Cap. 2 - Azzurro
Cap. 2 - Azzurro, sempre
più azzurro
Non
ci aveva messo
molto a trovare l’aula di inglese, sicuramente meno dei dieci
minuti che sapeva
di avere a disposizione, eppure, entrando, la trovò
desolatamente vuota.
Samantha si guardò
attorno, alla ricerca di una spiegazione: la lezione sarebbe dovuta
iniziare di
lì a poco eppure non c’era ombra del
simpaticissimo –si
fa per dire- professor Wood, né, tantomeno, dei
suoi allievi.
- Ehi bella! Sei
nuova? –
Sam prese un respiro
profondo, prima di voltarsi. Se qualcuno le avesse fatto quella stessa
domanda
per la terza volta nel giro di una mattinata, si sarebbe ritrovato, o
ritrovata
–non faceva
mai distinzioni di genere-,
con le dita conficcate negli occhi.
Sfoderando il suo
miglior sorriso di circostanza, si girò con le parole
già pronte sulle labbra,
salvo zittirsi di fronte al marcantonio che l’aveva
apostrofata: due metri per
circa centoventi chili di ragazzone, al cui confronto lei era
decisamente più
piccola. Non era il caso di passare alle mani con un probabile
quarterback.
Poteva trattenere la sua ira fino al test d’ingresso, la
settimana successiva.
Anche se lei non era
assolutamente un tipo vendicativo.
- Professoressa
Davis, per lei… signor? -
Ebbe la soddisfazione
di vederlo quasi sgonfiarsi ed arrossire come l’adolescente
che era, ma si
raddrizzò con orgoglio, prima di risponderle con il rispetto
dovutole.
- Donovan. Andrew
Donovan, professoressa. Mi scusi. -
- Ah nessun problema
Donovan. – disse Sam, agitando la mano con noncuranza. La
questione non era
di alcuna utilità per lei in quel
momento. - Piuttosto, sto cercando il professor Wood, sa dirmi dove si
trova? –
proseguì.
- Beh in teatro! Dove
pensava che fosse? – rispose il ragazzone, sorpreso.
- Ah non saprei… in
aula per la lezione, magari? – ironizzò, stizzita
per il contrattempo.
Decisamente, la
giornata non era partita per il verso giusto.
- Lascia perdere…
dov’è il teatro? – riprese con
più calma, dopo aver preso un profondo sospiro.
Non poteva certo
prendersela con il ragazzo se quel Wood era così…
-stronzo-
imprevedibile.
- Devo andarci anche
io prof! Se vuole l’accompagno – si
offrì Andrew.
- Va bene andiamo!
Avrei una certa fretta... –
- Da questa parte,
allora. –
Si scostò di lato,
lasciandola passare, per poi affiancarla sulla destra, e si diresse
verso il
cortile.
Raggiunsero
l’edificio che ospitava il teatro in pochi minuti. Prima di
aprirle con
cavalleria la porta, il ragazzo le fece segno col dito di fronte alle
labbra,
suggerendole di non fare rumore.
Non che lei avesse intenzione
di fare un ingresso trionfale, tutt’altro, non era nel suo
stile. Inoltre, meno
avesse attirato l’attenzione di quel tizio che non le andava
particolarmente a
genio, meglio sarebbe stato per tutti, lei per prima.
La struttura, dal
poco che si poteva intuire visto il buio che l’avvolgeva, era
ottagonale,
simile al Globe Theatre(2) shakespeariano, ma, a differenza
dell’originale sito
a Londra, la parte superiore del teatro era coperta da una cupola in vetro satinato.
La luce del sole
filtrava dalla vetrata, illuminando solo la parte antistante il palco
e, con
essa, la figura del professore che, in piedi con dei fogli in mano,
focalizzava
totalmente l’attenzione degli allievi su di sé,
tanto che nessuno si era
accorto dell’ingresso dei due ultimi arrivati.
