ReggaeFamily
Brochure
e vivavoce
Autobus
extraurbano, primo pomeriggio
Stavolta
me lo sento: morirò.
Sì,
perché sono seduta sul primo sedile alla destra dell'autista,
e posso vedere cosa sta combinando mentre
guida.
È
ovvio. Stare attenti alla strada è troppo difficile per chi
conduce un autobus per lavoro, diventa noioso. Me ne rendo conto.
Ma
forse quest'essere dovrebbe tenere in considerazione che su di lui
ricade una certa responsabilità, ovvero l'incolumità di
noi passeggeri.
Cerco
di non pensarci, di concentrarmi sul panorama piuttosto penoso che si
srotola oltre i finestrini e il parabrezza, ma è impossibile
non notare il conducente che legge un depliant o una brochure, non
sono in grado di capirlo perfettamente.
Cosa
ci sarà di così importante in quel pezzo di carta? Non
lo so, ma mi sento addosso un'ansia terrificante.
Dopo
qualche tempo, il suo cellulare comincia a trillare per avvisarlo
dell'arrivo di numerosi messaggi. Allora lui prontamente molla il
depliant e afferra lo smartphone, cominciando a leggere messaggi su
WhatsApp come se si trovasse nel salotto di casa sua.
Trascorre
così alcuni minuti, e inoltre si impegna a rispondere a tutti
o digitando sullo schermo, o registrando delle note vocali.
Quanto
vorrei che per strada ci fosse un posto di blocco che lo fermi e gli
impedisca per il resto della sua vita di guidare legalmente un
qualsiasi mezzo di locomozione...
L'autobus
rallenta e accelera a caso, visto che l'autista è distratto
dalle sue attività super interessanti. Motivo per cui potrei
anche rimettere il pranzo, ma meglio cercare di non farci caso.
Quando
siamo poco distanti dal paese verso cui siamo diretti, il tizio
riceve una chiamata.
E
indovinate? Risponde!
«Oh,
ciao. Sì, ascolta, per la partita di domenica di' a Fabrizio
di portare quel foglio che ti stavo dicendo ieri... sì, sì,
tranquillo... lui lo porta, tu firmi e basta. Facciamo una foto, così
è tutto chiaro. Sì, tranquillo, è giusto una
cosa burocratica, non preoccuparti. Macché, non pensarci! Dai,
sì, ti ho detto: lui porta il foglio, tu firmi, stretta di
mano, foto, fine. Tranquillo...»
Perché
ho la vaga impressione che tutto ciò che sta dicendo assomigli
a uno scambio illegale di sostanze stupefacenti o di documenti che
potrebbero cambiare il corso dell'intero universo? Sta usando un tono
cospiratorio che non mi piace affatto. Oddio, ci mancava solo questa.
«Sì,
è tutto calcolato, non entrare in paranoia. I ragazzini poi
fanno la partita, il presidente è contento e noi facciamo la
nostra bella figura» continua l'autista, raggiungendo a tentoni
una rotonda che ci permetterà di entrare in paese.
Stringo
le dita attorno alla stoffa del giubbotto, aspettando il momento in
cui ci sarà la curva.
«Okay,
dai, tranquillo. Capito tutto? Ci vediamo domenica verso le tre.
Anzi, alle tre. Puntuale. Ciao.»
Forse
è la volta buona che questo mentecatto si concentrerà
sulla guida. Giusto il tempo di entrare nel centro abitato, e
l'autista afferra nuovamente la brochure, riprendendo a leggerla con
estremo interesse.
Per
fortuna sto per scendere, non ne posso più.
Una
volta all'aria aperta, tiro un sospiro di sollievo. Sono arrivata
anche oggi sana e salva.
Autobus
extraurbano, tardo pomeriggio
Dopo
il viaggio traumatico che ho vissuto all'andata, spero vivamente che
ora vada meglio.
Quando
mi rendo conto che l'autista è lo stesso che ho incontrato
prima, il mio cuore perde un battito.
Posso
solo sperare che abbia finito di organizzare la partita di domenica e
il rito con tanto di foto e firma di chissà quali documenti,
che abbia concluso l'avvincente lettura del depliant e che non abbia
milioni di importantissimi messaggi su WhatsApp a cui rispondere
nell'immediato.
Per
fortuna tutto sembra andare meglio, il viaggio scorre abbastanza
bene, tranne qualche interferenza causata dai messaggi sul cellulare
dell'autista.
Mancano
solo due fermate prima che io possa scendere e tornare finalmente a
casa; ci troviamo di fianco alla stazione ferroviaria, e io so bene
che gli autobus tendono a fermarsi un po' più a lungo in
questo punto. A volte aspettano uno o due minuti, attendendo
eventuali treni in ritardo.
Stiamo
per ripartire, quando un gruppo di sessantenni raggiunge trafelato il
mezzo e si arrampica su per i gradini, facendo un baccano
incredibile. Sembra un branco di ragazzini delle medie in gita
scolastica.
C'è
chi oblitera biglietti, chi ride, chi cerca il posto più
adatto a sé, chi grida da un capo all'altro del corridoio, chi
ammicca con qualcun altro... un delirio. E poi gli adulti hanno anche
il coraggio di criticare i giovani, dando loro dei maleducati? Io
sono basita.
Uno
di questi esemplari di sesso femminile si posiziona a pochi sedili
dal mio, e subito comincia a urlare: «Anna? Anna? Non ti sento!
Tu mi senti?».
Non
riesco a capire con chi stia parlando, finché non sento una
voce metallica provenire dal punto in cui si trova. Realizzo che ha
impostato il vivavoce e che sta parlando al telefono.
Con
l'altoparlante? Ma ha problemi di udito? Non ha delle cuffie?
«Sì,
adesso ti sento! Dove sei?»
risponde la voce di una donna al telefono.
«In
pullman, stiamo rientrando! Ascolta, quando arrivo ti chiamo? No,
aspetta... chiamo Augusto e faccio venire lui alla fermata!»
«Non
fa niente, posso venire anche io! Eh, mi devo cambiare perché
stavo facendo giardinaggio, però...»
Interessante.
Chissà se questa povera vittima di Anna sa che tutto l'autobus
sta ascoltando i fatti suoi.
Per
fortuna non sento più altro, perché finalmente
raggiungiamo la mia fermata e io posso uscire da quell'asilo nido di
voci stridenti e pazzi invasati.
Come
dice Caparezza in un suo brano:
“Vorrei
solo una vita serena, minchia!”
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Cari
lettori, sono tornata finalmente a raccontarvi un altro po' di
disavventure sui mezzi pubblici ^^
Non
commenterò oltre, vorrei solo sapere, per l'ennesima volta, se
queste cose succedono solo a me o se posso sentirmi meno sola,
rendendomi conto che magari anche a qualcun altro capitano certi
elementi fuori di testa o.o
Grazie
per essere ancora qui, spero almeno di farvi sorridere con questi
piccoli stralci di vita :D
Alla
prossima ♥
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