Diciassettesimo
capitolo
Un sommesso spadellare proveniente dalla cucina svegliò Mark
intorno alle nove. Riemerse intontito e assonnato dai cuscini del
divano, tra i quali si era incastrato durante la notte mentre si girava
e rigirava inquieto, in cerca di una posizione comoda che quel letto
improvvisato non offriva. Accartocciato com'era tra la spalliera e il
bracciolo, quando si tirò su la sua schiena
scricchiolò, inducendolo ad inveire contro ignoti.
Sbadigliò sonoramente, attraversò il corridoio e
lanciò un’occhiata alla porta
d’ingresso. Le scarpe e il cappotto di Jenny non erano
lì e ciò significava che la ragazza non era
rientrata. Sbuffò di contrarietà. Portare Philip
con sé era stato inutile, in attesa che lei rincasasse ci
aveva guadagnato soltanto una fredda e scomoda notte sul divano.
Entrò in cucina annunciato dal suo stomaco brontolante e
trovò Philip seduto al tavolo, un bicchiere di succo di
frutta e delle fette di pancarré in un piatto.
-Abbiamo fatto un buco nell’acqua.-
-In che senso?-
-Nel senso che Jenny non s'è fatta viva.-
Philip smise di masticare e lo fissò incerto. Lo stava
prendendo in giro o davvero non si era accorto che la ragazza era
sì tornata ma poi, purtroppo, si era volatilizzata mentre
loro dormivano ancora? Sul suo viso scorse un’espressione
così sinceramente afflitta da spingerlo a dubitare che
stesse scherzando. Decise all’istante che non lo avrebbe
messo al corrente di qualcosa che, persino per lui, stava
cominciando a prendere la forma di un sogno. Che lo fosse o meno, di
una cosa era certo. Ciò che era accaduto quella notte erano
affari suoi e di Jenny, di nessun altro. Inghiottì il
boccone e si portò il bicchiere alle labbra.
-Poteva essere una buona occasione per voi per fare pace, invece
niente.- Mark raggiunse il frigo, lo aprì e lo richiuse di
colpo -Vuoto! In questa casa nessuno fa la spesa!- si
lamentò, anche se della spesa in quel momento non gliene
importava un fico secco. Era piuttosto l'assenza di Jenny ad
angustiarlo. Era certo che dopo avergli mostrato l’anello,
Philip fosse rimasto ad aspettarla per tutta la notte. La delusione di
non averla potuta incontrare doveva essere immensa. La cercò
nella sua espressione, che gli risultò del tutto
impenetrabile.
-A che ora avete l'aereo?-
-Alle sei.-
-Faccio colazione e andiamo.-
-Dove?-
-Ti riaccompagno in hotel. Oggi non ho nient’altro da fare.-
Philip annuì e tornò a fissare il bicchiere mezzo
vuoto che teneva tra le mani, sforzandosi di non lasciar trapelare in
nessun modo la tempesta di sentimenti che si era scatenata nel momento
in cui si era svegliato e non aveva trovato Jenny accanto a
sé.
-Vuoi anche tu il caffè?-
Lui assentì di nuovo e mentre Mark trafficava tra i fornelli
da perfetto padrone di casa, tornò a seguire il filo dei
pensieri che l’arrivo dell’amico aveva interrotto.
Ciò che era successo tra lui e Jenny era la prova provata
che sarebbero dovuti tornare insieme all’istante, senza
perdere altro tempo. Le emozioni e le sensazioni che erano ricomparse
durante quella notte, non erano neppure lontanamente paragonabili a
quelle che lo avevano legato a qualsiasi altra ragazza. Ciò
che sentiva per Jenny era unico.
Mark mise sul tavolo altre fette di pane tostato e Philip ne
afferrò una con quell’espressione inaccessibile
che stava mandando il compagno in confusione. Si chiese
perché Jenny fosse scappata di nuovo. Perché
avesse deciso di non farsi trovare, di non dargli la
possibilità di parlare del loro futuro, di convincerla a
tornare in Giappone con lui. Era guizzata via ancora una volta,
inafferrabile. Eppure lui era sicuro che Jenny lo amasse ancora, tanto
quanto prima. La notte appena trascorsa lo aveva dimostrato.
L’aveva tenuta abbracciata per ore, stringendola a
sé con delicatezza, come se avesse temuto di poterla
rompere. Lei lo aveva lasciato fare, adagiandosi contro il suo corpo,
posandogli le labbra sulla spalla e addormentandosi così.
Anche lui per un po’ aveva dormito, ma poi si era svegliato
con il respiro di lei ad accarezzargli la pelle nuda del braccio.
Stringendo il suo corpo morbido e caldo, il piacere si era risvegliato.
Aveva aperto gli occhi nella stanza immersa nel buio, perché
prima Jenny s’era alzata per spegnere la luce. Dalle tende
non filtrava nessun chiarore, doveva essere piena notte e loro avevano
tutto il tempo del mondo per amarsi ancora. I baci leggeri e premurosi
di Philip erano diventati sempre più esigenti e Jenny li
aveva assecondati con la stessa passione. Si erano uniti di nuovo con
un desiderio incontenibile, quasi a voler recuperare tutti quei mesi di
separazione e lontananza.
Mark passò davanti a Philip e sparì nel
corridoio, tornando un istante dopo con il cellulare in mano.
I loro sguardi si incrociarono.
-Chiamo Jenny. Voglio sapere che fine ha fatto.-
Philip non ebbe niente da ridire e Mark lo coinvolse nella telefonata
accendendo il vivavoce. Quando lei rispose partì subito
all'attacco.
-Stanotte non sei tornata. Perché non mi hai avvertito? Dove
sei adesso?-
Jenny reputò opportuno rispondere solo all’ultima
domanda.
“Sono in centro.”
-A fare cosa?-
“Degli acquisti per Amy, Evelyn e Patty.”
-Sto andando in hotel. Pranzo lì. Vieni anche tu?-
Il silenzio che seguì la proposta, rese evidente la sua
esitazione.
“Ho troppe cose da fare e pochissimo tempo a
disposizione.”
-Hai ragione, è meglio se ti sbrighi e torni a casa a
preparare la valigia.-
“Che valigia?”
-Quella per tornare in Giappone con gli altri.-
Philip ebbe un tuffo al cuore, si irrigidì sulla sedia in
attesa. Jenny non rispose, si limitò a riagganciare.
“Ciao Mark, forse ci vediamo dopo.”
Landers si versò il caffè nella tazza, ne diede
anche a Philip e si sedette di fronte a lui.
-Partirà con te.-
-Come fai a saperlo?-
-Non ha detto di no.-
-Non ha detto neppure di sì.-
-Cos’è? Non vuoi che torni in Giappone?- i suoi
occhi si socchiusero pericolosi -Hai intenzione di riprendere a
frequentare quell’oca della Pilar?-
Philip saltò su come un grillo.
-Julie è l’ultimo dei miei pensieri!-
-Allora intendi lasciarla?-
-Non ci stavo insieme! Ci vedevamo ogni tanto!-
-Quindi pensi di continuare a vederla ogni tanto?-
-Scherzi? Non mi frega nulla di lei!-
-Buon per te…- Mark si appoggiò contro lo
schienale della sedia -Ero disposto a farti passare la fissa a suon di
schiaffoni!-
Philip lo guardò sgomento, non seppe se credergli. Mark lo
fissava a sua volta, con tale intensità da metterlo a
disagio.
-Adesso toglimi una curiosità, Callaghan. Quando avete
passato la notte in camera di Amy, tu e Jenny non avete parlato? Non vi
siete chiariti? Avete dormito e basta?- rise fastidioso -O non avete
né dormito né parlato?-
Philip distolse gli occhi, non raccolse la provocazione. Sapeva da solo
di essere stato uno stupido a lasciarsi sfuggire
quell’occasione e non aveva nessuna intenzione di ammetterlo.
Quella notte nella stanza di Amy, lui non aveva ancora le idee chiare e
Jenny era distrutta dalla stanchezza. Se non fosse stato
così, avrebbe agito in modo diverso. Invece gli ci era
voluto altro tempo per rendersi conto che l’unica cosa che
desiderava era tornare con lei.
Fu mentre l’autobus percorreva il ponte sul Po che al
cellulare di Mark arrivò un messaggio con cui Holly lo
avvertiva che stavano uscendo.
“Le ragazze vogliono visitare quel borgo medievale vicino al
fiume. L’hotel è assediato dai giornalisti e
stiamo cercando tutti di defilarci. Ci vediamo al parco?”
Mark e Philip li aspettarono alla fermata dell’autobus del
Palazzo delle Esposizioni e Amy, come li vide, li incalzò
con la sua preoccupazione.
-Dov’è Jenny? Ho provato a chiamarla ma non
risponde al cellulare.-
-Le ho parlato poco fa. Mi ha detto che se fa in tempo ci raggiunge per
pranzo.-
Philip lanciò un’occhiata a Mark. Jenny non aveva
detto proprio così ma forse quella menzogna era
l’unico modo per evitare di essere assillato
sull’argomento. Seguì l'amico sulle strisce
pedonali, senza accorgersi dell’occhiata che si lanciarono le
ragazze, restando un po’ indietro.
-Speriamo che almeno venga a salutarci all’aeroporto!-
-Certo che verrà! Perché non dovrebbe?-
-Lo sai il perché, Rob. Te l’ho spiegato ieri.-
-Non capisco come il fatto che sia stata con Philip le impedisca di
venire a salutarvi all’aeroporto. Davvero Evelyn, non colgo
il nesso.-
-Solo perché non la conosci abbastanza.-
Amy sospirò scontenta, il suo proposito di convincerla a
tornare in Giappone era andato a farsi friggere. La sera prima in
discoteca Jenny si era tenuta ben alla larga da loro e non li aveva
salutati neppure quando se n'erano andati. Seguì gli altri
chiedendosi se Jenny sarebbe davvero rimasta in Italia, con Mark e
Gentile. Non poteva credere che l’amica intendesse fare
quella scelta. Non era coerente, non era accettabile. Lei amava Philip
e il suo posto era accanto a lui. Era sicura che Jenny ne fosse
consapevole eppure sembrava rifiutarsi di tornare. Perché?
Cos’era successo tra loro in quegli ultimi mesi in cui si
erano frequentati? Perché si erano lasciati?
Perché Jenny era partita con Mark? Perché Philip
aveva cominciato a uscire con quella fotomodella? In che sequenza
cronologica erano accaduti questi fatti? Trovando Jenny a Torino, Amy
credeva di riuscire finalmente a darsi una risposta alle domande che
ormai si poneva da settimane e invece la questione non si era chiarita.
Non aveva saputo niente di più di ciò che aveva
potuto vedere con i suoi occhi, cioè che l’amica
era in Italia, che lei e Philip non si parlavano e che Philip aveva
tentato di riavvicinarla sulla pista di pattinaggio, apparentemente
senza nessun risultato. Il gesto del ragazzo non era stato sufficiente,
Jenny lo evitava ancora e quasi più di prima, tanto che
persino il giorno della sua partenza non si stava facendo viva.
Sbucarono in una piazza quadrata al centro della quale spuntava una
statua equestre. Mark non l’aveva mai notata e non fu di
nessun aiuto per scoprire chi rappresentasse. Amy allora
tirò fuori la guida dallo zainetto e prese a leggere ad alta
voce a beneficio delle amiche e di chi aveva voglia di starla ad
ascoltare. A Philip non interessava sapere che il tizio sul cavallo era
un duca e che nel giardino che stavano attraversando venivano
organizzate numerose mostre floreali. Ma ascoltare Amy che parlava
senza fare troppa attenzione a ciò che lei diceva, lo
aiutava a non pensare a Jenny e aveva finito per star dietro al suono
della sua voce. Rob li precedeva sul largo marciapiede chiacchierando
un po’ con tutti e dispensando positività e
allegria a destra e a manca.
Percorsero vialetti sinuosi sul pendio del giardino finché
d’un tratto torri e torrette in mattoni rossi, mura merlate e
finestre ovali spuntarono tra il fogliame. Mark costeggiò
tutto il borgo fino a condurli davanti all’ingresso
principale, con la torre di guardia e il ponte levatoio. La parte
inferiore del muro era dipinta a colori vivaci con angeli e Madonne.
