Capitolo 11
Allies from the Storm
Brienne
Il
carretto procedeva a scossoni e non esisteva buca su quella strada
accidentata
che le ruote non prendessero in pieno. Il cavallo baio era lento e
vecchio e
aveva bisogno di riposo ogni mezz’ora. Non vi era posto sui sedili del
guidatore e Vyktor le aveva detto di mettersi dietro, tra le casse di
merci.
Brienne aveva subito accettato, ben felice di avere una scusa per non
parlare
con l’antipatico maestro.
Le
prime miglia furono percorse nel più totale silenzio e Brienne ebbe
modo di
ammirare il panorama. Nonostante la necessità di rimanere nell’ombra,
Vyktor
aveva insistito nello scegliere la Strada delle Rose che da Vecchia
Città li
avrebbe portati dritti ad Alto Giardino. Da lì avrebbero testato la
sicurezza
della Strada del Re, assicurandosi in ogni caso di evitare di arrivare
troppo
vicini ad Approdo del Re. Brienne sapeva dell’esercito Lannister che
marciava
su Alto Giardino, ma confidava sul fatto che si trovasse ancora
lontano. La
preoccupava maggiormante l’incalzante esercito Tyrell che avrebbe
potuto
lasciare da un momento all’altro Vecchia Città.
Via
via che si allontanavano dal mare il clima si irrigidiva e gli alberi
apparivano sempre più spogli. Sulle colline il vento gelido mozzava il
fiato.
Brienne non aveva mai visto le terre dell’Altopiano ridotte in un tale
stato di
miseria. Da
ragazza suo padre l’aveva portata con sé in viaggio, forse sperando di
riuscire
a prometterla all’erede di lord Tyrell. E così Brienne aveva visto i
campi
coltivati che si estendevano fino a perdita d’occhio e le pianure di
girasoli e
frutteti. C’era sempre il sole e niente sembrava poter turbare quella
quiete
perfetta. Ora invece i rami degli alberi parevano artigli ed il terreno
era
sterile e grigio.
Dopo
due ore abbondanti Vyktor dovette annoiarsi della situazione e decise
che
Brienne doveva assolutamente conoscere tutta la storia della sua
esistenza. Era
evidentemente un uomo vanitoso ed egocentrico che amava pavoneggiarsi
narrando
in maniera pomposa e, secondo Brienne, distorta i fatti salienti della
sua
vita.
“E
sapessi quando giunse la notizia!” stava esclamando con voce tragica
voltandosi
di tanto in tanto “Il povero Lucas ucciso in quel modo a un matrimonio.
Roba
da pazzi! Lord Tytos rimase chiuso nelle sue stanze per una settimana.
Non
voleva vedere nessuno, eccetto me ovviamente, e passava il tempo alla
finestra.
Suo figlio ucciso a un matrimonio! Nessuno poteva crederci. Voglio
dire, se
davvero volevano uccidere quel ragazzo-lupo, non potevano scegliere un
altro momento?
Era un matrimonio, per gli déi!”
Brienne
sorrise freddamente. Era evidente che Vyktor non avesse davvero idea di
cosa
esattamente fosse successo alle Nozze Rosse e lei si chiese come avesse
potuto un uomo rivoltante come lui diventare maestro. Probabilmente è un
adulatore, si convinse infine.
Dopo
un’altra ora di chiacchiere ininterrotte a Vyktor finalmente mancò il
fiato e
si fermarono sulla riva di un ruscello non segnato sulle mappe. Il
maestro si
appisolò subito e toccò a Brienne condurre il povero cavallo sfinito
all’ombra
di un salice che cresceva lì vicino. La bestia iniziò a brucare e
Brienne la
lasciò libera. Poi si sedette appoggiando la schiena alla ruvida
corteccia.
Quanto
sarebbe durato il viaggio? Cosa avrebbe trovato a Grande Inverno una
volta
tornata? Sansa stava bene? Brienne si augurava con tutto il cuore di
sì, ma non
riusciva a scacciare l’opprimente senso di angoscia che l’assaliva ogni
volta
che pensava a lei. E Davos? si
chiese stupendosi nello scoprirsi preoccupata
per lui Cosa gli sarà successo?
Per quel tempo se tutto era filato liscio Jon
Snow sarebbe dovuto essere alla Roccia del Drago già da un paio di
giorni. E
io sto qui a fare il giro lungo, si disse Brienne frustrata. E pensare che
l’altra nave di Daenerys andava a Porto Bianco! Se avessi preso quella
sarei
arrivata in un attimo… Sapeva che non era il caso di piangersi
addosso, ma
quasi non riusciva a credere a tanta sfortuna.
Vyktor
stava russando ormai da troppo tempo e Brienne decise di svegliarlo:
non
potevano perdere tempo. Quando si apprestò a scuoterlo la terra tremò e
l’aria
fu pervasa da urla provenienti dalla cima dell’ultima collina che
avevano
appena superato durante il viaggio. Brienne si voltò di scatto e vide
la
polvere sollevarsi là dove gli zoccoli di centinaia di cavalli
colpivano terra.
I
cavalieri portavano le effigi della rosa Tyrell, ma la maggior parte di
loro
faceva senza dubbio parte dei khalasar dei Dothraki. Brienne aveva
letto un
libro riguardo alle tradizioni dei signori dei cavalli e sapeva come
riconoscerli: la pelle scura e le lunghe trecce abbellite con
campanelle erano
le loro principali caratteristice distintive. L’esercito di Daenerys! pensò
Brienne troppo stupita per poter reagire.
Evidentemente
le pause che Vyktor aveva imposto erano durate troppo ed erano stati
raggiunti.
Abbandonando ogni delicatezza, Brienne iniziò a scuotere il maestro con
forza
finché non aprì gli occhi.
“Si
può sapere cosa…?”
“L’esercito
è arrivato” lo interruppe subito Brienne, “dobbiamo nasconderci e
lasciarli
passare.”
Vyktor
sgranò gli occhi e si tirò in piedi. Corsero al cavallo e cercarono di
guidarlo
velocemente verso il boschetto che cresceva poco lontano, ma la bestia
inciampava continuamente.
“FERMATEVI.”
Brienne
chiuse gli occhi maledicendo ancora una volta la regina dei draghi per
non
averle lasciato la spada. Quando si girò poté tuttavia constatare che
non le
sarebbe servita in ogni caso. Erano fronteggiati da non meno di venti
soldati
armati tra cui anche un paio di Dothraki. Brienne si sforzò di tenere
la testa
bassa, ma sapeva sarebbe stato tutto inutile.
“Cosa
volete?” chiese Vyktor ad alta voce “Io sono un maestro della
Cittadella e sto
tornando a Raventree. Lord Blackwood non apprezzerà ritardi non
giustificati.”
Almeno
è abbastanza convincente.
“E
lui chi è?” chiese un soldato accennando a Brienne.
“E’ una donna, deficiente”
lo interruppe un altro. “E’ possibile che sia…?”
“Cosa
sta succedendo?” chiese un ragazzo appena arrivato. Il gruppo di
soldati si
aprì a ventaglio per farlo passare. Brienne lo riconobbe subito: era il
più
giovane degli Hightower, il comandante della guarnigione Tyrell di
Daenerys. Il
ragazzo le venne davanti e Brienne incontrò il suo sguardo. Seppe
subito che
era stata riconosciuta.
“Lady
Brienne” disse infatti il giovane con voce calma, “ti prego di
seguirmi.” Poi
si rivolse a Vyktor che osservava la scena in silenzio. “Siamo
spiacenti per il
disagio, maestro” si scusò, “sei libero di proseguire.”
Vyktor
guardò Brienne incerto, ma non si fece ripetere l’offerta una seconda
volta e
si allontanò con il suo cavallo baio. Brienne sapeva che in caso di
bisogno
quel vigliacco non avrebbe mai preso le sue difese, ma in quel momento
fu come
se insieme a Vyktor e al suo cavallo se ne fosse andata anche l’unica
possibilità di ritorno al Nord. Si impose di concentrarsi sul presente.
Il
giovane Hightower era cordiale e la stava guidando verso quello che
sembrava un
accampamento in costruzione. I soldati stavano montando le tende e
molti
trasportavano legna ed utensili. In alcuni punti si sollevava il fumo
bruno di
un fuoco. Brienne non si era accorta che era ormai il tramonto. Fantastico,
pensò amareggiata. Hanno deciso di
accamparsi esattamente nello stesso posto
dove ci eravamo fermati noi. D’altronde non poteva biasimarli:
con il ruscello di
acqua e il terreno soffice quel luogo era perfetto. Ed era anche vicino
alla
strada, un po’ troppo forse.
“Da
questa parte” la invitò il giovane indicandole una tenda più grande
delle altre
e facendola entrare per prima. Dentro Brienne dovette attendere che gli
occhi
si fossero abituati alla penombra prima di poter distinguere le figure
che la
stavano fissando. Nella tenda era presente solo un lungo tavolo scuro
con una
manciata di sedie tutte intorno e sul quale era posata una candela
quasi del
tutto consumata.
“Diamine,
Nymeria!” gracchiò la voce inconfondibile di Olenna Tyrell “Ti avevo
detto di
accendere altre candele, tra poco non si vedrà niente.”
Nymeria Sand, intenta
ad contemplare la propria frusta, fece finta di non aver sentito.
Olenna sbuffò
e si rivolse all’accompagnatore di Brienne. “Garth,
sii gentile” lo pregò ora con voce più dolce, “rimediaci delle candele.
Ah, e
visto che ci sei dovresti dire a Rakandro di mettere delle sentinelle
ai
confini.” Garth Hightower si inchinò e uscì.
Olenna sorrise a Brienne. “Bene”
disse, “e ora veniamo a noi, ragazza. Come sei arrivata fin qui?”
“Io
scommetto che ha rubato una nave” disse secca Nymeria.
“E
allora per fortuna che non l’ho chiesto a te” ribatté Olenna acida.
“Sono
salita sulla vostra nave” rispose Brienne ritenendo inutile inventare
un’altra
storia, “e mi sono nascosta.”
Olenna annuì incoraggiante. “Ed
è possibile sapere perché?”
Brienne decise di dire la verità: arrivata a
quel
punto cosa sarebbe potuto cambiare? “Devo
tornare nel Nord” disse con voce atona, “ho un incarico importante.”
Olenna
sollevò le sopracciglia. “Capisco” disse solamente. Per qualche secondo
ci fu
solo silenzio.
“Sei
stata tu ad uccidere Renly Baratheon?” chiese poi a bruciapelo la
Regina di
Spine.
Brienne fu sorpresa da quella domanda. “No”
rispose decisa, “è stato un demone evocato dalla strega rossa di
Stannis.”
Nymeria si lasciò scappare un risolino irrisorio, ma Olenna la fulminò
con lo
sguardo.
“Non
sono riuscita a salvare Renly” continuò Brienne, “ma l’ho vendicato: ho
ucciso
Stannis con le mie stesse mani.”
Olenna sembrò sorpresa. “Non
mi era mai piaciuto Stannis” disse la vecchia con una smorfia, “troppo
serio:
non ci si può fidare di chi non prova emozioni.” Brienne ripensò al
momento in
cui l’aveva condannato a morte. Il volto di Stannis era una maschera di
dolore
e nei suoi occhi lei aveva visto il desiderio di morte. Forse non era
poi così vero che
non provasse emozioni.
