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Era da un
po’ che Dolmer se ne stava inginocchiato lì, in
preghiera di fronte a un piccolo altare dedicato a Q’thulu,
la Bestia dai Molti
Tentacoli che i Lusan della valle, fin
dall’antichità, avevano continuato ad
adorare pur conoscendo l’esistenza degli Hakaishin e dei
Kaioshin.
La sola fonte di
luce nella stanza era la fiamma tremolante
di una candela accesa, che muovendosi creava curiosi giochi di ombre
sul corpo
e il volto del Kahzameer a-ghekavary.
«Perché?»
Pur avendo sentito
perfettamente la domanda di quella che
ormai era diventata sua moglie, e pur sapendo che in teoria averla alle
spalle
mentre lui era in ginocchio non era precisamente consigliabile, Dolmer
non si
voltò. «Perché no, Calida?
C’è chi in attesa di una battaglia mangia,
c’è chi
beve, c’è chi si allena, chi cammina, chi fa del
sesso… e io prego».
«Ricordare
di aver vinto contro Moriameer dovrebbe darti
forza a sufficienza, anche se è passato del tempo».
Calida aveva
ragione: della città di Moriameer ormai
rimanevano più che altro case vuote, giardini devastati ed
eventuali schizzi di
sangue rappreso sulle pareti, assieme ai pochi brandelli di interiora
che gli
animali, dopo tutto quel tempo, non avevano ancora consumato.
L’alleanza
tra Ulthmeer e Kahzameer, pur se nata abbastanza
improvvisamente, aveva dato i suoi frutti nel completare il lavoro che
Calida
aveva iniziato col massacro di una famiglia intera -e relativa crisi di
governo.
«Io sono
abituato a
fare così. Finora mi ha portato del bene, squadra
che
vince non si cambia.
Cercavi qualcosa di specifico?»
«Deduco
che non apprezzi la mia presenza».
Dolmer si
voltò a guardarla. « Non sono infastidito. Di
rado cerchiamo una la presenza dell’altro solo per scambiare
due chiacchiere,
tu e io di solito parliamo di guerra -com’era logico
aspettarsi- quindi la mia
domanda è legittima. Cerchi qualcosa di specifico o per una
volta cerchi solo
compagnia?»
Calida non cercava
qualcosa di specifico, non sul serio.
Dopo aver passato diverso tempo in solitudine, preparandosi
psicologicamente
all’assalto contro Sarumeer previsto per il giorno dopo, si
era sorpresa a
chiedersi dove potesse essere finito Dolmer.
Aveva detto a se
stessa di essersi fatta quella domanda
perché non era conveniente perderlo di vista: erano alleati,
marito e moglie,
ma era veramente saggio lasciarlo tutto quel tempo senza sorveglianza,
dandogli
modo di concertare chissà cosa con chissà chi?
Dirigendosi verso il
luogo in cui era stato allestito quel
piccolo altare, sapendo benissimo che lo avrebbe trovato lì,
aveva dovuto
riconoscere di star mentendo a se stessa.
Non lo stava
cercando per quella ragione, né per parlare
nuovamente della battaglia che si avvicinava: lo stava facendo solo
perché
aveva la curiosa volontà di passare del tempo con una
persona che aveva
imparato a conoscere un po’, alla cui presenza aveva finito
quasi per
abituarsi.
In fin dei conti se
Calida aveva scelto di stringere
un’alleanza e sposarsi con Dolmer era anche perché
tra i capi di città che in
precedenza le avevano fatto un’offerta di matrimonio lo
trovava una persona
abbastanza “degna” e, almeno in quel periodo di
tempo trascorso dalle nozze,
non aveva avuto ragione di ricredersi. Non la amava, esattamente come
lei non
lo amava, ma l’aveva sempre trattata con rispetto, e lei
aveva fatto
altrettanto.
Sorprendeva il modo
in cui erano riusciti abbastanza facilmente a trovare un equilibrio pur
essendo
stati nemici fino a poco tempo prima.
«Nella
Bestia dai Molti Tentacoli credono un po’tutti,
però
a credere e praticare siete pochi,
e
quei pochi di solito sono imparentati con i Sagartaibh
che abbiamo nella valle. Vale anche per te, Dolmer?»
«Se poi io
ti facessi una domanda sullo stesso tema, come
reagiresti?»
Calida fece
spallucce. «Non in maniera controproducente».
Il Lusan
tornò a osservare la candela. La piccola statua
intarsiata di Q’thulu sembrava quasi fissarlo con sguardo
severo: se fosse per
consigliargli il silenzio o meno, non era dato sapere.
