Say "Ehilà" To The Family
L'ho
già scritto nell'introduzione ma lo ripeto qui,
perché non fa mai male: questo scritto, che per ora
è una one shot piuttosto breve, è strettamente
legato alla fanfiction "Downpour",
di vermissen_stern.
Si può dire tranquillamente che questo sia da considerarsi
uno spin off di quella fanfiction, in cui conoscerete una parte della
famiglia di Ember (OC appartenente a vermissen_stern).
- Ember, Ice, Chill, la città di Dima e i suoi abitanti in
generale sono un'invenzione di vermissen_stern;
- gli OC (in questo capitolo la
OC) che sono la "parte della famiglia di Ember" di cui
parlavo invece sono miei :D
Say "Ehilà" To The Family
Da oltre due minuti i grandi occhi neri di Jiren erano fissi
sulla finestra.
Nel corso della propria esistenza aveva visto molte cose più
o meno strane, al punto da avere a volte la presunzione di ritenere che
ormai
nulla potesse più sorprenderlo. Aveva affrontato avversari
di ogni sorta,
esseri malvagi di ogni tipo, mostri più o meno orribili;
l’ultimo di questi, un
leviatano che era riuscito ad avvelenarlo, era tra i motivi del
prolungamento
forzato della sua vacanza a Dima.
Nonostante ciò, l’idea di aver visto una civetta
volare a
testa in giù davanti al vetro riusciva a farlo sentire
piuttosto perplesso.
«Ehm. Ormai ho capito che per te passare del tempo in
un’immobilità quasi completa non è
tanto strano, ma sto iniziando a chiedermi
se fuori dalla finestra hai visto qualcosa di allarmante».
Sentendo ciò, il Grigio fece scivolare lo sguardo dalla
finestra a Ember, al momento unica ospite presente nel suo
appartamento.
I suoi progetti di solitudine auto imposta erano andati a
puttane pochissimo tempo prima per colpa dell’avvelenamento
ma, delle possibili
compagnie disponibili, quella della ragazza era la più
gradita. I due shadowjin
-Ice e Chill- colleghi di lavoro di Ember non erano tipi che lui
riuscisse ad
apprezzare, per il momento.
«Jiren?»
«Non c’era nulla» concluse il Pride
Trooper.
Ember, costretta a credergli perché osservando fuori dalla
finestra non notava alcunché di strano, fece spallucce.
«D’accordo. Ascoltami,
vuoi che ti prepari da man- chi ti prende?!»
“Non me l’ero
immaginata” pensò Jiren, raggiungendo la
finestra per poi aprirla con un
gesto secco.
Si guardò attorno: non c’era nulla se non il
classico
panorama cupo offerto dall’ambiente esterno. Non
c’erano uccelli in generale,
tantomeno una strana civetta tricolore che volava a testa in
giù.
«No, sul serio, devo preoccuparmi?»
tornò a chiedere Ember,
avvicinandosi a lui dopo un attimo d’esitazione
«Cos’hai visto?»
Silenzio.
«Una civetta» disse Jiren, dopo qualche momento
«Volava a
testa in giù».
«Sarà stata ubriaca» tentò di
scherzare Ember «A parte
tutto, le medicine della farmacia tradizionale di questo posto sono un
po’quello che sono. Purtroppo tra le possibili
controindicazioni del succo di
scolopendra bianca ci sono anche le allucinazioni».
«Io l’ho vista» ribatté il
Grigio, continuando a fissare la
finestra ancora aperta…
Dalla quale, un attimo dopo, fece il suo rapido ingresso una
piccola creatura non meglio definita.
Seppur molto debilitato, Jiren si parò davanti a Ember prima
ancora che questa avesse il tempo di emettere un’esclamazione
di sorpresa,
deciso a fronteggiare la minaccia incombente. Il leviatano lo aveva
colpito ma
non si sarebbe fatto sorprendere anche da…
«Ah, ma sei la gattina che gira qui attorno da qualche
giorno!» esclamò Ember, sentendo scivolare via la
tensione «Hai fatto una bella
arrampicata».
Un’arrampicata impossibile a parere di Jiren, il quale non
smise di fissare con diffidenza il felino, trovando una curiosa
somiglianza tra
il colore delle iridi di Ember e quelle dell’animale, che
però presentavano una
sfumatura più “carica”.