Olenna
sospirò profondamente. “Mia nipote si fidava di te” disse e per la
prima volta
la sua voce si incrinò, “diceva che eri una grande donna.”
Brienne strinse le
labbra a disagio. “Margaery
è stata molto comprensiva” disse abbassando la voce. “Sono triste per
la tua
perdita.” Olenna annuì. Calò nuovamente il silenzio.
“Sai”
disse infine Olenna, “credo ti lascerò andare.”
La
frusta sferzò l’aria con un rumore secco. “Non puoi” intervenne Nym che
si era
alzata in piedi esterrefatta, “è una prigioniera della regina!”
“Era”
la corresse Olenna, “ma a me sembra che sia riuscita a scappare e
sfortunatamente nessuno è riuscito a trovarla.”
Nymeria Sand era rossa di
rabbia. “Manderò
una lettera alla regina” minacciò, “questo è tradimento. Brienne deve
essere
tenuta in custodia finché non saremo tornati alla Roccia del Drago.”
“E
quando credi ci torneremo?” le chiese ironica Olenna “Apri gli occhi,
bambina:
siamo in guerra, due delle maggiori casate dell’Altopiano sono contro
di noi e
stiamo andando a combattere un esercito Lannister. Se anche vincessimo
credi
forse che ci sarà un dolce viaggio di ritorno in barca? Quali che
saranno gli
ordini di Daenerys noi marceremo su Approdo del Re e la assedieremo.”
“Intendi
tradire la regina?!” esclamò Nymeria esterrefatta.
“Certo
che no” rispose Olenna, “quando la città sarà presa potrà sedersi su
quel
dannato Trono che tanto desidera: io mi accontento di molto meno.”
Nym
cominciava a capire. “Vendetta” sussurrò sorridendo maliziosa.
“Contro
la donna che ha ucciso la mia famiglia” assentì Olenna, “e che ha fatto
trucidare tuo padre.” Nymeria ora pendeva completamente dalle sue
labbra e
Brienne dovette ammirare le doti oratorie della Regina di Spine.
“Daenerys
non conosce Cersei” stava proseguendo Olenna, “non sa fino in fondo
quello che
ha fatto e non le darebbe una morte abbastanza dolorosa. Noi invece
potremo
finalmente fare giustizia. Ma per far questo non possiamo portarci
dietro una
prigioniera che Daenerys rivuole indietro, altrimenti continuerà a
tenerci
d’occhio e non ci permetterà di agire.”
Nymeria era completamente d’accordo. “Ma
gli altri?” chiese dubbiosa “Se non vogliono seguire questo piano?”
“Con
Baelor e Garth ci parlo io” replicò Olenna, “in fin dei conti vorranno
vendetta
per i loro nipoti, mentre a Rakandro ci penserai tu.”
Nymeria
annuì divertita. “Nessun problema” disse ridacchiando. Brienne giunse
alla
conclusione che Nymeria doveva essere una persona molto volubile e
particolarmente ingenua.
Olenna le sorrise. “Dunque,
Brienne” disse, “sei libera di andare dove desideri, ma mi sento di
consigliarti di proseguire con la colonna del mio esercito. Eviterai
incontri
spiacevoli e viaggerai più in fretta. Una volta giunti ad Alto Giardino
noi ci
fermeremo per preparare le difese e tu potrai proseguire, ovviamente
tenendoti
lontana dalla Strada del Re. Ah, e ti farò anche forgiare una spada
nuova, da
quello che vedo la tua è rimasta nelle mani di Daenerys.”
“Ti
ringrazio” disse Brienne chinando appena il capo, “e accetto volentieri
la tua
offerta.”
“Bene!”
esclamò Olenna “E ora vieni che ti indico la tua tenda…” Fecero per
uscire e
quasi si scontrarono con Garth che rientrava carico di candele.
“Eccole,
lady Olenna” ansimò il ragazzo, “sono tutte quelle che ho trovato.”
“Grazie,
giovanotto” disse Olenna divertita, “ma temo ora non servano più. Vai
dal
fabbro e ordina che forgi una spada di ottimo acciaio. Poi chiama tuo
fratello
e aspettatemi nella vostra tenda: devo parlarvi.” Detto questo, Olenna
superò
l’esterrefatto Garth con ancora tra le mani le sue candele e Brienne la
seguì.
Olenna
la condusse a una tenda isolata dove avrebbe potuto riposare senza
essere
disturbata. Brienne la ringraziò nuovamente e si ritirò. Distesa supina
nella
crescente oscurità, si chiese se davvero potesse fidarsi di Olenna. Poi
si
ricordò le storie che aveva udito riguardo a come Cersei avesse
effettivamente
fatto uccidere Mace Tyrell ed i suoi figli. Bruciati vivi dall’Altofuoco,
pensò rabbrividendo. Il desiderio di
vendetta di quella donna deve essere
genuino.
Involontariamente
le tornò in testa la confessione che Jaime le aveva fatto in quel bagno
saturo
di vapori. Cersei sta diventando
simile al Re Folle, si disse. Forse
l’idea
di Daenerys sul Trono di Spade non è poi così malvagia. Con quel
pensiero che
ancora le ronzava in mente Brienne si addormentò.
Fu
svegliata la mattina seguente dagli squilli di tromba dei soldati che
andavano
schierandosi e indossò l’armatura rapidamente. Uscita dalla tenda, le
venne
incontro Nymeria. La ragazza aveva abbandonato l’aria scostante del
giorno
prima ed era solare e sorridente. Aveva i lunghi capelli castani
sciolti in
morbide onde sulla schiena e indossava un corpetto rinforzato in
metallo. Le
gambe tuttavia erano coperte da frusciante tessuto color indaco.
Conduceva per
le briglie un cavallo pezzato già sellato e aveva legata alla cintura
una
spada dall’elsa priva di ornamenti.
“Lady
Olenna ti manda questi doni” disse Nymeria consegnandole le briglie e
la spada,
“spera che tu non abbia cambiato idea riguardo alla decisione di
marciare con
noi. In ogni caso ti avverto: procediamo molto in fretta.” Brienne
annuì e
saltò agilmente in sella.
Nymeria
sorrise e, portandosi le dita alla bocca, fischiò. Dalla boscaglia
emerse un
secondo cavallo che la ragazza si affrettò subito ad accarezzare prima
di salirgli
in groppa.
“Adoro
i cavalli” confidò a Brienne mentre si avviavano verso la colonna
dell’esercito, “da piccola avrei voluto allevarli. Lui è Stalagmite.”
Diede
un’affettuosa pacca sul collo dell’animale. “E’ un dono di Rakandro.
Quando me
l’ha dato mi ha detto di non dargli alcun nome perché i Dothraki non
danno nomi
ai loro cavalli, ma io non ho potuto resistere. Rakandro ha quasi
sorriso
quando gli ho detto come l’avevo chiamato. Eccolo lì…”
Brienne
seguì il dito puntato di Nymeria e vide un guerriero dothraki enorme
sedere
rigido sul proprio nero destriero. Aveva la pelle d’ebano ed il petto
dipindo.
La treccia gli arrivava oltre metà schiena.
“Rakandro
era figlio di un Khal” raccontò Nym, “ma al momento della successione
era
ancora troppo giovane. Riuscì a sfuggire alla morte e da allora ha
vagato
solitario mettendo su un piccolo gruppo di fedeli compagni.” Dal tono
della
voce di Nymeria, Brienne riconobbe facilmente i sintomi
dell’innamoramento.
Decise di osare con la domanda che nessuna lady per bene avrebbe mai
posto.
“Ma
voi siete…?” chiese lasciando intenere il resto.
Nym
non sembrò per niente scandalizzata e scoppiò a ridere. “Stiamo
insieme”
rispose con un sospiro, “e dice che un giorno mi sposerà e mi porterà a
vedere
il Continente Orientale. Lo sai che mia madre era una nobildonna di
Volantis?
Ora è morta però…”
Continuarono
a chiacchierare per ore senza più far caso al resto dell’esercito che
le
fissava curioso, né al paesaggio circostante. Brienne si sentiva
strana: era questo
quello che provavano le ragazze normali quando si confidavano i
segreti? Lei
non era mai stata una ragazza normale e non aveva mai avuto grandi
segreti, ma
in quel momento credeva di essere tornata indietro nel tempo.
Era
ormai da molto passato mezzogiorno quando la colonna si arrestò
bruscamente.
Brienne sollevò lo sguardo e rimase spiazzata: davanti ai loro occhi si
ergeva,
splendido nella sua decadenza, Alto Giardino.
“Perché
siamo fermi?” chiese irritata Nymeria.
In quel momento si accostò loro
Rakandro. “Nym,
tu deve venire” disse con voce profonda, “è urgente.”
Nymeria
fece cenno a Brienne di seguirla e insieme furono condotte dal grande
guerriero attraverso le fila di soldati immobili. Arrivati vicini al
portone,
iniziarono ad udire dei lamenti e Nymeria saltò giù di sella. Brienne
la imitò
e fece per seguirla, ma lei scosse la testa.
“Resta
con Stalagmite” le disse seria prima di rompere gli schieramenti
insieme a
Rakandro, anch’egli a terra adesso. Curiosa, Brienne si fece largo fra
i soldati e,
curandosi di essere coperta da essi, sfruttò la propria considerevole
altezza
per sbirciare qualcosa. La scena che le si presentò davanti agli occhi
era
quasi irreale.
Olenna
era in piedi davanti al cancello e insieme a Baelor guardavano qualcosa
più in
basso. Brienne seguì il loro sguardo e vide Garth accovacciato e scosso
da un
pianto dirotto. Tra le braccia aveva quello che Brienne capì essere con
orrore
un cadavere di donna.
Quando
sollevò nuovamente il viso, Brienne rimase senza fiato. Il suo cuore
accelerò
come impazzito e lei scosse la testa incredula. Seduto su una roccia,
con le
mani appoggiate sulle cosce e il volto addolorato, c’era Jaime
Lannister.
Tyrion
Mentre
rientravano nessuno fiatò. Theon continuava a lanciare occhiatine
nervose a Jon
che dal canto suo aveva un volto imperscrutabile. Tyrion non era
rimasto più
di tanto sorpreso dalle cattive notizie: aveva sempre pensato che
dovevano
aspettarsi un attacco di Euron. Ma ora la sua preoccupazione era
un’altra.
I
mercenari di quel matto erano evidentemente riusciti ad avere la meglio
su un
esercito organizzato e preparato come la guarnigione di Yara e
Benjameen e ciò
avrebbe dovuto spingere la regina a non sottovalutare il nemico. E invece
Daenerys ancora una volta punta tutto sui propri draghi, pensò
Tyrion mentre
risalivano lungo il sentiero lastricato.
Non
poteva biasimarla per considerare centro della propria strategia una
macchina
da guerra di quelle proporzioni, ma non era mai saggio in battaglia non
avere
delle carte di riserva. E poi, dopo l’incidente con Jon che sarebbe
potuto
potenzialmente finire in tragedia, Tyrion non era più nemmeno tanto
certo del
potere che Daenerys effettivamente esercitasse sulle sue creature.