«Sono
effettivamente imparentato con un sacerdote» ammise
Dolmer, dopo un po’ «Era mio zio. In teoria sarei
dovuto diventare a mia volta
un religioso, cosa che a me andava benissimo, e il titolo di Kahzameer a-ghekavary era destinato a mia sorella
maggiore. La guerra però ha fatto sì che le cose
andassero a finire
diversamente, come del resto è successo a molti, e se non
fosse stato per mio
zio non sarei qui neppure io. Mi fece nascondere appena prima che un
gruppo di Lusan
di Moriameer entrasse nel tempio. Lo hanno fatto a pezzi e hanno
ricomposto il
suo cadavere in modo osceno. Le luride bestie di quella
città non hanno avuto
rispetto nemmeno di un Q’thulu a-Sagartaibh
in quanto tale! Sotto la mia guida, invece, nessuno dei miei uomini ha
mai
alzato un dito su un religioso».
«Ero a
conoscenza di questo dettaglio, a mancare era solo
il perché. Risparmiare i Sagartaibh
“in quanto tali” non ti rende migliore rispetto a
chiunque altro» disse Calida
«Al di là del fatto che non credo particolarmente
nell’esistenza di Q’thulu, i
sacerdoti non sono esseri speciali: sono persone come me e te, che
mangiano,
bevono, defecano e sanguinano. Di’ piuttosto che li risparmi
in memoria di tuo
zio. Questa è una cosa che comprendo di più e che
rispetto».
«Avevo
intuito che il tuo rapporto con il nostro credo non
fosse particolarmente stretto, in fin dei conti il matrimonio
all’albero sacro
è più consuetudine che manifestazione di
fede» commentò il Lusan, alzandosi in
piedi «Che tu abbia idee diverse dalle mie in materia di
religione non è un
problema, Calida, pur essendo credente non sono un fanatico che cerca
di
convertire gli altri, e a noi servono solo intesa in guerra e rispetto
in casa.
Solo una cosa: il dio della cui esistenza dubiti è
decisamente migliore di
quelli che conosciamo di persona».
«Questo
è certo».
Era passato diverso
tempo dal giorno in cui aveva detto a
Dolmer di addentrarsi assieme a lei nella foresta per essere presentato
ad
Anise.
In verità la proposta era stata fatta in maniera
ironica, perché era
piuttosto convinta che solo un pazzo si sarebbe addentrato in un posto
poco
conosciuto -per lui- assieme a
quella
che fino a pochi giorni prima era stata una nemica, ma lui
l’aveva sorpresa con
una risposta affermativa. “Ora siamo alleati,
nonché marito e moglie, dobbiamo
imparare a vederci come tali anche senza avere attorno uomini pronti a
difenderci”, le aveva detto.
Era stato in
quell’occasione che Dolmer, oltre ad Anise,
aveva conosciuto anche i gemelli Hakaishin, facendosi di entrambi
un’opinione
che non differiva troppo dalla sua.
«Mi
risulta ancora difficile credere che quel ragazzetto
rincoglionito sia il nostro Hakaishin. Non so se nascano tali
o
vengano scelti ma, se è così, dovrebbero cambiare
i parametri. Mi chiedo anche
cosa possa aver visto in lui tua sorella: mi verrebbe da dire soldi e
potere
ma, se fosse così, ormai non vivrebbe più nella
foresta. O beh, in fin dei
conti sono stato un ventenne anche io. Cieco, sordo e incapace di
valutare».
Dolmer parlava per
esperienza: aveva appena
compiuto vent’anni quando si era lasciato
incantare da Amiri, dai suoi occhi color cioccolato.
Benché si tendesse a pensare
che i discendenti di prigionieri fossero cittadini a tutti gli effetti
a
partire dalla seconda o terza generazione, non era stato saggio da
parte sua non
lasciar passare abbastanza tempo per conoscerla bene e verificare che
fosse veramente
così.
L’aveva
sposata e lei,
poco dopo, aveva tentato di ucciderlo.
Uccidere lui per
vendicarsi di qualcosa che aveva fatto suo nonno, o il suo bisnonno, o
comunque
un suo ascendente.
Quant’era
folle, che lui non lo trovasse poi così folle?
Dolmer
l’aveva mandata alla forca, col volto serio e un
cuore a pezzi che, tuttavia, ormai si era ricomposto. L’aveva
amata ma
evidentemente non lo aveva fatto tanto da rimanere traumatizzato vita
natural
durante.
«Io chiamo
quella che va dai sedici ai ventidue anni
“l’età
dell’idiozia”» disse Calida
«Solitamente anche i Lusan più maturi commettono
almeno una sciocchezza, in questo lasso di tempo. Cambiamo discorso:
l’assalto
previsto per domani…»
«Ne
parleremo dopo che ti avrò fatto una domanda. Prima te
ne avevo accennato».