Oltrepassato il cancello, la cittadella medievale si mostrò
in tutta la sua suggestiva bellezza. Edifici in mattoni aggettanti
sulla piccola strada sterrata lasciavano posto al piano terra ai
portici intervallati da colonne verniciate a scacchi gialli e bianchi o
a strisce bianche e blu. Dietro grandi finestre a ogiva di vetri
piombati si aprivano le botteghe, perfetta riproduzione di negozi
medievali.
-Jenny aveva detto che valeva una visita.- disse Evelyn con la
macchinetta fotografica tra le mani. La sua attenzione era richiamata
da tutto, ogni singolo particolare che le si apriva davanti agli occhi
attirava il suo obiettivo. Non sapeva più dove scattare e ad
un certo punto piazzò la macchinetta fotografica in mano a
Benji.
-Me la fai una foto con l’armatura?-
Tom si fermò contro un pilastro a righe blu e bianche per
mandare un messaggio a sua madre. Poco distante Holly si era infilato
dentro una delle botteghe e osservava incuriosito un bambino che
tentava di convincere suo padre a comprargli la riproduzione in
miniatura di una spada di plastica, chiedendosi chi l’avrebbe
avuta vinta e quanto tempo sarebbe passato prima che gli toccasse
affrontare un conflitto simile. Lui e Patty erano sposati da circa un
anno e non vedeva talmente l'ora di diventare padre che a volte gli
capitava di chiedersi perché ci volesse tanto tempo. Non
aveva fretta, ma sperava che accadesse al più presto.
La curiosità con cui Evelyn li aveva accolti a Torino
sperando nella bella notizia, le domande neppure troppo allusive dei
genitori ogni volta che li sentiva al telefono, per non parlare delle
battute appena appena velate dei compagni del Barcellona e della
nazionale giapponese, stavano cominciando a diventare fastidiose.
Persino Patty se ne seccava, tant'è che un giorno l'aveva
sentita rispondere alla madre di non chiedere più, che
sarebbe stata lei a darle l'annuncio al momento opportuno. La reazione
della moglie l'aveva sorpreso, poi le aveva dato ragione. Lui non se ne
intendeva, ma era sicuro che la procreazione fosse un processo che
richiedeva una certa preparazione, non che si improvvisava. Nella
partita della vita, lui e Patty erano ancora al primo tempo ed era
inutile mettersi fretta. Ciò non toglieva che era pronto a
ricevere la notizia da un momento all'altro. Aveva già fatto
grandi progetti, a partire dalla riorganizzazione delle stanze, del
loro tempo, fino alle scuole che il loro figlio, o la loro figlia,
magari l'uno e l'altra, avrebbe frequentato. Immaginava gite in
montagna con la famiglia, scampagnate sulla spiaggia, bagni in mare,
giochi e divertimenti. Ad accoglierlo a casa, al ritorno dagli
allenamenti, dalle partite, dalle trasferte non soltanto il sorriso di
Patty pieno d'amore ma le grida felici, i baci e gli abbracci dei suoi
bambini. Spostò gli occhi sull'oggetto dei suoi pensieri,
sicuro che anche Patty non vedesse l'ora di avere una famiglia tutta
per loro. La vide di fronte ad un espositore di cartoline.
La ragazza ne scelse due, pagò e raggiunse Amy nel cortile,
davanti all’albero dorato della fontana ottagonale. Anche se
il metallo in alcuni punti si stava scolorendo lasciando il posto alla
ruggine, era lo stesso molto suggestivo.
-La guida dice che è una riproduzione di una fontana di un
castello medievale. Si tratta di un albero immaginario
perché ha i frutti del melograno e le foglie della quercia
che simboleggiano forza e antichità l’una e
fertilità e fedeltà l’altro. I quattro
rami principali finiscono con una testa di drago da cui esce
l’acqua… Veramente l’acqua non esce,
forse è rotta.-
-Sei preoccupata per Jenny?-
Amy chiuse la guida e guardò l’amica.
-Ho paura che non tornerà in Giappone con noi. Ieri avrei
voluto parlarle ma è sparita e non ci sono riuscita.-
-Jenny ha già deciso cosa fare, non riusciresti a farle
cambiare idea in nessun caso.-
-Ti ha detto se partirà con noi?-
-Non mi ha detto nulla, ma ti prego non ci pensare Amy. Non sei tu a
poter cambiare le cose. Angustiandoti ti rovinerai soltanto il tuo
ultimo giorno qui.- la prese per mano -Vistiamo la rocca?-
-Sentiamo se Evelyn vuol venire con noi.-
Rob si sedette guardingo accanto a Philip su uno dei tronchi allineati
lungo il muro che cingeva il cortile della fontana. Non aveva
abbastanza confidenza con il compagno per non essere sicuro che non
l’avrebbe mandato a quel paese ma la curiosità lo
spinse lo stesso a parlare.
-Philip, senti… Mi chiedevo… Tu e Jenny siete
stati insieme per molto tempo?-
-Sei anni.-
-Cavolo! Sai, è un peccato che vi siate lasciati. Jenny mi
piace un sacco.- mosse la punta del piede su e giù,
scostando la ghiaia e scavando un piccolo solco -Vederla arrivare con
Mark è stata una sorpresa. Non avevo idea di chi fosse, ma
il giorno stesso che ci siamo incontrati mi ha stupito il fatto che
conoscesse Benji e Holly. Non riuscivo a spiegarmi il
perché, cosa avesse in comune con lui e con loro. Non
riuscivano a capirlo neppure Dario e Salvatore e mi hanno assillato
giorni per scoprirlo. Ci suonava così strano che Mark
acconsentisse ad avere tra i piedi un’ospite che non fosse la
sua ragazza o sua sorella…-
-Sì, strano.- convenne lui trasudando ironia. Sapendo quanto
erano andati d’accordo fin da subito a Shintoku, il loro
affiatamento non gli sembrava più tanto singolare.
-E poi non riuscivo a capire per quale motivo Mark fosse
così iperprotettivo con lei. Non puoi immaginare cosa si
è inventato per fare in modo che Gentile le stesse alla
larga. Pensa che la sera di San Valentino Salvatore l'ha invitata a
cena in un ristorante costosissimo e Mark è riuscito a
imbucarsi portando altra gente per rovinargli la festa. Alla fine siamo
andati a mangiare in sei, mandando all’aria la serata
romantica che Gentile aveva tanto accuratamente preparato.- rise al
ricordo -E poi quella sera stessa Mark li ha trovati a baciarsi in
camera di lei e ha cacciato Salvatore di casa. Pensavo che fosse
geloso, pensavamo tutti che Jenny gli piacesse anche se continuava a
negarlo. Invece adesso che so, credo che lo facesse per te.-
-Per me?-
L'altro annuì.
-Forse ti sembrerà strano, anch’io l’ho
capito solo quando Evelyn mi ha detto che siete stati insieme. Mark
continuava ad insistere che per lui Jenny era come una sorella, che non
era la sua fidanzata, che non ci aveva mai provato e non aveva nessuna
intenzione di farlo. E intanto l’accompagnava ovunque, faceva
ogni cosa che lei gli chiedeva, tornava a casa presto per non lasciarla
sola troppo tempo, guardava male Gentile ogni volta che tentava di
avvicinarsi, quando le si incollava addosso o la riempiva di regali e
la baciava in continuazione. Vedendolo comportarsi così,
come potevamo credergli? Non facevamo altro che prenderlo in giro,
dandogli del bugiardo. E invece non stava mentendo. Non era geloso per
se stesso, era geloso per te.-
Di primo acchito quell’interpretazione sorprese Philip, poi
la scartò del tutto.
-Stronzate, Aoi. Mark non mi ha neppure avvertito che Jenny era a
Torino.-
La ghiaia scricchiolò sotto i passi di qualcuno. Evelyn si
era avvicinata.
-Disturbo?- i due scossero la testa all’unisono -Patty, Amy
ed io visitiamo la rocca. Venite con noi?-
Si fermarono a mangiare al ristorane del borgo. Faceva abbastanza caldo
per sedersi all’aperto, sulla piattaforma che si affacciava
sul fiume. Sotto di loro il corso d’acqua scorreva placido,
solcato da canoe, kayak e altre piccole imbarcazioni sportive che
procedevano avanti e indietro, alcune spinte con forza dai remi, altre
che si lasciavano trascinare dalla corrente. Sui prati
dell’altra riva si rincorrevano i cani, a volte richiamati
all’ordine dai padroni; i bambini giocavano a palla, qualcuno
andava in bicicletta e altre persone passeggiavano. Quel luogo
trasmetteva pace e tranquillità a tutti tranne che a Philip,
ormai stanco di nascondere al mondo la propria preoccupazione. Sapeva
che non era l’unico a chiedersi se Jenny sarebbe partita con
loro oppure no. Aveva colto un paio di conversazioni tra i compagni,
che poi avevano taciuto quando si erano accorti che non era abbastanza
lontano da non udirli. A lui rodeva che si censurassero, non soltanto
odiava essere tenuto all'oscuro di ogni novità che la
riguardasse, ma era convinto che la loro intenzione di non parlargliene
derivasse dal fatto che non lo ritenessero abbastanza forte o maturo da
accettare qualsiasi decisione avesse preso Jenny. Forse il suo
tentativo di avvicinarla sulla pista di pattinaggio, sotto gli occhi di
tutti, era stato un errore.
Li udì ancora parlare di lui, stralci di conversazione tra
Bruce, Evelyn e Benji. Stavano riattraversando il parco per tornare in
hotel. Avevano poche ore di tempo per mettere a posto le loro cose e
preparare le valigie.
-Philip è scoppiato da un pezzo.- sentì dire
Harper -Precisamente dal primo giorno di allenamenti. Non ricordi
ciò che è successo negli spogliatoi, Benji? Se
non mi aveste fermato…-
-Hai litigato con Philip?- lo sconcerto indusse Evelyn a lasciare la
mano del fidanzato -Perché avete litigato?-
-Perché Harper lo ha pungolato dove gli faceva
più male.-
-Che vuoi dire?-
-Gli ha detto qualcosa su Jenny che era meglio che si teneva per
sé…-
-Quindi la colpa è tua, Bruce! Dovevo aspettarmelo, sei il
solito attaccabrighe!-
Bruce trasecolò.
-Lo stai difendendo! Lo stai difendendo di nuovo!-
-Non lo sto difendendo!-
-Sì che lo stai facendo! Lo difendi sempre!-
-Non è vero!-
-Sì, lo fai sempre!- s’intestardì Bruce
mentre Evelyn sbuffava e si allontanava esasperata. Fissò il
portiere -Lo difende sempre, giuro! Lo fa a prescindere, da quando a
Nara lui l’ha portata all’ospedale. Gli
dà sempre ragione. Sempre e comunque!-
-Non ci avevo fatto caso.-
Philip non riuscì più a sentire nulla
perché Holly e Tom lo raggiunsero dall’altro lato
chiacchierando.
-Mia madre ha proposto a mio padre di restare qualche giorno ospite da
lei ma lui non vuole andarci. E mia madre dice che neppure suo marito
gioisce all’idea.-
-Anche a me non farebbe piacere ospitare l’ex della mia
ragazza.-
Holly e Tom si volsero a guardarlo curiosi.
-Che forma ha preso questa ipotesi nella tua testa? A chi hai pensato?
A Jenny e Gentile?-
-Non ho pensato a nessuno.- Philip si chiuse a riccio -Ho solo detto la
mia…- il parere che aveva espresso gli era rotolato sulla
lingua così di getto che non aveva avuto il tempo di dare
una faccia a colui che aveva individuato come ex di lei (mentre
“lei” era Jenny senza ombra di dubbio). E adesso
che Holly gli aveva fatto quella domanda, aveva deciso di non volersi
dilungare a rifletterci neppure un attimo.
*
Erano ore che Jenny cercava di chiamare Carol. Era uscita di casa
prestissimo, aveva camminato a lungo per i viali della
città. Quando si era fatta un’ora decente, si era
attaccata al cellulare e aveva cercato di contattare la ragazza. A
risponderle, soltanto la voce registrata della segreteria telefonica.