Appena
varcarono l’alto portone di legno scuro Daenerys si voltò verso Verme
Grigio. “Richiama
Obara, Varys, Davos e Missandei e portali nella stanza di Aegon” disse,
“dobbiamo assolutamente parlare e desidero ci siano tutti.”
“Voglio
che il mio scudiero sia presente” intervenne Jon e la regina, seppur
sorpresa,
annuì. “Benissimo” assentì, “chiama anche il ragazzo.” Verme Grigio si
inchinò
e scomparve dietro la prima parete.
Daenerys sospirò. “Seguitemi”
mormorò prima di incamminarsi verso una rampa di scale. Salirono fino
in una
torre e Daenerys spalancò la porta di una stanza che Tyrion non aveva
mai
visto.
Aveva
il soffitto piuttosto basso e le pareti spoglie. Una piccola finestra
consentiva l’accesso a un balcone e il pavimento era composto da enormi
lastre di pietra scura. Ma il vero cuore della stanza era sicuramente
il tavolo
di legno situato al centro. Tyrion rimase a bocca aperta quando vide
che su di
esso era intagliata una dettagliatissima cartina di Westeros, con tanto
di nomi
dei castelli principali e pedine per simboleggiare gli eserciti. Queste
ultime
erano poste in maniera disordinata e priva di senso e Tyrion intuì che
non
dovevano essere state spostate dalla partenza di Stannis Baratheon.
“Questo
tavolo fu fatto scolpire da Aegon il Conquistatore” spiegò la regina,
“perché
potesse comprendere al meglio le dinamiche dei Sette Regni e io intendo
utilizzarlo nello stesso modo.” Anche Jon era rimasto colpito dal
mobile e
passava la mano sul legno a rilievo che indicava la Barriera.
“Potete
sedervi” li invitò Daenerys, “così aspettiamo gli altri.”
La
regina prese posto a capotavola, davanti alle terre di Dorne, e Jon le
si
sedette di fronte, all’estremo opposto del tavolo dove la cartina
sfumava nelle
Lande dell’Eterno Inverno di cui non esistevano mappe. Tyrion, quasi
senza
accorgersi, scelse la sedia davanti a Castel Granito, mentre Theon gli
si
sedette affianco.
Rimasero
a fissarsi negli occhi per qualche minuto saturo di imbarazzo, finché
la porta
non sbatté permettendo l’ingresso di Verme Grigio, subito seguito dagli
altri.
Varys chinò il capo davanti a Daenerys e si sedette tra Tyrion e Jon,
mentre
Missandei ed Obara preferirono il lato opposto del tavolo. Davos e il
ragazzo
che Tyrion ricordava chiamarsi Gendry trascinarono due sedie al fianco
del loro
re mentre Verme Grigio rimase in piedi.
Daenerys si schiarì la voce. “Bene”
esordì, “penso che tutti voi siate a conoscenza della minaccia che
grava su di
noi e…”
“Hanno
preso Tyene” la interruppe aggressiva Obara, “e anche Ellaria: non
dobbiamo
avere alcuna pietà.”
“Se
è per questo anche Yara e Benjameen sono prigionieri” le fece notare
con calma
la Madre dei Draghi, “così come tutti i soldati dei loro eserciti, ma
non
potremo liberarli se neanche possiamo sperare di vincere Euron sul
nostro
territorio.”
“I
numeri ci sono sfavorevoli, vostra grazia” disse Varys accarezzandosi
le mani. “Euron può contare come abbiamo potuto appurare su un numero
considerevole di
mercenari ed Uomini di Ferro, mentre a noi restano poco più di
diecimila
uomini: 7853 Immacolati, contando anche Verme Grigio, e circa tremila
fra Dothraki
e dorniani. Considerando poi che i Dothraki non possono combattere su
una nave,
le nostre forze appaiono davvero scarne.”
“Allora
non combatteremo su una nave” suggerì Verme Grigio, “i miei uomini
possono
costruire torri di guardia tutto intorno all’isola da cui potremo
difenderci
facilmente senza esporci più del necessario.”
Daenerys annuiva, ma Tyrion la
trovava un’idea folle. “Se
Euoron ha già lasciato Porto Bianco” disse facendo scorrere lo sguardo
sui visi
dei suoi ascoltatori, “in capo a cinque giorni, sette se gli déi sono
generosi,
ci sarà addosso. In cinque giorni le uniche torri che potremmo
costruire sono
di legno e a quel punto basterà una scintilla per far saltare in aria
tutto.”
Verme Grigio abbassò il capo, visibilmente pensieroso.
“La
scelta più saggia” disse Varys a bassa voce, “sarebbe abbandonare
l’isola, ma
capisco non sia un’ipotesi da tenere in considerazione.”
Obara e Theon avevano
alzato la testa di scatto e Daenerys scosse il capo. “Sarebbe
la cosa più saggia da fare” concesse, “ma non abbandonerei mai i miei
uomini
così vigliaccamente.” Theon ed Obara sembrarono rilassarsi.
“Quindi”
chiese Missandei, “cosa faremo?”
“Combatteremo
con gli uomini che abbiamo” disse Daenerys, “e vinceremo.”
Jon,
fino ad allora rimasto in silenzio, emise un suono indecifrabile.
Daenerys si
voltò verso di lui e Tyrion vide che era irritata. “Vuoi dire
qualcosa?” lo
incitò infastidita “Non sei d’accordo?”
Jon posò le mani sul tavolo ed indicò
sulla mappa Grande Inverno. “Quando
ho combattuto contro Ramsay Bolton” raccontò, “il mio esercito era un
terzo il
suo, ma speravo in ogni caso in una possibile vittoria. Mi aspettavo un
certo
tipo di battaglia, ma Ramsay non aveva alcuna intenzione di lasciare
decidere a
me come impostare lo scontro. Le sue azioni mi hanno sconvolto e
avremmo perso
se i Cavalieri della Valle non fossero giunti in nostro soccorso. Euron
è un
uomo pericoloso. Sapeva dove avrebbe potuto trovare la mia nave e
sapeva quanti
uomini avevo portato con me. Ciò significa che ha spie che lavorano per
lui.
Scommetto che ha conquistato Porto Bianco con qualche inganno…”
“E’
esatto” intervenne a sorpresa Theon, “ha attaccato dalla collina quando
tutti
si aspettavano un assalto dal mare ed ha ingannato Yara per far
allontanare la
sua nave.”
“Ciò
che voglio dire” proseguì Jon, “è che i numeri in guerra contano e se
siete
davvero in svantaggio vi suggerirei di non sottovalutare il vostro
avversario.”
Finalmente
qualcuno che mi dà ragione, pensò Tyrion sollevato. Decise di
cogliere
l’occasione per sottolineare la propria opinione. “Sono d’accordo con
Jon”
proclamò, “non abbiamo abbastanza uomini per questa battaglia.”
Daenerys alzò
gli occhi al cielo. “Su
questo credo siamo tutti d’accordo” dissa con voce che fremeva di
rabbia
trattenuta, “ma dato che non possiamo tirarci indietro credo saremo
costretti
ad affrontare questa battaglia così.”
“Se
solo richiamassi…”
“BASTA!”
urlò Daenerys battendo le mani sul tavolo e Tyrion ammutolì “I Dothraki
e
l’esercito Tyrell sono in missione dall’altra parte del Continente e
non
possono fare nulla. Noi non
possiamo fare nulla!” Daenerys sembrava sul punto
di una crisi di nervi, Tyrion non l’aveva mai vista così.
“Mia
regina” pigolò Missandei, “calmati…”
Daenerys si passò una mano fra i capelli
argentei risistemando le trecce. “Perdonatemi” si scusò, “non so cosa
mi sia
preso.” Tyrion aveva una mezza idea, ma sapeva che era meglio tenersela
per sé.
Ci furono attimi di silenzio carico di tensione.
“Verme
Grigio” disse poi Varys, “credi di poter far costruire le
fortificazioni di cui
parlavi in pietra? Magari in numero minore, ma almeno così saranno più
solide.”
“Certo”
rispose l’Immacolato, “farò mettere subito a lavoro i miei uomini.”
“L’ultimo
baluardo difensivo sarà il castello” continuò Varys, “ma dobbiamo
augurarci di
non essere costretti a rinchiuderci qui dentro: sotto assedio su
quest’isola si
sopravviverebbe neanche una settimana.”
Tyrion
fu costretto a dargli mentalmente ragione. La Roccia del Drago era
sterile e,
non avendo boschi, non permetteva neanche la caccia alla selvaggina.
Tutti gli
ottimi cibi che stavano gustando in quei giorni arrivavano direttamente
dall’Altopiano, su generosa concessione di Olenna Tyrell.
“Non
si arriverà a un assedio” disse sicura Daenerys e nessuno ebbe la forza
di
contraddirla.
Theon
teneva gli occhi bassi ed Obara giocherellava con i lacci del corpetto
color
nocciola che indossava. Entrambi sembravano disinteressati alle
decisioni che
si stavano prendendo. Davos e Gendry continuavano a scambiare sguardi
d’intesa
con Jon e Tyrion aveva smesso da una decina di minuti di chiedersi
riguardo a
cosa avessero tanto da ammiccare. Varys osservava la regina e Missandei
scuoteva
debolmente la testa ricciuta.
A un certo punto Jon spinse la sedia
all’indietro provocando un rumore stridente e fastidioso. “Io
e il mio consigliere Davos Seaworth vorremmo proporvi un piano
alternativo che
potrebbe aiutarci a vincere questa battaglia” iniziò guadagnondosi
immediatamente l’attenzione di tutti. “Come potete intuire non potrei
mettere
al servizio della regina i miei uomini neanche volendo, essendo ormai
tagliate
le vie di comunicazione con il Nord fino alla sconfitta di Euron, ma
forse esiste
un’altra soluzione.”
Jon fece una breve pausa e guardò Daenerys
negli occhi. “C’è
ancora uno dei Sette Regni che non ha dichiarato la propria lealtà”
proseguì
senza interrompere il contatto visivo, “un regno che aveva seguito un
re ormai
morto e che ora aspetta solo l’arrivo di un nuovo lord.” Tyrion aveva
capito e,
a giudicare dalla sua espressione esterrefatta, lo stesso si poteva
dire di
Daenerys.
“Le
Terre della Tempesta” mormorò lei, “mi stai suggerendo di allearmi con
i
Baratheon? Con i parenti dell’Usurpatore che distrusse la dinastia
della mia
famiglia?”
Jon scosse la testa. “Non
fu Robert Baratheon a causare la fine dei Targaryen” disse con calma,
“ma le
azioni sconsiderate di tuo padre. In ogni caso la linea pura dei
Baratheon si è
estinta. Robert e Renly sono morti senza eredi, mentre la figlia di
Stannis è
rimasta uccisa in guerra insieme al padre.”
“Capo
Tempesta attualmente è senza un lord” intervenne Davos, “e ciò ha
gettato gli
alfieri dei Baratheon nel caos. Alcuni signori sono morti al seguito di
Stannis
nel tentativo di prendere Grande Inverno ai Bolton, ma la maggior parte
non
l’aveva seguito alla Barriera.”
“State
proponendo” chiese Tyrion incuriosito, “di tentare un’alleanza con Capo
Tempesta?” Jon e Davos annuirono.
