Ferite
Contraddizioni
Capitolo
primo –
Ferite.
Eppure
– chissà-
là
dove qualcuno resiste senza speranza, è forse là
che inizia
la
storia umana, come la chiamiamo, e la bellezza dell'uomo
tra
ferri arrugginiti e ossa di tori e di cavalli,
tra
antichissimi tripodi su cui arde ancora un po' di alloro
e
il fumo sale nel tramonto sfilacciandosi come un vello d'oro.
G.
Ritsos, Elena.
Link...
ti ricordi di me?
L'incrollabile
forza di
Zelda l'ha sostenuta e sorretta per cento anni, ma ora, finalmente,
è
venuto il suo turno di occuparsi di lei.
A
battaglia finita,
Link cavalca per tre giorni portando tra le braccia una Zelda
spossata ed esausta, semisvenuta. I cento anni di segregazione di
Ganon le hanno richiesto più forze di quelle che possedesse
– ma
di più: di quelle che chiunque
al mondo avrebbe
posseduto: Link non sa neppure se ce la farà. Ha sigillato e
sconfitto Ganon, Zelda è la vera eroina che questa terra
merita, ma
Ganon ha divorato le sue forze come una malattia violenta e
invalidante, e forse non ne avrà a sufficienza anche per
sé. Link
sa di aver fatto esattamente lo stesso anch'egli, cento anni prima,
prima d'esser crollato col corpo trafitto di frecce per farle scudo
della sua propria forza, ma per qualche motivo il suo sacrificio non
gli pare paragonabile a quello di Zelda.
Forse
avrebbe dovuto
portarla lassù, nella sua casa sull'Altopiano delle Origini,
ma le
pareti sono troppo alte e troppo ripide, invalicabili tanto alle sue
braccia quanto al suo cavallo, ed egli non ha mai provato a
teletrasportare una seconda persona con la tavoletta Sheikah. Non
può
permettersi di rischiare. Zelda non è ferita, semplicemente
il suo
corpo è spossato ed esausto, spezzato, e Link conosce un
unico
popolo che abbia le conoscenze necessarie per aiutarla.
Il
viaggio gli appare
interminabile. Link copre Zelda di tutti i suoi abiti più
pesanti,
le infila la sua tunica Rito e le copre il capo del suo mantello per
tenerla al caldo, e cavalca tenendola tra le braccia senza neppure
sapere se stia facendo la cosa giusta – se dovrebbe fermarsi
e
correre il rischio del teletrasporto o se dovrebbe cercare di curarla
da solo, con le sue forze e le sue magre conoscenze, o cercare aiuto
in uno stallaggio, o se gli scrolloni di Draphen potrebbero ucciderla
più della sua debolezza. Link prova la stessa paura
folgorante,
innominabile, che ha provato quando ha sentito il suo cavallo
morirgli tra le cosce, quel giorno alle pendici del Monte Morte,
quando un mostro di fumo e di fuoco li ha aggrediti e Link si
è
sentito sbalzare al suolo. Non vuole che Zelda muoia. Dopo aver
lottato e vinto per così tanti anni e aver sigillato Ganon,
e aver
portato la salvezza a Hyrule a costo di cento anni della propria
vita, è davvero possibile che questa principessa troppo
bella e
troppo coraggiosa muoia così, ignominiosamente, sul dorso di
un
cavallo?
Raggiungono
il
villaggio Calbarico nel pomeriggio del terzo giorno, e Link si
staglia sulla collina che affaccia sul villaggio per chiamare aiuto.
Non gli importa di sé, gli importa di lei, della sua forza e
del suo
coraggio, e soprattutto gli importa che non muoia.
Tutto
accade molto
rapidamente, poi. Gli Sheikah li circondano e gli strappano Zelda
dalle braccia rattrappite dal tanto tenerla stretta e la portano via,
la sottraggono al suo sguardo per correre a curarla, e quando Link
ormai sta per lasciarsi scivolare al suolo e seguirli, ecco che si
sente trascinato giù dalla sella da mani che lo afferrano e
lo
toccano e lo palpano senza pietà.
«Maestro
Link! Sei
ferito?»
«No,
no» balbetta
Link senza capire, mentre mani amiche che d'un tratto gli paiono
più
forti di quelle di Ganon gli sfilano le armi e tastano le sue braccia
e le sue cosce e lo trascinano a valle verso la casa di Impa.