Si sentiva ancora frastornata, aveva voglia di camminare e mettere
ordine nella testa, respirando a pieni polmoni l’aria
frizzante della mattina. Voleva godere della felicità con
cui si era destata, trattenerla addosso ancora per un po’,
senza pensare al futuro, senza riflettere su ciò che
l’aspettava. La notte trascorsa aveva dimostrato che tra lei
e Philip le cose potevano tornare com’erano, la loro storia
sarebbe potuta ricominciare da dove si era interrotta. Se soltanto lo
avesse voluto, se ne avesse avuto il coraggio.
Aveva attraversato il Po e proseguito lungo la passeggiata che
costeggiava il fiume e finiva nel parco del Valentino, lussureggiante
di verde. Aveva incrociato una miriade di torinesi, chi portava a
spasso il cane, chi correva lungo i viali, chi pedalava in bicicletta,
chi si affrettava a raggiungere il luogo di lavoro. Probabilmente
soltanto lei, quella mattina, vagava nei giardini senza meta, solo per
camminare e tenere il corpo al passo con le capriole che faceva la sua
mente. Ogni tanto tirava fuori il cellulare e riprovava a chiamare
Carol senza successo. Quando si era stancata di vagare a caso e si era
ritrovata intirizzita dall’umidità del parco e
dalla brina, aveva fatto dietrofront ed era tornata verso il centro. A
piazza Vittorio si era infilata dentro un bar per riscaldarsi. Si era
seduta ad un tavolo da cui poteva osservare la strada e, ordinato un
caffè, era rimasta con gli occhi sul viavai di una
città sempre più sveglia e più
intasata dal traffico. Aveva cercato di non fissarsi su ciò
che era successo nel suo letto, solo sfiorare il pensiero di Philip le
accelerava il battito del cuore e le serrava lo stomaco. Rimpiangeva
ancora con tutta l’anima la notte che era volata, avrebbe
voluto che non finisse più.
Quando aveva aperto gli occhi, Philip dormiva al suo fianco. Il suo
viso era rivolto verso di lei, i capelli neri scompigliati sulla
fronte, la bocca tesa, l'espressione serena, i muscoli della schiena
nuda, il lenzuolo bianco sceso sui fianchi. Per un secondo, solo per un
attimo, le era sembrato lontano, distante… Era riuscita a
sgusciare via dalle coperte senza svegliarlo e lui aveva continuato a
dormire mentre prendeva alcuni vestiti e la borsa e usciva dalla
stanza. Jenny lo conosceva troppo bene per non sapere che dopo ogni
partita il ragazzo accusava lo stress e la fatica in due modi opposti.
O si svegliava euforico all’alba e cominciava a girare per
casa in impaziente attesa che anche lei si alzasse, oppure continuava a
dormire per ore, fino a tarda mattinata.
Era ancora seduta al bar quando alle dieci Salvatore la
chiamò. Voleva sapere se aveva bisogno di qualcosa,
soprattutto se sarebbe ripartita anche lei. E mentre gli rispondeva di
no, mettendo voce alla sua decisione, capì che nonostante la
notte passata con Philip, nonostante quello che era successo,
nonostante ciò che aveva provato, non sarebbe tornata in
Giappone con lui. Aveva paura. Temeva che ad aver prodotto un simile
miracolo fosse stato il loro incontro inaspettato in Italia, la
presenza degli amici e di Gentile, l’aria straniera. Aveva il
terrore che una volta rientrata a far parte della solita routine di
Philip, lui non l’avrebbe più voluta allo stesso
modo. Non riusciva a non struggersi per il suo rapporto con Julie
Pilar. Non era sicura che la fotomodella non sarebbe andata a prenderlo
all’aeroporto, facendogli capire che
quell’avventura con la sua ex era appunto soltanto una
nostalgica passeggiata in un piacevole passato.
Stringeva tra le mani il cellulare quando questo squillò
facendola sussultare. Era Mark. Ci aveva già parlato,
accidenti. Perché insisteva? Lei non aveva niente da dirgli!
Abbassò il volume della suoneria per mettere fine al
fastidioso trillo e quando Mark rinunciò, mise il telefonino
in modalità silenziosa. Infine tentò di nuovo di
chiamare Carol. Aveva assolutamente bisogno di parlare con lei. Le
serviva il suo aiuto. Il cellulare della ragazza era ancora spento. Le
inviò un messaggio, poi si alzò. Raggiunse la
cassa, pagò il caffè e si avviò verso
il corso. Doveva risolvere i problemi uno alla volta, cominciando dai
più semplici: acquistare i regali che intendeva fare alle
amiche, raggiungere l’aeroporto e salutare i compagni,
affrontando a testa alta la partenza di Philip. Infine trovare Carol,
il prima possibile.
Mentre girava tra gli scaffali della Rinascente, si scontrò
con Clarissa, l’ultima persona che si aspettava e aveva
voglia di vedere. Si urtarono tra l’alto supporto dei
cappelli e le grucce dei cappotti di panno scuro. Jenny teneva in mano
una sciarpa di cachemire leggerissimo, quasi impalpabile, di un bel
verde smeraldo (probabile regalo per Amy), l’ex di Salvatore
un abito dello stesso identico colore. Clarissa guardò lei,
poi guardò la sciarpa e scoppiò a ridere.
-Abbiamo gli stessi gusti?-
Jenny arrossì.
-Può darsi, però non l’ho scelta per
me.- si sforzò di ricambiare il sorriso, pronta a cogliere
il momento buono per dileguarsi.
-Cosa ci fai qui?-
Jenny si guardò intorno.
-Devo fare dei regali.-
Era ancora profondamente indecisa, a parte la sciarpa. Era entrata nel
negozio quasi un’ora prima e non aveva la più
pallida idea di cosa comprare ad Evelyn e Patty. Non aveva trovato
nulla di adatto, forse la scelta era troppo ampia. Si stava perdendo, o
meglio, stava perdendo un sacco di tempo e ancora non era riuscita a
parlare con Carol. Alle sei l’aereo partiva e lei non aveva
neppure chiesto a Gentile se aveva voglia di accompagnarla
all’aeroporto. Un pensiero improvviso le
attraversò la testa, fissò Clarissa nei suoi
splendidi occhi verdi.
-Devi telefonare a Salvatore.-
Le guance della modella persero colore.
-Come, scusa?-
-Devi chiamare Salvatore.-
-Stai scherzando?- accennò un sorriso, che lo sguardo di
Jenny spense all’istante.
-Sto dicendo sul serio.-
Il panico colmò gli occhi di Clarissa.
-No. Non posso.- scosse la testa in preda allo shock -Sono mesi che ho
smesso di cercarlo. Non posso telefonargli, non posso proprio.-
-Dovresti provarci comunque.-
-Adesso?-
-Perché no?-
La proposta di Jenny le tolse le forze man mano che si fece strada
nella sua testa. Appoggiò il vestito sul ripiano e le sue
spalle si curvarono in avanti, gravate dal peso del tradimento.
-Non risponderà… Ci ho provato tante volte, non
mi ha mai più risposto.-
-Fossi in te, proverei di nuovo.-
L’ottimismo di Jenny la costrinse a valutare ancora una volta
quel pensiero tentatore. Alzò gli occhi e i loro sguardi si
incrociarono per un lungo, silenzioso e infinito minuto.
Nell’espressione della giovane c’era qualcosa di
così convincente che Clarissa si ritrovò a
frugare nella borsa, con mani tremanti, alla ricerca del cellulare. Non
distolse neppure un attimo gli occhi da quelli di Jenny che le
infondevano sicurezza e soprattutto la forza di fare qualcosa di cui
non si sarebbe più ritenuta capace. Il telefonino riemerse
dalla borsa e fissò indecisa il display. No, Salvatore non
le avrebbe risposto, come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato
a fare per sempre. Salvatore non l’avrebbe perdonata, mai e
poi mai. Mesi prima era stata costretta a cancellare il suo numero
dalla rubrica, perché ogni volta che il nome del ragazzo le
capitava sotto gli occhi si sentiva morire. Ma lo conosceva a memoria,
non lo avrebbe mai dimenticato. Doveva davvero chiamarlo o stava per
fare l’ennesima stupidaggine, proprio come quella di
presentarsi al campo qualche giorno prima? L'avrebbe aggredita come
aveva già fatto? Alzò di nuovo gli occhi su Jenny
un secondo prima di rinunciare. Lei continuava ad attendere,
l’espressione incoraggiante non era scomparsa dal suo volto.
Cosa doveva fare? Doveva provare? Non voleva più soffrire,
non voleva più star male. Salvatore non le avrebbe risposto,
esattamente come al solito. Ma Jenny la fissava ancora, cercando di
trasmetterle un coraggio che lei per prima non aveva e che Clarissa
aveva perduto ormai da tempo. Le dita le tremavano quando
digitò un numero dopo l’altro con una lentezza
esasperante. Sbagliò due volte e fu costretta a cancellare,
insicura, impaurita, si irrigidì. Il display andò
in stand-by una volta, prima che riuscisse a inviare la chiamata e
dovette ridigitare la password. I minuti che scorrevano erano uno
stillicidio, la tensione aveva invaso il suo corpo, Clarissa sentiva
che stava per scoppiare. Jenny la guardava ancora e sorrideva. Allora
spinse il tasto invio e abbassò gli occhi a terra mentre
brividi gelidi di terrore le percorrevano la schiena. La pelle
d’oca le ricoprì le braccia mentre il segnale di
libero le squillava nelle orecchie una, due volte. La terza non ci fu.
“Clarissa?”
Lei socchiuse le labbra ma non riuscì ad articolare neppure
un banalissimo “ciao”. Le lacrime le offuscarono la
vista. Si passò una mano sugli occhi, poi prese a
singhiozzare piano, mormorando qualcosa a Gentile che era rimasto in
linea, dall’altra parte della città. Jenny si
strinse al petto la sciarpa di Amy e si allontanò
silenziosissima.
Carol le rispose mentre usciva dalla Rinascente con i regali fatti,
dopo aver preso atto che Mark l’aveva cercata ancora due
volte.
-Ti sto chiamando da ore, che fine hai fatto?-
“Ciao Jenny!” la sua voce era ancora assonnata.
-Carol, dove sei?-
“In piena fuga d’amore. A Venezia!”
A Jenny venne uno scompenso.
-A Venezia? E con chi?-
“Con un amico.”
-Che amico?-
“Un ragazzo che ho conosciuto ieri sera in
discoteca.” rispose lei soffocando una risatina imbarazzata.
-Una persona che hai conosciuto ieri non può essere un
amico!-
“Esiste un minimo di giorni prima di entrare in amicizia con
qualcuno?”
-Ci hai passato la notte insieme?-
“In parte…”
-In parte?-
“Parte della notte. Siamo andati via della discoteca che
erano le quattro.”
A Jenny caddero le braccia.
-Ti prego, non dirmi che si tratta di uno di quei due che ieri hanno
attaccato bottone.-
“Uno non era mica brutto. Non essere pignola. Ti serviva
qualcosa?”
-Pensavo che saresti venuta all’aeroporto a salutare la
nazionale giapponese.-
“Anch’io lo credevo, prima della mia fuga
d’amore. Adesso non più quindi pensa tu a
salutarmi tutti!”
*
Philip era irrequieto dalla mattina. Evelyn se n’era accorta
quando era scesa dall'autobus che li aveva portati al borgo e aveva
incrociato il suo sguardo. Il compagno si era alzato dalla panca su cui
sedeva insieme a Mark e si era incamminato con loro verso il parco e i
giardini. Aveva pedinato Amy che leggeva la guida, guardandosi intorno
così distrattamente che Evelyn c’aveva messo un
istante a capire che non stava ascoltando nulla. E poi,
inaspettatamente, all’interno della cittadella medievale
aveva cominciato a chiacchierare con Aoi. Da quel momento in poi i due
non avevano più smesso di farlo se non durante la visita
alla rocca. Restando un po’ indietro, discosti dagli altri,
avevano ripreso a parlare durante tutto il viaggio di ritorno. Evelyn
non aveva proprio idea di quale argomento comune potesse occuparli in
una conversazione così lunga. Anche se a chiacchierare era
soprattutto Aoi, Philip ogni tanto prendeva la parola e per una volta
pareva interessatissimo a ciò che gli veniva detto. Secondo
Evelyn, che parlasse con qualcuno era un bene a prescindere, visto il
mutismo di quei giorni. Arrivati in hotel Rob aveva raggiunto i gemelli
Derrick, Philip aveva liquidato i loro schiamazzi con
un’occhiata distratta ed era salito in camera a riordinare la
valigia, come avevano fatto anche gli altri.
