Yeah
I know it's stupid
But
I gotta see it for myself
I’m
in the corner, watching you kiss her
And
I’m right over here, why can’t you see me?
And
I’m giving it my all, but I’m not the guy you’re taking home
I
keep dancing on my own
Aveva
sempre odiato quei posti, da quando era ragazzino, quindi si
meravigliava di esserci dovuto andare proprio in quel momento.
O
forse era, nuovamente, l'ironia della sua vita.
Ryo
vuotò in un sorso il contenuto del bicchiere di plastica, più
ghiaccio sciolto che il drink per cui aveva sborsato parecchio,
facendosi largo con calma tra i corpi sudati che si dimenavano –
quasi – a ritmo di musica. Quel posto era più piccolo di quanto
sembrasse, ma era così ricolmo di persone da farlo sentire
claustrofobico, desideroso solo di andarsene senza pensarci due
volte.
Ma
aveva ancora un paio di cose da fare.
Aggirò
un gruppo esagitato di ragazzine, probabilmente appena liberate dagli
impegni scolastici per una manciata di settimane, e trovò rifugio in
un angolo della pista da ballo, appoggiandosi ad una colonna
anch'essa appiccicosa.
Non
gli ci volle molto, anche tra la folla, le luci, il rumore assordante
dei bassi nelle orecchie, a riconoscere la figura che stava cercando
e che era la sola causa del suo trovarsi lì in quel momento.
Dopotutto, ormai aveva gli occhi allenati.
Il
pugno si chiuse quasi automaticamente, accartocciando la plastica e
facendo scorrere gocce gelide sui suoi palmi sudati. Gliene fregò
anche molto poco di far cadere quel bicchiere per terra, quasi uno
scherno a chi i suoi occhi stavano fissando con rabbia.
E
dire che aveva pensato di esserci andato così vicino.
Voltò
le spalle per sfruttare il secondo bar di quel locale,
convenientemente dietro di lui. Avrebbe avuto bisogno di molto più
alcol di così per poter sopportare anche in quel momento.
Fortunatamente, c'era una barista dietro al bancone, e lui non si
fece molti scrupoli a sfoggiare il suo sorriso più scintillante per
essere servito più velocemente. Avrebbe anche potuto passarle il
numero su uno di quei tovagliolini triangolari completamente inutile,
tanto non avrebbe avuto più nulla da perdere in quel momento. La sua
voglia di stare da solo, però, era davvero più forte.
Meno
tempo sarebbe rimasto, meglio sarebbe stato.
Ritornò
veloce al suo angolo scuro, prendendo lunghe sorsate da quel drink
troppo dolciastro per i suoi gusti, lo sguardo che saettò al suo
punto di partenza.
Lei
era
lì, ovvio che ci sarebbe stata. Non era forse quello l'unico,
ignobile, esecrabile motivo per cui si sarebbe ritrovato a dover fare
le valigie alle cinque del mattino?
Già,
le valigie.
Non
aveva davvero
creduto che alla fine l'avrebbe fatto. Nemmeno lei, nemmeno gli
altri. Forse, se le cose fossero andate in maniera differente, come
aveva sperato, creduto alla fine…
E
invece.
Prese
un altro sorso, gli occhi fissi sulla figura morbida di lei che si
muoveva, sensuale e felice, cantando probabilmente a squarciagola le
note di quella canzone. Era possibile che la stesse osservando in
maniera quasi famelica, ma non poteva farci nulla. Non era colpa sua
se l'aveva quasi
avuta.
Nonostante
fosse molto probabile se lo fosse anche immaginato. Lei era… così
effimera, a volte. Così sicura di ciò che provava, ma così viva,
così
spensierata. Così bisognosa di certezze, e chi era lui per
negargliele dopotutto, per privarsi della sua presenza?
Il
fatto era che lei
poteva benissimo farne a meno.
La
guardò ridere, così vicina al palco del dj, gettando i lunghi
capelli rossi all'indietro, prima di avvolgere le braccia intorno al
collo del suo
ragazzo
e lasciarsi baciare con tutto il trasporto che una ventenne
sicuramente alticcia e felice di rivederlo poteva avere.
Lui
avrebbe potuto
esserle a due centimetri di distanza, e lei in quel momento non se ne
sarebbe mai accorta.
Poteva
forse biasimarla? Il suo grande
amore
era tornato, finalmente, ed era tornato per restare. Non importavano
i mesi di distanza, le litigate per telefono, i giorni senza
videochiamate, quelli passati insieme a lui
a chiacchierare, a studiare, a passeggiare senza una meta e rivelarsi
parti dell'animo accessibili a pochi.