«È
stato Daruk, è stata Mipha...»
Ma
qui nessuno lo
capisce, certo, qui nessuno è in grado di capire che cosa
esattamente vogliano dire i nomi dei Campioni scomparsi ch'egli
balbetta a fatica, e Link non sarebbe neppure in grado di
spiegarglielo ora.
È
ferito davvero. Il
pensiero di non essersene neppure accorto lo farebbe quasi ridere se
solo egli non fosse tanto preoccupato per Zelda: non sono ferite
gravi, e il potere di Mipha ha già iniziato a ricucire
silenziosamente la sua pelle a poco a poco senza ch'egli se ne
accorgesse. Il sangue che si è rappreso si è
appiccicato al tessuto
dei suoi abiti, ed è proprio quando glieli tolgono, cercando
di
separarli il più delicatamente possibile dalla sua pelle
dilacerata,
che Link si accorge davvero per la prima volta del dolore.
La
casa di Impa brulica
di gente accorsa per dare una mano o anche solo per vedere la
principessa rediviva, ed è solo con grande
difficoltà che Paya –
la timida e paurosa Paya – riesce a tener lontani quelli che
non
sono in grado di portare aiuto ma sono venuti solo a curiosare.
L'eroe e la principessa devono riposarsi e guarire, adesso.
Link
si sgola a gridare
contro una marea di mani che lo affogano. Vuole parlare con Impa,
vuole vedere Zelda, vuole... ma questa gente che lo ha spogliato e
sta lavando la sua pelle e ricucendo le sue ferite non lo ascolta,
è
una marea sorda e insensibile che vuole aiutarlo ma neppure presta
ascolto al suo dolore e alla sua confusione. Al di là della
porta
della stanza dove lo hanno trascinato e rinchiuso, Link riesce appena
a intravvedere le silhouette confuse delle donne del villaggio che si
muovono e si affrettano e accorrono scambiandosi in ogni parte della
casa, e indirizza la voce verso di loro per pregarle almeno di dirgli
come stia Zelda e se guarirà e s'egli è davvero
riuscito a
salvarla... ma è del tutto inutile, e parlare a questa gente
è come
sgolarsi a interpellare il sole nell'attesa che risponda. Vincendo
ogni vaga resistenza che ancora il suo corpo sia in grado di opporre,
Link finisce per abbandonarsi alle loro mani e semplicemente si
arrende, lasciandosi maneggiare da loro come da onde che lo cullano.
Non è in grado di lottare oltre, per questa vita.
La
casa di Impa si è
svuotata solo a notte alta, quando anche l'ultimo paesano è
venuto a
esprimere la sua gioia e a portare doni di fiori e frutta per la
principessa. Ma il villaggio Calbarico non andrà a dormire
per
questa notte. Colla schiena appoggiata contro la parete, sotto la
finestra, Link sta seduto cogli occhi chiusi e ascolta (glielo hanno
detto che dovrebbe stare disteso, naturalmente, ma Link certe cose
non vuol proprio sentirsele dire). Stanno festeggiando, là
fuori: il
villaggio celebra la fine della Calamità e la principessa e
l'eroe
trionfatori. È bello sentire le loro voci. Durante il
viaggio da
Hyrule centrale fino a qui Link si è voltato più
volte indietro,
aspettandosi da un momento all'altro di vedere di nuovo l'oscura
foschia ricoprire il castello: ancora non si è abituato a
non veder
più quell'immane massa torreggiare in lontananza da
qualunque luogo
egli volti gli occhi. Dev'esser stato meraviglioso per questa gente,
a un tratto, levare gli occhi e d'improvviso non vederlo
più; e Link
è contento che abbiano qualcosa da festeggiare, finalmente.
Zelda
è nella stanza
al piano di sopra. Impa è rimasta con lei per ore, a
parlarle di
tutte le cose che sono avvenute in questi cento anni, ma col tono
lieve e fantasioso di qualcuno che stia raccontando una favola a un
bambino assonnato; Zelda deve riprendersi, e Impa, che la conosce
bene, non può permetterle di affaticarsi troppo. Ci
sarà tempo
perché la principessa si metta all'opera per risanare le
ferite di
Hyrule.
Impa
lascia il
capezzale della principessa solo molto tardi: aguzzando le orecchie,
Link distingue bene tutti i movimenti suoi e di Paya, che la segue
come un'ombra per aiutarla a spostarsi, e le sente camminare piano e
parlare sottovoce e poi smettere di muoversi, e poi fare, lentamente,
silenzio.
