BluBBa

di Cryblack
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A lei lui nemmeno piaceva. Il fatto che non riuscisse a staccargli gli occhi di dosso, che ogni volta che lui passava lei perdesse improvvisamente qualsiasi capacità fisico-intellettuale, e che lei passasse metà della sua vita a spiarlo dalla finestra, appesa ad un ramo dell’albero che divideva le loro case, era del tutto irrilevante, non contava nulla. Non le piaceva. Punto. Si chiedeva perché il mondo non volesse capirlo. Era così ovvio, e se tutti avessero capito com’era andata in realtà, avrebbero sicuramente concordato con lei che lui non le piaceva.

Probabilmente era solo cleptomane verso ogni tipo di capo d’abbigliamento che il ragazzo indossava, e per questo non poteva fare a meno di osservarlo mentre inconsciamente studiava piani per rubargli il cappotto. Oppure lui era un ipnotista, e per questo dovunque andasse era costretta da una forza superiore a incantarsi guardando i suoi occhi. Di sicuro queste erano ipotesi migliori di quella che a lei lui piacesse.

Infatti, quel giorno lei non era sul solito ramo, a spiarlo. No, stava ovviamente cercando il suo nuovo scoiattolo: Blubba, che abitava davvero su quell’albero. E quando lui l’aveva vista mentre si allungava spudoratamente verso la finestra del ragazzo, per guardare meglio all’interno, aveva ovviamente frainteso. Come ogni persona con un po’ di logica, lei aveva pensato che lo scoiattolo si fosse infiltrato nella sua camera, e lo stava solo cercando, non voleva di certo spiarlo.

E comunque, non era stata di certo colpa sua se lui aveva cominciato ad urlare come una ragazzina facendola cadere. Questo era il punto: era caduta. Voce del verbo cadere, modo indicativo, tempo trapassato prossimo, terza persona singolare, indica la traiettoria di un oggetto o persona verso il basso, solitamente con una certa violenza.

E la violenza c’era stata. Era caduta su un sasso, colpendolo con la gola, finendo all’ospedale con una lesione alle corde vocali. Un lato positivo in tutto questo c’era: non avrebbe più usato il tono stridulo che lei tanto odiava, anzi, non avrebbe più usato un tono in generale: muta come un pesce, letteralmente.

Per di più il ragazzo che assolutamente non le piaceva, Narciso, aveva cominciato a chiudere le tende alle finestre, e adesso come avrebbe fatto a cercare Blubba?! Che per di più aveva scoperto essere una scoiattola dato che mentre la ragazza era in ospedale aveva avuto degli scoiattolini. Con chi li avesse concepiti ancora non le era chiaro, forse avrebbe dovuto spiare di più gli scoiattoli e meno Narciso, anche se ovviamente lei non lo spiava.

- Non mi piace quel ragazzo. Troppi capelli e troppo poco carattere.

Echo alzò gli occhi al cielo all’ennesimo commento aspro che suo nonno faceva verso Narciso, che grazie al cielo non era presente, anche perché lei non voleva assolutamente che lui entrasse nella sua casa, perché lui non le piaceva.

- Fidati di quel che dico, Echo. Se continua così, quel ragazzo finirà male, e ci scommetto la dentiera che sarà per colpa dei suoi capelli.

Ora, suo nonno era mezzo pazzo. Novant’anni, la memoria di Blubba e l’udito di un sordo, ma era comunque relativamente affidabile e forse fu per questo che Echo un po’ gli credette.

Un giorno, Echo si stava arrampicando come al solito sull’albero (per cercare Blubba e i blubbini, ovviamente) quando vide Narciso nel giardino sul retro. La ragazza si appiattì contro l’albero per non farsi vedere, e cominciò ad osservarlo di nascosto.

Il ragazzo si stava forse specchiando sull’acqua della piscina? Evidentemente sì. Lo vide muovere un passo, con lo sguardo ancora puntato sul suo riflesso e scivolare su una pozza d’acqua, cadendo in piscina. Lo vide annaspare e chiedere aiuto. Non sapeva nuotare.

Echo fu presa dal panico, cadde giù dal ramo (di nuovo) e si alzò zoppicante. Corse, per quanto possibile, verso la piscina. Il ragazzo le chiese aiuto, ma sapeva che non sarebbe mai riuscita a sollevarlo.

La ragazza corse in casa, urlando, ma nessun suono le usciva dalla gola, per colpa della lesione. Cercò qualcuno, ma non c’era nessuno. Tornò alla piscina, e per un momento si illuse che il ragazzo stesse galleggiando, cercando di respirare. Non era così.

Quando i genitori di Narciso tornarono a casa, videro il corpo del figlio in piscina e Echo che ancora piangeva rannicchiata sul bordo, con i vestiti bagnati. Si era tuffata per cercare di salvare il ragazzo che non le piaceva. Forse perché aveva capito che piacere non era un verbo abbastanza adatto, mentre amare lo era sicuramente di più.





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