«Ti ha adottata la vicina?» chiese la ragazza alla
micia,
pur sapendo che non poteva risponderle «È
plausibile, Verna ha oltre venti
gatti. La prima volta che ho visto questa gattina è stato
uscendo dal lavoro»
spiegò la ragazza a Jiren «Un paio di giorni dopo
invece l’ho trovata fuori da
questo palazzo… ammetto di non essere sicura al cento per
cento che si tratti
della stessa bestiola ma, se non lo è, si somigliano molto.
Sarebbe un problema
per te se le dessi un pezzetto del cibo avanzato a pranzo?»
Il Grigio si limitò a stringersi brevemente nelle spalle,
gesto che Ember interpretò come un
“sì”; motivo per cui si
allontanò per
raggiungere la cucina, lasciando soli Jiren e quella graziosa
bestiolina… la
quale schiuse la bocca felina in un sorriso che aveva un
nonsoché di
profondamente disagiato.
«Ehilà, asal deas!»
esclamò.
A causa della sorpresa, Jiren spalancò gli occhi. La gatta
aveva appena parlato.
Sì, l’effetto di quel succo di scolopendra bianca
era
terribile, senza dubbio.
Si passò una mano sul volto, appena prima di vedere Ember
tornare con qualche pezzetto di cibo. «Una domanda».
«Dimmi».
«I gatti parlano, qui a Dima?»
La ragazza sollevò leggermente le sopracciglia, perplessa da
quello strano quesito. «Nnnnno… non che io sappia,
almeno. Perché?»
La risposta sincera sarebbe stata “perché questa
gatta mi ha
salutato con una frase per due terzi incomprensibile”, ma il
Pride Trooper non
si sentì in grado di dire una cosa del genere a una persona
che lo credeva già
allucinato.
Forse però sarebbe stato meglio parlare, dal momento che
l’istante successivo il felino venne avvolto da uno sbuffo di
fumo aranciato.
Resa lesta anche dall’istinto di sopravvivenza, Ember si
allontanò, alquanto allarmata. Sembrava proprio che in quel
periodo le
stranezze non dovessero mai avere fine. «Ora che
succede?!»
Jiren non rispose, limitandosi ad assumere una posizione di
guardia. Il suo istinto purtroppo gli aveva dato suggerimenti giusti,
nel dire
che quella gatta non era normale e che avrebbe portato guai.
Quando il fumo si dissolse, la gatta aveva un aspetto
decisamente umano: per la precisione quello di una donna snella, alta
poco meno
di un metro e ottanta, che indossava una tutina nera corta fin troppo
“estiva”
e aveva i capelli ricci rossi lunghi fino alle spalle.
Nonché una somiglianza piuttosto forte con Ember.
«Ehilà, nighean
ùr!»
sorrise la misteriosa mutaforma, agitando la mano destra in un saluto
quasi
infantile rivolto proprio a Ember «Vieni a salutare tua
madre! Su, non stare lì
impalata come se avessi visto un fantasma, quelli sono fuori
stagione».
Prima Jiren tornato da una missione molto peggio che
malandato, poi l’incontro con il Dio della Distruzione
Belmod, adesso una gatta
era appena diventata una donna che si era dichiarata sua madre; Ember
era una
ragazza dai nervi molto saldi ma questo non le impedì di
cercare una sedia su
cui crollare.
In tutto ciò, il Grigio non si era mosso di un millimetro:
quella donna aveva detto di essere la madre di Ember ma
quest’ultima non dava
segno di riconoscerla e, inoltre, l’intrusa sembrava avere
l’età di Ember
stessa. Tutti buoni motivi per non lasciarle fare neppure un passo.
«Vattene»
le intimò.
«Suvvia, asal deas,
datti una calmata» replicò la donna, per nulla
turbata «Tu mi piaci, quindi ora
togli il cappello della paranoia e lasciami salutare la mia nighean ùr. Ho qualcosa
comeeee… uhm…
venticinque anni di completa assenza da recuperare» aggiunse,
sporgendosi quel
tanto che bastava perché Ember potesse vederla nonostante la
presenza di Jiren
«In mia difesa, fino a poco tempo fa non sapevo che
esistessi».
Ember, ancora un po’titubante nonostante avesse iniziato a
calmarsi -si era ricordata di aver visto cose ben più
strane!- aveva iniziato a
trovare una certa familiarità nei tratti di quella donna.
