LA
POESIA
“Pronto,
Gine. Sono Bardack. Ho dei problemi con la poesia per la
mamma.”
Era
un venerdì pomeriggio e, in occasione della festa della
mamma,
tutti i bambini della 4^B dovevano preparare una poesia per la
propria mamma.
L'unico
problema era che il termine massimo di consegna era il giorno dopo,
ovvero sabato, e Bardack non aveva nemmeno scritto una riga.
La
maestra aveva dato questo compito ben due settimane prima ma Bardack,
come al solito, aveva preferito giocare e fare qualsiasi altra cosa
che non fosse una stupida poesia e così si era ritrovato,
come al
solito, a farla all'ultimo minuto, in modo non perdersi un'altra
stella sul diario.
Nel
suo diario, infatti, c'erano così poche stelle che potevi
tranquillamente contarle sulle dita.
Fortunatamente,
sua madre era andata a fare la spesa assieme a papà,
lasciando
quell'adorabile piccola peste del suo gemello in casa, così
poteva
cominciare a farla.
Tuttavia,
fin dall'inizio aveva riscontrato dei seri problemi con essa e,
perciò, si era ridotto a chiedere aiuto.
Di
sicuro non a Vegeta, non era ancora così disperato, e
l'unica
persona che prendeva sempre ottimi voti e che non l'avrebbe mai preso
in giro era la piccola Gine.
“Il
problema è che non trovo una parola che faccia rima con
-mamma-.”
spiegò il bambino.
Dopo
qualche minuto, Bardack sorrise ed esclamò: “Come?
Cosa? Oh, ma
guarda. E fa anche rima. Grazie, Gine. Sei un'amica.”
“Oh
mamma, oh mamma, oh mamma.
E'
arrivato un telegramma.”
Vegeta
guardò divertito Bardack.
Quello
scemo si era dimenticato di fare il regalo per la mamma.
Lui,
invece, il suo regalo lo aveva fatto e finito il giorno stesso in cui
la maestra aveva dato il compito.
Era
una bella soddisfazione essere avanti a Bardack in qualcosa...
In
più, quella era la poesia più stupida che avesse
mai sentito.
Fosse
stato la mamma, avrebbe buttato nel camino quella gigantesca
stupidata!
“Ehi,
la faccenda si complica.” lo schernì Vegeta prima
di ritornare a
leggere il suo amato libro.
Bardack,
ritornò al tavolo della cucina pronto a scrivere la
successiva
strofa, però, dopo pochi minuti, un grave problema
tornò a
manifestarsi.
“Sigh,
va sempre peggio...” si lamentò, prima di prendere
la cornetta del
telefono e, dopo aver digitato un numero, dire: “Sono ancora
io,
Gine. Quale parola fa rima con telegramma?”
“Oh
mamma, oh mamma, oh mamma.
E'
arrivato un telegramma.
C'è
su scritto un anagramma.”
Bardack,
dopo aver letto la sua poesia a Vegeta, rimase in silenzio, con la
speranza di aver scritto una stupenda poesia.
Suo
fratello rimase zitto un secondo poi commentò:
“Più che una
poesia, sembra una storia di spionaggio.”
“Mi
dispiace, Bardack, ma non mi viene in mente nessun'altra
parola.”
si scusò, profondamente dispiaciuta, Gine.
Proprio
in quel momento, si sentì il campanello suonare e sua cugina
entrò
in casa, con in mano il borsone da ginnastica.
“Però,
aspetta. C'è qui Echalotte. Te la passo, magari lei ne trova
una.”
propose Gine mentre Bardack, dall'altra parte della cornetta,
l'avvisò: “Deve far rima con mamma, telegramma e
anagramma.”
Per
un po', nella cucina non si sentì volare una mosca,
finché un urlo
di Bardack non ruppe quel silenzio: “COME RAGGI GAMMA?! E'
una
poesia sulla mamma, Echalotte, non un racconto di
fantascienza!”
Vegeta
entrò nella cucina per prendersi un bicchiere d'acqua e
sgranò gli
occhi allo spettacolo che gli apparve di fronte.