Hail, many-colour'd
messenger, that ne'er
Dost disobey the wife
of Jupiter;
Who, with thy saffron
wings, upon my flowers
Diffusest
honey-drops, refreshing showers;
And with each end of
thy blue bow dost crown
My bosky acres and my
unshrubb'd down,
Rich scarf to my
proud earth; why hath thy queen
Summon'd me hither,
to this short-grass'd green?(3)
(Salve, multicolore messaggera,
sempre obbediente alla sposa di
Giove,
tu che con l’ali tue
di zafferano
spargi sopra i miei fiori
stille di miele e piogge
rinfrescanti
e incoroni, inarcata
nell’azzurro,
i miei boschi e le spoglie mie
pendici,
ricca cintura
all’altera mia terra.
A qual bisogna mi vuole compagna
la mia regina, su
quest’erba fresca?)
Samantha rimase senza
parole, lo sguardo incollato su quella figura –quasi- angelica,
ammantata di sfumature di blu ed azzurro, i cui
riccioli biondi, illuminati dalla luce del sole, brillavano al pari di
un’aureola.
La voce ferma e
sicura risuonava tutt’attorno come se fosse amplificata
artificialmente, mentre
l’accento spiccatamente inglese dava alle parole
un’espressiva intensità ed una
forza vibrante, al pari di un brano musicale.
Aveva già assistito
dal vivo a diverse rappresentazioni teatrali, ma nessuna
l’aveva coinvolta in
maniera così totale in poche battute.
- Qualcuno sa dirmi
da che opera è tratto questo pezzo? – Chiese il
professore a bruciapelo,
gettando lo sguardo ai ragazzi che stavano seduti in cerchio attorno a
lui, chi
a terra, chi su una panca, chi sul palco.
- Signor Donovan! –
tuonò, non avendo ricevuto risposta, e si voltò
nella direzione dei due che
sostavano ancora immobili presso la porta. – Visto che
quest’anno sembra aver
accantonato la mazza onorandoci della sua presenza… qualche
idea? –
- N-non s-saprei
prof! – balbettò il ragazzone, intimidito dal tono
dell’uomo.
Si era rivolto ad
Andrew, ma gli occhi puntavano fissi sulla donna. Ed erano
così dannatamente
azzurri da risplendere come il pendente di turchese(4) che Sam aveva
ereditato
dalla bisnonna.
- William
Shakespeare. – Si ritrovò a rispondere suo
malgrado, al posto del ragazzo. - La
Tempesta. –
Se era una sfida,
quella, lei non si sarebbe certo tirata indietro.
- Bene bene. –
commentò lui, sorridendo – Preparata, oltre che
carina… -
La battuta fece
ridacchiare alcuni ragazzi alle sue spalle, ma lui non se ne
curò minimamente.
Perché, detto da lui,
quello sembrava tutto fuorché un complimento?
Senza pensarci,
afferrò la manica della felpa del suo accompagnatore e lo
trascinò vicino al
resto del gruppo, scendendo in fretta gli scalini che li separavano dal
parterre, rischiando di farlo inciampare. Si sedettero infine su una
panca
libera, come due normali allievi ritardatari.
Per tutto il tragitto
lo sguardo di Alexander restò fisso sulla donna. Si
domandava la ragione della
sua presenza lì e non trovando risposta decise di
stuzzicarla ancora un po’.
- Beh, sembra che
abbiamo trovato la nostra Demetra(5). Che ne dite, ragazzi? –
- Ma prof, veramente
lei… -
- Shhhh Donovan, dopo
tocca anche a te, non avere fretta. – lo zittì Alex
alzando l’indice sinistro
nella sua direzione, ma senza distogliere lo sguardo dalla collega.
– Prima le
signore, giusto? – ghignò.
Andrew guardò
Samantha, perplesso, ed alzò le spalle come a dire
“c’ho
provato”, ma non aggiunse altro. A quanto
pareva, in teatro la
parola del professor Wood era considerata legge.