Calida rimase in
silenzio, attendendo che Dolmer ponesse il
suo quesito.
Doveva ammettere di
esserselo cercato.
«So che
tu, come me, non hai nessuno. Se non tua
“sorella”»
aggiunse il Lusan «Tu sai chi erano i miei genitori,
perché Kahzameer è
governata da tempo dalla dinastia da cui discendo io. Dunque mi
chiedo… chi
erano i tuoi genitori?»
«Artificieri».
Dolmer
sollevò le sopracciglia, stupito del fatto che lei
gli avesse risposto. «Davvero?»
Calida fece
spallucce. «O forse si occupavano di libri, o
erano semplici contadini. O becchini. O magari dei boia. Scegli la
versione che
preferisci».
«Immagino
che, se io ora protestassi dicendo che ho
risposto, tu ribatteresti che non mi hai obbligato. Allora, cosa volevi
dirmi
riguardo l’assalto previsto per domani?»
Era una domanda che
segnava l’uscita dal terreno un
po’scivoloso in cui lei stessa si era infilata, riportandola
in uno più
congeniale che, da diverso tempo a quella parte, la faceva perfino
sentire sana.
Più volte
aveva pensato che massacri, guerra e bagni di
sangue le facessero bene, e tali congetture sembravano aver trovato
conferma:
non aveva più avuto problemi nel riconoscere le persone, non
aveva più visto il
volto di Anise al posto di altri e, soprattutto, non era più
perseguitata da
Anise in versione decomposta.
Sì,
continuava a sentire il richiamo verso Vynumeer, aveva
sognato Rubedo/Kamandi in qualche occasinone, aveva spesso
l’impressione di
essere osservata anche quando era sola e ogni tanto le sembrava di
vedere il
movimento di capelli argentei con la coda dell’occhio, ma
rispetto a prima non
era nulla che non potesse gestire, tant’era che nemmeno
Dolmer la riteneva
fuori di testa -non in senso "poco utile", s'intende.
«Volevo
raccomandarti un’ultima volta di non danneggiare
troppo le strutture. Abbiamo devastato Moriameer ma Sarumeer
è una buona base
in cui poterci stanziare per poi occuparci delle quattro
città che mancano».
«Diciotto»
sospirò Dolmer.
«Cosa?»
«Volte che
mi ripeti questa cosa. Con questa sono diciotto».
Utlhmeer, Kahzameer,
Moriameer e Thandrumeer erano
piuttosto vicine tra loro -e le ultime due non costituivano
più un problema-
mentre Saurumeer era a metà strada tra
quell’insieme di città e un altro
gruppo, sempre di quattro, posizionato un po’più
distante.
Avevano deciso di
prendere quella città perché, oltre ad
avere una buona posizione, aveva anche una doppia cinta di mura alte e
rese
“scivolose” dal tempo, tra le quali era stato
scavato un fossato riempito
d’acqua.
I cannoni avrebbero
permesso loro di aprire brecce nelle
mura ma, come chiunque altro in passato, Calida e Dolmer avevano
concluso che
sarebbe stato un peccato perdere un avamposto così ben
protetto; tutti motivi
per cui avevano deciso di prendere la città per fame.
Togliere loro
l’acqua era stato il primo passo, deviando
mediante uno sbarramento il braccio del fiume che, come nel caso di
Moriameer,
attraversava Sarumeer e riempiva d’acqua il fossato.
I nemici vedendo
ciò avevano tentato la prima sortita
durante la notte, senza ottenere altro che una batosta; costretti a
ritirarsi,
si erano arroccati all’interno della città in
attesa di un momento buono per riprovare.
Nel corso del tempo
avevano fatto altri tentativi, ma erano
andati tutti come il primo, tanto che infine avevano smesso.
Il secondo passo era
consistito nel privare i nemici delle
maggiori riserve di cibo, servendosi della conoscenza di Calida
riguardo le
planimetrie delle città.
Entrare di nascosto
per dare fuoco agli edifici dove veniva
immagazzinato il cibo sarebbe stato arduo, ragion per cui, trattandosi
di
strutture in legno, Calida aveva avuto un’altra idea.
“Dolmer,
hai dei
prigionieri da prestarmi?”
“Li
ho,
però credo che sarebbe inutile cercare di farli
entrare a Sarumeer”.
“Non
lo faremmo
nel modo che pensi tu. Ho fatto un paio
di calcoli e penso che dovremmo riuscire a lanciarli contro i
magazzini…”
“Non
credo che
quelle persone sopravvivrebbero all’urto”.
“Certo
che non
sopravvivrebbero: li cospargeremmo di
liquido infiammabile e appiccheremmo il fuoco appena prima di lanciarli
contro
i magazzini. Che sono di legno”.