Il tempo si era guastato mentre si preparavano. Il sole era sparito
dietro una coltre di nuvole cariche di pioggia, che avevano riversato
sulla città un acquazzone inatteso. I ragazzi si erano
riuniti nella hall per l'ultima chiacchierata insieme prima della
separazione. Patty e Holly avrebbero preso l’aereo per
Barcellona, Benji quello per Amburgo. Gli altri sarebbero atterrati a
Tokyo, per poi disperdersi verso le rispettive mete nelle isole
giapponesi. Oltre a Philip, chi sembrava più restio a
partire era Benji, che non aveva idea di cosa aspettarsi al suo rientro
in Germania. L’aver giocato solo mezza partita contro
l’Italia continuava a bruciargli, temeva che ciò
avrebbe avuto pesanti conseguenze anche nell’Amburgo. Non
riusciva a spiegarsi cosa avesse spinto Freddie a fargli un torto
simile in una situazione così delicata, ma ce
l’aveva con lui e non gli rivolgeva la parola dal giorno
prima. Evelyn si era accorta che Amy lo teneva d’occhio ma
allo stesso tempo lo evitava, quasi come aveva fatto i primi giorni del
loro soggiorno a Torino. La sentì rivolgersi a Patty, che le
sedeva accanto nella hall dell'albergo.
-E noi quando ci rivediamo?-
-Ormai quest’estate. Torneremo in Giappone non appena gli
impegni di Holly saranno terminati.-
Amy sospirò e abbassò gli occhi sul tavolino di
vetro.
-Le partenze mi mettono tristezza.-
-Anche a me.-
Evelyn non prestò loro attenzione, era decisa a non
lasciarsi trascinare nella malinconia dell'addio. Preferiva di gran
lunga osservare Philip che le sedeva davanti e giocherellava con il
cellulare senza interesse. Lo studiava con preoccupazione fin da quando
Mark le aveva confidato che la sera precedente il suo piano di farli
incontrare e parlare era andato a monte perché Jenny non era
tornata a dormire a casa. Ad Evelyn dispiaceva sinceramente, vedeva
Philip nervoso e scontento e avrebbe dato qualsiasi cosa per
alleggerire il macigno di ansie che gli gravava sulle spalle. E avrebbe
dato qualsiasi cosa affinché Jenny partisse con loro, anche
se era ormai certa, perché si fidava ciecamente del proprio
istinto, che ciò non sarebbe accaduto. L’amica non
sarebbe tornata in Giappone. Forse Amy e Patty ancora lo speravano, ma
lei non più. Soffocò uno sbadiglio, stava morendo
di sonno. Al ritorno dalla discoteca aveva trascorso le poche ore che
restavano della notte a scrivere l’ultimo pezzo dedicato
all’amichevole della nazionale giapponese contro
l’Italia, affinché venisse pubblicato in Giappone
quel giorno stesso. Era riuscita, con un paio di caffè, a
restare sveglia e recettiva per tutta la mattina ma da quando si era
seduta al ristorante del borgo, la stanchezza di quella notte insonne
le era calata addosso e non aveva fatto che soffocare sbadigli durante
tutto il pranzo.
Con gli occhi che quasi le si chiudevano, si alzò e
attraversò la hall come uno zombie in cerca di un altro
caffè. Passando accanto a Philip che s'era messo a vagare
tra i compagni senza pace e senza meta, lo prese per un braccio e lo
trascinò con sé.
-Vieni, dobbiamo parlare.-
Evelyn era decisa ad approfittare di quegli ultimi barlumi di
lucidità per riuscire finalmente a dirgli ciò per
cui l’aveva tampinato fin dalla prima sera lì in
Italia, perché forse più tardi, nella frenesia
della partenza, non ne avrebbe avuto il tempo. Sull’aereo non
ci sarebbe stata abbastanza privacy e una volta atterrati in Giappone
lui sarebbe fuggito per prendere la coincidenza per Sapporo, lei e
Bruce il treno per Fujisawa. Evelyn temeva fortemente che la delusione
scaturita dalla decisione di Jenny di restare in Italia, avrebbe fatto
precipitare l’amico nella stessa identica depressione che lo
aveva accompagnato a Torino, inducendolo ad agire di nuovo da
irresponsabile. Lei voleva evitarlo a tutti i costi.
Philip la seguì svogliato ma quasi grato che
l’avesse trascinato via dalla confusione dei compagni. Dopo
una mattinata frustrante, aveva sperato che la giornata migliorasse. Ma
si era sbagliato. Era frustrato esattamente come quando quella mattina
si era svegliato da solo nel letto di Jenny a casa di Mark. Si
sedettero insieme al bar, vicino ad una finestra che si affacciava sul
giardino dell’hotel, le piante in balia della pioggia
scrosciante. Incredibilmente la piscina in cui Jenny e Gentile erano
caduti quella prima sera si trovava ancora al suo posto, i pergolati, i
vasi e i tavoli tra cui Philip aveva vagato confuso e sconvolto quando
aveva visto il giocatore italiano baciarla erano sempre lì,
quasi a ribadire che tutto ciò che era successo in quei
giorni era stato reale. Così come era reale ciò
che era accaduto quella notte tra lui e Jenny. Un cameriere si
avvicinò per prendere le ordinazioni. Dopo essersi
rapidamente consultati, Philip ordinò un caffè
ciascuno. Pochi istanti dopo avevano davanti due tazzine fumanti.
Evelyn non perse tempo in preamboli, lo affrontò diretta
come al solito.
-Philip, devi assolutamente smettere di frequentare le feste di Daniel
Baird.-
Convinto com’era che l’amica l’avesse
preso da parte per parlargli di Jenny, perché forse sapeva
qualcosa più di lui, Philip s’irrigidì
come un palo. Non riuscì a fare altro che tacere a disagio,
mentre lei proseguiva dritta sparata.
-Cominciano a diffondersi parecchie dicerie su quelle feste. Baird
è riuscito a farsi un giro di invitati importanti e famosi e
la curiosità di sapere nei particolari cosa accade durante i
suoi raduni sta crescendo. L'interesse non riguarda soltanto la mia
categoria, Philip. Anche le forze dell'ordine cominciano a buttarci un
occhio. Che vi giri roba illegale ormai si sa per certo e se continui a
frequentare quella gente, quando altre notizie più precise
verranno alla luce non sarà una cosa buona per te,
indipendentemente da ciò che hai fatto o farai mentre sei
lì.-
-Veramente io non…-
Evelyn sollevò una mano per zittirlo.
-Non voglio saperlo, Philip. Ti stimo e non voglio cambiare
l’idea che mi sono fatta di te. Non è per
ascoltare le tue giustificazioni che ti ho detto che volevo parlarti.-
sorseggiò il caffè, poi posò la
tazzina sul piatto -Lo sto facendo perché sono preoccupata.
Per favore, dammi retta. Non andarci più, rischi di giocarti
la carriera. E sono sicura che non vuoi che ciò accada.-
-Secondo te di cosa stanno parlando?- Bruce si mosse sulla poltrona,
sprofondando tra i cuscini di pelle nera. Teneva gli occhi strizzati su
Philip ed Evelyn ma era troppo lontano per riuscire a sentire.
Benji sorrise.
-Evelyn gli sta dicendo che vuole lasciarti e che, se Jenny non torna
in Giappone, sarebbe disponibile a mettersi con lui.-
L’altro si afflosciò.
-Sono un cretino, perché te l’ho chiesto?-
-Perché sei un cretino.-
Bruce si alzò e fece un giro intorno al bar, spinto dalla
bruciante curiosità di sapere. Ma arrivato nei pressi del
tavolo occupato dalla coppia, lo accolse un frustrante silenzio.
L’occhiataccia che gli lanciò Evelyn quando lo
individuò, gli fece passare la voglia di fermarsi con loro e
impicciarsi. Quando Harper si fu allontanato, Philip si decise a
parlare.
-Farò come dici tu, Eve.-
Pagò i due caffè e, seguito dalla giovane, si
affrettò a tornare in camera per recuperare le valigie. I
compagni si stavano radunando nella hall con i rispettivi bagagli. Il
pullman che li avrebbe condotti all’aeroporto era entrato nel
parcheggio dell’albergo e aveva accostato lungo il
marciapiede ricoperto dalla tettoia. Pearson era uscito per parlare con
l’autista sollecitando gli ultimi ritardatari ad affrettarsi.
Il loro soggiorno a Torino era ormai agli sgoccioli e Jenny non si
faceva ancora vedere. Mentre Philip usciva insieme al resto della
squadra e s’incamminava verso il pullman, percorrendo il
marciapiede sotto la tettoia senza bagnarsi, continuò a
guardarsi intorno sempre più depresso.
Jenny tornò a casa per riprendere fiato. In cucina
trovò i resti della colazione di Philip e Mark. I piatti e
le tazze erano rimasti nel lavandino, immersi nell’acqua.
Lavò le stoviglie, le mise a scolare, salì di
sopra ed entrò in camera. Philip aveva rifatto il letto,
tirato le coperte e riposizionato i cuscini, sbagliandone
però la sistemazione. Gli fu grata di aver cancellato le
tracce di quella notte, le lenzuola disfatte, l’impronta dei
loro corpi sul materasso dove si erano amati. Tirò fuori
degli abiti puliti e si concesse una doccia. Erano quasi le tre e aveva
cominciato a piovere in modo decisamente convincente. Il cielo era
coperto di nuvole e probabilmente avrebbe continuato così
fino a sera. Se Jenny voleva arrivare all’aeroporto in tempo
per salutare gli amici doveva darsi una mossa. Sperando di non essere
d'intralcio alla riappacificazione con la sua ex, telefonò a
Salvatore.
Lui passò a prenderla a casa, Jenny lo aspettava sulla
soglia, alcune buste posate per terra all'asciutto, un ombrello in mano
pronto ad essere aperto. L’alfa romeo rossa si
accostò al marciapiede, lei caricò le buste sul
sedile posteriore e prese posto davanti.
-Grazie per il passaggio.-
-Fai bene ad approfittare finché sono disponibile.-
partì con una sgommata per riuscire a passare il semaforo
prima che facesse rosso -Hai fatto spesa?-
-Sono regali.- si allacciò la cintura, scrollò
via le gocce di pioggia che le bagnavano la borsa e si volse a
guardarlo. Era bellissimo come al solito, forse anche più di
come ricordava, con quei capelli giallo oro e gli occhi azzurri come il
cielo. Dopo quello che era successo la notte precedente con Philip non
si sentiva capace neppure di toccarlo ma continuò a fissarlo
cercandogli in faccia i dettagli della conversazione che si era svolta
tra lui e Clarissa. Odiava pensare di aver detto alla ragazza di
chiamarlo per alleggerirsi la coscienza, ma forse il motivo era proprio
quello. Certo, il giorno prima Salvatore aveva messo fine al loro
rapporto, se mai lo era stato, lasciandola libera di tornare in
Giappone. Le aveva addirittura consigliato di rimettersi con Philip
quindi non avrebbe dovuto provare nei suoi confronti neppure un
minuscolo senso di colpa per ciò che era successo
la notte appena trascorsa. Però sentiva lo stesso
qualcosa che dentro la pungolava in quel senso e non poteva farci
niente. Sperava che presto le cose tra Salvatore e la sua ex si
sistemassero e sperava che la telefonata fosse un passo in quella
direzione. Lo guardò ma non riuscì a scorgere
niente che potesse lenire la sua colpa o soddisfare la sua
curiosità. Lui si sentì i suoi occhi addosso e si
volse.
