Scorci di vita

«Con il tempo passerà, Tsunade–sama», dicevano.

«Con il tempo scorderete questo immenso dolore, Principessa Tsunade», continuavano, con un sorriso di occorrenza stampato con falsità sul viso, come se a tutto il villaggio potesse mai interessare il suo dolore, la sua tristezza, il suo stato d'animo martoriato.

«Il dolore è una brutta bestia, si sa... ma lei è in grado di affrontarlo e superarlo a testa alta. Lei è una donna forte, Tsunade, e da tale ci riuscirà. Perciò, non passi tutta la vita a piangersi addosso!».

Aggiungevano, ancora, stringendo il pugno dinanzi al viso nel tentativo di trasmettermi la loro fiducia, la loro forza, il loro credo; del resto, il dolore non era di certo il loro. Potevano permetterselo. Non erano loro che avevano perso in maniera definitiva il loro otouto in una folle e inutile guerra; non erano loro che, dopo essersi appena appena ripresi dal dolore e dal desiderio di vendetta per un uomo senza volto, dopo aver imparato con grande fatica — e una certa dose di terrore ad amare nuovamente un'altra persona, dopo essere stati tanto capaci e temerari a riempire il proprio cuore — ancora — una volta con una serie infinita di sentimenti positivi, erano stati abbattuti con il doppio dell'intensità, privati della persona a cui si aveva donato la propria anima, il proprio futuro. Privati di quell'altra metà della propria esistenza.
No, non potevano comprendere il mio dolore. In qualsiasi caso, non potevano, non ne avevano il diritto.
Perché quel dolore, anche a distanza di quattro anni, è ancora impiantato (o forse sigillato?) in ogni singola parte di me; quel dolore, quel sentimento che tacito mi logora, non mi lascerà mai.