Capitolo terzo
Chiedendo
perdono per il grave ritardo, pubblico finalmente questa II parte.
Scriverla è stata una faticaccia, e alla fine il risultato mi
soddisfa il giusto, ma spero di rifarmi al più presto.
Cercherò di essere più veloce ad aggiornare, ma non vi
prometto nulla... ;-)
Buona lettura e infinitamente grazie x le recensioni (che sono sempre un incentivo ulteriore a scrivere... ^///^),
Jazebel89
Parte II
Un
quarto d'ora dopo ridiscendevo le scale lentamente, attenta a non
inciampare nella lunga gonna di lino nero che mi copriva le gambe fino
alle caviglie. Mi domandavo quanti fossero gli "ospiti" che mi stavano
attendendo in biblioteca, e di chi si trattasse, se di vecchie
conoscenze oppure no. In parte ero anche preoccupata, perché non
riuscivo a immaginare il motivo di quella visita, ma nel profondo il
mio cuore fremeva di gioia: finalmente, dopo quattro secoli
d'isolamento da Faerie e dalla sua gente, tornavo a rivedere qualche
volto del mio passato, qualche corpo splendente quanto il mio, tornavo
a specchiare il mio sguardo in iridi dalla sfumatura altrettanto
tricolore... e non riuscivo in alcun modo a non esserne eccitata, anche
se con mia profonda vergogna.
Sopra
la gonna avevo indossato una maglia in stile impero bianca dipinta a
fantasie di fiordalisi, con un nastro di seta blu che la teneva stretta
sotto il seno; avevo spazzolato i miei ricci castani così poco sidhe
fino a farli brillare, e avevo un braccialetto al polso sinistro e
orecchini di lapislazzuli montati in oro; restavo comunque scalza,
perché mi piaceva girare così, per casa, e se qualcuno ne
fosse rimasto scandalizzato peggio per lui.
Arrivai
di fronte alla porta della biblioteca, dalla quale proveniva un forte
chiacchericcio. Sospirai, e con un fremito di nervosismo girai la
maniglia.
Mi si
parò davanti una scena incredibile: Seamus (che
dimostrava a malapena vent'anni nonostante ne avesse un centinaio)
saltellava qua e là a tempo di una musica che solo lui pareva
udire, la pelle leggermente sfumata di verde che riluceva di una
brillantezza che mai avevo notato, reggendo in mano un vassoio pieno di
biscotti e offrendone qua e là con inchini e salamelecchi che a
me mai, in cinquant'anni di servizio, aveva rivolto.
C'erano poi cinque o sei sidhe (fra cui Sinead e mio zio) e un'altra decina di creature fey,
alcune delle quali da me incontrate in tempi remoti, che prendevano il
caffè discorrendo del più e del meno, alcuni seduti
sul divano e altri sulle due poltrone davanti al fuoco del camino (la Dea
sola sapeva perché già acceso!) come nel bel mezzo di una
colazione fra signore della Vecchia Inghilterra.
Si bloccarono e tacquero, vedendomi entrare, e ognuno mi rivolse uno sguardo imprescrutabile tipicamente fey.
-Buongiorno, signori- dissi, avanzando verso di loro. Scacciai dalla mia poltrona preferita una coppia di demi-feygià
intenta a smaltire l'eccitazione della caffeina con un altro tipo
d'eccitazione, e mi sedetti, accavallando sensualmente le gambe e
sollevando il mento con aria aristocratica; dovevo assumere
un'espressione fiera, perché probabilmente si aspettavano di
vedere in me una monarca in esilio, non un'insegnante delle superiori
che ogni estate
portava i suoi ragazzi in gita sullo Shannon.
-Ebbene,
spero che il mio servo- dissi, compiendo un grave sforzo perché
quella parola così cruda, "servo", mi sembrava davvero vetusta,
ma non ne potevo fare a meno, -vi abbia fatto sentire a vostro agio,
durante l'attesa. Ora puoi andare, Seamus- lo congedai, e lui
obbedì con un inchino e con uno strano sguardo negli occhi, che
se non l'avessi conosciuto da anni l'avrei detto di lussuria: d'altro
canto, era la prima volta che mi vedeva senza glamour, almeno che io ricordassi. Col glamour, la mia pelle era semplicemente molto candida, i miei occhi semplicemente azzurri e io non emanavo alcun tipo di fascino sidhe... Il che voleva dire un bel po' di sex-appeal in meno, effettivamente!