“Potremmo
usare
della pece”.
“Se
tu fossi al
posto dei nostri nemici, ti
spaventerebbero più dei Lusan in fiamme o delle palle di
pece?”
“…
prendi tutti i prigionieri che ti servono”.
Era stato necessario
aggiustare il tiro un paio di volte ma
il piano aveva funzionato; dunque, una volta passato il giusto lasso di
tempo,
erano passati alla terza parte del piano, ossia favorire lo sviluppo di
una
pestilenza lanciando carcasse di animali all’interno delle
mura.
Gli abitanti di
Sarumeer erano ormai debilitati dalla
mancanza di acqua e di cibo, motivo per cui, come avevano testimoniato
le
molteplici colonne di fumo e l’odore di carne di Lusan
bruciata, erano caduti
vittime di un morbo che difficilmente si sarebbe sparso a macchia
d’olio tra
persone sane.
Consci della
condizione dei loro nemici, Calida e Dolmer li
avevano lasciati cuocere nel loro brodo un altro po’, e ormai
erano piuttosto
convinti del fatto che superare le mura e conquistare la
città non sarebbe
stato più difficile di quanto fosse stato devastare
Moriameer.
«Se vuoi
posso ripeterti altre due volte di danneggiare le
strutture il meno possibile» disse Calida
«Così da arrivare a una cifra tonda».
«Credo che
in tal caso potrei prendere in considerazione
l’idea di spaccarmi il cranio da solo dando testate a un muro
non meglio
specificato» ribatté Dolmer «Immagino
che questo faciliterebbe il lavoro di qualcuno».
«Se uno di
noi due uccidesse l’altro subito dopo aver
portato a termine la conquista succederebbe un putiferio, e non
è quel che
voglio».
«Lo so,
infatti non parlavo di te. In verità io pensavo al dopo.
Al momento siamo impegnati in questa campagna di conquista e/o
devastazione,
no? A Moriameer abbiamo dato alla nostra gente la prova che
quest’alleanza mai
vista prima funziona, domani se Q’thulu vuole faremo
altrettanto, e magari
riusciremo davvero ad avere ragione anche delle altre quattro
città. Una volta
finita e vinta la
guerra domineremo la
valle, verremo acclamati, verremo osannati… ma per quanto, Calida?» le chiese
Dolmer, con uno sguardo cupo negli
occhi dorati «Per quanto tempo riusciremo a tenere tutto e
tutti insieme?
Quanto tempo passerà prima che smettano di osannarci e che a
qualcuno venga in
mente di prendere il nostro posto, o semplicemente di smantellare tutto
quel
che avremo creato?»
A Calida non piacque
quel discorso, pur non essendo del
tutto sbagliato; anzi, forse era proprio per quel motivo che non le
piaceva.
«Questo
valeva anche prima, Dolmer, quando non eravamo
alleati ed eravamo ognuno a capo della propria città, e
comunque tu sei un capo
amato e rispettato, mentre io un capo temuto
e rispettato: è un’unione bilanciata. I nostri
concittadini non hanno cercato
di farci fuori prima, non hanno cercato di farlo quando ci siamo
sposati, non
vedo perché dovrebbero farlo in futuro. Quel che dobbiamo
fare è impegnarci per
aumentare le nostre possibilità di vittoria, non fasciarci
la testa prima di
romperla. Pensa all’assalto di domani, non al "dopo".
Buonanotte» concluse
Calida, andandosene prima che il marito potesse replicare.
“Quanto
tempo
passerà prima che smettano di osannarci e che a qualcuno
venga in mente di
prendere il nostro posto, o semplicemente di smantellare tutto quel che
avremo
creato?”
Si era alleata con
un altro capo, lo aveva sposato per
poter vincere la guerra e dominare la valle, ma quelle parole
insinuavano il
dubbio che quanto aveva fatto non fosse sufficiente, non per i suoi
progetti.
Non per realizzare
davvero il proprio sogno senza
ricorrere al potere di Rubedo e pagarne il
prezzo.
***
«Una
pioggia del genere non si
vedeva da un po’. Non mi piace pensare che debbano combattere
con questo tempo.
Riduce la visibilità e la presa sul terreno, tra le altre
cose».
Non era una buona
giornata per
Anise, ma d’altra parte le giornate veramente
buone avevano avuto termine da tanto tempo: da oltre un anno e mezzo,
per la
precisione.
«Di
rimandare non se ne parla,
hm?» chiese Champa, pur sapendo benissimo quanto quella fosse
una domanda
retorica «Prova a pensarla così: il discorso di
presa e visibilità vale anche
per gli altri».
«Apprezzo
veramente il tuo
tentativo, Champino, ma non mi consola».