“I
territori che furono dei Baratheon sono i più vicini alla Roccia del
Drago”
spiegò Jon, “e se dovessimo ottenere il sostegno dei signori del luogo
i
rinforzi potrebbero arrivare qui in tempo.”
“Ma
è una follia!” disse Varys con la fronte aggrottata “Se dovessimo
inviare una
nave verso Sud sarebbe intercettata dalle spie di Cersei…”
“Non
se ci sono io su quella nave” lo interruppe Davos con un ghigno,
“quando ero un
contrabbandiere ho imparato a sfuggire alla flotta reale: se mi date
una nave
abbastanza piccola la farò passare inosservata.” Daenerys annuì: si
vedeva che
il piano la stava convincendo.
Tuttavia Tyrion aveva ancora un dubbio. “Sì,
certo, molto bello” disse inarcando le folte sopracciglia, “ma perché
dovrebbero questi signori delle Terre della Tempesta appoggiare la
causa di
Daenerys? Cosa darebbe loro una motivazione per morire per lei? Così
come
stiamo messi oggi non potremmo neanche assicurare una stabilità
politica a
questa gente…” Davos e Jon si guardarono ancora una volta.
“E’
qui che ti sbagli Tyrion” disse Jon sorridendo, “forniremo alla gente
della
Tempesta un’ottima ragione per seguire Daenerys, anzi in un colpo solo
risolveremo anche i loro problemi di governo.” Tyrion non capiva.
“Spiegati
meglio” disse Daenerys, “non è chiaro cosa tu intenda fare.”
Jon si alzò in
piedi e poggiò una mano sulla spalla di Gendry, che abbassò lo sguardo.
“E’
lui la chiave di tutto.”
Daenerys
socchiuse gli occhi a fessura e Tyrion fu sul punto di scoppiare a
ridere.
Fortunatamente riuscì a trattenersi.
“E’
uno scherzo?” chiese con sufficienza Obara. Davos la guardò con
freddezza.
“Gendry
è il figlio naturale di Robert Baratheon” spiegò Jon, “l’unico rimasto
in vita
e come ultimo erede della casata Baratheon se riconosciuto sarebbe di
diritto
lord di Capo Tempesta.”
Furono
necessari alcuni secondi per metabolizzare la rivelazione e Tyrion
finalmente
ricordò come mai il nome di Gendry non gli suonasse affatto nuovo: era
l’unico
figlio bastardo di Robert che si era salvato dallo sterminio voluto da
Joffrey.
Adesso il piano di Jon e Davos, seppur nella sua follia, acquisiva
senso.
Tyrion era però convinto che Daenerys non l’avrebbe presa bene.
“Tu
vorresti che io legittimizassi il bastardo dell’Usurpatore?” chiese
infatti
Daenerys a metà fra il disgustato e l’incredulo.
“Sai,
lo farei io” disse Jon in tono provocatorio, “ma la mia autorità si
limita al
Nord.”
Daenerys avvampò di rabbia. “Non
lo farò mai” sibilò incrociando le braccia.
“Non
eri tu che mi incitavi a mettere da parte l’odio fra casate?” chiese
sarcastico
Jon “Io l’ho fatto: sono qui a parlare con te per suggerirti un modo
per
salvare il salvabile nonostante io non sia assolutamente tenuto a
farlo. Sarei
potuto tornare a Nord, potrei farlo anche ora, e non credere che tre
draghi e
qualche soldato riescano a fermarmi.” Tyrion rabbrividì: come faceva
Jon a essere così fiducioso?
“Se
resto è perché voglio aiutarti” stava continuando Jon, “ma sarà tutto
inutile
se continuerai ad essere così egoista: stai condannando con le tue mani
tutti i
prigionieri di Euron e di conseguenza anche i cittadini di Porto Bianco
che
sono sotto la mia protezione.”
Jon ansimava e Daenerys non parlava. Tyrion
vide
il dubbio ed il rimorso nei suoi occhi e decise di insistere. “Jon
ha ragione, Daenerys Nata dalla Tempesta” disse voltandosi verso la
regina, “se
non accetti il suo consiglio allora ascolta il mio. Se dai al popolo
dell’Est
un lord in cui credere e che tu stessa hai legittimizzato rendendolo
tale, loro
ti seguiranno ed il loro esercito farebbe la differenza. Riusciremmo
anche a
cogliere Euron di sorpresa. E’ il piano migliore che abbiamo.”
Daenerys lo
guardò intensamente. Poi, lentamente, annuì. “D’accordo”
disse con voce piatta, “legittimizzerò Gendry come Baratheon e seguirò
questo
piano. Chi lo accompagnerà a Capo Tempesta?”
“Io”
disse subito Davos e Daenerys annuì nuovamente.
Spinto da un impulso improvviso
Tyrion alzò la mano. “Andrò
anch’io” disse attirando su di sé gli occhi di tutti.
“Tu
sei il mio consigliere” osservò Daenerys.
“Certo”
rispose il Folletto, “ma in battaglia non ti sarò di alcuna utilità.
Lascia che
svolga il compito che mi riesce meglio: occuparmi di diplomazia e
politica.”
“A
Mereen non è andata molto bene con nessuna delle due” fece notare
Missandei.
“Era
una situazione diversa” borbottò Tyrion imbarazzato, “non conoscevo le
regole. Ora invece gioco in casa.”
Daenerys annuì per la terza volta. “E
sia” disse, “puoi andare, ma sappi che mi aspetto dei risultati ed in
fretta.”
Tyrion accennò un buffo inchino. “Certo vostra grazia” disse con un
sorriso. Jon
sembrava compiaciuto e Tyrion gli fece l’occhiolino.
“Dovremo
partire al più presto” disse Davos, “anche oggi se possibile.”
“Ma
dovremmo preparare le navi…” osservò incerta Missandei.
Davos scosse la testa.
“Non c’è tempo per le preparazioni” disse in tono grave, “dovremo
accontentarci
di quello che abbiamo. Credo che la barca con cui Theon Greyjoy è
arrivato
sull’isola andrà benissimo.” Tyrion si sentì mancare ripensando a
quell’angusta
imbarcazione, ma si impose di non mostrare alcun turbamento.
Mi
ci sono cacciato da solo in questa situazione.
Daenerys
si alzò in piedi. “Andiamo nella sala del trono” disse, “e, Verme
Grigio, sii
gentile e portami la spada così che io possa portare a termine questa
cerimonia.”
I presenti iniziarono ad uscire e Tyrion
rimase solo con Jon e
Gendry. Il volto del ragazzo non esprimeva alcuna emozione, né positiva
né
negativa. Un pensiero fulminò la mente di Tyrion. “Dimmi,
Gendry” disse avvicinandosi al giovane, “come ci si sente a star per
diventare
lord di Capo Tempesta?”
Gendry lanciò un’occhiata veloce a Jon. “E’
un onore” disse con voce atona, “un onore che mai avrei pensato di
avere.” Una
reazione un po’ piatta per un bastardo al quale veniva da un momento
all’altro
comunicato di essere l’erede della dinastia Baratheon.
Tyrion si voltò verso
Jon. “Avevate
in mente questo fin dal principio” disse tranquillamente, “e avevate
già
preparato Gendry per questo ruolo.” Non era una domanda, ma
un’affermazione.
Jon non si scompose. “E’
vero” disse con calma. “Gendry mi ha salvato la vita sulla nave ed ha
aiutato
Davos a liberarsi. Era anche amico di mia sorella Arya.” Jon si fermò e
Tyrion
vide che era stato sopraffatto dalla commozione.
“Mi
fido di lui” continuò Jon, “almeno quanto basta per affidargli un
compito così
importante come riunire gli alfieri dei Baratheon. Abbiamo parlato
molto le
scorsi notti insieme anche a Davos ed abbiamo convenuto che questa era
la
decisione migliore. Gendry si è dimostrato molto disponibile.” Il
ragazzo
sorrise. Sembrava tranquillo e quasi indifferente.
“Ma
perché avevate la necessità di elaborare un piano del genere prima di
sapere
dell’arrivo di Euron?” chiese Tyrion.
Jon lo guardò negli occhi esitando. Poi
dovette decidere di fidarsi. “Dovevamo
assicurarci degli alleati a Sud in caso la situazione con Daenerys
fosse
degenerata” ammise, “dovevamo essere certi di poter contare su qualcuno
se lei
avesse deciso di intraprendere azioni militari contro il Nord, ma il
nostro
esercito è troppo lontano e occupato in altre battaglie. Se le cose si
fossero
messe male, Gendry e Davos sarebbero dovuti partire di nascosto per
raggiungere
le Terre della Tempesta e io avrei avuto ancora una carta da giocarmi
con la
regina."
“Era
un ottimo piano” disse Tyrion colpito, “davvero, veramente astuto. Ma
se
questa rappresentava la vostra mossa di emergenza contro Daenerys, come
mai
adesso le avete confidato i vostri piani per aiutarla?”
Jon
si mosse a disagio. “Non lo so” confessò, “l’ho vista che stava
impazzendo e…” Scosse
la testa come non capacitandosi delle parole che avevano appena
lasciato la sua
bocca. “Volevo dire” si corresse, “che Daenerys stava impazzendo e che
con le
sue mosse azzardate avrebbe messo in pericolo le vite dei cittadini di
Porto
Bianco. Ma ora dobbiamo andare, Gendry deve ricevere un cognome e tu ti
devi
preparare per la partenza.” Jon aprì la porta e lui e Gendry uscirono.
Tyrion
gli venne dietro senza fretta. Sta
nascendo qualcosa, si disse e sorrise perché sapeva che nessuno
poteva vederlo.
Samwell
Non
avrebbe mai pensato che Vyktor potesse credergli. Dire di essere il maestro di
Jon è stato azzardato, pensò mentre osservava Brienne salire sul
carretto. Se
quell’idiota avesse avuto metà dell’ingegno di cui si vanta di
possedere
avrebbe certamente ricordato che sono ancora solo un novizio. In
ogni caso il
trucco aveva funzionato e Sam era felice di essere riuscito a mentire
in modo
credibile. Di solito le sue menzogne venivano sempre scoperte
facilmente.
Sperava
Brienne riuscisse ad arrivare a Nord senza incontrare difficoltà e che
potesse
avvertire Sansa Stark. Sam non aveva mai visto la sorella di Jon e lui
ne aveva
parlato così poco che faceva fatica a immaginarla. Jon amava raccontare
di
Arya, la sorellina a cui aveva regalato una spada, e di Robb, almeno
fino al
momento in cui aveva ricevuto la notizia della sua morte. Sam sapeva
qualcosa
anche di Bran, che aveva anche incontrato, e di Rickon, ma di Sansa
quasi
nulla.
Jon
una volta, tempo prima della decapitazione di Ned Stark, gli aveva
detto che
sua sorella era andata ad Approdo del Re per essere promessa al
principe
Joffrey. Aveva detto che Sansa era bellissima, con lunghi capelli rossi
e
occhi azzurri, ma che non voleva parlare con lui perchè per una lady
era
disdicevole parlare con un bastardo. Sam sapeva anche che il meta-lupo
di Sansa
era stato ucciso su ordine di Cersei.