-Allora,-
dissi, unendo la punta delle dita, non appena Seamus fu uscito e dopo
aver isolato acusticamente la stanza con un veloce Incatesimo di
Distorsione dei Suoni, -accomodatevi pure e ditemi di che cosa si
tratta. Se non trovate posto, sistematevi sul tappeto, non
m'importa. Voglio che siate brevi e concisi, perché il mio tempo
è prezioso e fra meno di due ore dovrò essere in
città-.
Un sidhe mormorò indignato: -Ma senti come ci tratta, la puttana dei Goblin!-.
Gli lanciai un'occhiata talmente gelida che quello preferì distogliere lo sguardo e sedersi per terra.
Sinead
mi parlò in tono ossequioso, del tutto diverso da quello che
aveva usato quando eravamo sole. In pubblico, aveva necessità di
trattarmi con rispetto al mio rango; in privato, rideva di me e mi
guardava dall'alto in basso. Si era comportata così sin da
quando ero bambina: alternava leziosità a disprezzo, e questo mi
aveva sempre impedito di capire quali fossero i suoi veri sentimenti
nei miei confronti.
-Sorella-
disse, la voce morbida come un bigné, -siamo venuti qui da te
per comunicarti una grave sventura, e per richiedere il tuo aiuto-.
-Il mio aiuto?!-.
Sinead annuì.
-Vedi, mia cara sorella... Nostra madre, Niamh, si trova in grave
pericolo... L'Albero della Vita, che un tempo fioriva rigoglioso nel
giardino della nostra Corte, sta appassendo... e con lui nostra madre.
Devi sapere che Niamh la Splendente è l'ultima dea della
Fertilità rimasta in vita... e la sua esistenza è da
sempre stata intimamente legata a quella dell'Albero. Ebbene, l'Albero
muore di giorno in giorno e nostra madre, pur immortale, sta cominciando a svanire
con lui-.
-Nos... Nostra madre sta svanendo?!-. Non potei trattenere lo stupore.
Che io sapessi, poche cose al mondo potevano eliminare per sempre un
immortale: fra queste la spada della dea Morrigan, ora regina degli Unseelie
Andais, e il fatto di svanire, misterioso fenomeno che comportava un lento e doloroso dissolversi nel nulla dell'immortale in questione.
-Esatto. E non indovini perché? Il nostro re, Taranis il
Tonante, è sterile... Non riesce ad avere figli, non può,
ma non ha intenzione di abdicare. Ora, tu saprai cosa succedeva un
tempo ad un re sterile...-.
Annuii. -Veniva eliminato. Sacrificato alla Dea-.
-Già-.
-Oppure, se abdicava, veniva deposto e sostituito-.
-Cosa
assai rara. Comunque, il fatto è che Taranis non vuole saperne
di abdicare, e in questo modo ci condanna tutti all'estinzione. La
razza pura dei Seelie sarà spacciata, se non facciamo qualcosa!-.
-E io cosa c'entro?- sbottai, lasciandomi sfuggire una mezza risata che sapeva d'amaro. -Io... Mezza sidhe, mezza umana e Gigante... cosa c'entro?-.
Sinead sospirò.
-Vedi,
Blàthnaid sorella mia... Dal momento che nessuno, fra noi, da
solo è abbastanza forte o magicamente potente da competere con
Taranis... Abbiamo pensato di sfruttare l'ultima possibilità che
abbiamo per creare un Seelie tale da competere con lui-.
-Crearlo?-.
Sinead annuì.
Improvvisamente, per la prima volta da quando la conoscevo, vidi una
lacrima correrle giù per la guancia. Una lacrima silenziosa e
sincera.