«Quando
tua sorella è andata
contro la città di Thandrumeer non eri altrettanto in
pensiero, e dopo quel che
è successo a Moriameer tempo fa non credo che ci siano
ragioni di esserlo.
Anise… non so se te lo ricordi, ma li hanno
“asfaltati”, come si suol dire».
«Ero
preoccupata anche in
quell’occasione, se è per questo. Champa, io non
riesco a togliermi dalla testa
il fatto che Calida stia facendo una campagna militare assieme a quello
che
fino a relativamente poco tempo fa era un
nemico».
«Ossia suo
marito».
«Ecco!
Dovrei essere felice del
fatto che due città, una delle quali è quella di
mia sorella, siano riuscite ad
allearsi, però io non sono tranquilla, e devo ancora
accettare del tutto il
fatto che Calida si sia sposata. Calida»
ripeté «Sposata. Lei! Lei,
che al mio
ventesimo compleanno aveva detto di aver rifiutato ogni proposta e di
aver
accantonato l’idea! Ho capito perché lo ha fatto,
in realtà è addirittura una
cosa sensata, è da una vita che vado avanti a parlarle dei
benefici di
un’alleanza, ma non avrei mai pensato che un giorno si
sarebbe presentata qui,
in casa mia, assieme a un marito. Nemmeno brutto, tra
l’altro».
«Per
fortuna che Beerus non ti
sente» commentò Champa «Non mi hai
ancora detto per cos’avete litigato, questa
volta».
«Colpa
dell’incubo. Di nuovo»
disse Anise «E della sua voglia di portarmi subito
via di qui, che aumenta sempre più ogni volta. Un
po’ lo capisco, essere
tormentato da certi incubi non è piacevole e credimi se ti
dico che mi dispiace
veramente tanto per lui, però puoi ben capire che io, per
come vanno le cose al
momento, mi sento poco propensa a trasferirmi da lui e iniziare una
convivenza».
«Tutti
questi incubi di Beerus
però iniziano a non piacermi» ammise il dio
«Soprattutto perché da quel che ho
capito sogna sempre la stessa cosa: Ulthmeer distrutta, tu che vieni
uccisa da
qualcuno che conosci. È vero, che io sappia i suoi sogni pseudo profetici non sono accurati,
tutt’altro» alzò gli occhi al
soffitto «Però… non mi piace».
«È
ovvio che continui a
sognarlo, questa cosa è diventata una sorta di chiodo fisso
per lui.
Evidentemente non si è mai tolto veramente
dalla testa quello che ha visto la prima volta in cui ha
avuto questo
incubo» disse Anise «Cosa che ha dato origine a
quello successivo, peggiorando
questa sua sorta di ossessione, e da lì in avanti, complice
la sua poca stima
per Calida, il tutto è degenerato ulteriormente, fino ad
arrivare a diventare
motivo di una discussione per colpa della quale non abbiamo contatti da
tre
giorni. Un distacco poco coerente con la sua volontà di
proteggermi a ogni
costo… ma è meglio questo che averlo attorno
arrabbiato».
«Tanto
proteggerti da qualsiasi
cosa penso io» esclamò Champa, mettendole un
braccio attorno alle spalle «Lo
sai».
«In certi
momenti riesci a
proteggermi perfino dai brutti pensieri» sorrise la ragazza
«Però oggi, come
dicevamo prima, ho in testa mia sorella. Calida mi ha detto che questa
alleanza
deriva dal fatto di voler vincere, invece di limitarsi a restare in
piedi, e io
le credo… però ho come avuto la sensazione che si
sia trattato di una soluzione
alternativa “estrema”. Alternativa a cosa, non lo
so. Inoltre mi auguro che suo
marito in futuro non faccia l’idiozia di pugnalarla alle
spalle, o comunque che
Calida riesca a non farsi uccidere. Champa, poco fa ti sei sorpreso
della mia preoccupazione,
ma non saresti allarmato anche tu se qualcuno che conosci infrangesse
così i
propri schemi comportamentali?»
«Forse.
Però tu non puoi farci
molto, e comunque tua sorella è una che se la cava. Abbi
paura per tuo cognato,
se mai. A me dispiacerebbe se morisse prima del tempo»
commentò il ragazzo.
«Immagino
che questo sia dovuto
al quel che ha detto di Beerus. È un miracolo che non
l’abbia fatto fuori
subito».
Il giorno in cui
Calida aveva
portato Dolmer in casa di Anise, Beerus li aveva accolti malissimo,
convinto
che Calida avesse portato lì Dolmer come
“pretendente” di Anise.