-Dov’è la tua valigia?-
-Non c’è.-
-Ero sicuro che saresti partita anche tu. Ti ho lasciata libera
apposta.-
-Mi hai lasciata perché non è me che ami.-
Gentile si fermò ad un semaforo rosso e le prese una mano. I
tergicristalli si muovevano su e giù ripulendo il vetro
dalla pioggia insistente.
-Forse…- le lanciò un’occhiata e
sorrise ammiccante -Ma avrei voluto lo stesso fare l’amore
con te. Sono sicuro che mi sarebbe piaciuto e sono ancor più
convinto che sarebbe piaciuto anche a te.-
Jenny arrossì, lui rise e le accarezzò una
guancia.
-A Callaghan dispiacerà che resti qui. Si vede da come ti
guarda che ti ama. Secondo me dovresti andare.-
-In Giappone lui ha un’altra.-
-E allora? A lasciare una persona ci vogliono pochi istanti. Molto meno
di quanto ci vuole per conquistarla, fidati.- si fermò a un
semaforo e riprese -Price mi ha detto che siete stati insieme parecchi
anni.-
-Benji parla troppo.-
Jenny si chiese in quale occasione Salvatore e Benji avessero avuto
modo di scambiarsi informazioni su di lei. Con una mano si
lisciò la gonna sulle gambe. Non poteva andare avanti a
discutere con Gentile del perché avesse deciso di non
tornare in Giappone. Non avrebbe saputo spiegarlo, non aveva voglia di
parlarne. Parlare di Philip con Salvatore la metteva a disagio ma
soprattutto, con la sua partenza alle porte, le risultava estremamente
doloroso a prescindere.
C’erano parecchi posti liberi nel pullman ma Mark si impose
di sedersi accanto a Philip. Il ragazzo emanava gelo da tutti i pori e
nessuno si era sentito sufficientemente masochista da voler occupare
quel sedile, neppure Peter Shake, che aveva passato buona parte della
mattina collegato con Skype a parlare con Grace della mancata
riconciliazione tra Jenny e Philip. Il resto della squadra aveva
saggiamente deciso di tenersi alla larga e far confusione altrove.
Quando Mark gli era arrivato accanto percorrendo mezzo pullman, Philip
teneva gli occhi fissi sulla strada. Aveva incrociato il suo sguardo
riflesso sul vetro nel momento in cui si era seduto al suo fianco ma
non aveva fatto una piega.
Si ignorarono per parecchi chilometri, Mark sicuro che fremesse per
avere notizie di Jenny, Philip convinto di non aver niente di cui
parlare. Nel momento in cui Landers si rese conto che se il compagno
gli avesse chiesto dov'era la ragazza non sarebbe stato in grado di
dirglielo, decise di chiamarla. Jenny gli rispose al quinto tentativo,
quando ormai sbuffava come una pentola a pressione e s’era
intestardito a volerla sentire a tutti i costi, sacrificando la
batteria del cellulare che era ormai a metà.
-Siamo quasi all’aeroporto, Jenny. Dove accidenti sei?-
“Abbiamo fatto tardi. C’è un traffico
pazzesco qui in centro e…”
La sua voce fu coperta dalle sirene di un’ambulanza e Mark
tirò indietro il cellulare per non esserne assordato.
-“Abbiamo”?- la citò non appena il mezzo
di soccorso fu passato -Sei con Gentile?-
“Sì, sono con lui.”
-Passamelo.-
“Sta guidando.”
Mark si chiese perché ogni volta che le chiedeva di fare
qualcosa, tirasse fuori tutte quelle storie.
-Metti il vivavoce.-
Philip passò una mano sul vetro per ripulirlo dalla condensa
ma i rivoli d'acqua che solcavano il finestrino deformavano tutto
ciò che era fuori. Non riusciva a credere che Jenny si
trovasse di nuovo con Gentile, che fosse a spasso con lui invece che a
preparare la valigia. Aveva davvero deciso di non partire?
Sentì Landers iniziare un concitato botta e risposta in
italiano e fu colto da un’ondata di rabbia. Era stanco di non
capire quello che dicevano le persone intorno a lui, di trovarsi in
balia della volontà altrui. Tutto ciò gli
trasmetteva un senso di impotenza molto simile a quello che aveva
provato quando aveva visto per la prima volta Jenny tra le braccia di
Gentile, lo stesso identico sentimento che lo aveva invaso quando lei
lo aveva allontanato per tornare sugli spalti dello stadio accanto alle
amiche e quando lo aveva respinto sulla pista di pattinaggio. Un senso
di impotenza che lo faceva sentire incapace di fare qualsiasi cosa per
indurla a tornare con lui in Giappone. Ci aveva provato allo stadio
quando l’aveva baciata, nascosti tra le colonne del
ristorante. Sperava che la notte precedente fosse servita a
convincerla, ma più Jenny si negava e più il filo
di speranza che ancora lo univa a lei si assottigliava.
Philip sentì Mark agitarsi sul sedile per riporre il
cellulare nella tasca dei pantaloni. Continuò a tacere, non
si volse. Non gli chiese nulla. Gli occhi fissi sulla strada che
scorreva alla sua destra, tornò a riflettere per
l’ennesima volta su cosa avrebbe dovuto tentare che non aveva
ancora provato perché Jenny salisse sul suo stesso aereo.
Gli tornarono in mente le sensazioni che gli aveva lasciato il corpo di
lei la sera precedente, le sue carezze e i suoi baci. Si maledisse per
non essersi svegliato prima che Jenny se ne andasse, prima che lo
lasciasse solo con i suoi dubbi e le sue angosce. Capiva che era
inutile illudersi che la giovane arrivasse all’aeroporto con
la valigia. Anche se non poteva fare a meno di sperarlo, era quasi
certo che quel giorno non sarebbe partita con loro. Lo aveva intuito
dall’espressione scoraggiata che le aveva letto negli occhi
quando allo stadio gli aveva chiesto se era andato a letto con Julie
Pilar. Lo aveva percepito nel momento in cui Mark aveva tirato fuori
dal cassetto della sua scrivania quella maledetta foto. Sentiva che
Jenny non si fidava, se n’era reso conto quando la sera prima
l’aveva vista ritrarsi più di una volta, lottare
con i sentimenti che provava per lui e la voglia matta di fuggire, come
se Philip rappresentasse un pericolo per la sua vita. Gli sembrava di
aver letto nei suoi occhi il terrore di soffrire e in
quell’istante aveva compreso che ricostruire il loro rapporto
sarebbe stato più complicato di quanto avrebbe mai creduto.
Oltre tutto questo, si rendeva conto che dopo quei lunghi mesi passati
da solo, lui per primo doveva mettere ordine nella propria vita e nella
propria testa, riordinare le priorità, ricostruirsi quel
futuro che, dopo aver lasciato Jenny, si era sgretolato. In Giappone
aveva lasciato troppe situazioni aperte, il suo ruolo in squadra che
aveva perso importanza diventando del tutto trascurabile, le feste di
Baird a cui aveva accennato Evelyn e, la più spinosa di
tutte, Julie Pilar. Il volto bellissimo e sorridente della fotomodella
gli apparve nella testa, insieme al desiderio di non rivederla. Il solo
pensare di stringerla di nuovo tra le braccia come era accaduto meno di
un mese prima, di passare la notte nel suo appartamento e nel suo letto
gli serrò lo stomaco di disgusto verso se stesso. Si chiese
come fosse riuscito a farlo per tutto quel tempo e si rese conto che
non avrebbe più potuto comportarsi così con
qualcuna che non fosse Jenny. Non voleva più.
Mark taceva pensando che aveva parecchie cose da farsi perdonare, la
prima tra tutte l’avergli tenuto nascosto che Jenny abitava
da mesi con lui. Sederglisi accanto era stato un segnale di pace, un
tentativo di ricucire un’amicizia che rischiava di spaccarsi
in modo definitivo. Fare quel genere di discorsi non era certo il suo
forte ma decise che ci avrebbe provato lo stesso. Era sicuro che
Callaghan avrebbe capito quanto gli costasse chiedergli scusa.
Dopo aver tentato di guardarlo attraverso il vetro appannato,
provò ad intavolare una conversazione, pronunciando per
prime le parole che faticavano ad uscire.
-Avrei dovuto dirti subito che Jenny era da me.-
Philip si volse a guardarlo con un movimento lentissimo e trafisse Mark
con uno sguardo colmo di ironia.
-Davvero? Ero sicuro che non l’avresti mai ammesso.-
A pensarci bene, però, a Philip non importava più
nulla che Landers gli avesse taciuto una cosa tanto importante. E non
gli interessava più neppure che si scusasse. La delusione
nei sui confronti era stata assorbita dalla decisione di rimettersi con
Jenny e dal terrore che lei lo lasciasse partire da solo.
Tornò a guardare fuori.
-Quando mi ha detto che vi eravate lasciati non le ho creduto.
L’hai lasciata tu, vero?- Callaghan restò
impassibile e Mark continuò -Comunque l’avevo
capito. Lei non lo avrebbe mai fatto. Tu l’hai fatta stare
male e ti ho odiato per questo. Jenny non se lo merita, non si merita
niente di ciò che le è successo.- strinse i
pugni, soffocando la stizza di sentirsi parlare da solo
-All’inizio ho deciso di non farti sapere che Jenny era con
me perché ero convinto che si sarebbe stancata presto di
Torino. Ero sicuro che nel giro di un paio di settimane sarebbe tornata
in Giappone.-
Si lanciò un’occhiata intorno chiedendosi se
qualcun altro li stesse ascoltando. Osservò per un istante
Tom seduto accanto a lui dall’altra parte del corridoio, gli
occhi chiusi in cerca di un po’ di riposo. Forse non stava
perdendo una parola, tale e quale a Peter Shake che non poteva vedere
ma che sapeva seduto davanti a loro.
-Quando ho capito che non l’avrebbe fatto, che aveva
intenzione di fermarsi, ormai era troppo tardi per avvertirti.-
-Smettila di dire cazzate, Landers. Dì piuttosto che ti
sentivi in colpa per la tua idilliaca convivenza con la mia ex ragazza
e che non hai avuto il coraggio di chiamarmi.-
-Faccio finta che non hai parlato. E se vuoi saperlo, dopo aver visto
la foto in cui sbaciucchiavi Pilar, mi è passata
completamente la voglia di avvertirti.-
L'altro ammutolì.
-Pensavo di conoscerti Philip, almeno un po’. E invece
più ci penso e meno riesco a spiegarmi come ti è
venuto in mente di metterti con quella.- Mark fremeva di rabbia. Il suo
tono di voce s’era abbassato -Ma soprattutto come ti
è saltato in testa di lasciare Jenny?-
Udendo finalmente le parole che ormai si aspettava da giorni, Philip
capì che lo sfogo dell’amico era terminato. Non
ebbe nulla da replicare. Tornò a fissare la strada che
scorreva al di là del finestrino e restò in
silenzio per tutto il resto del viaggio mentre accanto a lui Mark
sbolliva pian piano.
Il pullman arrivò all’aeroporto con le consuete
due ore abbondanti di anticipo.
-Passami lo specchietto.- ordinò Clifford alla cugina mentre
l'autista faceva manovra nel parcheggio coperto riservato agli autobus.
-Che ci devi fare?-
-Non vedi che è pieno di giornalisti?-
Evelyn frugò nella borsetta e porse lo specchio a Yuma.
-Se vuoi posso darti anche il rossetto.-
-Idiota.- rispose a mezza voce lui, dandosi un'occhiata al ciuffo. Lo
trovò in ordine e restituì lo specchio alla
ragazza.
-Qualcun altro ha bisogno di rifarsi il look?- rise lei agitandolo in
aria e rendendo pubblico ciò che il cugino avrebbe voluto
far passare in sordina.
-Dai qua.- Jason Derrick glielo sfilò di mano e lo
avvicinò a Julian, in piedi a recuperare i propri pacchi dal
portaoggetti.
-Ne hai bisogno per le tue fan?-
-Piantala imbecille.-
Scesero l’uno dietro l’altro e si accalcarono sul
fianco della vettura per riprendere ciascuno il proprio bagaglio che si
era sparpagliato ovunque, sballottato nel ventre capiente
dell’autobus.
-Dove sono i facchini?- domandò Bruce guardandosi intorno.