Si
portò le mani al ventre, e solo in quel momento - perché
lì si concentrò la mia attenzione - sentii in esso
vibrare la vita.
Il respiro mi si mozzò in gola. -Non sarai mica... Sinead!-.
Lei
annuì, e cominciò a piangere sommessamente. Zio Mabon
l'attirò contro la sua spalla possente, e la coccolò come
un gattino, lisciandole i capelli con un tocco sorprendentemente
leggero per un uomo tanto forte.
-Nel
nome di Danu...- mormorai, portandomi una mano al cuore. Che io
sapessi, Sinead non era mai riuscita ad avere figli, e questo era
sempre stato un ulteriore motivo di rancore nei miei confronti. Io ne
avevo avuti ben sei, ma
nessuno di loro mi era sopravvissuto. Dunque non avrei saputo dire chi
fra noi due fosse stata la più fortunata, alla fin fine. Perdere
un figlio è per una madre il più grande dei dolori, ma
perderne sei è un tormento indescrivibile. Non ci sono parole
sufficienti per spiegarlo.
-Tua sorella porta in grembo il primo sidhe
Seelie di razza pura concepito dacché lasciammo l'Europa... e
questo, a parer mio, è un segnale- a parlare era stato un mio vecchio amico,
Llywyd, metà Merman* e metà sidhe, un tempo venerato come dio delle Onde in Cornovaglia.
Lo
guardai fissamente. Come molte divinità acquatiche, Llywyd aveva
sempre avuto la capacità di leggere il futuro, o almeno
così era risaputo; più che il futuro, però, sapeva
leggere il destino delle persone... ma non lo confidava quasi mai. Una
volta, quand'ero ancora molto giovane e mio padre mi aveva da poco
chiamata a sé perché sposassi un suo prezioso alleato,
che poi fu il mio primo marito, Llywyd mi disse di non disperarmi per
il matrimonio con un uomo tanto privo di cervello (qual'era in effetti
Shane O'Neal), perché non sarei rimasta a lungo assieme a lui...
Disse che vedeva sangue e fiamme, nel mio futuro, ma anche un trono e
una corona... Tuttavia, non volle dirmi altro. A pensarci adesso,
sarebbe stato forse carino da parte sua anche avvertirmi che mi sarei
invaghita di un mostro che poi mi avrebbe spezzato il cuore e fatto
patire grandi sofferenze, come in effetti era accaduto con Kerak.
L'avevo pagato caro, quel trono ... Già, proprio caro.
Llywyd era alto,
magro, con lunghissimi capelli neri e ondulati che guardati controluce
emanavano riflessi bluastri. I suoi occhi, di tre tonalità
diverse di blu, andavano da celeste intenso attorno alla pupilla, al
blu oltremare fino al blu notte del contorno. La sua natura per
metà Sirena si notava, oltre che per la sua bellezza
ammaliatrice ancor più forte di quella sidhe,
anche per via delle scaglie argentee sparse qua e là per il suo
corpo dal candore marmoreo e per via delle orecchie appuntite,
caratteristiche di certi fey fra cui Sirene, Pixie e demy-fey. A contatto con l'acqua, poi, le sue lunghe gambe si trasformavano in una meravigliosa coda iridescente.
-"A parer tuo", mio caro amico, oppure hai nuovamente sbirciato fra le trame della sorte?-
Llywyd mi rivolse uno sguardo eloquente.
-Capisco- risposi. -Tuttavia non riesco ancora ad afferrare per quale motivo dovreste aver bisogno di me-.
-Vedi...- Sinead
aveva ancora gli occhi lucidi, ma grazie alla Dea aveva smesso di
piangere. Se credeva d'impressionarmi con qualche lacrimuccia, si
sbagliava di grosso. Si portò davanti a me e con espressione
solenne mi spiegò: -Per conferire a mio figlio i poteri che gli
saranno necessari per diventare il nostro nuovo re, occorre un potente
rituale magico... ma come di certo saprai, noi fey d'America abbiamo perduto molta della nostra antica magia...-.
-Già, l'ho sentito dire-.