La faccia che aveva
fatto quando
aveva saputo che quel Lusan lì era sposato con Calida era
stata da primo piano,
e la sua grassa risata nell’ululare quanto fosse
“Assurdo e ridicolo che una cosa
del genere abbia trovato marito”
aveva fatto vergognare Anise delle sue maniere -e un po’anche
Champa.
Il divertimento di
Beerus
tuttavia era durato poco: era bastato un “Capisci cosa
intendevo?” di Calida
rivolto a Dolmer che, dopo aver alzato gli occhi al soffitto, aveva
detto “È
proprio il dio che non meritiamo e, soprattutto, quello di cui non abbiamo bisogno”.
Champa fece
spallucce. «Non
possiamo prendercela col marito di tua sorella se è una
persona obiettiva, Beerus
è stato peggio che maleducato. Se io sapessi che la mia
fidanzata non gradisce
che si rida in faccia a sua sorella, non lo farei».
«Quando
troverai la donna giusta
per te, lei potrà ritenersi molto fortunata».
«Forse
qualcuno dovrebbe
spiegarglielo. Alla donna giusta» aggiunse il giovane
«Ho oltre ventun anni e
non ho mai avuto una ragazza fissa. Sì, lo so che per un
Hakaishin questo è
piuttosto normale, so che in realtà è strano il
contrario, però vedo te e
Beerus…»
«Come se
io e Beerus fossimo un
bell’esempio! Non lo siamo più da un pezzo, quindi
non parliamone neppure»
sospirò la ragazza.
«Magari in
futuro andrà meglio.
Insomma, lo spero, perché quando ti vedo contenta sono
più tranquillo… però
ehi! Se le cose per disgrazia non dovessero andare bene
c’è sempre il piano B!»
esclamò l’Hakaishin, indicandosi.
Anise
aggrottò la fronte. «In
che senso?»
«Se tu e
Beerus vi lascerete,
verrai a stare a casa mia!» esclamò Champa
«Troverò il modo di renderti
immortale come me, passeremo l’eternità andando in
giro insieme a divertirci e,
soprattutto, tu mi farai da spalla quando ci proverò con una
ragazza. Io farò
lo stesso per te quando vorrai provarci con un ragazzo,
ovviamente!»
L’Hakaishin
sapeva fin troppo
bene che in realtà, se suo fratello e Anise si fossero
lasciati e lui avesse
davvero tentato di mettere in pratica quel piano, Beerus gli avrebbe
fatto il
sedere a strisce… però quello era solo un
minuscolo, insignificante dettaglio.
«Saremmo
una squadra
imbattibile! Tu però in realtà non hai bisogno di
una spalla, Champa, hai
bisogno di rimanere da solo con una ragazza senza avere la tua maestra
attorno.
Magari senza che questa ragazza sia una prostituta».
«È
difficile. A parte gli
scherzi, Vados non mi lascia mai solo con una ragazza che non fa quel
lavoro
lì. Mai»
ripeté il giovane «Letteralmente.
La sola eccezione sei
tu, e questo perché sei fidanzata con Beerus. Mi sono fatto
l’idea che voglia
evitare di fare lo stesso “errore” di
Whis».
«È
più che plausibile».
Seguì
qualche attimo di
silenzio, per fortuna non pesante.
«Immagino
che resterai
pensierosa fino a quando la battaglia non finirà»
disse Champa.
La Lusan si
raggomitolò sul
divano. «Probabilmente resterò pensierosa fino a
quando il tutto non sarà
finito, in un modo o nell’altro. Vedi, Champa, il fatto
è che mia sorella è
importante per me. Ricordo che da bambina vivevo nell’ombra
di Calida, ma era
un’ombra in cui ai tempi mi sentivo al sicuro. So che lei
è una persona
alquanto strana -e un po’lo sono anche io- e so benissimo a
quali livelli di
brutalità può arrivare, ma nonostante questo,
nonostante tutto quel che può
essere o non essere successo tra noi, io so che senza di lei non sarei
qui. Per
non parlare del fatto che non saprei fare la metà delle cose
che invece so fare,
se non fosse per Calida. Per tanti anni siamo state una la sola
famiglia
dell’altra. Non posso dimenticarlo. Non ci riuscirei nemmeno
volendo».
Champa
pensò a quanto fosse
assurdo che due persone senza alcun legame di sangue fossero
più legate di due
fratelli gemelli,
tuttavia non disse nulla, limitandosi ad imitare Anise
nell’ascoltare in silenzio il rumore del temporale.
***
La battaglia nella
città di Sarumeer infuriava, esattamente come
infuriava la pioggia.
La parte degli
eserciti congiunti di Ulthmeer e Kahzameer che fino
a quel momento aveva mantenuto l’assedio stava dando
finalmente l’assalto, dopo
aver superato la doppia cinta muraria. Le urla di guerra si mescolavano
con lo
scrosciare continuo dell’acqua che, se fosse giunta prima,
per la città di
Sarumeer sarebbe stata una benedizione.
