PROLOGO
Le
strade di Agia quella sera erano gremite di persone intente a celebrare
l’Anuk-ei. Era
quasi il momento di consumare il sit’ota, un piatto
tipico a base di bacche dolci:
la tradizione prevedeva che ciò avvenisse in piazza, tutti insieme.
Già
risuonavano nell’aria le note d'inizio del canto di
ringraziamento. Il quinto kalam
volgeva al suo termine: i festeggiamenti sarebbero durati fino alla
prima ora
del nuovo ciclo.
Rara
eccezione all’atmosfera esaltata, un bambino vagava smarrito
per i vicoli. Nella
confusione nessuno lo notò; oppresso dalla folla,
imboccò d’istinto vie sempre
più sgombre. Riottenuta un po’ d’aria,
si guardò attorno: non distingueva le
abitazioni intorno a lui, tutte caratterizzate dagli stessi mattoni
color
sabbia su cui la luce delle torce creava strani effetti che
l’inquietarono.
Si
fece coraggio e si riavvicinò alla folla, cercando
disperatamente tra i volti quello
di sua madre: non la trovò. Infine, stanco, si
addentrò in una via buia che lo
portò al limitare del villaggio, dove i rumori dei
festeggiamenti divennero
solo echi lontani. Calciò un sasso, scoraggiato, e si
lasciò cadere contro un
muretto. Sentì freddo e si strinse nella casacca di lana,
inutilmente: non
c’entrava la temperatura esterna, a farlo rabbrividire era il
timore di non
rivedere più la madre. Si disse che sicuramente lo stava
cercando anche lei, e
sperò fosse così; ma ultimamente era tanto
stanca, e le faceva male la schiena.
Si sarebbe arrabbiata molto? O preoccupata? Scosse la testa;
nessuna
delle due opzioni lo rasserenava.
Un
urlo improvviso interruppe il filo dei suoi pensieri. Stupito, si
alzò di
scatto, senza pensare. Da dove veniva? Era stato un urlo acuto, una
bambina,
forse, o una donna… Si guardò intorno.
Ciò che sentì dopo lo spaventò: una risata roca, crudele risuonò nel vicolo.
Lanciò uno sguardo alla
strada da cui era venuto – possibile che nessun altro avesse sentito?
Era tutto
così deserto.
In
preda a una strana sensazione, si diresse verso l’origine del
suono, rasentando
il muro e stando ben attento a non fare alcun rumore. Gli arrivarono
delle
voci, ma non riuscì a distinguerne le parole. Attento a non
farsi vedere, si
sporse oltre la fine del muro: fuori dal villaggio, accanto al fiume
Tar, c’era
una bambina. Si reggeva malferma sulle gambe, o almeno così
gli sembrò;
indossava una casacca simile alla sua. Fissava con occhi pieni
d’orrore dritto
davanti a lei, e fu solo seguendo il suo sguardo che il bambino
distinse
nell’ombra le figure di due uomini.
Un
brivido gli corse lungo la schiena. Uno degli uomini impugnava un lungo
coltello e, sebbene il buio e la prospettiva gli impedissero di
distinguere
bene gli abiti, il loro copricapo era unico e lanciava un chiaro
messaggio. Solo
i banditi indossavano l’Amakai, riconoscibile
dai due lacci pendenti sul retro con due anelli legati alle estremità. Questi tintinnarono quando i due avanzarono verso la bambina,
che al
contrario indietreggiò. Osservò la scena
trattenendo il fiato; avrebbe voluto
urlare, aiutarla, ma era come paralizzato.
Nella
mano del bandito più vicino a lei apparve una fiammella.
«Fa’
la brava, seguici e andrà tutto bene».
La
vide stringere le labbra e grazie alla luce della fiamma
notò che lottava con
le lacrime. Mormorò qualcosa, o così sembro al bambino; era troppo lontana perché potesse sentirla.
Poi
parlò l’uomo con il coltello. «Basta
giocare. Prendila» ordinò al compagno.
«Abbiamo già perso fin troppo tempo»
aggiunse, facendo un cenno verso una zona
a pochi metri da lui. Al bambino per poco non sfuggì un
grido d’orrore,
distinguendo in quel punto due sagome immobili.
Il
fuoco lasciò la mano del bandito e si sollevò
sopra di lui. Fece un altro
passo, riducendo di molto lo spazio che lo separava dalla bambina, che ora si era
arresa al
pianto. La vide indietreggiare ancora, azzerando la distanza tra lei e
il fiume.
L’uomo
si slanciò in avanti nel tentativo di afferrarla; lei
si ritrasse, mise
un piede in fallo…
Scivolò
nel fiume sotto il suo sguardo.
“La
prenderanno”, pensò triste. Davvero non poteva
fare niente per aiutarla? Il suo
sguardo si soffermò sul coltello. Era solo un bambino, non
sapeva controllare i
suoi poteri. Loro erano in due. Sarebbe dovuto correre indietro a
cercare aiuto,
forse avrebbe trovato qualcuno e non sarebbe stato troppo
tardi… non riusciva a
muoversi, però. Poteva solo guardare, e vide il secondo uomo
raggiungere l’altro
e abbassare lo sguardo sul torrente.
«Non
c’è!».
L’incredulo
urlo di rabbia giunse distintamente alle orecchie del piccolo
spettatore.
NdA
Ho attentamente
rivisto e ampliato questo prologo seguendo i consigli di Nirvana_04, che ringrazio davvero
molto.
Questa
è la storia a cui tengo di più; se vorrete
seguirla, vi sarò grata. Vi esorto inoltre a farmi sapere
che cosa ne pensiate, nel bene e nel male: sono qui per migliorare!
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