una sottospecie di mostro,
con muscolatura
evidente, con un pelo così folto che ti copre quasi
completamente il volto
esclusi gli occhi? Allora? Rispondi entro dieci secondi. Se non lo
farai,
verrai gravemente ferito!”. Il tilacino annuì. Da
lì, tutto successe
velocemente. L’uomo sparò un proiettile da un
pistola, che stese il tilacino.
Esso cadde a terra, svenendo per via dell’effetto sedativo
del proiettile, che
sembrò anche imprimergli una straordinaria forza poco prima
dello svenimento.”Il
mio nome… è Brio!”. Queste furono le
ultime parole che il tilacino udì
pronunciare da quell’uomo in quella magione. Costui
esaminò meglio il
marsupiale, notando che aveva qualcosa alle zampe. Qualcosa che teneva
ben
stretto. Sembrava come un foglio di carta stropicciato.
L’uomo riuscì a
strapparlo dalle zampe dell’immobile animale. Poi lesse. Era
una grafia molto
chiara, quasi conosciuta. Era una sottospecie di lettera. Ed era
indirizzata
proprio a lui.”Caro Brio, per via della tua perfidia, ho
capito quanto ho
sbagliato. Massacrare famiglie, uccidere persone, essere conosciuto
come il
criminale più temibile. Adesso, invece, sono solo un povero
miserabile, che
cresce questo tilacino, nella speranza che compia la mia vendetta.
Ancora non
gli ho detto il mio vero obiettivo. Persone come te devono
sparire. E io che
pensavo di essere senza speranze, che ormai, anche se avessi capito di
sbagliare, non avrei mai potuto redimermi… e invece, stando
con te, mi sono
intenerito. Ma a te, lurido essere chiamato Brio… non
capiterà mai una cosa del
genere! Addio Brio! Fai il tuo lavoro, Tiny!”. Brio stritolò
la carta, e la
buttò a terra. Una lacrima gli rigò il
viso.”Così avevi previsto tutto. A
quanto pare, come me, ti sei redento. E come me, ora, cerchi
vendetta… ma che
non potrai mai avere. Perché non esisti più.
Ormai, non sei più nulla per me,
al contrario della tua creatura, che tu stesso mi regalasti per il mio
ottavo
compleanno, considerandolo un buon animale per un malvagio.
Addio”
*
Isola di Cortex:
Brio:”Cortex, Cortex! Ho portato un nuovo animale! Sapevo che
fosse
lì!”.Cortex:”Bravo Brio. E come si
chiama? Mi avevi detto che gli volevi dare
un nome, dato che ti piace tanto il luogo da cui
proviene!”.Brio:”Non…
non fare allusioni a quel posto! Io non ci
appartengo più!”.Cortex:”Come osi,
misero schiavetto da quattro soldi? Io ti ho
chiesto solo il suo nome. Allora, come si
chiamerà?”. Brio esitò. Poi,
ripensò
al pezzo di carta. Poi, ripensò a lui. Infine,
tornò alla normalità, e
rispose.”Il suo nome… sarà
Tiny”.
ANGOLO AUTORE: Ed eccoci con la
storia di Tiny! Ebbene si,
il regalo per l’ottavo compleanno di Brio era proprio Tiny.
Questa storia è
molto collegata, come avrete notato, a quella di Brio, ma
sarà l’unica
eccezione: le prossime storie non saranno collegate tra loro in alcun
modo,
tranne nel fatto che alla fine tutti gli animali verranno catturati da
Brio.
Prossimo incontro con i fratelli komodo! Alla prossima!
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