Suo
fratello gemello aveva la testa sul tavolo e le braccia allungate su
di esso.
Certo
che quella poesia era proprio una spina nel fianco per Bardack...
“Ci
siamo. Domattina la maestra leggerà le nostre poesie... E LA
MIA NON
E' ANCORA PRONTA!” si lamentò il bambino alzando
la testa e poi,
fissandolo, aggiunse: “Manca ancora una parola. Una parola
che dia
il senso a tutta la poesia...” “Che ne dici di
-dramma-?”
propose Vegeta, ridacchiando, e mentre si girava per allontanarsi,
Bardack lo fissò in malo modo e rispose: “E questa
che cos'è?!
Una parola o il pronostico di domani?!”
“Ci
siamo, Toma. Oggi dobbiamo leggere le nostre poesie...”
sussurrò
Bardack al suo migliore amico mentre s'incamminava, come un
condannato al patibolo, verso la scuola.
Ad
un tratto, cominciò a lamentarsi: “Mi domando
perché la maestra
ci ha fatto fare una poesia per la festa della mamma, quest'anno.
Potevamo fare un disegno, un gioiello fatto con la plastica, una
casetta di cartone, un sasso colorato o persino una recita, e invece
no! Una poesia, tze!” “Non capisco,
qual'è il problema?” gli
domandò, incredulo, Toma e Bardack rispose: “Raggi
gamma. Ecco
qual'è il problema.”
“...E
appare in cielo una luminosa stella
ma
tu per me, mamma, sei ancora più bella.”
Vegeta
aveva appena finito di leggere la sua poesia.
Bardack
si sentì ancora più male.
La
poesia di suo fratello era un autentico capolavoro mentre la sua...
meglio non parlare.
Alla
domanda della maestra, che aveva già fatto a coloro che
avevano già
letto le loro poesie, anche quelle molto belle in confronto alla sua,
cosa significava quella poesia per lui, il bambino rispose:
“Con
questa poesia, ho voluto dire che voglio tanto bene alla mia mamma e
che per me è bellissima.”
Bardack
sobbalzò.
Era
il momento.
Era
il suo turno.
Ma
la maestra non poteva leggersele a casa, quelle poesie?!
Non
solo l'aveva fatta da chiodi, ma, peggio ancora, ora doveva leggere
davanti a tutti il suo obbrobrio.
Si
alzò in piedi e lesse la sua, penosa, poesia davanti a tutti.
“Oh
mamma, oh mamma, oh mamma.
E'
arrivato un telegramma.
C'è
su scritto un anagramma.
Ma
sta' attenta ai raggi gamma,
o
è un dramma!”
“Raggi
gamma?!” gli domandò, incredula, Gine, che era
seduta di fianco a
lui, guardandolo come se fosse pazzo, e Bardack, voltandosi verso di
lei, confermò: “Già.”
Poi,
si voltò verso la maestra e dichiarò:
“Qualsiasi cosa io abbia
voluto dire, mi appello alla clemenza della corte.”
“In
fondo non è andata male come pensavi.” lo
rassicurò Gine mentre
tornavano a casa e Bardack, per tutta risposta, fece un mugugno
seccato.
“E'
vero.” aggiunse Toma “La maestra ha detto che anche
una
filastrocca, è una cosa originale.” “E
chi riesce a scriverla,
merita grande rispetto e stima.” annuì Gine ma
Bardack continuava
a tenere il muso.
Ciò
che i suoi amici non avevano notato era stata l'espressione della
maestra quando aveva detto quelle parole.
Era
identica a quella che veniva a sua madre quando andava a comprare i
merluzzi al mercato e quelli freschi non c'erano più.
“E
io, intanto, per lunedì devo trovare il significato nel
dizionario
delle parole telegramma, anagramma e dramma!”
ribatté Bardack,
ricordando lo sgradevole compito che la maestra gli aveva dato, e
Toma domandò: “E i raggi gamma che cosa
sono?” “Toma, non
rigirare il coltello nella piaga!” brontolò
Bardack e Gine
propose: “Forse, però, Echalotte...”
“Gine, non peggiorare la
situazione!” la interruppe, seccato, Bardack. |