-Per cui uno di noi
da solo non può praticarlo. Servono quattro magicanti, e
ciascuno di essi deve saper padroneggiare un Elemento-.
-I poteri degli Elementi andarono perduti secoli orsono, Sinead, così come la
presunta "divinità" di molti di voi!-.
-Lo so, Blàthnaid, ma adesso abbiamo trovato qualcuno che può restituirci tutto questo-.
Sbattei le palpebre, incredula, e mi venne quasi da ridere: -Ah sì?-.
-Sì. La principessa Meredith-.
A quel punto scoppiai
a ridere. Talmente forte che dovetti aggrapparmi ai braccioli della
poltrona per riuscire a non scivolar giù.
-Oh, nel nome della Dea e del Consorte! Quella piccola fata yankee sarebbe in grado di rendere poteri a creature che hanno cento volte i suoi anni?-.
-Tu non ci credi, vero?- un piccolo demy-fey
dall'aria arrogante venne a posarsi sul mio ginocchio. -Eppure ti posso
giurare che è la verità: la principessa Meredith ha
addirittura trasformato in sidhe il mio amico Sage... -.
-Eh?!- sghignazzai.
-... ed ha restituito i poteri al gwynfor, al Signore Bianco, dio dei Morti-.
L'ultima traccia d'ilarità abbandonò il mio volto: -Vuoi dire che Cromm Cruach è tornato fra noi?-.
-Esattamente-.
Tacqui, e per un istante ripensai al mio sogno sulla Morrigan e sui campi di Erin coperti di sangue come nei tempi antichi.
Presi un bel respiro
(perché in effetti cominciava a mancarmi l'aria) e inarcai un
sopracciglio: -E perché mai la Dea avrebbe dovuto inondare quella
mortale di tanto potere?-.
-Non lo so- rispose Llywyd, -ma ho sentito dire che le abbia addirittura mandato in dono il Calice... Il suo Calice-.
Un brivido freddo mi
percorse la schiena: -Ma è uno dei nostri tesori andati
perduti...- mormorai, in tono poco più che udibile
-Adesso è tornato-.
Il Calice, che un
tempo era stato il Calderone di Dagda**, era magia grezza allo stato
puro, un oggetto potentissimo dotato di volontà propria
scomparso da Faerie molti secoli prima. Che fosse improvvisamente
tornato non mi sorprendeva più di tanto: i manufatti dotati di vita propria andavano e
venivano liberamente da questo mondo, lo sapevo fin da bambina; a preoccuparmi, piuttosto, era il perché,
dal momento che quando essi si ripresentavano lo facevano sempre per
una ragione ben precisa, e anche questo l'avevo appreso secoli addietro.
-Beh...- dissi alla
fine, mordendomi lievemente il labbro inferiore per non lasciar
trasparire la mia tensione più del dovuto, - allora è
chiaro che la Dea si sta avvalendo della principessa
Meredith per mostrarci i suoi disegni, qualunque essi siano-.
Il mio sguardo si
perse nel vuoto. Rividi me stessa appena adolescente
litigare fuoriosamente con mio padre per un matrimonio che non
desideravo. Rividi poi zio Mabon, qualche istante più tardi, e
il mio maestro Dubdhara parlare con lui dopo che me n'ero andata (o
almeno così loro credevano; in realtà stavo origliando da
dietro il pesante portone di quercia), e
rimproverarlo di non lasciare che seguissi il mio destino, ovvero
quello di diventare un adepta della Dea e una grande guerriera che in
seguito
avrebbe riportato la stirpe dei Fianna all'antico splendore.
Sussultai quando
Sinead mi sfiorò il braccio. La trovai inginocchiata davanti a
me, bella come non mai, avvolta in un aura di seducente
fragilità.
-Dunque ci aiuterai, sorella?-.
-Non so nemmeno esattamente cosa volete che io faccia-.
Sinead prese un bel respiro, e piantò i suoi strabilianti occhi nei miei: -Tu certo saprai bene che nessun sidhe, mai, ha ben padroneggiato il potere del fuoco. Quel potere era molto più comune fra i Goblin-.
