Camelie

di CHAOSevangeline
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Camelie
 
 


« Quando compirò vent’anni sposami. »
« Sì. »
Lezioni, badare alla casa, esami universitari. La vita di Sajo a Kyoto era stata scandita per i due anni successivi al diploma da quel ritmo, quell’incalzo continuo.
Studia, bada a te stesso. Pensa a Kusakabe.
Ultimo punto della lista, prima cosa che faceva al mattino. E più di tutte le altre.
Lo pensava sempre. Sajo si chiedeva come stesse quando non c’era un motivo particolare per farlo così come si domandava il suo stato d’animo prima di un importante concerto.
Starà bene? Sarà teso? Avrà bisogno di qualcosa? Avrà bisogno di me?
Kusakabe suonava a Tokyo, ormai si era fatto un nome. Un uomo e la sua chitarra. Raccontava la sua vita attraverso le canzoni che cantava, o almeno così aveva detto.
Sajo gli aveva chiesto cosa avesse mai da raccontare a diciott’anni appena compiuti.
« Che ho già trovato l’amore e che questa è una fortuna che potrebbe fare invidia a persone con il doppio della mia età. »
Aveva parlato prima di rendersi conto di quanto potesse metterlo in imbarazzo gettare luce su un simile pensiero. Mentre entrambi nascondevano il rossore delle loro guance guardando altrove, le dita intrecciate sul futon dov’erano seduti – Kusakabe lo stava aiutando con il trasloco a casa di suo nonno –, Sajo aveva sentito di nuovo quelle parole.
Quando compirò vent’anni sposami.
Ricordò il pavimento dell’aula su cui erano rovinati prima che Kusakabe le pronunciasse, le sue braccia strette intorno a lui come una rassicurante certezza.
Lui era la sua rassicurante certezza.
Sajo aveva dovuto puntare gli occhi sul ciliegio in fiore nel giardino perché Kusakabe non gli ponesse la sua fatidica domanda.
Arrivò imperterrita.
« Sajo, ma stai piangendo? »
 

Il primo anno dopo il diploma era trascorso senza che nemmeno se ne accorgessero. Dopo tutti i se, le preoccupazioni, la nostalgia che presagivano, tutto era andato per il meglio. Lo avevano fatto andare per il meglio.
Kusakabe era sempre di corsa. Di corsa per cogliere le occasioni giuste, per farsi conoscere, per costruirsi un nome dal nulla.
Chiamava Sajo dopo ogni serata.
« Credo di essere stato bravo », gli diceva, la voce colma di entusiasmo e adrenalina. « Avrei voluto che fossi qui. »
E anche Sajo avrebbe voluto, ma riusciva a sentire attraverso la cornetta ciò che gli era sufficiente per sentirsi almeno un po’ bene: Kusakabe felice.
Una volta gli aveva fatto una sorpresa, aveva preso il treno ad alta velocità per Tokyo e si era presentato nel locale di cui gli aveva estorto il nome con una scusa.
Kusakabe non guardava mai fra la folla o lo faceva senza attenzione: se non c’era Rihito aveva poco senso sprecarsi.
Poi lo aveva visto: il volto sudato, i capelli mori sconvolti e la t-shirt con il suo nome d’arte stampato sopra indosso.
Non gliel’aveva regalata lui, sarebbe stato un regalo alquanto presuntuoso. E poi preferiva starci lui, su Sajo, piuttosto che saperci una sua maglietta. Non si accontentava mica facilmente.
Però era stato un gesto carino.
In cambio Kusakabe era tornato a Kyoto con lui. Aveva dormito a casa di suo nonno, dove adesso c’era un vero letto, e avevano trascorso il weekend insieme.
Passo dopo passo si stavano avvicinando entrambi al loro sogno. Cantante uno, farmacista l’altro. Ma se proseguivano per la loro strada era solo perché, voltandosi e guardando al proprio fianco, vedevano che il proprio compagno stava facendo un passo in più verso la felicità.
Parte della propria felicità, perché di sogno non ne avevano uno solo, ma due per ciascuno.
Uno era in comune.
Un piccolo bocciolo di cui occuparsi insieme, da innaffiare giorno dopo giorno.
Quando compirò vent’anni sposami.
Sì.
A pensarci era stato Kusakabe, questa volta, pochi giorni al suo compleanno. Stava andando a Kyoto un’altra volta, perché anche se la settimana dopo Sajo sarebbe tornato per le vacanze estive, lui aveva fretta e voleva vederlo in quel momento. Da soli, in una casa dove avevano tutto lo spazio che volevano per fare l’amore.
Sajo lo era andato a prendere in stazione e nella foga erano a malapena riusciti ad infilarsi nel corridoio che conduceva ad un bagno. Per non dare spettacolo, perché volevano baciarsi e avevano bisogno di spazio.
« Bentornato, Hikaru », aveva sussurrato Sajo sulle sue labbra gonfie dei baci di cui ancora non era sazio.
Le ginocchia cedettero per l’emozione e si aggrappò a lui.
Lo aveva chiamato per nome.
Erano una vera coppia.
 

