abditory.

di persephone_
(/viewuser.php?uid=190509)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Le persone non sono capaci di restare nella mia vita. Le persone, quelle normali almeno, non vi respirano. Soffocano. Sono costrette ad andare via.

Ci sono abituato, a vederle scappare. Sono come un gatto randagio che viene adottato e che, non appena inizia a sentirsi a casa, viene rispedito in strada. E' sempre andata così.

 

Quando avevo tredici anni lo avevo anche io, un gatto, ma l'ho sempre odiato. Però non l'ho mai cacciato, morì al mio fianco senza motivo, probabilmente era troppo stanco di vivere nel mio mondo. E' così che la gente se ne va. Resta con te fino alla fine, morendo giorno dopo giorno. Era un gatto carino, ora che ci penso: aveva il pelo bianco, bianchissimo, ed ogni volta che fissava la finestra, rifletteva la luce. Si chiamava Yuki, che in giapponese significa neve. Non ero un tipo fantasioso, non lo sono neanche adesso.

 

 

Penso di avere ventitré anni. O forse ventiquattro. Ho smesso di contarli da quando ho finito la scuola, tanto è indifferente, dopo i venti scorrono senza fermarsi. Quando entri in società non sei più una persona, diventi parte di un meccanismo che alcuni chiamano vita. Io la definisco "fare da comparsa", perché anche se fosse la mia vita, io non la sto vivendo.

Ho studiato economia perché, anche se avessi fatto parte di quel meccanismo, volevo essere una parte cosciente. In realtà continuo ad essere incosciente, ma almeno sono capace di calcolare gli sconti al supermercato. Neanche mi piaceva, l'economia.

Mia cugina, chissà ora quanti anni ha, studiava letteratura mentre io ero alle medie. Le brillavano gli occhi, era felice, diceva che aveva colto l'universo in un libro e lo voleva vivere. Spero lo stia facendo. Io continuo a rimanere fermo, inerme, al supermercato. Stamattina ho visto le sardine in offerta, dopo andrò a comprarle.

 

 

Vivo solo ormai da tre anni, se ne ho ventitré, o da quattro, se ne ho ventiquattro; non appena raggiunsi i venti, presi le mie cose ed andai via. Salutai la ciotola di Yuki –nessuno si era preoccupato di scostarla dopo la sua morte- e affrontai il mondo esterno: non fu affatto stupefacente, solo più freddo del previsto. Avrei dovuto comprare qualche sciarpa. Sono tre anni, o forse quattro, che continuo a dimenticarmene. Comprerò una sciarpa assieme alle sardine.

Economicamente me la cavai bene per un periodo. Secondo statistiche e schemi che avevo appreso, non volevo non sfruttare ciò che avevo studiato, e ovviamente sacrifici, riuscii a non morire di fame per almeno un anno. La proprietaria di un ristorante cinese, dalle parti del monolocale che avevo affittato, mi aveva preso sotto la sua ala protettiva e mi concedeva larghi sconti, quindi di tanto in tanto potevo permettermi anche una birra. Della marca più economica, sapeva di alcool e acqua, ma presto mi abituai al sapore.

 

Poi entrai nel mondo del lavoro. Non so come, iniziai a scrivere articoli di giornale per adolescenti: migliori ristoranti del quartiere, hit del momento, tutte cose che non mi interessavano. Ma finché guadagnavo, lavoravo. Gli anni di economia sembravano perdersi nel fumo delle sigarette che iniziai a fumare: assieme ai soldi, arrivarono i vizi. Smisi all'istante perché il monolocale era così piccolo che dopo una sola sigaretta puzzava quanto una ceneriera. 

Lavorai così finché non trovai il mio attuale lavoro. Non ho ancora idea di come sia, il mio primo giorno è domani. Un albergo in fallimento cerca un direttore che lo riporti all'antico splendore. Me l'ha proposto la signora del ristorante cinese, mi ha detto che lì lavora suo figlio. "Mio figlio," ricordo le sue esatte parole "-è il cuoco dell'hotel. Sono tutti amici lì dentro e non vogliono salutare quel posto. Serve un direttore per poter riaprire, e tu sembri un tipo in gamba."

 

Quasi non risi. Sembrava la missione di un videogioco. Il meccanismo, o la vita, mi stava lanciando una sfida. Pensai a quanto odiavo la birra economica, quindi accettai.

 

 

 

 

Domani inizio. Quasi mi pento, ho dovuto anche comprare un abito elegante. Non volevo presentarmi il primo giorno di lavoro con uno dei vestiti che si erano impregnati di fumo. E dire che, secondo me, fumavo poco. 

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3779989