“Non ti avvicinare a quel pozzo. E’ pericoloso.” Le avevano detto, ma lei
non aveva voluto farci caso.
Voleva a tutti i costi vederne il fondo. Voleva sapere cosa contenesse.
Doveva vedere con i suoi occhi se c’era acqua, terra, o davvero un mostro.
“Mia nonna mi ha raccontato che nel pozzo appena prima della Foresta Sacra
c’è un mostro con sei occhi e sei tentacoli lunghissimi, pieni di spine, che
appena vede qualcuno sporgersi verso l’interno, zac! Lo prende, e lo
tira giù.” Narrava scherzosamente una bambina a scuola, appena il giorno
prima.
“Macché, non lo sai che i pozzi servivano a raccogliere l’acqua piovana?
Scommetto che dentro ci vive un uomo pesce!”
“Io ho sentito dire che alla fine del pozzo, centinaia di metri sotto terra,
c’è un passaggio per un’altra dimensione.”
Non l’aveva detto a nessuno.
Non aveva detto a nessuno dove andava, quella sera.
Né alla mamma, né alla nonna, né a sua sorella Shio.
A nessuno.
Aveva sistemato le scarpe sulla finestra della sua camera, quel pomeriggio.
Era rimasta sveglia fino a che tutti non si fossero addormentati, poi, aveva
indossato le scarpe ed era uscita dalla finestra stando bene attenta a non
far rumore.
Aveva attraversato il cortile, la strada e il sentiero sterrato dove il
villaggio finiva, e iniziava la foresta.
Tap tap tap.
Camminava svelta, e sentiva il rumore delle foglie secche e dei ramoscelli
che si piegavano sotto il suo esile peso.
Aveva portato con sé una torcia, l’aveva presa dalla cassetta degli attrezzi
di papà, e l’indomani l’avrebbe rimessa a posto prima che lui si accorgesse
che era sparita.
Tum, tu-tum,tum.
Il respiro cominciava ad accelerare, un po’ per la fretta, un po’ per la
paura.
Era sicura che nessuno l’avesse vista.
Ed ora era lì, all’entrata della foresta, in uno spiazzo verde tetro,
adornato qua e là di qualche fiore selvatico e qualche pianta boschiva, ed
al centro un pozzo.
Un pozzo antico, spoglio e misero.
Non aveva motivo di essere lì, eppure era come se fosse lì da sempre, da
prima degli alberi e della foresta, da prima del villaggio, ma soprattutto
da prima delle persone.
Era come se ogni grigia pietra del suo essere portasse con sé le più remote
e segrete conoscenze del mondo.
E allora ricordò.
L’aveva già visto almeno due volte, prima.
Quando era più piccola, forse troppo piccola per ricordare, all’ingresso
della foresta, appena dietro gli alberi, c’era un tempio, dove suo nonno
lavorava come falegname.
Tutum- tutum- tutum.
Si avvicinò al pozzo, toccò la sua fredda pelle rocciosa, e allora fu come
se il pozzo le parlasse.
Il bordo era troppo alto, e lei non arrivava al parapetto.
Allora mise i piedi sulle prime rocce appena sporgenti, e si arrampicò fino
in cima.
Si sporse appena verso quel buco nero come la notte che lo circondava, e
puntò la torcia al suo interno.
Niente.
Non riusciva ancora a vedere bene.
Allora si avvicinò ancora, con la testa china all’interno del pozzo.
Era come se lui la chiamasse.
Come se volesse dirle qualcosa, qualcosa di importante.
Doveva sapere.
Si sporse ancora, si sporse troppo, e scivolò.
Thump.
Nel pozzo non c’era nessun mostro.
Ma lei non l’avrebbe mai saputo.
Il giorno seguente, la trovarono grazie a un biglietto che aveva lasciato
sulla scrivania della sua stanza.
Diceva:
“Voglio vedere cosa c’è
nel pozzo”.