Il rombo di un tuono
squarciò l’aria esattamente quando Dolmer
Kahzameer a-ghekavary
tagliò di netto
la testa di un Lusan di Sarumeer.
Alcuni Lusan tra
coloro che erano sopravvissuti alla fame, alla
sete e alla pestilenza si erano semplicemente arresi senza colpo
ferire, troppo
sfiancati in ogni senso per poter reagire, ma altri si stavano battendo
contro
di loro con tutte le poche forze che avevano in corpo, mossi
più dalla rabbia
viscerale per quel che avevano patito che dall’odio secolare
tra una città e
l’altra.
Un odio che forse era un
po’meno forte di quanto lui avesse creduto, pensando
all’equilibrio decente che
aveva trovato con sua moglie.
«Hogevor Dolmer, siamo
riusciti a radunare quelli che si sono arresi» lo
informò una dei suoi
luogotenenti, dopo averlo raggiunto «E siamo a buon punto
nell’uccisione delle
persone che invece non lo hanno fatto».
«Bene,
allora cerchiamo di continuare così e raggiungiamo mia
moglie. Ovunque sia».
L’aveva
persa di vista quando erano riusciti a valicare le mura
-com’era successo anche a Moriameer- pur essendosi ripromesso
di non lasciare
che una cosa del genere accadesse; erano alleati, secondo lui avrebbero
dato
un’immagine migliore se si fossero fatti vedere mentre
combattevano assieme.
«Nonostante
la pioggia sono sicura di averla vista poco lontano da
qui, non dobbiamo far altro che correre là».
Senza por tempo in
mezzo, entrambi corsero in direzione del luogo
in cui la luogotenente era convinta di aver visto Calida, scoprendo ben
presto
che non si era affatto sbagliata.
Altri soldati di
Ulthmeer e Kahzameer erano impegnati a combattere
in quella piazzola, ma Calida e la sua stazza saltarono subito
all’occhio di
Dolmer.
Esattamente come gli
“saltò all’occhio” il modo in
cui Calida
agguantò un Lusan maschio per la nuca e sbatté
con forza la sua testa contro il
muro di pietra di un edificio, trovandosi in mano una melma indistinta
di
sangue, materia grigia e frammenti di ossa.
Come da
cliché, a Dolmer parve che il tempo si stesse dilatando:
osservò la “melma” mescolata
all’acqua tra le dita guantate di Calida, lo
sguardo profondamente soddisfatto nei suoi occhi verdastri parzialmente
nascosti
dalle ciocche di capelli neri appiccicate al volto, il candore dei
denti
snudati in un ghigno crudele.
Anche a Moriameer
l’aveva persa e ritrovata, anche a Moriameer
l’aveva
vista battersi con furia, eppure quel che aveva ora sotto gli occhi gli
risultava “diverso.”
Un pensiero
improvviso lo colpì come se fosse stato una sassata: “Il precedente capo di Ulthmeer
è morto con
il cranio spappolato”.
La morte di Meskal
aveva fatto notizia, ai tempi, perché Meskal oltre
a essere un capo era stato un guerriero esperto. Lui, come gli altri,
non era
riuscito a venire a sapere chi fossero i colpevoli -i quali sarebbero
stati
premiati, se fossero stati abitanti della sua città- ed era
quello il punto: “i”
colpevoli.
Tutti quanti avevano
sempre creduto che fosse stato assalito da un
gruppo di Lusan mentre era solo, lui stesso lo aveva fatto,
però ora si
chiedeva se non fosse stata Calida, invece, a uccidere da
sola il proprio cognato.
Questi non aveva
forse ripudiato la sua amata sorella?
Fu costretto a
riscuotersi dai propri pensieri quando intravide con
la coda dell’occhio un movimento alla sua sinistra, riuscendo
appena in tempo a
notare una Lusan inferocita e a evitare il proiettile di un hrat’san.
Riuscì ad
avere ragione di lei scattando nella sua direzione e
uccidendola con un singolo affondo della spada, pur avendo perso per un
attimo
l’equilibrio a causa dei sanpietrini resi scivolosi dalla
pioggia, e quando si
voltò si rese conto di essere ormai schiena a schiena con
Calida.
Gli parve che lei
avesse detto qualcosa, ma non riuscì a udirla per
colpa del clamore attorno a loro e dell’ennesimo tuono;
capendo che cercare di parlare
era assolutamente inutile, escluse dalla propria attenzione qualunque
cosa non
fosse la battaglia in corso.