Si
riscosse da questi pensieri quando il carretto si mise in movimento. Il
cavallo
che lo trainava era abbastanza vecchio e procedeva a fatica. Brienne si
voltò
verso Sam e fece un cenno di saluto. Lui a sua volta sollevò la mano
agitandola
appena, finché il carretto non svoltò l’angolo scomparendo alla vista.
Sam
si sentiva in colpa per non aver potuto procurare una spada a Brienne,
ma
privarsi di Veleno del Cuore gli era parso un po’ eccessivo. Quella
spada era
destinata a lui dalla nascita ed era finalmente riuscito a toglierla
dalle
grinfie di suo padre. Continuava ad immaginare la sua faccia e quella
di Dickon
quando avevano scoperto il furto. Ogni volta che quel pensiero gli
sfiorava la
mente, Sam sorrideva.
Dopo
aver salutato Brienne, quando ormai era pomeriggio inoltrato, era
tornato in
città. Le strade erano in fermento per l’imminente partenza
dell’esercito
Tyrell alla volta di Alto Giardino e tutti non vedevano l’ora di
liberarsi
dall’inquietante presenza dei cavalieri Dhotraki. Sam, per salvarsi
dalla
confusione, si era rifugiato nella Cittadella.
Anche
lì maestri e novizi discutevano di politica e delle possibili
conseguenze
della futura battaglia e più volte tentarono di trascinarlo nei loro
discorsi. A
malapena Sam riuscì a raggiungere la biblioteca deserta. Rathin lo
osservava
sospettoso dal suo banco, ma Sam decise di ignorarlo.
In
teoria avrebbe dovuto studiare per forgiare il primo anello della
propria
catena: l’esame si sarebbe tenuto da lì a tre settimane. Ma l’argomento
che gli
era stato assegnato, medicina e individuazione di piante curative, era
noioso e
poco utile in quel momento. Sam aveva già una sufficiente conoscenza in
quel
campo e perciò decise di continuare la sua caccia ai libri riguardanti
gli
Estranei.
Dopo
un’ora trascorsa a perlustrare in lungo e in largo un quarto degli
scaffali
della biblioteca, salendo e scendendo le numerose scale che portavano
ai
livelli superiori, Sam si ritrovò con le gambe a pezzi senza aver
concluso
nulla. Una mano che si posò sulla sua spalla lo fece sobbalzare. Si
voltò e si
trovò davanti Tristyus, l’aiutante del bibliotecario.
“Serve
aiuto?” chiese lui educato.
Sam stava ancora ansimando. “Sì,
grazie” rispose grato del suo intervento. “Mi puoi dire dove trovo dei
libri
sugli Estranei?”
Stranamente Tristyus non parve sorpreso
dalla richiesta come
lo era stato a suo tempo Rathin e fece cenno a Sam di seguirlo. “Li
stavo riordinando proprio in questo momento” disse conducendolo al
corridoio
57b, “credo che questo faccia al caso tuo: contiene tutte le leggende
che
corrono sugli Estranei. Perché ovviamente lo sai che si trattano solo
di
leggende, vero?”
Sam
si affrettò ad annuire e prese in mano il volume che Tristyus gli
porgeva. Era
un vecchio tomo piuttosto massiccio dal titolo scolorito che diceva: Gli
Estranei: le creature di ghiaccio. Sam ringraziò Tristyus e fece
per
allontanarsi quando lo sguardo gli cadde sulla porta malconcia che
aveva
intravisto un paio di settimane addietro. Si fece coraggio e chiese.
“Tu
sai cosa c’è là dietro?”
Tristyus sospirò. “Purtroppo no” rispose
malinconico,
“nessuno mi dice mai nulla, anch’io sono arrivato da poco. Immagino lì
conservino libri segreti che non vogliono vengano letti da tutti.”
Sam
annuì. “Va bene, grazie mille lo stesso” disse per poi allontanarsi.
Ciondolò
tra gli scaffali ancora per un po’, finché non ne fu stufo. Non aveva
voglia di
rimanere nella biblioteca a leggere e pensò di tornare da Gilly. In fondo mi
ha perdonato, si disse e ringraziò mentalmente Brienne che con
il suo arrivo li
aveva fatti riavvicinare. In ogni caso decise di ripassare al suo banco
per
sistemare la confusione delle sue carte e per poggiare alcuni libri di
medicina
che aveva preso solo per dimostrare di star studiando per l’esame.
Quando
raggiunse la sua postazione rimase sorpreso. Sul tavolo c’era una
piccola
anfora foderata di pelle ed accuratamente sigillata che recava un
biglietto di
pergamena strappata in fretta. Sam lo prese fra le dita e lo lesse.
Sai
che i miei genitori vengono da Dorne? Questo è il miglior vino che si
produca
da quelle parti. Goditelo ora che puoi prima di diventare maestro!
Tristyus
Sam
rimase a fissare il foglio confuso. Sapeva che una volta diventati
maestri il
vino era proibito, ma perché Tristyus avrebbe dovuto fargli un regalo
del
genere? Anzi, perché mai avrebbe dovuto fargli un regalo? Forse sta cercando
di fare amicizia, si disse Sam posando i libri e prendendo in
mano l’anfora. Credo lo porterò da
Gilly… Nessuno dei due era propriamente un amante del
vino, ma Sam non era tipo da rifiutare un dono. E poi di certo il vino
non gli
dispiaceva e avrebbe anche potuto far bella figura con Gilly.
Uscì
dalla Cittadella che era tardo pomeriggio e tentò di raggiungere la
casa senza
essere visto. Dopo neanche tre passi andò a scontrarsi con una figura
che
veniva da destra. Quando Sam si ricompose notò con orrore di aver
appena urtato
Olenna Tyrell. Ma l’esercito Tyrell non era ancora partito?
“Ehi, giovanotto, fa’ attenzione!” sbraitò
la vecchia e Sam sperò che non lo riconoscesse.
Poi Olenna lo guardò meglio e, dalla sua espressione, si capiva bene
che fosse
avvenuto l’esatto opposto. “Ma tu sei quello screanzato che mi avrebbe
dovuto
scaricare i bagagli e che invece se l’è svignata!” esclamò infatti la
vecchia.
“Chiedo
scusa” disse Sam imbarazzato, “andavo di fretta e…”
“Ti
pare il modo di trattare una nobildonna?” continuava a berciare la
Regina di
Spine “Potrei farti frustare per questo, come ti chiami?”
“Pyp”
rispose Sam dicendo il primo nome che gli venisse in mente.
“Pyp?”
chiese Olenna con una smorfia disgustata “Che razza di nome è Pyp?”
“E’
un diminutivo di Pypar” spiegò Sam. Poi, colto da un’ispirazione
improvvisa,
porse alla vecchia l’anfora che teneva sottobraccio. “Questo è il
migliore vino
di Dorne” disse sperando di placare il furore della donna, “accettalo
con le
mie più sentite scuse.”
Olenna prese l’anfora dubbiosa e la esaminò.
Quando fu
certa del fatto che contenesse effettivamente vino annuì. “Per
questa volta chiuderò un occhio, Pypar” disse ora con voce meno
gracchiante, “ma
la prossima volta ricorda quali attenzioni vanno riservate a una nobile
signora.”
Sam
si affrettò a scusarsi ancora una volta, per poi tirare un sospiro di
sollievo
quando Olenna si fu allontanata. Alla fine se l’era cavata piuttosto
bene. Domani dirò a Tristyus che il
suo vino era eccellente, pensò Sam rimettendosi
in cammino. In effetti doveva essere grato per quel dono che era stato
capace
di tirarlo fuori da una situazione scomoda.
Arrivò
a casa di Gilly che il sole stava tramontando. La trovò che indossava
solamente
una tunica leggera e quasi trasparente. Aveva i capelli sciolti che le
arrivavano alle spalle e tra le mani stringeva Veleno del Cuore. Sam
non aveva
mai visto nessuno far roteare una spada con tanta grazia. Gilly era
concentrata
al punto da non aver notato la presenza di Sam e si accorse di lui solo
quando
la porta si chiuse con un rumore secco. Allora abbassò la spada.
Sam era senza
parole e probabilmente rimase lì a boccheggiare come un pesce per
qualche
istante. “D-dove
hai imparato?” balbettò troppo incredulo per aggiungere altro.
“Non
ho imparato.”
“Sei
bellissima” disse Sam e Gilly sorrise, “sentiti libera di usarla per
esercitarti quando vuoi: sei molto più brava di me.”
Gilly rise piano. “Allora”
chiese, “ci sono novità? Brienne è riuscita a partire?”
Sam si sedette
sull’unica sedia della casetta. “Sì”
rispose distendendo le gambe ancora doloranti, “ho rimediato per lei un
passaggio per il Nord: non avrà problemi. Guarda invece cos’ho trovato
in
biblioteca…”
Sam le porse il libro e Gilly aggrottò la
fronte nello sforzo di
leggere il titolo. “Gli
Estranei: le crature di ghiaccio” disse sillabando le parole.
“Creature”
la corresse dolcemente Sam. “Hai fatto incredibili progressi!”
“Troverai
qualcosa di interessante in questo libro?” chiese Gilly sfogliandolo
curiosa.
Sam sospirò. “Spero di sì” rispose incerto,
“se siamo fortunati non sarà un
altro buco nell’acqua.”
“Ha
le figure!” esclamò Gilly eccitata “Guarda come sono belle…” Sam rimase
in
disparte non volendo invadere lo spazio di Gilly. Veleno del Cuore era
adagiata
per terra.
“Gilly…”
chiamò Sam imbarazzato dopo qualche minuto “Ecco, dovrei…”
“Certo,
certo” esclamò subito Gilly passandogli il libro. Il piccolo Sam si era
svegliato e piangeva reclamando la madre. Lei lo prese in braccio
cullandolo.
“Ormai
è abbastanza grande da poter imparare a camminare” disse tenendo il
bimbo sotto
le ascelle e facendoli posare i piedini per terra. Il piccolo Sam fece
qualche
passetto stentato per poi ruzzolare ai piedi del letto. Gilly rise e lo
tirò
su.
Sam
ormai era immerso nella lettura. Il libro doveva essere molto antico a
giudicare dalle pagine ingiallite e consunte, ma l’inchiostro era
nitido e
senza sbafature. Sam saltò tutti i capitoli riguardanti l’aspetto degli
Estranei, alla fine ne aveva pur sempre ucciso uno, e iniziò a leggere
direttamente dal punto in cui venivano narrate le leggende riguardanti
la prima
apparizione degli Estranei.
“Le
origini degli Estranei si perdono nella notte dei tempi” lesse a mente
Sam, “e
molti le fanno risalire alla guerra fra i Figli della Foresta ed i
Primi Uomini
avvenuta migliaia di anni fa.” Sam conosceva le cause di tale
mitologica
guerra. I Primi Uomini erano originari del Continente Orientale ed
erano giunti
in quello Occidentale tramite una lingua di terra attraverso il Mare
Stretto.
“I
Figli della Foresta non potevano sperare di sconfiggere la potenza dei
Primi
Uomini” continuò a leggere silenziosamente Sam, “e perciò, secondo
alcune
credenze non accertate, utilizzarono le arti magiche in loro possesso
per
causare un violento terremoto che frantumasse il Braccio di Dorne,
bloccando
quindi l’invasione.” Sam si fermò: questo gli suonava nuovo.