Al di là dell’indubbia somiglianza tra loro due le
erano
tornate in mente delle foto che la sua altra madre, quella che
l’aveva messa al
mondo, le aveva mostrato quand’era bambina. Ricordi visivi ai
quali era
correlato un nome. «Eve Hallows?...»
«Esatto. Quindi tu mi conosci, almeno di nome!»
esclamò la
donna, con sincera contentezza «È già
qualcosa».
«È davvero tua madre?» chiese Jiren,
ancora diffidente, a
Ember.
La ragazza annuì, quasi convinta. «Io... penso di
sì. Credo.
No, aspetta, mi è tornata in mente una cosa: Eve, io ricordo
che mia madre
aveva accennato a un oggetto che ti porti sempre
appresso…»
Per tutta risposta, Eve tirò fuori da una tasca una
fiaschetta metallica per liquori. «Ho solo questa».
«Sì, è lei» concluse Ember
«Credo che potremmo stare
tranquilli».
Sebbene fosse ancora poco persuaso, Jiren decise infine di
farsi da parte: se mai le cose si fossero messe male avrebbe fatto
sempre in
tempo a intervenire. Non avrebbe lasciato che si creassero disordini nel proprio appartamento e, in
fin dei conti, aveva
sconfitto avversari peggiori col solo movimento delle palpebre.
«Tu e io ci somigliamo molto» disse Eve,
avvicinandosi a
Ember «Hai preso parecchio da me, almeno
nell’aspetto!»
C’erano tante domande che la ragazza avrebbe potuto fare a
sua madre, tipo “cosa ci fai qui?” o
“come mi hai trovata?” o, ancora, “cosa
vogliono dire quelle parole strane e cosa
sei di preciso?”. Tuttavia la prima cosa che le
saltò in mente fu di ben
altro genere.
«Se ho preso molto da te e tu sei una mutaforma dici che
posso diventare un gatto anch’io?»
Eve fece spallucce. «Boh. Prova!»
Per assurdo che fosse, Ember provò a farlo davvero,
sforzando di immaginare se stessa come un felino; la sola cosa che
ottenne però
fu lo stimolo a svuotare la vescica, dunque fu costretta a pensare che,
no, in
quello non aveva preso da sua madre. «Ora dovrei usare il
bagno».
Jiren, notato che lo stava guardando, si limitò a un breve
cenno del capo, ed Ember si dileguò dopo un rapido
“Torno subito”… lasciando
soli la madre appena ritrovata e il Pride Trooper poco voglioso di
conversare.
Le narici di Eve si mossero leggermente, come se stesse
fiutando qualcosa nell’aria. La cosa durò solo per
un paio di secondi, e probabilmente
era dovuta al leggero odore di pot-pourri nell’appartamento,
eppure anche quel
semplice e piccolo gesto non contribuì ad abbassare la
diffidenza di Jiren; ma
il suo atteggiamento era piuttosto comprensibile, dal momento che
quell’intrusa
sconosciuta e mutaforma si era introdotta nel suo appartamento dalla
finestra.
«Non te la passi male» osservò Eve,
sorridendogli con tutta
la calma dell’Universo «Non per gli standard di
questa città. Lo avevo già
notato volando davanti alle finestre come civetta… non
guardarmi in quel modo,
volevo solo capire che tipo di gente gira attorno a mia
figlia».
Se Jiren fosse stato un tipo di persona anche solo
lievemente più loquace, le avrebbe fatto notare che
aggirarsi attorno palazzo dove
viveva la figlia -e anche attorno al luogo di lavoro, a quanto
sembrava- non
era il solo modo di avvicinarsi a lei, e che il suo modo di presentarsi
era
stato del tutto assurdo… ma il Grigio non era una persona
loquace.
Nemmeno un po’.
«Non parli molto eh? Vabbè» disse Eve,
facendo spallucce e
allargando ulteriormente quel suo strano sorriso «Le tue
chiappe parlano per
te, asal deas!»
Ember fece ritorno dal bagno subito dopo, perdendosi sia
quell’apprezzamento, sia -purtroppo- l’espressione
che aveva fatto il Pride
Trooper nel sentire una frase del genere.
Il pit-stop però le era servito per calmare ulteriormente i
nervi, cosa che finalmente la indusse a fare la domanda più
logica. «Bene… non
sono scontenta di averti conosciuta, Eve» disse «Ma
onestamente mi chiedo cosa
ti abbia portata qui».