A contract of true love
to celebrate;
And some donation freely
to estate
On the blest lovers.
(A celebrare un contratto
d’amore,
e dispensare generosi doni
a due felici amanti.)
Samantha aveva capito
il suo gioco: quello stronzo voleva metterla in difficoltà
di fronte ai ragazzi
prima ancora che questi venissero a conoscenza del suo ruolo. E lei
gliene
aveva dato occasione come una cretina, presentandosi nel suo tempio sacro,
interrompendo la sua
lezione.
Si prese del tempo.
Erano passati alcuni anni da quando aveva studiato Shakespeare a
scuola, quando
cioè era una studentessa proprio come coloro che, ora, la
stavano osservando in
attesa di una sua reazione. O, più probabile, del suo
imminente fallimento.
Si poteva dire che
nessuno emetteva un fiato e, in quel momento, si sarebbe sentita
distintamente
una mosca volare.
Accavallò le gambe
con una disinvoltura che non provava, fingendo di mettersi
più comoda, e,
mentre cercava di riportare alla mente il più in fretta
possibile qualcosa che
aveva sepolto da tempo in un vecchio cassetto della memoria,
tornò con gli
occhi sul viso del professore.
Tell me, heavenly
bow,
If Venus or her son,
as thou dost know,
Do now attend the
queen? Since they did plot
The means that dusky
Dis my daughter got,
Her and her blind
boy’s scandal’d company
I have forsworn.
(Arco celeste, dimmi, tu lo sai
se ci saranno Venere e suo figlio
a fare da corteggio alla regina?
perché dal giorno
ch’essi
complottarono
d’assistere il
fuligginoso Dite
quando rapì mia
figlia,
ho ripudiato la sua compagnia
e quella del bendato suo
marmocchio.)
Recitò infine,
dapprima un po’ incerta, ma acquistando via via
più sicurezza, man mano che i
versi le salivano alle labbra. Non si trattenne dal mostrare una punta
di
soddisfazione, notando il lieve irrigidirsi della mascella
dell’uomo. Avrebbe
giurato di averlo visto deglutire a vuoto, come se volesse ingoiare un
boccone
amaro.
- Non male per una
che ha scelto i numeri e la logica – si arrese.
O almeno così aveva
sperato Samantha, ma venne subito smentita dalle parole successive:
– La pronuncia lascia
un po’ a desiderare, ma con qualche lezione potrebbe
migliorare… sempre che non
sia troppo presa dai suoi calcoli, ovviamente. – disse,
rimarcando le ultime
parole e lasciando intendere tutta la sua disapprovazione
sull’argomento.
- Una cosa non
esclude l’altra, collega! –
Quello che Wood non
sapeva, né poteva immaginare, era che l’aver
studiato buona parte, se non
tutte, le opere di Shakespeare l’aveva aiutata ad esercitare
la memoria almeno
tanto quanto la filosofia le era servita per allenare la logica.
- Collega? – esclamò
una delle allieve, in tono alquanto ostile.
- Esatto signorina
Lewis! Ragazzi, vi presento la professoressa Davis. Da
quest’anno sostituisce
il vecchio Fletcher! – Alex fece una pausa, in attesa della
loro reazione. –
Con vostro sommo gaudio, suppongo… -
- Può ben dirlo prof!
– azzardò uno dei più coraggiosi,
fischiando sommessamente in segno di
apprezzamento.
- Ma non è troppo
giovane per essere qualificata? – domandò
un’altra.
- Certi titoli si
possono ottenere in molti modi! – malignò una
terza, senza tema di essere
sentita.
- O’Connor l’essere
carina non esclude l’essere intelligente, anche se tu sei
l’eccezione alla
regola. – la zittì uno dei ragazzi del gruppo che
Sam aveva giudicato dominante.
- Sempre il solito
stronzo, Finnegan! – replicò quella, stizzita.
- Ragazzi, i complimenti
a dopo. Riprendiamo la
lezione se non vi dispiace. –
Wood riprese subito
in mano la situazione, per evitare che degenerasse.