“Ma
i Primi Uomini nel Continente Occidentale non si fermarono nel Sud”
riprese a
leggere, “e spinsero i Figli della Foresta sempre più a nord fino nelle
terre
che ora noi consideriamo oltre la Barriera.”
“Puoi
leggere ad alta voce?” lo interruppe Gilly curiosa.
“Certamente.”
Sam si schiarì la voce e cercò il segno perduto.
“I
Figli della Foresta videro gli uomini distruggere le loro foreste”
lesse, “e
dovettero decidere di passare a metodi più drastici. Così rapirono uno
dei capi
delle tribù dei Primi Uomini e lo…”
Sam si interruppe incredulo. “Lo
trasformarono nel primo degli Estranei” mormorò sgranando gli occhi,
“forse
utilizzando il Vetro di Drago che gli uomini avevano portato dal
Continente
Orientale e che sembrerebbe provenire direttamente da Valyria.” Sam
sollevò lo
sguardo su Gilly che lo fissava. “Questa storia potrebbe avere un
fondamento di
verità” disse, “se gli Estranei sono stati creati dal Vetro di Drago
ciò
spiegherebbe perché vengano distrutti da esso. Prima di essere colpiti
con il
Vetro erano solo uomini.”
“Ma
allora perché vogliono distruggere tutti?” chiese Gilly.
Sam scorse le righe
successive. “Qui
dice che gli Estranei avrebbero dovuto aiutare i Figli della Foresta
nella guerra
contro i Primi Uomini” disse, “ma che presto dovettero decidere che non
valeva
la pena sottostare agli ordini dei loro creatori. Fu allora che Brandon
il
Costruttore, fondatore della casata Stark, decise di scendere a
compromessi con
i Figli della Foresta e fu stretto il Patto.”
“Che
genere di patto?” chiese Gilly avvicinandosi.
“Gli
uomini e i Figli della Foresta si allearono contro gli Estranei” spiegò
Sam,
“ma della Lunga Notte e della Battaglia per l’Alba che seguirono non si
hanno
notizie. Si sa che gli Estranei furono ricacciati nelle Lande
dell’Eterno
Inverno e che Brandon il Costruttore, con l’aiuto dei Figli della
Foresta e
forse dei giganti, costruì la Barriera fondando l’ordine dei Guardiani
della
Notte.”
“Quindi”
osservò Gilly, “al principio i Guardiani della Notte dovevano difendere
gli
uomini dagli Estranei, non dai bruti.”
“Già”
disse Sam, “i bruti erano solo uomini che ebbero la sfortuna di
insediarsi
oltre la Barriera.”
Rimasero
in silenzio per un po’, poi Gilly si alzò da terra. Si avvicinò a Sam e
gli
diede un bacio gentile sulle labbra. “Per oggi credo tu abbia letto
abbastanza”
sussurrò. Sam sorrise.
In quel momento piovvero dei colpi alla
porta ed
entrambi sobbalzarono. Il piccolo Sam si mise a piangere e Gilly andò
da lui. Sam
andò ad aprire e si ritrovò davanti un ragazzetto tutto pelle ed ossa
con i
capelli color paglia sporca.
“Hugo”
lo salutò Sam, “cosa ci fai qui?”
Il ragazzino pareva senza fiato e continuava
a cercare di sbirciare oltre la spalla di Sam. “Si
tratta dell’arcimaestro Walgrave” spiegò Hugo, “stanotte è il tuo turno
di
controllare le chiavi.”
Sam avrebbe voluto darsi una manata in
fronte. “Me
n’ero dimenticato!” esclamò “Torno subito.” Corse dentro. “Gilly” la
chiamò,
“stanotte devo rimanere alla Cittadella, tornerò domani mattina. Se
vuoi puoi
continuare a leggere il libro così poi mi dici se trovi qualcosa di
interessante.” Gilly strinse le labbra, ma annuì. Sam si avvolse nel
cappotto
e uscì.
Seguì
Hugo fino alla Cittadella e si recò nelle stanze di Walgrave.
L’arcimaestro
dormiva profondamente e vi era un uomo al suo capezzale. Appena lo
sconosciuto
si alzò Sam vide che aveva al collo la catena da maestro.
“Piacere”
disse l’uomo con un sorriso, “io sono Ebrose il guaritore e tu sei…?”
“Samwell
Tarly” rispose Sam “Ma preferisco essere chiamato Sam.”
“Bene,
Sam” disse Ebrose, “immagino tu sia qui per fare la guardia alle
chiavi…” Sam
annuì.
Ebrose si avviò verso la porta. “Perfetto”
disse prima di uscire, “e ricorda di non perdere di vista quella grossa
marrone: apre le porte più importanti.”
Sam diede un’occhiata al muro e vide la
chiave di cui l’altro parlava. Era una chiave lunga con un grande
anello in cui
far passare una corda, ma sembrava piuttosto ordinaria.
“Buonanotte,
Sam” lo salutò Ebrose e uscì.
Sam rimase solo nell’oscurità con il russare
di
Walgrave come unica compagnia. Represso un sospiro cercò di mettersi
comodo
mentre si preparava ad una lunga nottata.
Jaime
Erano
arrivati molto prima del previsto. Jaime era ancora seduto sulla pietra
davanti
al cadavere di Alerie Tyrell quando vide sollevarsi la polvere dalla
strada. I
soldati intorno a lui si irrigidirono sfoderando le armi, ma Jaime
rimase
immobile.
Bronn era in piedi al suo fianco e lo
osservava. “Pensi
di lasciarti uccidere senza muovere un muscolo?” gli chiese sarcastico
mentre
l’esercito nemico si avvicinava.
“Per
il momento mi limito ad attendere” replicò Jaime, “poi penserò al
futuro.”
Bronn
fece una smorfia. “Da quando in qua sei diventato un cazzo di
filosofo?” chiese
e molti uomini repressero delle risatine. Jaime li lasciò fare. Che ridano
pure, si disse, ma intanto
devono essere felici che qui ci sia io e non
Cersei. Cersei avrebbe certamente fattto giustiziare chiunque
avesse osato
mancarle di rispetto.
Fanculo,
Cersei. Fanculo te e i tuoi stupidi piani.
L’esercito
che stava venendo loro addosso sembrava molto numeroso e, se la vista
non lo
ingannava, Jaime avrebbe potuto giurare di aver visto dei cavalieri
dothraki. Magari
erano anche più numerosi di loro.
“Ser
Jaime” chiese un soldato temerario, “posso chiedere quali sono gli
ordini?”
“Aspettare”
rispose Jaime per l’ennesima volta.
“Ma
signore, sono molto vicini.”
“Se
vuoi tornartene a casa perché hai paura puoi farlo” disse Jaime
seccamente, “ma
poi sarai tu a spiegare il motivo a mia sorella.” La minaccia bastò a
far
calare un silenzio pesante fra i ranghi.
Bronn
gli si accostò. “Questa era buona” gli concesse.
L’esercito
nemico si era fermato a un centinaio di metri da loro e da lì si
elevavano
esclamazioni e grida. Jaime aveva fatto fermare i propri uomini nella
pianura
alle loro spalle e le tende erano già state smontate. A un certo punto
quattro
figure iniziarono ad avvicinarsi. L’uomo a cavallo, probabilmente un
Dothraki,
tornò presto sui suoi passi sparendo fra le sue fila, mentre le altre
tre
figure continuarono ad avanzare.
Presto
Jaime fu in grado di riconoscere la sagoma inconfondibile di Olenna
Tyrell che
procedeva impettita. Il più giovane dei due ragazzi che venivano con
lei lanciò
un urlo e si mise a correre nella direzione di Jaime, che alzò una mano
per
evitare che i propri uomini attaccassero. Il ragazzo cadde in ginocchio
vicino
al cadavere di Alerie e lo strinse a sé. Anche Olenna e l’altro uomo
erano
ormai arrivati e anche loro si arrestarono. Olenna aveva un volto che
non
faceva trasparire emozioni, ma fissava Jaime con odio.
“L’HAI
UCCISA!” urlò il giovane a terra.
“Si
è tolta la vita” spiegò Jaime, “non ho potuto fare nulla…”
Il ragazzo si era
alzato in piedi asciugandosi le lacrime. “Ti
ammazzo…”
“Garth”
lo richiamò Olenna, “non è ancora il momento.” Garth si voltò verso la
vecchia
e, senza smettere di guardare Jaime, fece un passo indietro.
La Regina di Spine
invece avanzò. “Sterminatore
di Re” lo salutò. Jaime ormai ci era abituato: quando la gente voleva
offenderlo utilizzava sempre quell’appellativo. “E’ passato un po’ dal
nostro
ultimo incontro” proseguì Olenna, “come sta Cersei? Non vorrei che i
preparativi per l’esplosione l’abbiano stancata.”
Indicò l’uomo che fino ad
allora era rimasto in silenzio. “Lui
è Baelor Hightower” disse, “erede di Vecchia Città, e lui è suo
fratello Garth.”
Olenna indicò due figure più lontane. “E
quelli sono Rakandro” continuò, “e Nymeria Sand, anche se credo che lei
già la
conosci…”
Jaime
sentì il sangue ribollirgli nelle vene e d’istinto portò la mano al
pugnale.
Nymeria Sand era una delle Serpi delle Sabbie, le donne colpevoli
dell’assassinio di Myrcella.
Olenna sorrise vedendo la sua reazione. “Sì”
disse, “vedo proprio che ti ricordi di lei. Ma ora, Jaime, non ci hai
chiesto
perché siamo qui.”
Jaime si alzò in piedi risoluto a non
accettare la
provocazione. “Perché
vi manda Daenerys Targaryen” rispose.
Olenna scosse la testa infastidita. “Non
eseguirei mai degli ordini se non ne vedessi uno scopo vantaggioso per
me”
disse, “ma in questa missione uno ce n’è. Potrò arrivare ad Approdo del
Re e
assicurare a tua sorella una morte così dolorosa che al confronto il
supplizio
a cui ha destinato i miei nipoti e mio figlio sembrerà nulla.” Jaime fu
stupito
dalla franchezza con cui la vecchia gli aveva parlato, ma alla fine si
vedeva
che era consumata dal desiderio di vendetta.
“E
poi, sì” concesse la Regina di Spine, “a Daenerys vederti sconfitto non
dispiacerà.”
Jaime fece un passo avanti. “Olenna”
tentò, “capisco i tuoi sentimenti, ma non c’è bisogno di una battaglia.
Alerie
si è suicidata proprio perché sapeva che ce ne sarebbe stata una.”
“Non
parlare di mia sorella!” esclamò Garth estraendo la spada. La tensione
ormai
era altissima.
Olenna era salita a cavallo ed aveva voltato
le spalle al gruppo
di soldati Lannister. “Ora
è tardi” disse, “ma puoi sempre evitare la battaglia che tanto temi.
Nessuno
vorrebbe profanare il proprio castello con il sangue nemico, quindi ti
darò
un’ora di tempo. Ritira le tue truppe o sarà guerra.” Baelor prese
sottobraccio
Garth e lo trascinò via di peso mentre il giovane imprecava contro i
Lannister.
Jaime sospirò.
“Cosa
intendi fare?” gli chiese Bronn.