« Sei sicuro di voler spendere il giorno del tuo compleanno a scuola? »
« Sicuro. »
Era l’unico regalo che Kusakabe desiderava, anche se aveva scoperto di non poter vivere senza il quaderno su misura creato da Sajo solo per lui. Se n’era innamorato dal momento in cui aveva scartato il pacchetto.
Aveva scostato la copertina e letto le righe al centro della prima pagina.
Scrivi le tue canzoni sulla nostra storia d’amore.
Dopo quell’invito, dopo le guance purpuree di Sajo, Kusakabe sentiva che non avrebbe mai esaurito le cose da dire.
Si erano scambiati un lungo bacio prima di varcare il cancello.
Kusakabe avrebbe evitato volentieri di incontrare il professor Hara. Avrebbe evitato volentieri che Sajo lo incontrasse. O forse avrebbe voluto che lo incontrasse solo per baciarlo ancora davanti a lui.
Sapeva di sembrare un ragazzino, ma non gli importava.
Per questo, perché Kusakabe non si innervosisse, erano andati lì nel doposcuola, i cancelli aperti per gli studenti che avevano qualche attività da svolgere per i club.
« Vuoi salutare i professori? »
« Oh Dio, no! » aveva esalato Kusakabe.
Sajo aveva nascosto un sorriso voltando il capo. Sapeva avrebbe risposto così.
« Saremo nei guai se ci scoprono. »
« Non sembriamo così vecchi, potremmo anche passare per studenti. »
« Ma non abbiamo la divisa. »
Kusakabe abbassò il capo, preso in contropiede. Scrollò le spalle.
Non era questo l’importante: voleva solo sedersi su una delle panche del giardino e inspirare a pieni polmoni l’atmosfera scolastica. La stessa che gli scivolava sulla pelle e a cui era assuefatto quando si era innamorato del suo compagno di classe, Rihito Sajo.
Quello che credeva fosse sempre arrabbiato con lui.
Quello che gli teneva la mano in quel momento, due anni dopo, che l’aveva presa per primo senza più vergognarsi quando una volta nemmeno avrebbe osato muovere le labbra contro le sue.
Sajo stava pensando.
Quel giorno era il compleanno di Kusakabe. Aveva vent’anni e anche lui li aveva già compiuti.
Di lì a poco sapeva che frase sarebbe rimbombata nella sua testa. Sapeva cosa fremeva all’idea di chiedergli.
Avrebbero iniziato a parlare di matrimonio da un giorno all’altro? Era scontato avvenisse? O avrebbero dovuto chiederselo, magari con un anello?
No, forse affrontare subito quella questione sarebbe stato sbagliato: avrebbe messo Kusakabe sotto pressione.
Che anello avrebbe voluto Kusakabe?
Non riusciva a smettere di pensarci.
« Te la ricordi quell’aula? »
Kusakabe ruppe il silenzio, il naso all’insù e l’indice della mano libera a mezz’aria, puntato verso la terza finestra del secondo piano.
Sajo strinse gli occhi contro il sole e la guardò.
« Sì. »
Poteva dimenticarla?
L’aula dove avevano fatto l’amore la prima volta. Dove…
Quando avrò vent’anni sposami.
« Sto pensando di nuovo di trasferirmi a Kyoto. »
Avevano affrontato un discorso simile in quell’aula. Un litigio risolto subito, fra le lacrime e i baci, le grida e le parole custodite troppo a lungo.
Sajo guardò Kusakabe.
« Sto guadagnando bene, lo sai no? » continuò, gli occhi nei suoi. « La mia manager ha detto che ora che mi sono fatto conoscere potrei lavorare senza problemi anche a Kyoto. » Sajo sembrava sorpreso, ma non arrabbiato. « Non sto rinunciando al mio sogno. Sto solo cercando di adattarlo a delle altre mie ambizioni. »
Sajo aveva capito di cosa stava parlando. Sperava intendessero la stessa cosa.
« Ti potresti trasferire da me. »
« Davvero? »
« Sì. »
Lo aspetto da troppo tempo, ti prego sì.
« Ti pagherò l’affitto! »
Sajo fu sul punto di scoppiare a ridere, nemmeno lui seppe perché.
« Non devi. In fin dei conti se saremo sposati non ha senso che-… »
Si interruppe. Gli occhi neri sgranati, le guance di fuoco.
Oh, maledizione. Maledizione!
« Scusami. Ho dato per scontato che volessi raggiungermi a Kyoto per questo, in fin dei conti hai appena compiuto vent’anni e io… »
« Sajo. »
« … non ho mai smesso di pensare alla promessa che ci siamo fatti. »
« Infatti. » Kusakabe sospirò. « Mi hai preceduto. »
Sajo si zittì e lo guardò confuso. La mano di Kusakabe aveva lasciato la sua, ma solo per poter prendere il suo viso con entrambe, accarezzare gli zigomi sporgenti con i polpastrelli e guardare intensamente i suoi occhi, le sue labbra.
Poteva amare una persona più di così?
Poteva amare un’altra persona?
No.
« Ho vent’anni adesso. Vuoi sposarmi, Rihito? »
Due lacrime rotolarono lungo le sue guance.
« Sì. »
 