-Sei sempre stato un fannullone, ma non mi aspettavo fino a questo
punto.- Bob Denver lo spintonò nel vano bagagli e lui, per
recuperare la propria valigia, fu costretto a scaricarne almeno altre
cinque.
Si tirò su accaldato, passandosi la manica della giacca
sulla fronte.
-Ve l'avevo detto che ci volevano i facchini.-
-Togliti di mezzo Harper, sei d'intralcio e per di più
completamente inutile.- Benji lo scostò da parte.
-Ma se ho scaricato mezzo pullman!-
-Infatti, hai preso le valigie di tutti tranne la mia.-
Bruce sparò una pernacchia al portiere, poi si
allontanò dalla ressa.
-Cazzo Johnny! Mi hai massacrato un piede!- ululò James
tirandosi indietro per sfilare la scarpa da sotto la rotella del
pesantissimo trolley di Mason -Che cavolo hai messo in valigia?-
-Souvenir per tutti i miei parenti. Ho perlomeno sette chili di pasta.-
-Stamattina ha svuotato un supermercato...- li mise al corrente Paul
Diamond ridendo.
-Ti fa male il piede?-
-Un male cane!-
-Fortuna che la partita è stata ieri.- lo consolò
il gemello -Altrimenti saresti dovuto restare in panchina.-
-Bravi, infortunatevi adesso che abbiamo giocato.- approvò
anche Holly. Recuperò la propria valigia e quella di Patty
mentre Sandy Winter, pungolato da Yuma con un calcio nel sedere,
s'infilava carponi all’interno del ventre capiente del
pullman. Clifford non aveva dimenticato lo scherzo architettato da
Bruce e dai gemelli Derrick e dei quali, aprendo loro la porta, Sandy
si era reso complice. Il ragazzo cercava di stargli alla larga il
più possibile ma nella mischia gli era capitato davanti e
Yuma, che lo puntava, ne aveva naturalmente approfittato.
La sfortuna del gigante della Hirado fu che Evelyn se ne accorse.
-Vuoi lasciarlo in pace, Clifford? Sono due giorni che lo stai
martirizzando.-
Yuma fissò la cugina con uno sguardo falsamente innocente
mentre il compagno gli allungava timidamente la borsa.
-Chi, Eve?-
-Sandy. Non trattarlo così!-
-Così come?- insistette Yuma lanciando un’occhiata
distratta a Ed che si avvicinava.
Warner recuperò la propria valigia e, visto che
c’era, avvicinò ad Amy la sua che era finita fuori
mano. La ragazza, pur sporgendosi sotto i portelloni sollevati, non
riusciva a raggiungerla.
Benji lo osservò sorridere mentre lei lo ringraziava e lo
maledisse per l'ennesima volta di avergli fregato mezza partita. Mentre
si voltava stizzito per proseguire verso l'ingresso dell'aeroporto si
scontrò con Philip che invece esitava.
-Cos'hai?-
-È pieno di giornalisti.-
-Come al solito, di che ti meravigli?- in prima fila scorse Steiner, la
macchina fotografica che gli copriva parte del viso mentre li
immortalava, ma nonostante ciò abbastanza vicino da essere
facilmente riconoscibile -Ignoralo, se lo fissi va a finire che nelle
sue foto vieni bene.-
Anche Amy non amava particolarmente i giornalisti, in generale odiava
la notorietà, soprattutto perché Julian ne aveva
già abbastanza per entrambi. Si tenne in fondo al gruppo,
cercando di passare inosservata o quasi. Del resto nessuno dei
fotografi era interessato a lei. Varcato l'ingresso dell'aeroporto, si
guardò intorno alla ricerca di Jenny, tante volte l'amica le
avesse precedute e fosse già lì. Non la vide da
nessuna parte e tornò a chiedersi se sarebbe venuta.
Continuò a guardarsi intorno ansiosa per una buona mezz'ora.
I ragazzi avevano radunato i bagagli in un angolo e si erano
sparpagliati nell'ampio e luminoso atrio in attesa che il check-in
aprisse per imbarcare le valigie. Non c'era un volo diretto fino a
Tokyo, avrebbero dovuto fare scalo a Londra, attendere un'ora e mezza
la coincidenza e proseguire con la Japan Airlines. Sarebbero arrivati
all'ora di pranzo del giorno successivo. Non era per niente impaziente
di fare quel volo lungo ed estenuante e sperava di riuscire a dormire
per buona parte del viaggio. Si avvicinò a Mark che, al
contrario dei compagni eccitati dalla partenza, non aveva niente da
fare e bighellonava annoiato senza meta su e giù per
l'androne.
-Jenny, non arriva. Fai qualcosa.-
Lui la guardò dall'alto in basso.
-Mi dispiace, Amy. Ho dimenticato la bacchetta magica a casa.-
-Almeno chiamala!-
-Ancora? Ci ho parlato poco fa e mi ha assicurato di essere per strada.-
Philip strinse i pugni, per dar sfogo alla tensione che percorreva il
suo corpo. Si chiese perché Jenny fosse sparita per tutto il
giorno. Che fine aveva fatto? Che diavolo stava combinando?
Un’insistente vocina carica di speranza continuava a
sussurrargli che forse si sarebbe presentata con la valigia e sarebbe
tornata indietro con lui. Ma più lei tardava e
più quella vocina si faceva flebile. Alzò gli
occhi su Mark che fissava teso le entrate dell'aeroporto, si fece
contagiare dalla sua espressione preoccupata anche se era quasi sicuro
che Jenny all'aeroporto sarebbe venuta. Almeno per salutarli. Un
contrattempo avrebbe potuto trattenerla, o farla arrivare troppo tardi
ma lui era quasi certo che si sarebbe presentata. Forse non sarebbe
partita con loro, ma entro poco sarebbe apparsa.
Nel momento in cui il cellulare rispuntava tra le dita impazienti di
Landers, Amy balzò in piedi e corse verso le entrate,
travolgendo Jenny in un abbraccio di sollievo. Salvatore accolse
divertito l'impeto della ragazza.
-Vedi Jenny? Abbiamo fatto talmente tardi che non ci speravano
più!-
Lei sorrise, cercando di liberarsi con gentilezza dall'abbraccio di Amy
nonostante le buste che portava appese alle braccia.
-Avevo paura che non venissi, mi hai fatta preoccupare da
morire…-
-Mi dispiace, abbiamo trovato un traffico pazzesco. Anch'io temevo di
non arrivare in tempo per darvi questi.- agitò le buste
nelle mani.
-Cos'hai portato?-
-Dei regali per te, Patty ed Evelyn.-
Amy arrossì.
-Dei regali? Ma non dovevi!-
-Perché no?-
Amy notò i nomi delle marche riprodotti sulle buste.
-Jenny, non dovevi… Ti sarà costato una fortuna.-
-Ho speso il giusto, non preoccuparti. E se l'ho fatto è
perché ho potuto.-
La curiosità spinse Patty ed Evelyn accanto a loro.
-Jenny ci ha portato dei regali.-
-Grazie Jenny, è stato proprio un bel regalo portarlo
all'aeroporto.- Evelyn fissava Gentile con occhi adoranti
-Così ho potuto vederlo dal vivo ancora un'ultima volta.-
-Oltre a Salvatore ti ho portato anche questo.- rise Jenny mettendole
in mano una busta.
-Ti dispiace se lo apro dopo? Adesso voglio dedicare i miei ultimi
istanti in Italia all'altro regalo.-
-Fai pure...- si rivolse a Salvatore che le era rimasto accanto ma
chattava con qualcuno al cellulare -Evelyn vorrebbe ringraziarti per
l'intervista e salutarti.- gli disse prendendolo per un braccio e
spingendolo verso l'amica.
Lo sguardo azzurro di Salvatore si spostò sulla ragazza,
l'abbagliò con un sorriso seducente e si chinò
per baciarla sulle guance. Quando si scostò Evelyn era
sconvolta, impietrita, bianca come un cencio. Si portò le
mani al viso, diventando d'un tratto paonazza.
-Non ho mai ricevuto un regalo d'addio così bello!-
mormorò vacillando indietro perché le gambe non
reggevano l'emozione.
-Eve!- la voce di Bruce raggiunse la sua coscienza, fastidiosa come il
ronzio di una mosca -Che stai facendo?- ovviamente lo ignorò.
La reazione di Evelyn aveva divertito Salvatore.
-Devo salutarle così tutte e tre?- chiese perplesso
perché quante volte gli aveva detto Jenny che per salutarsi
i giapponesi, non si baciavano mai?
-No, basta Evelyn, lei è una tua fan sfegatata.-
Gentile annuì e riservò a Patty ed Amy una
calorosa stretta di mano.
-Mi allontano un attimo, devo fare una telefonata urgente...- si
scusò.
Jenny gli sorrise, poi si rivolse a Patty consegnandole due buste.
-Il vestito della serata di beneficenza ti stava d'incanto. Molto
meglio che a me, il rosso non mi dona. Prendilo, troverai sicuramente
il modo di indossarlo.-
-Ma Jenny, scherzi? Ti sarà costato un patrimonio!-
-Mi sono tolta uno sfizio, ma sono felice di donarlo a te. Ho cercato
una borsetta che fosse adatta ma non troppo elegante in modo che tu
possa usarla anche in altre occasioni. Spero che ti
piacerà.-
Evelyn si domandò se per poter far loro quei regali Jenny
avesse chiesto un prestito a Gentile. L'associazione di idee la spinse
a cercare il ragazzo biondo che l'aveva baciata per ben due volte e non
lo trovò da nessuna parte. Forse era uscito per parlare al
telefono più liberamente. Se ne dispiacque, avrebbe voluto
bearsi della sua bellezza ancora per un po'. Tornò a
guardare Jenny.
-Quando tornerai in Giappone?-
-Non lo so.-
Il disagio la spinse a distogliere gli occhi da loro, finendo per
incrociare proprio lo sguardo di Philip. Lui la osservava da
chissà quanto ma quando i loro occhi s'incontrarono, si
affrettò a voltarsi di spalle. Un istante prima che lui
interrompesse quel contatto, a Jenny sembrò di leggergli in
faccia un'espressione carica di accuse. Un senso di imbarazzo e di
mortificazione la investì in pieno e le sembrò
d'un tratto di sapere ciò che stava pensando. Si chiese fino
a che punto il suo comportamento lo stesse ferendo: passare un'intera
notte a letto a rotolarsi con lui sotto le coperte e poi arrivare in
aeroporto accompagnata da Salvatore, mostrandosi del tutto indifferente
nei suoi riguardi, come se tra loro non fosse accaduto nulla, come se
per lei ciò che c'era stato la sera precedente non avesse
alcuna importanza.
Amy, consapevole che il momento per farle cambiare idea era ormai
passato, le prese una mano e gliela strinse tra le sue.
-Non sparire di nuovo. Ogni tanto fammi sapere che sei viva.-
Jenny si chiese se ne sarebbe stata capace. Cercò di nuovo
Philip. Lanciargli occhiate, seppur furtive, era diventata una
necessità urgente, quasi a volersi scusare, quasi a volergli
far capire che la notte che avevano trascorso insieme per lei era stata
importante ma c'erano altre cose a trattenerla. Più i minuti
passavano e più si avvicinava il momento in cui Philip si
sarebbe allontanato, di nuovo e definitivamente, serbando un terribile
ricordo del loro ultimo incontro. Così come cercava i suoi
occhi per scusarsi, nello stesso tempo per Jenny era diventato
urgentemente necessario non incrociare il suo sguardo per non sentire
ancora più male.
Ma Philip, profondamente ferito dal suo fare scostante, smise
definitivamente di cercarla e si arroccò sulla difensiva. Da
quel momento in poi, ogni volta che Jenny gli dedicava un'occhiata, lo
trovava voltato o intento a parlare con qualcuno dei compagni. La
ignorava come in quegli ultimi giorni non aveva più fatto,
come se fosse trasparente, come se non esistesse, come se non fosse
lì. Come se non la conoscesse, come se quella notte l'avesse
passata nella sua camera d'albergo e non con lei. In un attimo era
tornato tutto esattamente come prima.
