Questa oneshot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal
gruppo facebook Hurt/Comfort
Italia - Fanfiction & Fanart
#26promptschallenge - prompt 15/26
#MIRACOLO
/mi·rà·co·lo/
sostantivo maschile
1.Fatto che si
ritiene dovuto a un intervento soprannaturale, in quanto supera i
limiti delle normali prevedibilità dell'accadere o va oltre
le
possibilità dell'azione umana.
2.Il verificarsi
di una contingenza inaspettata e favorevole, spesso decisiva ai fini di
modificare o invertire il corso degli eventi
Titolo
opera: Non sprecare questa tua nuova vita
Fandom:
Saint Seiya
Ship:
nessuna
Parole:
830
Tags:
#miracolo #ricominciare #nuovavita #perdono
Warning:
nessuna
*****
Quel poco d'aria che gli era rimasta nei polmoni
lo stava lentamente abbandonando. Poteva vederla formare delle
bollicine e uscire dalla sua bocca, allontanandosi da lui in fila
indiana. Erano i suoi ultimi aliti di vita che lo tradivano, per
trovare la libertà dove c'era la luce.
Il suo corpo fluttuava inerme nell'acqua, in quel mare che voleva
dominare, abbracciato – cullato – dalle correnti di
quella distesa fredda e solitaria.
Se solo il tridente divino fosse rimasto conficcato nel suo petto,
ancorandolo al suolo proibito del Tempio di Poseidone per
l'eternità...
Chi lo aveva liberato, lasciandolo andare poi alla deriva?
I suoi occhi si stavano spegnendo, ma poteva ancora intravedere quei
sbiaditi filamenti come inchiostro rosso fuoriuscire dalle sue ferite e
mescolarsi all'acqua, rendendola torbida. Il suo sangue si stava
dissipando in una danza sinuosa e ipnotica.
Si sentiva tirare. Non capiva in che direzione, ma era certo che il
peso della sua colpa lo stava mandato sempre più in
giù, fino ai fondali più oscuri, ai quali
apparteneva un'anima nera come la sua.
Poteva accettarlo.
Poteva accettare che il suo corpo venisse straziato dalle rocce
acuminate e diventare cibo per le creaure marine. Era quello che si
meritava per aver armato la mano di suo fratello, per aver tramato
contro gli dèi, per aver desiderato il dominio sugli esseri
umani senza esserne degno.
Chiuse gli occhi, risparmiandosi la visione delle tenebre che lo
inghiottivano e lo trascinavano sempre più a fondo.
Il gelo delle acque profonde gli intorpidiva le membra.
Il silenzio della tomba a cui era destinato riempiva ogni suo pensiero
residuo, cancellando il volto di suo fratello, sostituendosi
all'immagine della dèa bambina, l'unica che aveva sempre
creduto in lui. Se solo quel giorno avesse riconosciuto l'amore di
Athena, che lo aveva protetto nella prigione di roccia e lo aveva fatto
approdare, indenne, fra le braccia di Poseidone. Se solo fosse stato
più umile da ammettere il suo errore. Se solo...
Il petto gli doleva. Pulsava, bruciava. Era come se fosse compresso,
racchiuso in una morsa. Era a causa della pressione dell'acqua. A che
profondità era arrivato?
Aveva caldo. Tanto caldo.
Era convinto che la morte fosse fredda, ma lui scottava. Lo sentiva sul
viso, lo sentiva sulla pelle.
La testa... avvertiva una strana sensazione di leggerezza che lo
scombussolava e poi, un dolore martellante.
Le sue palpebre tremavano. Gli sembrava di vedere una luce attraverso
di esse. Com'era possibile?
Dove stava precipitando lui non poteva arrivare la luce.
Allora, dov'era?
Il silenzio.
Aveva sempre creduto che la morte fosse anche silenzio. Soprattutto
silenzio. Nelle profondità del mare c'era il silenzio
più assoluto, ma le sue orecchie udivano una sorta di
silenzio frusciante, come la pioggia in una sera d'estate.
Sentiva gli occhi stanchi; eppure, qualcosa di indefinito lo spingeva
ad aprirli. Una voce nel suo cuore, calda e dolce, piena d'amore, lo
invitava ad avere fiducia e a guardare di nuovo il mondo.
Deglutì. La gola gli faceva male, come se fosse rimasta
inoperosa da troppo tempo. E aveva sete. Da quanto tempo non beveva? Il
mare non era generoso in quel senso. La sua acqua poteva uccidere,
invadendo i suoi polmoni, invadendo ogni cosa di sé.
Boccheggiò un paio di volte. Gli si serrò la gola
come se gli mancasse l'aria. Afferrò il lenzuolo e strinse
forte, fin quasi a strapparlo. Tutto il suo corpo si
irrigidì, a contrastare la morte che lo attendeva.
Non era pronto. Non era pronto ad accettare quella fine.
Aprì gli occhi di scatto e arrancò nel respirare,
disperato, affamato d'aria.
Ancora una volta si ritrovò disteso nel letto, in un bagno di sudore, sfinito.
Ancora una volta aveva rivissuto quell'incubo.
Ancora una volta era vivo, in una camera sconosciuta, vuota ed
essenziale come lui era sempre stato.
Il petto, le braccia, le cosce e la testa, erano stretti da bende
candide che qualcuno cambiava ogni giorno con ammirevole dedizione. Il
suo corpo era debole e pallido, privo della vigoria che un tempo ne
aveva fatto il comandante di un esercito. La sua mente non vedeva
più in là del giorno stesso, ormai priva di
interessi, di speranze e di motivazioni.
Girò lo sguardo verso la finestra. Fuori pioveva.
Non capiva com'era possibile che fosse ancora vivo. Non capiva
perché era ancora vivo. Non meritava di respirare ancora;
non quando altri più degni di lui erano invece sottoterra.
Nel suo petto il cuore batteva veloce. Perché?
Nelle sue vene scorreva ancora sangue, caldo, rosso. Perché?
Chi aveva compiuto quel miracolo doveva aver preso una cantonata. Lui
non valeva un tale incomodo.
Chiuse gli occhi, stanco, scivolando piano in un sonno alieno, in
attesa che quell'incubo, ancora una volta, gli straziasse la mente. Era
la sua punizione.
Il silenzio di quella camera si riempì di una dolce melodia,
cantata da una voce piena d'amore. Poi, avvertì il tocco
gentile di una lieve carezza sulla sua fronte. Qualcuno vegliava su di
lui. Lo aveva sempre fatto e lo avrebbe fatto in futuro.
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