“Preparare
la difesa” spiegò Jaime, “li hai visti i Dothraki a cavallo?”
“No”
rispose Bronn, “sinceramente ero occupato ad osservare quella brunetta
che…”
“Il
punto è” lo interruppe Jaime, “che non possiamo sperare di avere la
meglio su
di loro in campo aperto. Perciò dovremo adottare una strategia
alternativa.”
Jaime indicò il castello. “Spargi
la voce” disse, “voglio gli uomini migliori intorno alle mura.”
“E
tutti gli altri?” chiese poco convinto il mercenario.
“Al
loro interno.”
In
quel momento da est risuonò un corno. Jaime aguzzò la vista in quella
direzione, verso la collina oltre la Strada delle Rose, e vide un altro
piccolo
esercito avanzare. Presto furono raggiunti da un ragazzo che portava
l’insegna
dei Tarly.
“Lord
Randyll Tarly vuole parlarti, ser” disse il giovane. Jaime fece cenno a
Bronn
di non seguirlo ed andò dietro al ragazzo. Con la coda dell’occhio
sbirciò
l’esercito Tyrell e notò che si era accampato verso est.
Sotto
un albero che stranamente ancora conservava le sue fronde lo attendeva
lord
Tarly con accanto un giovanotto che poteva avere massimo venti anni.
Tutto
intorno erano disposte le guardie di scorta. Jaime tese la mano e
Randyll
l’afferrò. Aveva una stretta salda e sicura.
Jaime abbozzò un sorriso. “Mi
fa piacere che siate arrivati” disse secondo le formule di rito.
Lord Tarly era
alto e calvo, con folte sopracciglia e occhi neri ed infossati. “Il
piacere è mio, ser Jaime” disse senza smettere di scrutare il proprio
interlocutore, “lui è mio figlio ed erede Dickon.” Tarly indicò il
giovane al
suo fianco, che chinò il capo in segno di saluto.
“Orton
Meeryweather non è potuto venire” continuò Randyll, “e ha affidato a me
le sue
milizie. In tutto ti abbiamo portato seimila uomini.” Jaime annuì:
erano ottimi
numeri. Randyll Tarly aveva fama di essere un geniale condottiero e
Jaime aveva
bisogno di dividere il potere e soprattutto le responsabilità che ne
derivavano.
“Puoi
continuare a controllare il tuo esercito” disse, “ma questa non sarà
una
battaglia tradizionale.” Randyll aggrottò le sopracciglia indispettito:
evidentemente tutto ciò che era poco tradizionale lo considerava
fallimentare.
“I
Dothraki sono abili in campo aperto” spiegò ancora una volta Jaime, “ma
non
conoscono le tecniche di assedio. Noi ci apposteremo all’interno del
castello e
combatteremo dalle mura in modo tale che i nemici possano avanzare
pochi per
volta.”
Randyll non era affatto convinto. “Le
mura di Alto Giardino non furono costruite per sopportare un assedio”
fece
notare in tono di rimprovero, “i Dothraki potranno sfondarle senza
problema.
Servono dei soldati che proteggano le mura da fuori. Il mio esercito
può
farlo.” Jaime la considerava un’azione suicida, ma annuì lo stesso.
“A
battaglia terminata” proseguì Tarly dando per scontata una loro
vittoria,
“dovrai permettere il saccheggio del castello.”
Jaime
rimase interdetto. Alto Giardino era considerato da molti il più bel
castello
dei Sette Regni, forse secondo solo a Nido dell’Aquila, e autorizzare
un
saccheggio avrebbe significato permettere lo scempio di tanta bellezza.
Nonostante ciò, Jaime annuì nuovamente. “E
sia come dici” disse con un sospiro, “schiera i tuoi uomini in
posizione.”
Poi
saltò nuovamente a cavallo e si diresse al galoppo verso il portone del
castello. Dall’accampamento Tyrell iniziavano ad arrivare i suoni di
armature
che venivano chiuse e lame che venivano affilate. L’ora concessa stava
per
scadere.
Jaime si mise a gridare ordini. “Siate
pronti!” urlò “Vi voglio dentro le mura. Serrate i ranghi nei cortili,
ma non
entrate nel castello. Per la regina!”
“PER
LA REGINA!”
Nella
confusione generale Jaime adocchiò Bronn. “Tu non entri?” gli chiese il
mercenario.
Jaime scosse la testa. “Credo
salirò solo sulle mura” disse, “non vorrei essere troppo vicino a
Olenna
quando vedrà che abbiamo deciso di entrare nel suo castello.”
Bronn
ridacchiò. “Che dobbiamo farci con le guardie del castello?” chiese.
“Uccidetele”
rispose Jaime dato che non c’era alternativa, “ma che il cadavere di
Alerie sia
restituito ai suoi fratelli.”
“Ora?!”
chiese incredulo Bronn “Non credi sia pericoloso?”
“Certo”
replicò Jaime, “per questo sto inviando te…”
Bronn
lo guardò per qualche secondo. “Al diavolo” borbottò mentre faceva
girare il
cavallo.
Jaime
lo seguì con lo sguardo per qualche secondo prima di scendere di sella.
Affidò
il cavallo a un ragazzo che gli si era avvicinato e si avviò verso le
mura. Secondo
le sue disposizioni più della metà dei suoi soldati si era appostata
nei
cortili interni, senza tuttavia entrare nell’edificio, mentre gli altri
pattugliavano tutto intorno. Purtroppo il fossato che circondava Alto
Giardino
era stretto e poco profondo, probabilmente ideato come elemento
estetico senza
pensare alle sue funzioni difensive.
“Gli
arcieri sulle mura” urlò Jaime superando il portone con il simbolo
della rosa
e il motto dei Tyrell.
All’interno
regnava il caos mentre i soldati si spintonavano per raggiungere le
loro
postazioni. Quei cortili assomigliavano più a sontuosi giardini e gli
alberi
crescevano alti. I fiori erano appassiti, ma il luogo manteneva lo
stesso un alone
di intoccabilità. Jaime tentò di distogliere i pensieri dall’imminente
saccheggio. Prima dobbiamo vincere
questa battaglia, si disse.
In
lontananza vide un cavallo con in groppa quello che intuì doveva essere
Bronn
galoppare verso il castello e subito dopo si udirono le trombe da
guerra
suonare. Jaime allora salì sulle mura per avere una visuale migliore.
Ovviamente
anche queste ultime non erano minimamente state concepite per
permettere la
difesa degli arcieri in caso di attacco ed erano invece
straordinariamente
basse e ornate con ghirlande di fiori secchi. Dal polverone che si
elevava
dall’accampamento nemico Jaime capì che i Dothraki erano stati mandati
alla
carica. Fortunatamente anche Tarly aveva fatto in tempo a schierare i
propri
uomini ed il portone doveva essere sufficientemente protetto.
Via
via che l’orda dothraki si avvicinava Jaime poteva scorgere le singole
figure.
Non portavano armatura e non avevano spade, solo archi ed altre armi
che non si
erano mai viste nel Continente Occidentale. Urlavano mentre spronavano
i loro
cavalli. Dietro veniva la cavalleria organizzata che portava alti gli
stemmi
dei Tyrell e, qua e là, anche quelli dei Targaryen che ormai da anni
erano
scomparsi dalla circolazione. Jaime udì Randyll Tarly ordinare
all’avanguardia
di caricare gli aggressori, evidentemente per allontanare la battaglia
dal
castello.
Folle…
Così li farà ammazzare.
“Mantenete
le vostre posizioni” urlò agli uomini che lo fissavano in attesa di
ordini,
“scoccate frecce solo se siete sicuri che superino il fossato.”
Un arciere
temerario tentò l’impresa, ma la freccia si conficcò a terra poco
lontano dalla
base delle mura. Dopo di lui nessuno più ci provò.
La
battaglia era inziata e gli uomini di Collina del Corno stavano
sopportando
bene la furia dei Dothraki. Jaime vide un cavaliere affondare la
propria spada
nel petto scoperto e dipinto di un guerriero dothraki, solo per essere
poi
rudemente decapitato da un compagno del caduto.
Bronn
stava combattendo contro un fante Tyrell incapace perfino di tenere una
lancia
in mano e si trovava quasi con i piedi nell’acqua del ruscello. Il
frastuono
della battaglia era insostenibile, ma Jaime ormai ci era abituato. Non
poteva
credere che da ragazzo questo fosse tutto ciò che occupasse i suoi
sogni.
Mentre
i Dothraki tentavano di sfondare il centro dello schieramento, la
guarnigione
dell’Altopiano si divise in due gruppi e si preparò ad attaccare ai
fianchi.
Jaime decise di spostare i suoi uomini da davanti il portone, già
difeso
sufficientemente da Randyll Tarly, ai lati, per poter sopportare anche
questo
secondo assalto. Jaime gridò l’ordine e osservò i suoi soldati
schierarsi
sulle nuove linee.
“Ora
potete lanciare” disse poi agli arcieri ed una pioggia di frecce iniziò
a
cadere sui Dothraki, che tuttavia risposero con pari veemenza
costringendo gli
uomini di Tarly ad arretrare leggermente.
La
battaglia proseguì senza particolari cambiamenti per molti minuti. Il
lato
destro se la stava cavando molto bene ed i Tyrell erano stati respinti
fin
oltre il fossato. A sinistra la situazione era più delicata ed alcuni
cavalieri
con lo stemma della rosa erano giunti vicini al portone. Jaime ordinò
ad un
terzo degli arcieri di spostarsi a sinistra e fece uscire altri uomini
dai
cortili.
Ad
un certo punto si sentì afferrare bruscamente e fu costretto a
voltarsi. Si
trovò davanti una delle vedette che aveva posto nei punti di guardia
sulle
mura. Aveva gli occhi stralunati e parlava a fatica. Jaime represse
l’impulso
di urlargli in faccia.
“Mio
signore, stanno scalando le mura… Dietro alle stalle… Servono
rinforzi.”
Jaime
strinse le labbra: si sarebbe dovuto aspettare una mossa del genere. Non
possiamo permettere loro di entrare, pensò, conoscono il castello molto meglio
di noi. Sguainò la spada e pregò di essere abbastanza abile in
combattimento.
“Venite
con me” urlò ai soldati più vicini, “servono uomini ad ovest.”
Poi afferrò con
la mano d’oro la giacca della vedetta. “E
tu vedi di rintracciare Bronn il mercenario” ordinò, “sai chi è?”
L’uomo scosse
freneticamente la testa. “Bene” ribatté Jaime, “allora sappi che è
l’unico
idiota a pensare di poter affrontare un Dhotraki senza avere il culo su
un
cavallo. Trovalo e digli che deve prendere il controllo della battaglia
davanti
al portone.” Detto questo, lo lasciò andare e si mise a correre verso
le
stalle.
Erano
circa venti gli uomini che l’avevano seguito e Jaime sperava fossero
sufficienti. Quel deficiente non gli aveva neppure specificato il
numero
approssimativo degli assalitori. Giunti sul posto Jaime poté tirare un
sospiro
di sollievo: gli scalatori erano circa trenta e sarebbe stato facile
rispedirli
indietro. Alcuni di loro erano a buon punto della scalata e Jaime
riconobbe
Garth Hightower che si affrettava su una scala di corda.