Nel
corso del suo
viaggio, Link ha imparato a muoversi silenzioso e rapido come uno
Sheikah persino sul sottobosco secco e scricchiolante delle foreste
del sud. Egli lascia perciò la stanza come un soffio di
vento,
scivolando sul legno come una foglia umida, e percorre le scale e il
corridoio senza il minimo scricchiolio. Non vuole svegliare nessuno.
Zelda
sta dormendo.
Link distingue appena nella penombra la sua snella figura fragile e
il profilo delicato dei suoi tratti. Non sa neppure bene come
avvicinarla. Negli scorsi tre giorni, lui e Zelda sono stati vicini
come un corpo solo e un solo respiro, coi loro petti vicini tanto da
non aver più un confine preciso, ed egli ha sentito la
propria pelle
farsi tutt'uno con la sua pelle nell'ansia di proteggerla; ma ora che
sono stati separati, che Zelda gli appare pulita e spendente su un
letto circondato dai suoi capelli come una principessa delle favole,
egli non sa più come avvicinarla, come una parte del suo
corpo che
sia stata brutalmente amputata e ch'egli non riesca più a
riconoscere come propria.
Ma
Link non può
aspettare di vederla, egli deve sentirla, deve
parlarle,
sentire la sua voce, farle delle domande, e forse Zelda gli
perdonerà
s'egli verrà meno al protocollo per una volta. Inginocchiato
accanto
al suo letto come un cavaliere del tempo andato, Link le prende la
mano e domanda: «Sei sveglia?»
All'inizio
le sue
parole cadono nel vuoto: non c'è nessuna risposta, e Link
annaspa
nel buio e nel vuoto, sentendosi proiettato solo nella solitudine
della stanza deserta che d'improvviso gli pare sconfinata nel tempo e
nello spazio. Ma poi le coperte si muovono appena, e i grandi occhi
di Zelda si accendono come fiaccole nell'oscurità.
«Link.»
La sua voce è
ancora dolce e melanconica come egli l'ha sentita quel giorno
lassù,
sull'Altipiano; Link posa la fronte sulla sua mano fresca.
«Grazie
di essere venuto a salvarmi.»
Per
tutti questi mesi
egli si è trascinato avanti, ancora avanti, lottando contro
la morte
e contro il tempo solo per poter dire a se stesso di averla salvata;
ma ora che la viva voce della principessa lo sta ringraziando, egli
non sente di aver terminato alcunché. Ganon è
stato sconfitto e
Zelda è salva, e dalla finestra provengono le voci
squillanti e la
musica del villaggio che festeggia la liberazione; ma Link non si
sente ancora assolto.
«Ho
sbagliato così
tanto, Zelda» inizia a bassa voce. Non sa neppure che cosa
stia
dicendo, o se lo stia dicendo più per lei o per se stesso
– quello
che conta adesso è parlare e spiegarsi. Zelda non dice
niente. «Ci
ho messo così tanto, ho sprecato così tanto
tempo. Sarei potuto
venire a salvarti subito, avrei potuto scendere dall'Altopiano e
venire da Ganon, avrei dovuto...»
«Link.»
L'interruzione di Zelda è paziente e benevola e cola come un
balsamo
sulle ferite del suo rimorso: Link ammutolisce all'istante.
«Hai
avuto paura, ma anche io ho avuto paura. Hai fatto tutto ciò
che
potevi. E poi, non eri tenuto a venire. Non avevi neppure
più i tuoi
ricordi...»
«Mi
vedevi?» chiede
Link vivacemente. Zelda tace per un po'.
«Vedevo
la tua anima
quando era più vicina alla mia. Sentivo il tuo cuore e la
tua forza
farsi più forti ogni giorno che passava, sentivo la tua
paura e il
tuo coraggio quando ti addentravi nei dedali dei colossi sacri. Ho
sentito il tuo dolore quando hai incontrato Revali...»
Il
cuore di Link dà in
un sobbalzo doloroso nel suo petto, come se d'un tratto egli si fosse
imbattuto coi suoi propri occhi, in pieno giorno, in un sogno che
credeva non poter esistere altrove che nella propria mente e che
nessun altro potesse conoscere.