Come in tutto il
resto delle città i fucili a pietra focaia non
erano un’arma particolarmente diffusa, dunque si trovarono ad
affrontare degli invasati
che combattevano a mani nude o all’arma bianca, menando
fendenti con spade e
pugnali, pugni e calci a destra e sinistra.
Lui e Calida insieme
stavano riuscendo a guardarsi le spalle in
maniera efficace, evitando quasi del tutto di riportare danni, ma
Dolmer vide morire
la sua luogotenente, il cui volto venne letteralmente sbranato da un
Lusan con l’aria
completamente folle di rabbia e probabilmente anche di fame.
Pur essendo avvezzo
alla brutalità era abbastanza sicuro che
avrebbe faticato a togliersi dalla mente il modo in cui i denti di
quella
bestia erano affondati nella carne e l’avevano lacerata senza
pietà; stava
faticando anche adesso, specie sapendo di essere troppo impegnato con i
propri
avversari per poter aiutare qualcuno che, in ogni caso, era
già senza speranza.
Non seppe dire per
quanto andò avanti quella lotta furiosa, perché
senza rendersene conto aveva perso, in parte, anche il senso della
realtà oltre
che quello del tempo; smise di fendere l’aria con la spada
solo quando sentì
una presa potente e dolorosa al polso.
«È
finita».
Dolmer
batté le palpebre, riacquisì pieno controllo di
sé, e solo
allora Calida -perché di lei si trattava- lo
lasciò andare.
«So che
è finita, lo avevo notato» disse il Lusan.
«Al terzo
fendente a vuoto mi è venuto qualche dubbio»
ribatté
Calida, avendo cura di farlo piano, vicino all’orecchio
«Sono cose che
succedono, quando ci si batte contro persone affamate».
«Quali
cose?»
Calida non si
curò di rispondergli, sapendo benissimo che in
realtà
aveva capito, e lui non insistette oltre.
«So che
quelli che si sono arresi sono stati radunati nel tempio di
Q’thulu. Tra essi c’è anche il Sagartaibh.
Immagino che tu ne sia sollevato: abbiamo conquistato la
città e assecondato il
tuo intento di risparmiare gli uomini di fede. Ora non dobbiamo fare
altro che
pensare alle cose pratiche. Mi segui?»
Dolmer
annuì e, dopo un ultimo attimo di esitazione, si rivolse ad
alcuni soldati in attesa di ordini. «Fate in modo che lo
sbarramento costruito
per deviare il fiume venga demolito entro oggi, e portate tutte le
attrezzature
e le provviste del campo in città. Bruceremo i cadaveri
appena questa maledetta
pioggia smetterà di cadere».
I soldati si
allontanarono, lasciando lui e Calida soli.
«Ora ne
mancano “solo” quattro. Quelle quattro
città laggiù» disse
la Lusan, con un vago cenno del capo in direzione delle suddette
«Credo che
dovremo muoverci in fretta, lasciare nelle nostre città il
numero di soldati
indispensabile per difenderle, e attaccare in forze i nostri avversari
il prima
possibile. Se prima non erano troppo convinti dell’efficacia
della nostra
alleanza, quando sapranno cos’abbiamo appena fatto lo
diventeranno sicuramente».
«Dovremo
per forza lasciar passare del tempo, non possiamo partire
all’attacco con dei soldati stanchi»
obiettò Dolmer.
«Non a
caso ho parlato di prenderne altri dalle nostre città. Io
voglio lasciar passare al massimo una settimana, non di più,
prima di muoverci».
«Cosa
temi, Calida? Che quelle quattro città si sveglino e si
alleino contro di noi?»
Calida fece
spallucce. «Fino a qualche tempo fa anch’io avrei
detto
una cosa del genere con lo stesso tono. Poi però mi sono
alleata con te e ti ho
sposato».
“Eppure
potrebbe non bastare…” pensò.
Le parole di Dolmer
riguardo il futuro le ronzavano ancora in
testa.
Pensando alle calde
acque del lago di Vynumeer, al potere che si
nascondeva sotto di esse, al prezzo che avrebbe dovuto pagare e ai
miglioramenti della propria salute mentale, sperò di non
dover mai, mai ricorrere a quei
mezzi che aveva
fatto di tutto per evitare.
Ciao a tutti! Problemi di vario genere mi hanno tenuta lontana da
questa storia, alla cui fine mancano appena cinque o sei capitolo.
Ho aggiornato dopo un ritardo a dir poco epico, ma ce l'ho
fatta.
I miei ringraziamenti più sentiti e sinceri vanno a coloro
che si sono interessati al destino di questa storia durante la mia
assenza: a chi mi ha chiesto notizie, a chi ha recensito nonostante
sembrassi scomparsa dalle scene. Grazie.
Non ho nient'altro da dire, se non... a presto (;
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