- Forza, prendete i
copioni che ho distribuito prima. IN SILENZIO, possibilmente!
–
Il brusio cessò come
era iniziato e poco dopo ognuno di loro stava sfogliando le pagine
dell’opera.
- Iniziamo a lavorare
sui personaggi… MA, per prima cosa, parliamo del contesto.
Chi sa darci qualche
informazione? Dov’è ambientata? Quando
è stata scritta? Cosa voleva COMUNICARCI
Shakespeare con questa commedia? –
Samantha vide
l’intera classe trasformarsi davanti ai suoi occhi. Erano
bastate poche domande
dirette, quasi un’interrogazione vera e propria, per
innescare una reazione
sulla quale non avrebbe mai scommesso. Ricordava lezioni simili nei
suoi anni
scolastici, e sapeva perfettamente che l’unico risultato che
si potesse
ottenere in quel modo era la cosiddetta “scena
muta” o, nel migliore dei casi, qualche
balbettio inconcludente.
Alexander Wood invece
aveva ottenuto l’esatto opposto. I ragazzi si erano divisi in
piccoli gruppi e,
dopo essersi consultati tra di loro, avevano iniziato a rispondere,
formulando
ipotesi, alcune sensate, altre originali, altre ancora al limite
dell’assurdo.
Il professore le ascoltava tutte senza discriminazione alcuna,
suggerendo
alternative, spingendo talora l’uno, talora l’altro
ad elaborare meglio i
concetti espressi, a non temere di… osare.
Pur essendo separati,
i gruppi interagivano fra loro e Wood non era altro che il
catalizzatore di
questa energia creativa. Si aggirava fra i ragazzi, a volte li
sorprendeva alle
spalle, era da solo, eppure era il centro della loro attenzione.
Attirava i
loro sguardi, anche quello di Sam, come una calamita.
Se avesse dovuto fare
un esempio, quella classe era assimilabile ad una rete informatica, in
cui
Alexander fungeva da server ed i ragazzi erano, a vario titoli, i
terminali.
Donovan, Finnegan ed
il loro “terzo
uomo” Stephan Russo
l’avevano coinvolta nella loro teoria, secondo la quale
Shakespeare era “stanco
di scrivere e meritava di andarsene
in pensione a godersi la bella vita”, testuali
parole del simpaticissimo
Stephan, di chiare origini italiane, anzi, siciliane, come aveva tenuto
a
sottolineare il diretto interessato.
L’idea in sé la fece
sorridere, poiché non era del tutto sbagliata. La Tempesta
infatti era
universalmente considerata come una delle ultime opere shakespeariane,
prima
del suo ritiro dalle scene.
Le due ore della
lezione terminarono prima ancora che Samantha fosse riuscita, in
qualche modo,
a sottrarsi a quello strano incantesimo. Alla fine Wood si prese del
tempo per
stabilire a chi avrebbe assegnato i vari ruoli, informandoli che
avrebbe fatto
delle audizioni dieci giorni più tardi, a cui erano tenuti a
partecipare.
- TUTTI quanti! –
aveva ribadito prima di salutarli – Un’eventuale
assenza vi costerà una nota di
demerito che dovrete poi recuperare. Allievi avvisati… -
Sam si rese conto
dalla mancanza di rumori molesti che la maggior parte dei ragazzi aveva
abbandonato il teatro. Aveva bisogno di mangiare un boccone prima di
assistere
alla lezione di… non ricordava più nemmeno chi, o
cosa.
- Allora prof…
l’aspetto alle audizioni! – se ne uscì
Wood, come nulla fosse, mentre sistemava
i fogli che aveva sparpagliato sul palco, seguitando a darle le spalle.
- Non se ne parla
proprio! – replicò, quasi strozzandosi con le
parole.
- E perché mai? –
chiese girandosi a guardarla, sorpreso. O fingendosi tale.