Quando
i suoi occhi si posarono su Nymeria Sand che saliva poco più in basso,
Jaime
quasi sorrise. Così potrò ucciderla
con le mie mani, si disse ripensando a
Myrcella che gli si accasciava fra le braccia. Se aveva potuto
comprendere in un
certo senso l’omicidio di Joffrey, quello di Myrcella era stato una
vana crudeltà. E quello di Tommen?
non poté fare a meno di pensare Cos’è
stato quello?
Scosse la testa per tornare in sé.
“Tagliate
le corde” gridò, “non fateli arrivare in cima!”
I suoi uomini si misero subito
all’opera. Jaime afferrò con la mano d’oro la fune alla quale si
reggeva
Nymeria e con quella buona estrasse il pugnale ed iniziò a tagliare.
Aveva
lasciato cadere a terra la spada. Ci fu un grido. Jaime si voltò e vide
che
Garth ed altri due nemici erano già sulle mura. Le spade iniziarono a
cozzare,
ma Jaime decise di concentrarsi solo sul lavoro che doveva
assolutamente
portare a termine.
Nymeria
da sotto lo fissava e continuava a salire: un sorriso le increspava le
labbra.
Jaime iniziò a tagliare più in fretta e finalmente la corda cedette.
Vide con
un brivido di insana gioia Nymeria cadere nel vuoto. E fuori una, pensò
soddisfatto della sua vendetta.
All’improvviso
però la ragazza si contorse con grazia in volo e slacciò qualcosa dalla
cintura. Jaime capì di cosa si trattava solo quando era troppo tardi.
La frusta
schioccò e si avvolse stretta intorno ad uno dei merli delle mura.
Nymeria
inarcò la schiena facendo forza con le braccia e un secondo dopo Jaime
se la
ritrovò affianco.
La ragazza arrotolò la frusta con un ghigno.
“Ti
conviene raccogliere quella” gli suggerì accennando alla spada. Accanto
a loro
continuava la battaglia: altre funi vennero tagliate, ma altri nemici
riuscirono a raggiungere le mura.
“Cosa
fai?” urlò Garth rivolto a Nymeria “Lui è mio!”
Nymeria
si voltò a guardarlo e Jaime ne approfittò per afferrare la propria
spada. “Tu
guida gli altri dentro” stava dicendo intanto la ragazza, “conosci il
castello meglio
di me. Ricorda gli ordini di Olenna…” Garth sbuffò e imprecò, ma alla
fine si
allontanò con il proprio gruppo di uomini, subito inseguito dai soldati
Lannister.
Nymeria
si girò nuovamente a fronteggiare Jaime. Il sorriso di scherno non
aveva
lasciato il suo viso nemmeno per un momento. Fece schioccare la frusta
per
terra. “Beh”
disse guardandosi teatralmente intorno, “sembra proprio che siamo solo
tu ed
io. Sai, l’ultima volta sei stato fortunato ad aver affrontato Obara.
Mia
sorella potrà sembrare aggressiva, ma presto scoprirai che io non sono
da
meno.”
Detto
questo, Nymeria mosse il braccio così velocemente che Jaime non riuscì
a
seguire la traiettoria della frusta. Dovette reprimere un gemito di
dolore
quando il laccio gli morse il braccio della spada. Nymeria dette uno
strattone
e Jaime quasi cadde in avanti. Fortunatamente riuscì a mantenere un
precario
equilibrio e tirò a sua volta. Nymeria mulinò il polso stringendo le
labbra e
Jaime sentì la presa della frusta allentarsi fino a scomparire.
“Credi
di poter uccidere qualcuno solo con quella?” chiese sarcastico
indicando il
laccio che si era arrotolato ai piedi dell’avversaria.
“Magari
un po’ di veleno…” suggerì Nymeria e Jaime sentì la rabbia montare di
nuovo.
Avanzò
e menò un fendente con la spada. Non era particolarmente potente e
anche
abbastanza storto. La frusta stavolta si avvolse intorno alla lama,
bloccandola
a pochi centimetri dal braccio nudo di Nymeria. Contemporaneamente la
ragazza
estrasse dalla cintura una corta daga con l’impugnatura di legno.
“A
Dorne ai bambini viene insegnato a combattere con entrambe le mani”
osservò,
“così che non possano trovarsi un giorno nella tua situazione.”
Poi
gettò a terra la frusta e colpì con la daga. Nonostante il colpo
infertogli a
piena potenza, Jaime era felice che fosse passata ad uno stile di
combattimento
più simile al suo. Rispose con rinnovato vigore e per la prima volta
vide la
sorpresa negli occhi neri di Nymeria. La giovane tentò qualche affondo,
passando anche la daga alla mano destra, ma Jaime li parò tutti.
Lentamente gli
istinti del cavaliere stavano tornando ed i movimenti gli riuscivano
sempre più
naturali.
“Perché?”
chiese costringendo Nymeria con la schiena premuta contro il parapetto
interno.
Ancora una piccola pressione e sarebbe caduta nel cortile delle stalle.
“Perché?”
ripeté “Perché l’avete uccisa? Era innocente!”
Nymeria
fece una smorfia. “Anche Aegon e Rhaenys erano innocenti” obbiettò,
“anche mia
zia Elia lo era. Ma ciò non ha impedito a tuo padre di farli uccidere
ugualmente. Anche mio padre era innocente.”
“E’
morto in un combattimento a cui lui stesso ha voluto partecipare”
osservò Jaime
senza diminuire la forza con cui premeva la lama contro la daga di
Nymeria.
“Ucciso
come un animale!” urlò Nymeria. Poi sorrise. “Ma
io capisco, sai” disse. “Non sono come Obara o Tyene, io vedo la
verità. Mio
padre è morto in guerra, mia zia ed i miei cugini sono morti in guerra
e questo
sta bene. Anche Myrcella è morta in guerra. Sono cose che capitano: le
persone
si uccidono fra loro da sempre e continuerà ad essere così in eterno.
E’ così
che va il gioco e bisogna adattarsi.”
Jaime provava solo orrore. “E
a te piace?” chiese “Ti piacciono tutte queste uccisioni, questo
degrado
in cui siamo caduti?” Nymeria sembrò rifletterci su.
“Non
conta ciò che credo io” rispose poi, “se è così che va il mondo io mi
adeguo. Se
un giorno cambierà, io cambierò con esso.” E diede un colpo più forte,
liberandosi da quella posizione scomoda.
“A
me non interessa la vendetta” continuò, “e non credo in nessuno. Faccio
solo
quello che va fatto.”
Jaime scosse la testa. “Tu
sei matta” mormorò disgustato.
“Aspetta
di conoscere meglio le mie sorelle” rise Nymeria, “e soprattutto
Ellaria: è lei
la più folle di tutte.”
Il
combattimento riprese. Jaime attaccava ora animato da una foga maggiore
di
prima. “Così Myrcella non la volevi uccidere per vendetta” pensò
accecato
dall’ira, “la sua morte non significava nulla per te, era solo parte
del gioco.”
Jaime
lanciò un urlo di frustrazione e Nymeria si distrasse un attimo di
troppo. Un
colpo particolarmente violento le fece sfuggire la daga dalla mano e la
fece
volare oltre i bastioni. Jaime la fissò negli occhi intensamente.
Avrebbe
potuto ucciderla, niente sarebbe stato più facile in quel momento.
Sarebbe
stata felice, avrebbe avuto il suo ruolo nel gioco.
Ma
ancora Jaime esitò e Nymeria stavolta non perse tempo. Si gettò a terra
e
afferrò la frusta. La fece arrotolare intorno all’asta dove di solito
veniva
issato il vessillo dei Tyrell e si lanciò oltre le mura, verso il cuore
del
palazzo.
Qualche
secondo dopo Jaime sentì un tonfo, seguito da rapidi passi di corsa.
Non fu
necessario affacciarsi verso l’interno per capire cosa fosse successo.
L’unica
possibilità di vendetta gli era appena scivolata tra le dita.
"You did not break me, I'm still fighting for peace."
N.D.A.
Bentornati a tutti! Scusate se
questo capitolo salta fuori a orari improbabili, così come le risposte
alle recensioni che mi lascerete nei prossimi giorni, ma attualmente mi
trovo a Los Angeles e abbiamo un bel po' di ore di differenza ^_^'''''
tuttavia, anche se piuttosto a fatica, sono riuscita a rimanere nei
tempi e non ritardare l'aggiornamento.
Volevo giusto
precisare un paio di cose, in particolare la scelta di Olenna di
liberare Brienne. Sappiamo dai capitoli precedenti che Daenerys ha
inviato dei messaggi alle sue due guarnigioni (quella diretta a Porto
Bianco e quella diretta ad Alto Giardino) in seguito all'accordo (se si
può definire tale) con Jon chiedendo che Brienne fosse messa in
libertà. Tuttavia tale messaggio non ha ancora raggiunto Olenna, quindi
la sua decisione di liberare Brienne, seppur ora in linea con i
desideri di Daenerys, è presa andando contro i vecchi ordini della
regina. Olenna è fedele a Daenerys, vuole vederla vincere, ma allo
stesso tempo si tiene la possibilità di prendere decisioni di un certo
spessore. In ogni caso non intende veramente tradirla nel vero senso
della parola, solo seguire i propri interessi a patto non si scontrano
con il fine ultimo di Dany, ovvero la conquista del trono. Per quanto
riguarda il suo piano ovviamente si scoprirà nei capitoli successivi in
tutti i dettagli.
La scelta di Jaime di
far entrare i suoi soldati nel castello totalmente indifeso ha senso
militarmente parlando dato che i Dothraki sono temibili in campo aperto
ma non negli assedi, tuttavia ora se la dovrà vedere con il gruppo di
Garth che è riuscito a entrare dalla parte ovest delle mura (mentre il
portone così come la battaglia si trovano nella parte est) e conosce
molto bene il castello. La battaglia vera e propria ovviamente sarà
mostrata nei capitoli successivi.
Per Gendry e la sua
missione, allo stesso modo, sarà tutto spiegato meglio dopo. Anche i
suoi sentimenti, che Tyrion non riesce ad afferrare, saranno resi noti
dopo.
Spero anche la
caratterizzazione aggiuntiva che ho voluto dare a Nymeria sia stata
apprezzata: non è niente di che, ma almeno la differenzia un minimo
dalle sue sorelle.
Come al solito voglio ringraziare di cuore tutti coloro che continuano
a sostenermi e a recensire, in ordine: giona,
Spettro94 e __Starlight__. Ringraziamento
speciale anche a leila91, che
continua ad andare avanti e a NightLion
e Red_Heart96 che si
metteranno presto in paro.
E niente, ragazzi...
Spero vi stiate godendo le vacanze e, in caso ancora non abbiate avuto
modo di assaporarle, vi auguro di farlo al più presto! Probabilmente
risposte a eventuali recensioni a questo capitolo arriveranno un po'
più in ritardo del solito e vi prego di avere pazienza :-)
Alla prossima!
PS: stavolta iniziamo con le citazioni in inglese (si vede che
l'America mi sta influenzando XD)... Quella di oggi viene dalla canzone
"Elastic heart" di Sia e l'ho immaginata per Jaime, ma in realtà si può
associare a tantissimi personaggi di Got, quindi a voi la scelta XD XD
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