Ember aveva più o meno venticinque anni e, se
c’era una cosa
che aveva imparato nel corso della vita, era che nessuno faceva mai
niente per
niente: un discorso da cui non era esente nemmeno “una donna
eccentrica e
divertente” -così sua madre le aveva descritto
Eve.
«La tua presenza, nighean
ùr. Vedi, io ho tanti difetti» ammise la
mutaforma «Talmente tanti che
nemmeno io li so, però se avessi saputo della tua esistenza
non sarei rimasta
completamente fuori dalla tua vita. Aver saputo di te e il fatto di
aver
sistemato di recente un’altra questione di famiglia -per
inciso con tuo
fratello- mi ha fatto dire “Ehi, magari andare a fare
conoscenza non è una
cattiva idea!”»
«No aspè: io ho un fratello?!»
allibì Ember.
Eve annuì. «Ha qualche annetto più di
te! Comunque, io sono
venuta qui per conoscerti, nient’altro. È mia
intenzione passare del tempo in
tua compagnia… e credo che tu possa avere cose piuttosto
interessarti da
raccontarmi, viste le frequentazioni del nostro amico asal
deas!»
«Non sono tuo amico» disse il Grigio, chiedendosi a
cosa
alludesse di preciso con “frequentazioni”. Girava
da giorni attorno al palazzo
come gatta e come civetta, forse aveva visto i suoi colleghi, ma non
era
scontato che fosse al corrente della sua vera identità.
«Sei il ragazzo di mia figlia, certo che siamo
amici!»
esclamò Eve, senza smettere di sorridere.
Cosa che non smise di fare neppure quando Ember e Jiren arrossirono
entrambi più o meno leggermente, con un’
espressione d’imbarazzo del tutto
giustificata.
«Noi non siamo… lui non è il mio
ragazzo. Non lo è. Ecco»
borbottò Ember.
«Dal modo in cui ti si è parato davanti quando
pensava che
fossi chissà quale mostro pericoloso avrei detto il
contrario, quindi tempo al
tempo!» ribatté Eve, come se nulla fosse.
«Eve, perché parli come se lui non fosse
qui?!»
«Per vedere qual è il massimo grado di rosso che
riesce a
raggiungere la sua faccia, in primis!» rise impunemente la
donna «Occhei,
è rosso come i miei capelli
credo che possa bastare…»
«Dove starai? Insomma, immagino che ti sia temporaneamente
stabilita da qualche parte. Dalla vicina insieme agli altri gatti,
forse?»
chiese Ember a Eve, cercando di cambiare argomento.
«Nah. Casa mia è sempre vicina, indipendentemente
da dove
vado. Immagino che un giorno la vedrai anche tu, per un motivo o per
l’altro»
aggiunse Eve «Non ti preoccupare per me».
Non ci fu tempo per chiarire quelle frasi abbastanza
criptiche, perché subito dopo si udirono dei colpi contro la
porta principale dell’appartamento.
«Ehi Ember, sei ancora con il nostro amico dal colorito poco
acceso?»
Ad aver bussato era Ice, lo shadowjin “collega” di
lavoro di
Ember.
Il primo pensiero che balzò in mente a Jiren fu un
“ci
mancava solo questa”. Dover avere a che fare con Ice e suo
fratello non era mai
cosa particolarmente gradita ma il pensiero di trovarselo davanti in
quel
momento era ancor più fastidioso di quanto fosse di solito.
«Uh… sì, Ice, siamo ancora
qui» rispose Ember «Solo che…»
«O beh, mi sa che per oggi basta così. Ci siamo
conosciute,
hai saputo che hai un fratello, se resto qui un altro
po’finiremo per esaurire
tutti gli argomenti di conversaz- ah, no, questo è altamente
improbabile» si
contraddisse Hallows «E non preoccuparti, al tuo collega
penso io. Ihihihih!»
Fino ad allora non aveva pensato che aveva incontrato per la
prima volta Eve-gatta fuori dal proprio posto di lavoro. Ember non si
vergognava del proprio mestiere, però non era quello il modo
in cui avrebbe
voluto parlarne alla sua “nuova madre”.