- Perché no! –
Alexander rise.
Rise talmente di
cuore che Samantha faticò a trattenere un sorriso di rimando
e per dissimulare
si chinò a raccogliere una penna da terra.
- Avanti COLLEGA,
da te mi aspetto una scusa migliore di un “perché no”.
– disse, passando ad un più
confidenziale tu. Si era appoggiato al bordo del palco, incrociando le
braccia,
ancora divertito.
- Dammi tu una
motivazione migliore perché io diventi una banale
studentessa! – gli rispose a
tono.
Lui azzerò la
distanza tra loro in tre passi, sbarrandole la strada e, di fatto,
precludendole ogni via di fuga con la sua altezza.
- Perché oggi ti sei
divertita. – fece una pausa cercandone gli occhi. –
Perché, che
io sia dannato, la cosa ti intriga,
ma non hai il fegato di ammetterlo! –
Le schiaffò,
letteralmente, dei fogli sul petto, costringendola ad afferrarli
affinché non
cadessero.
- E perché tu non
saresti una BANALE studentessa! –
Si allontanò, così
come s’era avvicinato prima, raccolse la sua giacca e,
passandole accanto, la
salutò:
- Immagino che tu sappia
già dov’è la mensa. O devo richiamare
Donovan? –
Samantha era rimasta
senza parole. Quel tizio era assolutamente irritante, indisponente
e… aveva
ragione, si era davvero divertita, tanto da non rendersi conto che si
stava
comportando come un’allieva e non come una docente.
Non era necessario
però che lui fosse così stronzo.
Perché lei sapeva
esserlo altrettanto.
- Aspetta! – lo fermò
un attimo prima che uscisse.
Alexander non si
voltò.
- Non so dove sia la
mensa. O meglio, lo so, ma non saprei arrivarci da qui, quindi se,
cortesemente, potessi indicarmi la direzione te ne sarei grata.
– gli disse, sfoderando
tutto il suo charme, consapevole tuttavia che non l’avrebbe
scalfito nemmeno un
po’.
Parlando, lo aveva
raggiunto sulla porta. Alex sbuffò.
Quella donna stava
giocando col fuoco. Se pensava che due moine l’avrebbero
messo a tacere si
sbagliava di grosso.
- Sto andando a
mangiare anche io. Non vivo di aria, nel caso non lo sapessi, dunque
prego: da
questa parte. –
Lasciarono il teatro
alle loro spalle e raggiunsero la mensa, come se non fosse accaduto
nulla.
Angolino di Lune:
Ecco
il secondo capitolo. Si fa conoscenza del
simpaticissimo professor Alexander Wood. Da qui in poi è
tutto un evolversi di
cui nemmeno io sono stata ancora informata.
Attendo news dai personaggi: non appena mi
bisbiglieranno nel sonno, impedendomi di dormire, avrete il capitolo
tre.
Per saperne di
più:
(1) I
titoli dei capitoli sono “liberamente” imposti da
dettagli disseminati all’interno del capitolo stesso.
(2) Il
Globe Theatre esiste, ma non è l’originale:
è stato
ricostruito nel 1614 e, più recentemente, nel 1987. Wikipedia vi dirà tutto
a
riguardo.
Per capirne la
conformazione guardate questa immagine
.
(3) The Tempest, William
Shakespeare – Atto IV, Scena
I (anche i pezzi successivi). Il testo integrale in inglese
è tratto da questo sito. La traduzione in
italiano è del Prof. Goffredo Raponi, tratto da
“traduzione originale da
William Shakespeare, "The Complete Works", a cura del prof. Peter
Alexander, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII
– 1376”
(4) Se volete sapere
qualcosa su questo minerale vi
rimando a questa pagina.
(5) Demetra è
il nome greco con cui viene identificata
Cerere, sorella di Zeus e madre di Persefone. Nella mitologia greca
è la
dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della
gioventù e della
terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della
morte,
protettrice del matrimonio e delle leggi sacre.
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