Quando
si è ricordato
di Revali ha provato un dolore atroce e immenso, smisurato, e non ha
saputo spiegare il perché neppure a se stesso. Non ricorda
neppure
quali fossero i loro rapporti a parte per quell'acerrima
rivalità
che li divideva, e non è riuscito a intuirlo – che
Mipha lo amasse
egli lo ha letto della dolcezza che i suoi occhi mantenevano persino
attraverso il tramite della sua nebulosa memoria, e allo stesso modo,
solo per aver guardato nei suoi occhi attraverso i propri ricordi,
Link ha saputo all'istante di non averla amata che con l'affetto che
si deve a una sorella. Dei ricordi che ha raccolto di Urbosa e di
Daruk egli ha percepito la stima profonda che li univa, l'affetto
materno di Urbosa e il cameratismo maschio e volitivo di Daruk; e di
Zelda egli ricorda di averle voluto bene come a una metà del
suo
corpo e della sua anima, di averla osservata e protetta come una
creatura sofferente e sola, abbandonata esattamente come lui in un
mondo impietoso che non le corrispondeva. Tutta la sua vita egli
avrebbe dato per lei, e molto di più, ma col sentimento di
dovere
che gli ispirava quella creatura nobile e sofferente tutta votata al
sacrificio di se stessa, ch'egli sentiva gemella al suo destino.
Ma
perché Revali è
l'unico che gli manca?
Se
glielo chiedesse,
forse Zelda saprebbe rispondergli: ella è davanti a lui,
potrebbe
interrogarla, parlargli, e forse ella conoscerebbe le risposte alle
sua domande; ma che cosa vi sia nel suo cuore, e per quale motivo
senta la mancanza di qualcuno che non ha mai davvero conosciuto,
questo non può aspettare di sentirselo dire dall'esterno. E
questo
dolore poi come potrebbe dirlo ad alta voce?
Quello
connesso a
Revali è l'unico sentimento ch'egli senta di aver portato
con sé
dalla sua vecchia vita – oltre a quello per Zelda, che
però è
viva – sul quale egli stia costruendo
sentimenti e pensieri
nuovi. Quando ha ricordato i momenti trascorsi con Urbosa e Daruk
è
stato come sentirsi raccontare la storia di personaggi del mito coi
quali non abbia avuto realmente nulla a che fare in prima persona; e
in quanto a Mipha egli ha provato per il suo amore non corrisposto
una pietà indicibile, ma come se a non corrisponderla fosse
stato un
altro ragazzo insensibile e indifferente che nulla aveva a che fare
con lui. Allora perché con Revali le cose stanno
diversamente, ed
egli si sente coinvolto dal suo ricordo come se veramente Revali
gli avesse ricordato qualcosa?
La
forza di questa
nostalgia lo confonde più di quanto egli avrebbe creduto
possibile,
ed egli vuole davvero indagarla insieme a lei; ma non può
chiedergliene direttamente. Allora, accarezzando pensierosamente la
mano fragile e fresca che stringe tra le sue, egli trova appena il
coraggio di domandare: «Tu ricordi tutto di cento anni
fa?»
I
capelli della
principessa frusciano dolcemente sul cuscino: ella deve aver volto il
capo per guardarlo, e forse adesso i suoi occhi stanno attraversando
il buio per cercare i suoi tratti. Se ora fossero in piena luce ed
ella potesse guardarlo negli occhi, forse Link si sentirebbe in
imbarazzo come s'essi dovessero scavare dentro di lui il suo segreto;
ma è buio, e il cieco sguardo di Zelda scivola sul suo volto
senza
trovarvi appiglio.
«Ricordo
mia madre e
mio padre e la dea» sussurra. La sua voce è
così sottile ch'egli
arriva appena a udirla. «Ricordo il sole e Hyrule e il mio
cavallo
bianco e quei fiori che coglievamo su quel prato... ricordo tutto.
Link, tu che cosa ricordi?»
«Mi
ricordo di te»
risponde Link onestamente, e questa è la più
grande verità ch'egli
arrivi a pronunciare. «E ricordo gli altri... un po'. Ma
quella
storia che mi ha raccontato Impa, quella sulla principessa e l'eroe
di diecimila anni fa... ti ricordi anche quella?»
«Mia
madre me la
raccontava da bambina.» Zelda tace per un poco. Quando
riprende a
parlare, la sua voce è se possibile più triste.
«Sì... me la
ricordo.»