Forse,
se si
trovava lì in quel momento con il ghiaccio nel petto, la colpa era
stata solo sua, per essersi permesso di lasciarsi andare in quel modo
come un ragazzino. Ma non si sarebbe mai, mai pentito di averci
provato fino in fondo.
Quel
lato di lui votato al masochismo – sì, era l'unico modo per
descriverlo – non aveva voluto altro che regalarle quanti più
momenti perfetti avesse potuto, solo per vederla sorridere. Solo per
sapere che, almeno, in quegli istanti era stata un po' sua.
Avrebbe solo
voluto che lo vedesse, ora. Forse avrebbe avuto il coraggio di dirle
qualcosa. Anche se non era certo che se lo meritasse così tanto.
So
far away, but still so near,
The
lights come on, the music dies,
But
you don’t see me standing
here,
I
just came to say goodbye
La
musica cambiò in quel momento, sembrò quasi che lei si stesse per
fermare, per girarsi del tutto verso di lui, ma ricominciò a
saltellare incurante di tutto.
Con
tutto l'amore che poteva, quello probabilmente era l'aggettivo
migliore con cui potesse descriverla.
Il
calore dell'alcol gli bruciò la gola mentre questa gli si stringeva
un po' di più al pensiero dei pomeriggi ad osservare il Sole
giocare con quel viso tondo, la testa che pulsò per il calore e il
rumore troppo forte.
Lui
odiava tutto ciò.
Non
vedeva l'ora di andarsene. Che senso aveva rimanere lì, a cercare
quegli occhioni color cioccolata che adesso meno che mai avrebbero
potuto degnarlo della loro attenzione?
Era
ora di andare avanti. O almeno, di provare a lasciarsi tutto alle
spalle e riconquistare un briciolo di amor proprio.
Le
avrebbe detto addio così. Come se fosse una piccola rivincita. Non
poteva fare a meno di provare astio nei suoi confronti, nella marea
di sentimenti che aveva per lei. Forse un giorno lei l'avrebbe
capito. Forse, un giorno, avrebbe aperto gli occhi.
O
forse, semplicemente, si sarebbero lasciati andare come niente. E le
avrebbe augurato tutto il bene del mondo.
Finì
quell'ennesimo drink e scosse la testa, odiando le occhiate che
sapeva stava attirando – chi stava da solo in un angolo buio di una
discoteca gremita di persone felici? - ma in fondo, non gliene
importava niente.
Sobbalzò
appena quando sentì una mano battergli amichevolmente sulla spalla,
si voltò per incontrare il viso di Kisshu, fisso sulla stessa
ragazza che lui aveva bramato per quella serata. Non seppe nemmeno il
perché, ma Ryo fu attraversato da un moto di sollievo. Per quanto
non riuscissero a sopportasi, in quell'istante fu paradossalmente
tranquillizzante realizzare che c'era qualcun altro, in quella
bolgia, che poteva percepire le stesse cose che provava lui.
Kisshu
gli rivolse un sorriso che gli parve triste, e gli batté di nuovo la
mano sulla spalla: « Dai, andiamocene. »
Ryo
annuì, e lo seguì, senza voltarsi più indietro.
§§
Io
non faccio in tempo a scrivere su FB che mi manca un'intera ff, che
la suddetta viene partorita in un pomeriggio, tra una pentolona di
ragù e una teglia di banana bread XD
Ciao
fanciulle! :D Finalmente ce l'ho fatta, questa è l'ultima OS
“viaggio tra i mondi” di A Thousand Worlds :D
Mi
sembra un po' un ritorno alle fic che scrivevo un tempo, dove c'è
solo il POV di un Ryo che la prende assai nel deretano xD Quindi
perdono se sembra un po' astrusa (sarà il fumo delle cipolle che mi
stordisce xD).
In
realtà era una fic su una canzone che volevo scrivere da una vita,
quindi diciamo che ho sfruttato questa serie per incastrarla! La
canzone da cui ho preso il testo è Dancing
on my own, nella
versione cover di Calum Scott,
mentre la canzone originale è di Robyn.
Prometto
che non dovrete aspettare così tanto per l'epilogo, il primo
capitolo è già scritto e gli altri sono sulla buona strada :3
Ovviamente
non assicuro nulla sui lieto fini :3
Vado
a infornare le mie lasagne, buon weekend a tutti e grazie in anticipo
se vorrete lasciarmi un parere <3
Bacioni!
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