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di Arepo Pantagrifus
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LA SPLENDIDA ROSA MAI COLTA

poemetto allegorico

 

 

Tra l'arco del sole ad Oriente

e le alte catene montane

si stendono valli deserte:

le ultime terre lontane.

 

Tra i monti v'è nascosta una cinta,

un muro più antico del mondo,

che serba tra l'edera avvinta

una Rosa nel cuore profondo.

 

Nell'orto prezioso si sveglia

Bellezza coi mille suoi fiori,

con vasta soavità sorveglia

Armonia tra ameni colori.

 

Vi emanan per l'aere un odore

intenso, ma ricco e gentile,

che senza invadenza il sapore

di tante bontà fa sentire.

 

Nel luogo segreto sepolta

lontana, oltre l’ultimo mare,

silenzio di Pace ascolta

nel giardino del Bene e del Male.

 

Oh, fresca Rosa mai tolta

dal suo rugiadoso guanciale

chi cerca ti tiene per Santa,

sovrana dell’orto ideale.

 

Virginea Rosa avvolta

nella veste che tanto vale,

nessuno t’ha vista una volta

ai raggi dell’alba sbocciare.

 

Misteriosa Gemma sublime

disvela tal grazia raccolta,

che in altra virtù non esprime

la splendida Rosa mai colta.

 

* * *

 

Sei chiglie si portano a secco,

odor di cuoio e gomena,

di passi e stranier battibecco

si stampa in colonne l’arena.

 

Decisi a forzare le mura,

a varcar l’arcano mistero,

al fuoco la pietra non dura,

si fan largo nel buio nero.

 

Forse la meraviglia è scopo,

forse solo la Rosa bella

attirò qui in questo loco

funesto sapore di guerra.

 

Le piante, i fiori, i profumi

che arriccano il dolce rosaio

i crudeli fanno in frantumi

passandoli a filo d’acciaio.

 

Se forse ammaliati da tanta

ingenua purezza e beltà

al tenue bocciuolo che incanta

un rèo forse commuoverà.

 

Ma un occhio funesto la scorge,

l'Invidia, malata e golosa,

il suo cuore insensibile punge

e strappa la candida Rosa.

 

Perché ciò che è bello e fragile

ispira nell’animo umano

desiderio sì aspro e ignobile

di volerlo distrutto invano?

 

Aguzze per l'estremo fine

invano dolor san recare:

a che vale esser fatti di spine

se pietre non puoi allontanare?

 

Non basta alla fosca pupilla

maligna violenza all’inerte

pel veleno che in cuor gli stilla

saziare la cùpida serpe.

 

Non si scioglie ai petali sparsi

la stretta di dita impudiche,

al rosso di sangue chiazzarsi,

violata da mani nemiche.

 

Recisa bellezza ormai morta

non farai più gola a nessuno,

su te stessa eri fisa ed assorta,

or non ne godrà più alcuno.

 

 

Al suolo – caduta – l'orpello,

la foglia stordita e contorta

com'era nel suo angolo bello

la splendida Rosa mai colta.

 

Nel muto colore di Maggio,

tra le alte catene montane,

si fa triste l’ombra d’un faggio

nelle ultime terre lontane.


(11/8/14 – 19/8/17)




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