«Eravamo
noi?» Questa
domanda l'ha tormentato sempre, ed egli sempre l'ha portata con
sé,
l'ha ossessionato nelle lunghe notti senza scopo delle sue veglie
inquiete, quando sostava vicino al fuoco cogli occhi spalancati e
infissi nella sconfinata notte che lo circondava. Persino a Daccapo
questa domanda lo inseguiva, ma è la prima volta ch'egli ha
modo di
formularla a parole. «In tutte quelle lotte, in tutte quelle
leggende... quella principessa e quell'eroe che sconfiggevano il male
ogni volta che si ripresentava e hanno vinto sempre, lo hanno
ricacciato sempre, eravamo noi, credi?»
«Eravamo
noi»
risponde Zelda a bassa voce. «Erano altre vite,
però.»
Era
la risposta che si
aspettava, questa è a fine della storia. Stringendo ancor
più tra
le dita quella mano che non si ribella e non reagisce, Link chiede
ancora: «E ci siamo amati in quelle vite, credi?»
«Non
lo so, io...
forse. Non lo so.» La voce di Zelda ha un tremito ch'egli non
si
sarebbe aspettato da lei, come una strana modulazione che vacilla in
fondo alle sue parole e si attarda un poco nell'aria della stanza.
Suona come se piangesse. Ma perché mai dovrebbe piangere?
«Di
certo... di certo non in tutte, non è vero?» Di
certo non in
questa, pare suggerire il tremulo spettro di una risata
dolorosa,
spezzata, che segue alle sue parole senza tuttavia farne parte. Ma
perché Zelda dovrebbe rattristarsene?
«Non
in questa»
ripete Link. È come pensava; ma ora che l'ha saputo, non sa
neppure
più che cosa dire. Ci sono tante cose che vorrebbe sapere da
lei,
così tante, soprattutto, ch'egli non sa neppure come si
potrebbe
chiederle. Se solo la sua mente potesse compenetrarsi alla sua e a
essa sovrapporsi, ed egli potesse vedere il mondo come Zelda lo vede
attraverso i propri occhi e la propria saggezza, Link sente che i
suoi dubbi svanirebbero; ma non è così che si
può farli svanire,
ed egli deve accontentarsi di restare al di fuori di lei e della sua
mente.
«E
quelle vite,
senti... quegli eroi e quelle principesse. Pensi che avessero tanti
dubbi quanti ne abbiano avuti noi?»
«Vorresti
essere
loro?»
Come
si potrebbe non
desiderare di non avere dubbi? Link avrebbe voluto essere un eroe
grande davvero, come quelli delle leggende che gli ha narrato Impa
–
un eroe concreto, autentico, risoluto e coraggioso e in grado in ogni
momento di gettarsi nel vuoto e sguainare la spada e combattere
– e
non come lui, che ha vagato per tutta Hyrule per trovare il coraggio
di sfidare Ganon. «Avrei voluto essere più
coraggioso.»
Link
si ricorda del
tormento di Zelda. Ricorda le sue preghiere e il suo pianto, le
grandi ondate impotenti della sua frustrazione e la sua stupefatta
mortificazione, e il dolore di vedersi redarguita e perduta: anche
Zelda avrebbe voluto essere diversa, ed egli si pente all'istante di
averle parlato così: se solo Zelda non avesse fallito, se
solo il
suo potere non avesse tanto tardato a destarsi, forse suo padre non
sarebbe morto.
«Avrei
voluto esser
più forte anch'io» risponde piano. Non
c'è rancore nella sua voce,
solo una grande e composta tristezza.
«Tu
sei stata
coraggiosa per cento anni» obietta Link cautamente. Questa
è
l'unica verità ch'egli conosca, ma non è questo
che Zelda aspettava
di sentirsi dire, ed egli lo sa. Al pensiero di quegli ultimi cento
anni, del coraggio che in ogni momento minacciava di venirle meno e
della Calamità che incombeva su di lei, la mano di Zelda
trema nella
sua ed ella fa per ritrarsi: sta rabbrividendo.
Allora
Link capisce di
aver sbagliato, di dover dire qualcosa, far qualcosa che possa
distrarre il suo pensiero dalla Calamità, e magari
mostrarle,
chissà, che il suo sacrificio eterno non è stato
vano. Che Hyrule
esiste ancora grazie a lei e che tutta la sua stanchezza e la sua
lotta sono almeno servite a qualcosa.