«Se sai che è il mio collega…»
«Oh sì. Tale madre, tale nighean
ùr!» esclamò Eve, dando alla
figlia delle pacche su una spalla «Facciamo la
stessa cosa, a quanto pare».
«Davvero?» si stupì la ragazza.
«Aye»
confermò Eve
«Già, ora che ci penso dovrei anche insegnarti la
lingua. Dal momento che tu
sei tu, inizio facendo un’eccezione alla regola con un paio
di traduzioni: il
modo in cui chiamo te vuol dire “nuova figlia”,
mentre “asal deas”
vuol dire “bel culo”. Mi pare appropriato per
questo bel
ragazzone che parla poco!»
E che stava anche arrossendo un’altra volta, oltre a non
parlare.
Quello per lui era veramente un periodo tremendo: passare
dalla solitudine al fare una serie di figure più o meno
barbine e a subire
“molestie verbali”.
Nonché fisiche, dal momento che Eve gli stava palpando il
sedere.
Il sedere.
A LUI.
«… soprattutto perché, da quello che
sento, suddetto
posteriore è anche bello sodo» continuò
Eve, annuendo con aria d’approvazione «Brava
ragazza, gli armamenti a poppa sono buoni, se quelli a prua lo sono
altrettanto
sei a posto!»
«Ma cos-»
«Ci vediamo ragazzi» li salutò Eve,
raggiungendo di corsa la
porta «Un ultimo consiglio: occhio all’aingeal.
Lo dico perché ce ne è stato uno relativamente di
recente… anzi» mosse di nuovo
le narici «Una».
Si catapultò fuori dalla porta prima che chiunque dei due
potesse chiederle delucidazioni, lasciandosi dietro più
domande che altro.
Ember si passò una mano sul viso. «Mi spiace per,
beh,
diciamo buona parte delle interazioni che ha avuto con te. E
così questa è la
mia altra madre… eccentrica lo è di
sicuro» commentò «Devo ancora capire
cosa
sia un aingeal. E quale sia il nome
di questo fratello che dovrei avere. E cosa intendesse dire col fatto
che “casa
sua è sempre vicina”. Dici che ha un
camper?»
Jiren, ancora immobile come una statua di granito perché
troppo impegnato a pensare un “QUELLA
mi ha toccato!” -da buon verginello-
non aveva una risposta per le domande di Ember, ma era sicuro di una
cosa: la
sua vacanza forzata a Dima era diventata ancor meno tranquilla di
quanto già
non fosse.
***
«Stento ancora a credere che tu sia la madre
di Ember, sembri più sua sorella e davvero, non lo dico
tanto
per cercare di rimorchiarti!»
Quando quella donna era uscita dall’appartamento di
Principessa, alias Jiren, Ice l’aveva addirittura scambiata
per Ember -vestita
diversamente, con i capelli
sciolti e più ricci- ma dopo una seconda occhiata aveva
capito che no, non si
trattava di lei, ma di una donna con cui c’era una fortissima
somiglianza.
Principalmente per quel sorriso disagiato che sul volto di
Ember non si era mai visto.
Eve Hallows, così si chiamava, lo aveva poi salutato con un
“Ehilà!” a cui lui aveva risposto con un
altro “Ehilà”, per poi ritrovarsi a
parlare con lei e ad allontanarsi dall’appartamento del
Grigio quasi senza
rendersene conto… nonché a portarla in casa
propria.
«Non che ce ne sia bisogno» disse Eve,
stiracchiandosi.
«Di cosa?»
«Di rimorchiarmi. Aspetta, forse a gesti ci intendiamo
meglio».
Detto ciò, mentre Ice la guardava perplesso, Eve
indicò
prima lui, poi se stessa, e infine tornò a indicare
lui… o meglio, il suo
inguine.
Una tecnica di approccio che non avrebbe proprio potuto
essere più sottile!
«Ma… tu sei la madre di una mia
amica…» si schermì lo
shadowjin, con pochissima convinzione. In fin dei conti la tutina
intera di Eve
lasciava vedere gambe di bellezza pari a quelle della figlia.
«Lei è adulta, tu sei adulto e io pure»
replicò Hallows, con
semplicità.
Argomenti convincenti che spinsero Ice -il quale di rado
avrebbe detto di no a una donna di bell’aspetto- ad
avvicinarsi a lei con un
sorriso soddisfatto. «Andata!...»
