Diario di una vita non programmata

di CloudyCat95
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Sfumature

Chloe stava uscendo di casa con la sua cagnolina, Ducessa - nome prettamente fascista, "Essa" per gli sconosciuti -, erano due settimane che non la portava a fare una passeggiata, la piccolina ormai era esaurita dallo stare troppo entro le quattro mura. D'altronde, tirava come una forsennata, la smania dei mille odori che sentiva ad ogni angolo di muretto.
Chloe riusciva anche a tenerla tranquillamente, quanto vuoi che tiri una cucciolotta di Amstaff, guinzaglio in una mano e smartphone nell'altra e si va a comandare in tangen- passeggiata.
Rientrò dalla porta di casa dopo quaranta minuti, il grande quadro di Mussolini lì davanti all'ingresso, che la faceva pensare, ogni volta, a come caspita ci era finita in una casa fascista, con un compagno razzista e un suocero che aveva due soli tatuaggi: un lupo su un braccio e una rosa nera sull'altro, simboli di richiamo fascista. I partigiani avevano rovinato l'Italia.
Ah, l'amore. Quanto è cieco!
Chloe stava con Yari da più di un anno, lui l'aveva quasi letteralmente rapita da quella casa-prigione in cui era cresciuta, facendola sua ogni qual volta lui lo desiderasse. Lei non poteva che adorare - letteralmente - di essere la sua sottomessa, di fare qualsiasi cosa lui volesse. Anche la cosa più perversa.
Sentiva il bisogno, lei, di essere soffocata ogni tanto, mani attorno al collo, voleva i segni dei lividi sulla sua pelle, il marchio del suo dominatore - anche se Yari non lo era - per mostrare la sua appartenenza.
Quanto può deviare la mente di una persona a causa della restrittività delle sue figure genitoriali? Una persona che ha sempre avuto quella voglia di libertà nel mondo esterno, ma essere dominata nel suo intimo, dentro di lei, di sentire il piacevole dolore e il doloroso piacere di azioni non consensuali, di sorprese eccitanti, di quei segni sulla pelle.

Fare un figlio era quello che ci voleva.
Dal primo momento, Yari aveva quella voglia istintiva di diventare padre, e Chloe ha desiderato da subito dargli una prole.
Lui per lei era tutto: era la sua felicità ogni mattino, al suo aprire degli occhi (Chloe aveva degli ipnotici occhi verdi), le curve dei muscoli che delineavano la sua schiena tatuata, i capelli cortissimi, i baffi ribelli, quelle labbra che ispiravano solo il desiderio, in lei, di farsi baciare ovunque. Quel desiderio di sesso.

Quel desiderio di sesso anche la sera, quando lui tornava a casa dal lavoro, e dopo aver mangiato si buttavano a letto, a rilassarsi.
Chloe arrotolava un filtrino, mentre Yari faceva tutto il resto.
La sua faccia che mostrava il piacere che stava ricevendo mentre lei gli faceva un pompino - qualche tiro di canna - e poi qualche dito, che diventavano due; la lingua di lui che non le provocava altro che un ispiegabile piacere.
"Sei assurdo"
"Mi fai impazzire" e si dimenava, le scariche di piacere che la facevano dimenare come una posseduta. Yari non ci pensava nemmeno a mollare la presa - la lingua -.
Poi se la infilava sopra di lui, e cominciavano i colpi, Chloe che ansimava vogliosa, che contraeva i muscoli della sua vagina, che voleva essere penetrata più forte e più forte, che veniva, che si liberava da ogni pensiero, da ogni tempo.
E anche stavolta avevano giocato. Chissà se avranno beccato il periodo fertile.




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