Lo vide avviarsi con i compagni verso il banco del check-in, depositare
la valigia sul nastro e porgere alla hostess il passaporto e il
biglietto. Le salirono le lacrime agli occhi. Se ne stava andando senza
tentare più nulla per portarla via con sé. Forse
si era stancato dei suoi rifiuti, forse aveva rinunciato, o magari si
era reso conto che non l'amava abbastanza. Magari lo aveva capito
proprio durante quella notte appena trascorsa, mentre facevano l'amore.
Lo scorrere rapido di pensieri disfattisti le impedì di
rendersi conto che la decisione di non tornare insieme era anche sua,
che Philip sperava che fosse lei, stavolta, a fare un passo verso di
lui. Pensò soltanto che Evelyn aveva avuto torto, che lei
stessa era stata una stupida a illudersi.
Sentì qualcuno circondarle le spalle con un braccio. Non
ebbe bisogno di voltarsi per capire che si trattava di Salvatore.
-Ho parlato con la mia ex, stamattina.-
Jenny finse di cadere dalle nuvole e mostrò una gioia che in
quel preciso momento non riusciva a provare neppure sforzandosi.
-Avete fatto pace?-
Un moto di orgoglio gli illuminò gli occhi.
-Assolutamente no. Non è così facile
riconquistarmi.-
Il suo sorriso stavolta fu leggermente più spontaneo.
-Davvero?-
-Ricominceremo da capo, come se non ci conoscessimo. E stavolta lei
dovrà essere molto ma molto convincente.-
Patty non riusciva a raccapezzarsi. Philip non stava facendo niente per
cercare di riavvicinare Jenny. Se non avesse assistito con i propri
occhi alla scena sulla pista di pattinaggio, non avrebbe mai creduto
che appena due giorni prima lui avesse tentato di riportarla a
sé. Perché la ignorava? Perché non
faceva un ultimo tentativo per convincerla a tornare con lui? Eppure le
sembrava che Jenny non aspettasse altro per imbarcarsi sullo stesso
volo, nonostante si sforzasse di nascondere ciò che provava
davvero. Patty aveva riconosciuto lo sguardo con il quale continuava a
cercare quello impenetrabile di Philip perché aveva visto
tante volte brillare qualcosa di simile negli occhi dell'amica quando
erano ancora insieme. E le si stringeva il cuore a non poter fare nulla
per loro.
Kirk Pearson si avvicinò a Jenny per salutarla.
-Mi ha fatto piacere trovarti qui. Spero di rivederti in qualche altra
occasione.-
-Arrivederci.- rispose stringendogli la mano.
Anche Gamo e Freddie, e ovviamente il resto della squadra, ebbero una
parola per lei.
-Quando tornerai in Giappone vieni a vederci giocare.- la
invitò Clifford -Sei sempre la benvenuta a tutti i nostri
incontri. Qui in Italia la tua presenza a bordocampo è stata
un piacere per gli occhi.-
-Smettila con le sviolinate, Yuma, tanto Jenny non si lascia incantare
da un orso come te.- lo zittì Bruce strizzandole nel
contempo un occhio.
-Sappi che quando ti sarai stufata di Gentile e di Landers, mi troverai
disponibile.-
-Lascia stare, non reggi il confronto con nessuno dei due.-
-Evelyn, vai a farti un giro.-
-Sì, possibilmente verso il banco del check-in. Mancate
soltanto tu ed Amy, gli altri hanno già imbarcato
le valigie.-
-Andiamo, andiamo Tom. Non ti agitare.-
Jenny rimase dov’era ad osservare le due amiche che
ritiravano le carte d'imbarco e depositavano i bagagli sul nastro. Solo
quando vide Clifford, i gemelli Derrick, Alan e Marshall mettersi in
fila per il controllo del metal detector, ebbe la forza di prendere
atto che sarebbe rimasta di nuovo sola. Fece uno sforzo enorme per
trovare il coraggio di restare fino all’ultimo. Con un tuffo
al cuore seguì Philip con lo sguardo. Senza voltarsi
indietro neppure una volta, un’espressione impenetrabile e le
labbra serrate, il ragazzo oltrepassò il varco della
sicurezza. Philip se ne stava andando e lei non stava facendo nulla per
seguirlo. Philip se ne stava andando e non stava facendo nulla per
riprenderla con sé. Quando non poté scorgerlo
più, un senso di panico le attanagliò lo stomaco.
-Torna presto…- si raccomandò Amy con gli occhi
lucidi di lacrime.
Jenny annuì perché in quel momento non poteva
fare altro. Non riuscì a dire nulla, la voce le si era
bloccata in gola formando un groppo che non le andava né su
né giù.
-Grazie per i regali. L'ultimo che mi hai fatto è
impagabile.- Evelyn l'abbracciò e ne approfittò
per sussurrarle alcune parole all'orecchio -Non dimenticare quello che
ti ho detto ieri sera in discoteca.-
Peter Shake si avvicinò a Philip che procedeva isolato dagli
altri. Il suo viso, da quando Jenny era arrivata in aeroporto, si era
trasformato in una maschera inespressiva e pure sforzandosi, non
riusciva a farsi un'idea di ciò che stava provando. Ma
Grace, su Skype, insisteva per parlargli, così non
poté fare altro che accostarsi e porgergli il cellulare.
A Philip prese quasi uno scompenso quando vide chi lo stava osservando
dallo schermo del telefonino del compagno. Grace era lì,
impettita, in quella che doveva essere la sua camera, seduta al tavolo
davanti al pc. Alle sue spalle una parete bianca, l'angolo di una tenda
e sul muro delle mensole con i libri. Non la salutò, neppure
lei lo fece.
“Solo due domande, Philip. Dove sei?”
Dal tono che usò, scandendo le parole e misurando la voce,
lui capì che doveva essere furibonda. Si ripromise di
maledire Peter, che si era prudentemente allontanato da loro e non si
vedeva da nessuna parte. Dopo avergli mollato Grace, doveva essere
scappato. Philip si tirò su un lato del lucido corridoio e
si appoggiò contro la vetrina del duty-free, sperando che la
parete l'avrebbe aiutato a sostenere la collera dell'amica.
-In aeroporto.-
Lei annuì, del resto lo sapeva già. Quella che
contava era la domanda numero due.
“Bene. E dov'è Jenny?” lui tacque,
perché anche quella era una domanda retorica “In
Italia dovevi fare solo una cosa, Philip: prendere Jenny e riportarla a
casa.”
Lui si sforzò di mantenere la calma.
-Come, Grace? Mi spieghi come? Jenny non è una valigia che
si prende e si porta. E poi, se volevi davvero che tornassi con Jenny,
perché non mi hai avvisato che era qui? Sono sicuro che lo
sapevi. Avrei potuto escogitare un piano.-
“Hai avuto dieci giorni per pianificare. E a cosa sono
serviti se adesso stai partendo da solo? In Italia non hai pareggiato,
hai perso. Adesso passami Peter.”
Lui obbedì all'istante. Cercò il compagno. Lo
scorse poco più avanti a fingere di valutare una selezione
di pregiati vini italiani. Lo raggiunse e gli mise in mano il cellulare.
-Grazie, sei un vero amico.- lo fulminò con un'occhiataccia
e si allontanò depresso e stizzito, anzi più
stizzito che depresso.
Camminò spedito al centro del corridoio, incurante dei
compagni che si attardavano a curiosare nei duty-free. Gli occhi fissi
sui cartelli indicatori appesi al soffitto, si fermò
soltanto quando ebbe raggiunto il gate d’imbarco. Si
lasciò cadere su una delle poltroncine e fissò lo
schermo che indicava le destinazioni e gli orari dei voli, sforzandosi
di sopprimere i sentimenti negativi che provava. Non era in grado di
spiegarsi cosa lo avesse spinto a mostrarsi così
indifferente alla decisione di Jenny di restare a Torino. Che cosa lo
avesse frenato quella mattina dal chiedere a Mark il suo numero di
cellulare per chiamarla e convincerla a tornare in Giappone con lui.
Cosa gli avesse impedito, quando l’aveva vista arrivare
all’aeroporto con Gentile, di avvicinarsi e parlarle, di
abbracciarla e di baciarla, incurante dei compagni, dei giornalisti,
dell'italiano e di chiunque altro, per dimostrarle una volta per tutte
che l’amava e non sopportava più di vivere senza
di lei.
Perché Jenny quella mattina se n’era andata senza
aspettare che si svegliasse? Perché non aveva preparato la
valigia? Eppure quella notte era andato tutto liscio, quella notte
aveva dimostrato che erano fatti l’uno per l’altra,
Jenny avrebbe dovuto capirlo. Era sicuro che se lei avesse voluto,
sarebbero persino riusciti a trovare un posto sullo stesso volo.
L’avrebbe pagato qualsiasi prezzo, non gli sarebbe importato,
purché la ragazza tornasse con lui a Furano. Ma lei pareva
non averci neppure pensato. In quell’attimo in cui era
riuscito ad incrociare i suoi occhi, le aveva letto in volto un vago
senso di colpa. Colpa per cosa? Non capiva. Per un istante si chiese se
la sera precedente non avesse finto e basta. Finto di star bene con
lui, finto di provare sensazioni che invece non aveva provato. Finto di
amarlo. Un’idea del genere, che rappresentava il suo incubo
peggiore da quando era successo il fatto di Kyoto, gli fece gelare il
sangue nelle vene. Non era possibile e non voleva prendere neppure in
considerazione una simile eventualità. Ci aveva rimuginato
per mesi e ci era stato malissimo, convinto che dopo la violenza di
McFay, lei non potesse più sopportare di essere toccata. No,
Jenny non avrebbe mai finto in un momento simile, non poteva esserne
capace. Ripensò alla Jenny di quell’ultimo
periodo, alla Jenny che aveva trovato a Torino, e si domandò
quanto conoscesse davvero la ragazza. In quei giorni ne aveva dubitato
più di una volta. Aveva avuto spesso l'impressione di avere
davanti una Jenny completamente diversa, una Jenny mai vista. Ma non
poteva essere possibile che lei avesse finto d’amarlo,
accidenti! L’indignazione gli attraversò gli occhi
con un lampo. Non poteva crederci. Eppure che altro motivo aveva per
non voler tornare in Giappone con lui? Fremette di frustrazione per
essere stato respinto, umiliazione di sentirsi abbandonato, collera di
ritrovarsi ancora solo mentre i compagni erano al duty-free a comprare
gli ultimi ricordi dell’Italia insieme alle loro fidanzate.
Respirò a fondo e mentre lo faceva gli comparve di nuovo
nella mente il volto di Jenny che la sera prima gli sorrideva mentre la
stringeva tra le braccia, gli occhi pieni d’amore. Si
passò una mano sul viso e cercò di ragionare,
perché disperarsi e arrabbiarsi non sarebbe servito a
niente. Philip doveva riflettere. Anche se adesso non la trovava
perché non riusciva a pensare in modo lucido,
c’era sicuramente una spiegazione al comportamento di Jenny.
C’era certamente un motivo per cui aveva scelto di non
tornare. Doveva rifletterci con calma e sicuramente avrebbe capito. E
dopo aver capito le avrebbe concesso un po’ di tempo per
consentire anche a lei di farlo, di rendersi conto che il loro futuro
era insieme. Le avrebbe dato lo stesso tempo che si sarebbe preso lui
per mettere ordine nella sua vita. Un mese. Forse due. Magari fino
all’estate. E poi, libero dagli impegni con la squadra, se
nel frattempo Jenny non fosse tornata in Giappone con le sue gambe
sarebbe andato a riprendersela. Sapeva dove trovarla e se ne sarebbe
infischiato se stava ancora con Gentile. L’avrebbe convinta a
seguirlo e l’avrebbe riportata a Furano dove avrebbero potuto
ricominciare tutto da capo.
-Ce ne andiamo, Jenny?- Mark era arcistufo di bighellonare per
l'aeroporto. Il grosso della squadra era sparito verso i gate e adesso
che Philip se n'era andato lasciando la sua ex a Torino, non aveva
più senso stare lì -È ora che Gentile
ci riporti a casa, visto che l’unica cosa che dovevamo fare
è andata in malora.-
Benji s'incuriosì.