***
“Eppure credevo che Ice fosse abbastanza sveglio almeno da
aver imparato quando è ora di andare al lavoro!”
pensò Chill, dirigendosi a
grandi passi verso l’appartamento del fratello.
Quel ritardo era strano perché Ice, con tutti i suoi
difetti, non era tipo che tendeva a far tardi; motivo per cui lui aveva
deciso
di andare a dare un’occhiata, tanto per verificare che fosse
tutto a posto. In
quel periodo c’erano state fin troppe stranezze.
“Non ultima questa!” pensò Chill,
aggrottando leggermente la
fronte nel vedere Ember uscire dall’appartamento di Ice
“D’accordo, da quel che
ho capito in realtà non è cosa nuova, ma credevo
che ormai per il bagno avesse
risolto”.
«Ehi, Ember» esordì «Mio
fratello-»
Si interruppe: quella non era Ember. Guardandola più da
vicino capì che si trattava solo una donna che le somigliava
incredibilmente e
che sorrideva in modo leggermente inquietante, come se avesse avuto
voglia di…
mah! Mangiarlo? Portarselo a letto? Non era in grado di stabilirlo.
«Ehilà! Tu sei Chill, giusto? L’altro
amico della mia nighean ùr.
Io sono Eve Hallows» si
presentò tendendogli la mano «Sono la mamma di
Ember».
Lo shadowjin, allibito per quello che sarebbe stato il nuovo
pettegolezzo di giornata, strinse la mano della donna con un movimento
quasi
meccanico. «La mamma…»
«Eh sì. Mi sa che in questo periodo ci vedremo
spesso,
perché ho intenzione di passare del tempo con lei e il suo
amico dalle belle
chiappe! Già, dico, hai visto che roba? Sono perfino meglio
di quelle di tuo
fratello, e tuo fratello è messo piuttosto bene. A
chiappe» specificò «A
energia, al momento, un po’ meno».
«Cioè?!»
Eve fece spallucce. «Lo ho vagamente spompato. In tutti i
sensi! A proposito, beag bràthair,
ti
andrebbe di fare sesso?»
Chill non riusciva a credere alle proprie orecchie: quella
lì non solo era uscita fresca come una rosa da una
“sessione” con Ice, ma
oltretutto gli aveva anche fatto proposte in modo tanto esplicito che
era
impossibile da fraintendere. Solo che lui non era disposto ad
accettarle.
«Io sono fedele a mia moglie» disse lo shadowjin,
con
semplicità.
«Bravo ragazzo» approvò Eve, ponendo
fine alla questione con
un sorriso e due piccole pacche sulla testa di Chill
«Comunque davvero, non
credo che riuscirà a venire. Al lavoro,
s’intende!»
“Incredibile” pensò lo shadowjin,
voltandosi per un attimo a
guardare la porta semiaperta.
«Ci
vediamo, beag bràthair».
«Aspetta!» esclamò lui «Che
cosa vuol dire… beag
bràthair?...»
La domanda non era arrivata in tempo: Eve Hallows Mamma Di
Ember non c’era più.
Volatilizzata, come se non fosse mai stata lì.
La cosa era diventata ancor più inquietante ma Chill decise
che, se mai, ci avrebbe riflettuto sopra in seguito: ora
l’imperativo era dare
un’occhiata alle condizioni di Ice.
Non faticò a trovarlo: giaceva supino sul letto, con le
membra prive di ogni accenno di vita ma col sorriso ebete di chi aveva
subìto
una condanna a morte per snu-snu ed era riuscito a scamparne.
«Ice?!...»
«È s…» riuscì a
dire lo shadowjin più grande, con un filo di
voce «È stata… è
s-s…»
«Cosa?!»
Ice cercò di prendere fiato. «È
stata… la miglior chiavata
della mia vita!»
Dopo un attimo di completo silenzio e immobilità, Chill fece
un grosso facepalm. «Che ti impedirà di andare al
lavoro. Contento tu!»
“Lo ha ridotto così e stava benissimo:
è un demone succhia
vita o cosa?!” pensò.
Non sapeva ancora nulla di quella donna ma di una cosa era
certo: la sua presenza aveva il potenziale per accrescere un disagio
che in
quel palazzo, di per sé, non mancava.
Note:
beag bràthair:
"fratello minore"
aingeal: angelo
Ringrazio chi ha letto :) alla prossima,
_Dracarys_
|