Nel santuario di Shibuya, i kimono da cerimonia indosso, Rihito e Hikaru stavano in piedi uno accanto all’altro.
Avevano le dita intrecciate, nascoste fra le pieghe dei loro abiti.
« Hai visto, Rihito? È stato più semplice del previsto alla fine. »
Hikaru lo stava solo pensando, ma glielo avrebbe detto presto, una volta finita la cerimonia. Che non si sarebbe dovuto preoccupare, in passato, che non c’era nulla di innaturale in loro.
Che non dovevano nascondersi.
Il capo chino in segno di riverenza sotto i ramoscelli di camelia agitati davanti le loro fronti, le loro dita si strinsero più forte.
Quel fiore stava testimoniando, sancendo la loro unione e insieme a lui il piccolo calice di sake passato di mano in mano.
Rihito lo consegnò nelle mani di Hikaru.
Hikaru glielo restituì.
Una, due, tre volte.
La delicatezza con cui stringevano quel bicchiere, con cui le loro dita si sfioravano nel momento dello scambio faceva sembrare che non stessero vedendo solo una coppetta di sake.
Vedevano i loro cuori, consegnati nella mani dell’altro.
La promessa di custodirli, di non ferirsi, di proteggersi sempre.
Hikaru scelse di promettere per primo, di giurare eterna fedeltà al ragazzo di cui era innamorato prima di lui. Lo voleva così tanto da provare quasi urgenza e nella fretta prese la parola, inciampando nel tentativo di arraffarsi il primo posto.
Uno sbuffo di risata dal fondo della stanza.
Hikaru si strinse nelle spalle.
« Sono tuo, Rihito. Completamente e per sempre. »
Le gote arrossate facevano quasi tenerezza, ma i suoi occhi erano fermi, certi.
Innamorati.
Anche Rihito si sentiva così: completamente innamorato. Completamente suo.
« Anche io sono tuo, Hikaru. Hai conquistato anche la metà di me che credevo di non doverti donare e sono felice di avere la parte di te che avevo rifiutato. »
Sorrisero. Solo loro avrebbero capito.
E mentre i rametti di camelia passavano nelle mani delle loro famiglie, dei genitori di Rihito e di Hikaru, di sua sorella e degli amici che con gli anni erano divenuti anche di Rihito e avevano saputo di loro, le loro fronti si congiunsero.
Occhi negli occhi, respiro nel respiro.
« Hai voglia di un bacio? » gli chiese Hikaru sottovoce.
« Ho sempre voglia dei tuoi baci. »
Una volta compagni di classe.
Ora marito e marito.
Il loro amore, quello delle camelie.



Note:
La camelia è il simbolo dell'eterno amore e devozione degli innamorati.


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Buonasera a tutti!
Amo Dokyusei da una vita, ma solo ieri, dopo essermi riletta il secondo volume di Sotsugyosei perché in Italia è recentemente uscito solo il primo, non ho potuto fare a meno di pensare un po' di più a Sajo e Kusakabe. A quella promessa di matrimonio che mi è rimasta impressa.
Non avrei smesso di pensarci e così ci ho scritto. Il risultato non è cambiato, ma almeno ora posso dire che tutti questi feels sono serviti a qualcosa.
Piccola nota aggiuntiva: mi sono informata su internet e ho letto che in Giappone il matrimonio avviene sempre e prima di tutto con la firma di un documento, a cui segue poi l'eventuale rituale tradizionale. Questo consiste nella purificazione degli sposi con dei rametti di camelia, il fiore simbolo della devozione degli innamorati, e al passaggio per tre volte di un bicchiere di sake da parte dei consorti. I parenti si passano poi di mano in mano i rametti di camelia, come indice di riconoscimento del matrimonio.
A quanto ho capito è un rituale che può permanere anche nelle unioni dello stesso sesso e l'ho trovato così delicato che ho scelto di usarlo <3
Mi auguro che la storia vi sia piaciuta e vi abbia fatto un po' emozionare. Vi ringrazio per aver letto fin qui e se dovesse andarvi di lasciarmi un commento ne sarei felicissima!

 




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