-Di cosa stai parlando, Landers?-
-Della partenza di Jenny.- abbassò gli occhi
sull’amica, era sconvolto dall'irritazione. Niente di
ciò che aveva tentato per farla rimettere con Callaghan era
andato in porto. L'ex coppia aveva boicottato ogni suo tentativo e
tutti quelli dei compagni. Persino la trovata geniale che Evelyn aveva
escogitato la sera prima non aveva raggiunto nessun risultato -Cosa sei
rimasta a fare qui? Perché non sei partita con loro? Quanto
ancora pensi di fermarti a casa mia?- la sua voce si caricò
di indignazione, alzandosi di un tono -Dovresti essere su
quell’aereo del cazzo, non qui! Dovresti essere con
Callaghan, non con questo cretino che ti porti sempre dietro!-
indicò Salvatore che parlava al telefono poco lontano.
I ragazzi rimasero così attoniti per la sfuriata di Mark che
non notarono il sorriso beatamente idiota con cui l'affascinante
italiano si rivolgeva al suo interlocutore, anzi, alla sua
interlocutrice.
-Il tuo posto non è in Italia, non è con lui e
soprattutto non è a casa mia!-
Gentile si avvicinò nel momento in cui Mark riprendeva fiato
prima di riprendere la tirata contro Jenny.
-Scusate… un impegno imprevisto.- disse in inglese
rivolgendosi un po’ a tutti -Devo scappare, tanto tu e Jenny
tornate insieme, no Landers? Buon viaggio, Price, Hutton…
Patty.- strizzò un occhio alla ragazza e scappò
via.
-Vaffanculo pure tu!- gli gridò dietro Mark in giapponese,
tanto non gli interessava che capisse. Voleva solo sfogarsi -Io torno a
casa, Jenny. Non ho nessuna intenzione di aspettare l’aereo
di Price. Saluti a tutti.- disse e anche lui sparì nel giro
di un microsecondo.
-Cafone!- Patty esplose indignata -Jenny, prepara i bagagli e vieni da
noi! La nostra casa è grande e potrai restare
finché ne avrai voglia.-
Holly la fissò leggermente stralunato.
-Avevo intenzione di fare dei lavori... Naturalmente sei lo stesso la
benvenuta, Jenny.-
Marito e moglie si guardarono.
-Che tipo di lavori Holly? Quando lo hai deciso?-
-Non ho deciso niente, prima te ne avrei parlato. Pensavo di
riorganizzare gli spazi, le stanze...- passò il peso del
corpo da un piede all'altro a disagio -Per quanto la nostra famiglia si
allargherà.-
Patty si irrigidì.
-Per il momento non si sta allargando, mi sembra prematuro.-
-Io credo però che in questo caso sia meglio organizzarsi
prima. Ci ho pensato stamattina mentre visitavamo il borgo medievale...-
Benji e Jenny, che tacevano per lasciar spazio a quello scambio di
opinioni tra i due coniugi, si scambiarono un'occhiata. Poi il portiere
scoppiò a ridere.
-Non riesco a trovare il nesso tra la visita di un castello e
l'esigenza di riprodursi.-
Holly divenne scarlatto.
-C'erano dei bambini, così mi è venuto in mente
che forse è il caso di cominciare a pensare a come
organizzarci, nel caso.-
Patty occhieggiò Jenny, confusa e a disagio, per tornare poi
a rivolgersi a Holly.
-A parte il fatto che si tratta di progetti prematuri visto che non
c'è nessun bambino in arrivo, non credo che sia il momento
giusto per parlarne. A Jenny e Benji non interessa come intendi
sistemare casa.-
-Figurati Patty.- riprese Price con una vena d'ironia -Jenny ed io ci
spostiamo su altre sedie e vi lasciamo alle vostre questioni familiari.-
-Non disturbarti, Benji.- Patty era seccata e si vedeva -Non
c'è altro da dire...- fulminò il marito con
un'occhiata -Almeno adesso. E l'invito a venire da noi è
ancora valido, Jenny. Non puoi continuare a restare con quel cafone di
Mark.-
-Non pensi che prima di noi ci sia Salvatore Gentile a reclamarla?-
cercò di farla ragionare lui -Stanno insieme, no?-
La ragazza ammutolì. All'italiano non aveva proprio pensato.
-Ti ringrazio Patty, ma stai tranquilla. Quando arriverò a
casa, a Mark sarà già passata.-
-Pretendi le sue scuse!-
-E poi che se ne fa?- domandò Benji piatto.
-Patty, hanno aperto i gate. Possiamo fare il check-in.- Holly
attirò la sua attenzione sui tabelloni
dell’aeroporto che indicavano il numero del banco assegnato
all’Iberia.
Lei annuì e fissò Jenny.
-Guai a te se ti muovi, non ti ho ancora salutata. Ci liberiamo delle
valigie e torniamo.-
-Tranquilla Patty.- la rassicurò Benji -Il mio volo
è tra un'ora e mezza.-
-Cosa c’entri tu?-
Il portiere fissò Jenny.
-Non resti a farmi compagnia?-
-Devo?-
-Mi pare il minimo, dopo tutto quello che ho fatto per te.-
-Rammentami cosa, ho un vuoto di memoria.-
-Questa tua vena ironica deve essersi sviluppata in Italia visto che
proprio non la ricordavo… Comunque ti ho salvata da Steiner,
la sera della partita della Juventus. Ricordi?- Jenny annuì
suo malgrado e lui si guardò intorno -Perché non
ci sediamo da qualche parte? L’attesa è lunga e
noiosa, meglio renderla comoda.-
-Siamo già seduti.-
-Da qualche parte dove si possa bere qualcosa.-
Patty li raggiunse al bar.
-Eccomi. Di cosa stavamo parlando?-
-Della ristrutturazione della tua casa.-
Lei lanciò un'occhiata al marito che stava ritirando le
carte d'imbarco.
-Holly e io ne parleremo quando saremo a Barcellona.-
Jenny annuì.
-Mi sembra giusto, sono affari privati.- e forse l'amica avrebbe
trovato il modo di confessargli ciò che aveva detto a lei
durante la serata di beneficenza, vale a dire che in quel momento non
voleva nessun bambino. Forse inizialmente Holly ci sarebbe rimasto
male, ma Jenny era sicura che poi avrebbe capito le ragioni della
moglie e le avrebbe accettate.
-Quando ti sarai stancata di Gentile o del caratteraccio di Mark, vieni
a trovarci a Barcellona.- la invitò di nuovo Patty. La
presenza di Jenny l'allettava, avrebbero potuto fare insieme tante
cose, era sicura che si sarebbero divertite.
L'altra annuì ma lasciò cadere l'argomento quando
si accorse che Holly si stava avvicinando. Patty fu abbastanza saggia
da fare lo stesso.
-Andiamo?- sollecitò il ragazzo -Se ci sbrighiamo riusciamo
a raggiungere gli altri prima che si imbarchino.-
-Non li hai già salutati?-
Holly fissò la moglie, chiedendosi se avrebbero finito per
litigare solo per averle proposto degli stupidi lavori che, in fondo
aveva ragione lei, potevano benissimo aspettare.
-Abbiamo già salutato anche Benji e Jenny. E poi suppongo
che Jenny vorrà tornare a casa prima che diventi troppo
tardi.-
Lei si alzò.
-Holly ha ragione, Patty. Sta facendo notte e continua a piovere. Vai
anche tu, Benji?-
-Preferisco restare da questa parte finché non
partirà il volo per Londra. Ne ho abbastanza di loro.-
C'era acredine nella sua voce e Holly, incapace di rispondersi se al
suo posto avrebbe provato le stesse sensazioni, non si sentì
di criticarlo. Il portiere non accennò ad alzarsi e si
limitò a salutare i due che si allontanavano.
Jenny tentennò indecisa. Che fare? Tornare a casa a godersi
il resto della sfuriata di Mark, oppure fare tardi e restare in
compagnia di Benji fino alla partenza del suo volo? Si
lasciò cadere sulla sedia, decidendo per la seconda.
-Va bene, ti mostrerò la mia gratitudine aspettando con te.-
-Secondo me è l'unica scelta possibile, oltre che la
migliore. Al tuo posto non correrei a farmi urlare in faccia da quel
cretino di Landers. Ma a questo proposito il mio consiglio parte dalle
basi. La tua meta doveva essere un'altra fin dall'inizio. Io non avrei
mai parcheggiato le mie cose a casa sua neppure se fosse stato l'ultimo
coglione rimasto sulla terra.-
-Fortuna che non sei me.-
-Non so cos'hai in mente di fare, come hai progettato di organizzare il
tuo futuro... ma pensaci bene prima di diventare la donna di Landers.-
Jenny divenne paonazza.
-Scherzi? Non lo farei mai!-
-Buon per te. La famiglia di Landers dipende economicamente da lui al
cento per cento. Saresti costretta a dividere i suoi profitti, oltre
che il suo tempo, con i fratelli e la madre. All'inizio le cose
potrebbero anche funzionare ma poi finireste per litigare.-
-Non ho intenzione di mettermi con Mark. Te l'assicuro.-
-Ottima scelta. Non ci ricaveresti niente di buono.-
Parlarono del più e del meno per una mezz'ora, entrambi
più coinvolti dalle preoccupazioni di ciascuno che da uno
strascico di conversazione che faticavano ad intavolare. Ad un certo
punto, spostando gli occhi sul tabellone delle partenze, Benji si
accorse che avevano aperto il check-in del volo per Amburgo.
Si alzò e afferrò la valigia, trascinandola con
sé. Imbarcò il bagaglio, poi tornò da
lei che lo aspettava. S'incamminarono insieme verso l'ingresso ai gate,
preceduto dal controllo del metal detector.
-Su una cosa Landers aveva ragione.- riprese lui fermandosi da una
parte per non intralciare il passaggio degli altri viaggiatori -Oggi
dovevi tornare in Giappone.-
-A fare cosa?-
-Jenny…- lui pronunciò il suo nome con un sospiro
paziente e la guardò come avrebbe guardato una
bambina che tardava a capire -Davvero sei convinta che Philip ti abbia
lasciata perché si è stancato di te?
Perché non ti ama più?-
Lei osservò le persone che li superavano, un gruppo di
ragazzi sorridenti con enormi zaini da scout, una donna velata seguita
da due bambini dalla carnagione color caffellatte, un uomo in giacca e
cravatta con una ventiquattrore da agente segreto. Rispose piano, la
voce che faticava ad uscire.
-Non so perché mi abbia lasciata.-
Benji le mise una mano sulla spalla e strinse piano, in un gesto
d'incoraggiamento e insieme di saluto.
-Pensaci, ci puoi arrivare.-
Con la mano le risalì fino alla guancia e le diede un
buffetto. Poi si volse, varcando le porte inaccessibili a chi era
sprovvisto della carta d'imbarco.
Jenny lo vide attraverso i vetri sfilarsi la giacca a vento con un
movimento fluido, i muscoli delle braccia e della schiena guizzare
sotto il cotone della felpa. Posare tutto sul vassoio di plastica
apposito, svuotare le tasche dal portafoglio e dal cellulare e varcare
indisturbato il metal detector. Si scambiarono una nuova occhiata
mentre Benji si rivestiva e riprendeva le proprie cose, Jenny
sollevò una mano in un segno di saluto e lui
ricambiò. Restò per qualche istante ad osservare
la sua figura di spalle che si allontanava. La sua schiena dritta e
slanciata, le braccia che ondeggiavano sicure in armonia col ritmo del
suo passo. Poi tra loro si mossero altri viaggiatori e Benji
sparì.
Allora lei si volse per andarsene, il vuoto che si sentiva addosso
diventato immenso, determinata a non arrovellarsi sui perché
che l'amico le aveva gettato addosso a tradimento un attimo prima di
lasciarla sola. Ci aveva già pensato troppo senza riuscire a
raccapezzarsi e adesso che Philip, la sua tentazione, non era
più lì, aveva bisogno di riprendere il controllo
di se stessa e soprattutto di una vita decentemente normale. Non voleva
pensare a cosa le riservava il futuro, tanto era sicura che, senza
Philip, non le sarebbe piaciuto.
…Fine