«Hyrule
sta
rinascendo, sai» inizia a bassa voce. Quel tremore
incontrollabile
che l'aveva colta un attimo fa si acquieta un poco; Zelda lo sta
ascoltando di nuovo. «Sta nascendo un nuovo villaggio nelle
terre di
Akkala, uno che non hai mai visto. Non esisteva prima. Lo stanno
fondando dal nulla.»
Per
la prima volta da
quando egli l'ha strappata dalle orride braccia di Ganon, la voce di
Zelda si modula in un accenno di risata che aleggia per qualche
istante nel buio, e Link trova che sia davvero un bel suono.
«Non
funziona esattamente così, coi centri abitati.»
«È
quello che ho
pensato anche io, ma... che tu ci creda o no, sta
funzionando.»
Mentre sta ancora parlando, Link è folgorato da un'idea
improvvisa:
sollevatosi di scatto, egli slaccia la tavoletta Sheikah dalla
cintura e gliela porge. «Ti va di vederlo?»
Quando
l'accendersi
della tavoletta le illumina il viso, gli occhi di Zelda si appannano
un poco nella luce che attraversa il buio: ella si copre per un
attimo gli occhi con la mano, e Link si sorprende di quanto questo
gesto sia spontaneo e naturale e quasi infantilesco in lei. Ma egli
non demorde, e le immagini scorrono sullo schermo in successione per
il tempo necessario a distinguerle: il villaggio che sorge sulle rive
del lago prende forma così quasi senza ch'ella se ne
accorga,
nell'impercettibilità dei mutamenti ritratti giorno dopo
giorno, e
Zelda vede le pareti di roccia spianarsi e assottigliarsi e le case
ergersi variopinte contro l'orizzonte, e la piazza iniziare a
brulicare di gente. Link le indica tutto e le spiega tutto e le
racconta di quando è andato a scovare in mezzo al deserto
una
ragazza che cercava avventure e sulla dirupata città dei
Rito un
ragazzo che cercava libertà; ma d'un tratto, non appena egli
distoglie lo sguardo dallo schermo e torna a guardare Zelda, si
accorge che qualcosa non va. Le labbra della principessa sorridono,
certo, ma i suoi occhi sono colmi di lacrime. Zelda sta piangendo.
«È
qui che vuoi
andare, vero?»
Link
si sente colto in
fallo come se l'avesse tradita. Il suo cuore fa un balzo, e
sollevandosi di scatto egli spegne la tavoletta Sheikah come se
volesse nascondere le prove di un suo tradimento. «Che cosa
vuoi
dire?»
Il
suo viso non è più
illuminato dalla luce dello schermo, eppure, quando Zelda lo guarda,
Link è perfettamente in grado di distinguere nel buio lo
splendore
verdefoglia dei suoi occhi. Non c'è la minima accusa in essi.
«Ti
ho detto che
sentivo il tuo cuore quando era più vicino al mio, ma la
verità è
che non lo è stato quasi mai. Il tuo cuore non era con me:
era nel
respiro delle terre selvagge, era in questo villaggio che stai
aiutando a costruire...»
Link
cerca di prendere
la parola, di parlare, difendersi: le parole di Zelda gli appaiono
profondamente ingiuste, forse perché colpiscono quella parte
della
sua coscienza che non si sente affatto serena. Egli ha avuto dubbi,
certo, e ci sono stati dei giorni, come quelli che ha trascorso a
Daccapo, in cui ha persino pensato di lasciar perdere tutto e
nascondersi – ma per quanto egli possa esser stato tentato,
per
quante occasioni egli abbia avuto, Link non l'ha mai fatto.
È stato
lui a scalare le mura del Castello, a fronteggiare Ganon armato solo
del suo coraggio e della sua spada: dove altro avrebbe potuto essere
il suo cuore? Ma le sue parole non trovano voce: la dolcezza di Zelda
lo ammutolisce.
«La
tua volontà era
con me» mormora.«Ma era tutto, e soprattutto era
molto più di
quello che potessi sperare. Link, tu non ti ricordi di me. Quei
ricordi che hai ritrovato appartengono a una persona che è
morta
laggiù, alla Muraglia di Finterra, quel giorno di cento anni
fa...»
«Io
sono qui adesso»
protesta Link con voce soffocata. Non s'è neppure accorto di
essersi
alzato in piedi; ma Zelda non ne è affatto intimorita.
«Sono qui
per te, sono venuto a salvarti. Quello che ho fatto quel giorno per
te, quando i guardiani ci aggredivano e io e te eravamo rimasti soli
contro il mondo intero, e sarebbe stato più semplice per
entrambi
lasciarci morire e smettere di lottare...»
«Lo
rifaresti ancora,
certo» lo interrompe Zelda. La dolcezza della sua voce non ha
la
minima esitazione.«Lo rifaresti ancora oggi, e lo faresti per
chiunque, perché tu sei fatto così e non ti
tirerai indietro mai.
Ma tutto ciò che hai fatto da quando ti sei svegliato
lassù,
sull'Altopiano, lo hai fatto perché ti è stato
chiesto e dunque
dovevi. Io non posso impedirti di sacrificare la tua
vita per
tutto ciò che desideri, ma posso scioglierti da ogni dovere
che tu
abbia verso di me e lasciarti libero di scegliere..»
Zelda
ha fatto quello
che doveva per tutta la sua vita senziente,
piegata e oppressa
dalla necessità che la incalzava e dal soffocante volere di
suo
padre, dalla memoria di sua madre e dalla sacra eredità
delle sue
antenate. Dunque è per questo che non c'è rancore
nella sua voce,
ma solo un dolore dolce e melanconico, come il ricordo di un
rimpianto.
«Va'
a Daccapo, Link»
insiste Zelda. «O va' nel respiro delle terre selvagge, dove
ti
porta il tuo cuore. Va' da quella gente che ha bisogno di te e che ti
ha chiesto il tuo aiuto e che tu aiuterai sempre, salverai sempre,
perché sei fatto così. Siamo stati schiavi del
destino dei nostri
antenati per tanto tempo che io non voglio più questo per
te.»
«Vieni
a Daccapo con
me!» esclama Link improvvisamente. Questa volta, Zelda
è talmente
stupefatta che è costretta ad ammutolire. «Puoi
ricominciare
daccapo anche tu, possiamo farlo insieme. Non sei più
costretta a
essere la principessa se non vuoi, io mi ricordo quanto hai sofferto.
Possiamo ricostruire lo stesso Hyrule, solo che non come la
principessa e l'eroe della leggenda, solo come... Link e Zelda. Come
quelle persone che stanno costruendo il villaggio a partire da zero,
senza essere nessuno...»
«Io
non ho perduto la
memoria, Link.» La voce di Zelda è tanto flebile
ch'egli rischia di
non udirla. «Sono ancora la stessa di cento anni fa, e il mio
destino l'ho accettato da tanto tempo. Non si parla più di
quello
che devo, ma di quello che voglio; per te invece è
diverso.»
«Voglio
venire con te»
mormora Link, ma le sue parole suonano deboli e poco convinte, e
Zelda lo sa.
«No,
Link. Il Link di
cento anni fa voleva venire con me, e io ti ringrazio a nome suo per
aver mantenuto il giuramento che aveva prestato; ma tu non sei
più
quella persona. Quando ho dato ordine di portarti al Sacrario della
Rinascita, sapevo già perfettamente che non saresti stato lo
stesso
al risveglio; e da quando ti sei svegliato sei stato così
impegnato
a ricordarti chi tu fossi che non hai quasi avuto un momento per
capire chi sei ora. Io non voglio questo per te.»
«Ma...»
«Link.»
La voce di
Zelda è calma ma inflessibile, adesso. «Non te lo
sto chiedendo, te
lo sto ordinando. Voglio che tu vada, e che torni da me soltanto se
avrai capito che è questo che veramente vuoi. Me lo
prometti?»
Non
c'è più nulla da
obiettare, adesso. Zelda non gli ha ordinato di partire subito, ma le
sue parole suonano egualmente come un addio; e del resto non
avrebbero altro da dirsi.
Link
è libero, ora
tutto il suo cuore dovrebbe pulsare di gratitudine e urlare grazie!
grazie! grazie!, poiché Zelda lo ha capito e salvato,
ancora
una volta; ma per quanto egli le sia grato della sua comprensione, si
sente profondamente malinconico. Non voleva che finisse
così; ma
Zelda ha ragione. Prima di poter decidere se restare con lei o no,
forse ha ancora molte cose da capire.
Chinandosi
sul bordo
del letto, Link posa le labbra sulla sua fronte e si riempie le dita
dei suoi capelli. Zelda si è irrigidita e trema, ma Link
percepisce
egualmente tutto il suo calore.
«Sono
contento che tu
abbia trovato il tuo posto nel mondo.»
Un
tocco fresco lo
farebbe sobbalzare se solo non provenisse da lei: Zelda ha sollevato
le mani per toccarlo, e ora la punta delle sue dita rosate sfiora
appena le sue guance. «Spero che lo trovi anche tu.
Link...»
«Sì?»
«Ti
vorrò bene per
sempre, qualunque scelta tu voglia compiere. Ricorda solo che se
domani, o tra mille anni, tu dovessi scegliere di ritrovarmi, potrai
sempre tornare. Ci sarà sempre un posto per te al mio
fianco, se tu
non dovessi trovarne uno migliore in questo mondo. Non te ne
dimenticherai, vero?»
«Non
potrei mai
dimenticarmene.» Link questo lo ha sussurrato col volto
affondato
nella massa voluminosa e profumata dei suoi capelli biondi, ma
è
certo che Zelda lo abbia sentito.
Principessa
Zelda,
parto
per porre fine al mio viaggio come tu mi hai ordinato. Non so ancora
quello che troverò, ma ti ringrazio di avermi dato questo
ordine.
Lascio
per te una chiave. Apre la porta di una casa di Finterra che io non
ho amato quanto meritava: se tu cercassi un posto dove riposarti, o
nasconderti, o ripartire, mi piacerebbe che tu riuscissi ad amarla un
po' più di me. Te ne faccio dono con tutto ciò
che contiene. La
troverai facilmente: forse per paura di scordare di nuovo il mio
nome, l'ho fatto scrivere davanti alla porta. A Finterra troverai
qualcun altro che vorrebbe rivederti dopo tanto tempo. Non
spaventarti se la troverai un po' cambiata: c'è una
spiegazione.
A
Finterra troverai anche un bravo architetto (non te lo descrivo: se
tu lo cercassi, sono certo che non stenterai a trovarlo). Se
deciderai che il modo migliore di ricostruirei Hyrule sia quello di
costruire,
potrebbe
essere l'uomo che fa per te.
Che
tu accetti o meno il mio dono, che tu venga o meno a Daccapo, io so
già che t'incontrerò di nuovo. Tu hai detto che
la mia anima è nel
respiro delle terre selvagge, e io mi sono vergognato ad ammettere
che avevi ragione: per tutta la durata del mio viaggio, non
c'è
stato un momento in cui io non abbia desiderato lasciar perdere tutto
e abbandonarmi al viaggio. Ma se non ho ceduto è stato
perché
volevo salvarti.
Farò
di tutto per sanare questa contraddizione – nel frattempo so
che i
nostri sforzi andranno nella medesima direzione, e che le nostre
anime si incontreranno nella Hyrule che amiamo entrambi.
Non
posso riportarti il Link di cento anni fa perché non l'ho
mai
conosciuto, ma proverò a portartene uno nuovo.
Ti
prego, accetta la mia casa. È l'unica cosa che posso darti.
Link.
Post
scriptum – Grazie di aver chiamato il mio nome, quel giorno.
In
questa seconda vita so di non esser stato coraggioso come nella
prima, ma l'unica volta in cui ho davvero avuto paura è
stata quando
ho aperto gli occhi e ho scoperto di non saper più chi ero.
Ma poi
la tua voce mi ha chiamato e io ho saputo di essere Link – e
di
questo non potrò mai esserti grato a sufficienza.
Buonasera a tutti!
Non
so davvero cosa
dire di questa storia, se non che dovevo scriverla,
e in
pratica si era già scritta da sola senza che me ne
accorgessi.
Daccapo era completa quando l'ho scritta, ma la
verità è che
quando l'ho scritta non avevo ancora finito come si deve il gioco; e
ora che mi pare di conoscere Hyrule a memoria, e che ciò
nonostante
continuo ogni volta che riprendo in mano la Switch a trovarvi
qualcosa di nuovo, questa storia si è fatta troppo
impellente per
non poterla scrivere.
Approfitto
di queste
note per ringraziare di cuore An13Uta e Miryel per i loro pareri alla
storia precedente, e per abbracciare di tutto cuore Fiulopis, che si
è ormai rassegnata al fatto che betarci le storie a vicenda
è quasi
una necessità dato che tra tutte mettiamo insieme a malapena
un paio
d'occhi sani.
Un
bacione e al
prossimo capitolo!
Afaneia
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