S'interruppe, lanciandomi uno sguardo intenso.
Capii cosa intendeva solo dall'espressione del suo volto.
-Ora comprendo, sorella... ma, nel nome sacrosanto della Dea, Sinead, non voglio credere che tu sia così folle da pensare che io adesso andrei a cercarlo!-.
Sinead prese una
delle mie mani fra le sue, la girò dalla parte del palmo e vi
posò sopra un bacio; poi se la sfregò contro la guancia,
chiudendo gli occhi e lasciando cadere una lacrima giù per il
suo volto luminoso. -Blàthnaid, Kerak è la nostra unica
speranza, perché è l'ultima divinità del Fuoco
rimasta in vita, e inoltre è per metà un sidhe, cosa che rende il suo sangue degno di mischiarsi al nostro-.
-Non la pensavi così quando decisi di diventare la sua sposa-.
Sinead riaprì
gli occhi: -Allora non ero disperata come adesso- disse sinceramente.
-E poi, Blàthnaid, tu non sai cosa capitò a Kerak, dopo
che te ne andasti. Pazzo di rabbia, fece a pezzi Branwyn davanti alla
sua Corte e ordinò di cercarti e di riportarti subito indietro;
ma nessuno riuscì a trovarti- Sinead lo disse con un certo
orgoglio di sorella. -All'inizio pensarono che ti fossi nascosta presso
di noi, figurati, e poco ci mancò che scoppiasse l'ennesima
guerra. Noi, dal canto nostro, eravamo convinti che fossi morta,
perché quando un mortale abbandona Faerie riprende
immediatamente tutti gli anni che nel nostro regno di giovinezza
rimangono sospesi, e questo era accaduto anche a tuo padre, me lo
ricordavo bene. Siccome erano quasi novecento anni che non lasciavi il
nostro mondo, pensammo che ti fossi tramutata in polvere e dispersa nel
vento. Nostra madre ne pianse fin quasi a perdere il senno; ti ha sempre
molto amata, sai?-.
Annuii.
-Nel frattempo, i Goblin si erano stufati del loro re, ridotto all'ombra di sé stesso per amore di una donna sidhe e da lei maledetto per sempre,
e dunque gli si ribellarono. Avrebbero voluto ucciderlo, come accade di
solito, e banchettare allegramente con le sue carni mentre il nuovo re
prendeva possesso del trono... ma, per quanto tentassero di squartarlo,
sbudellarlo e lacerarlo, Kerak non moriva. Le sue ferite si
rimarginavano ad una velocità sorprendente persino per un
Goblin, e nessun colpo d'ascia pareva abbastanza potente da staccargli
di netto la testa. Disperati, allora, decisero di fargli fare una fine
peggiore: lo inviarono in dono alla regina Andais, perché ne
facesse il suo "giocattolino" finché le andava e infine lo
trafiggesse con la sua spada, Terrore Mortale-.
Qualcosa si contrasse
nel mio stomaco: conoscevo le perversioni di Andais, e non osavo
immaginare quanto potesse essersi divertita a torturare un suo antico
nemico che per secoli aveva invano cercato di sedurre.
-Così Andais
se lo "spupazzò" ben bene: gli strappò le ali e gli
sradicò via la coda dalla spina dorsale, e le sue grida giunsero
fino alle orecchie di noi Seelie, che restammo sconvolti-.
Fu come se qualcuno
mi avesse gettato addosso un secchio di acqua gelata. Sentii i miei
occhi riempirsi di lacrime come non facevano da moltissimo tempo, e
dentro di me riecheggiò una frase vuota come l'interno di una
conchiglia: Che cosa ti ho fatto, amor mio..
Chiusi gli occhi per un istante, e quando li riaprii le lacrime erano sparite.
-Andais abusò
di lui finché Kerak non giunse a implorarla di ucciderlo, e lei
decise di accontentarlo. Nessuno si aspettava, però, che persino
Terrore Mortale si rivelasse inutile nel tentativo di eliminarlo per
sempre-.
Sgranai gli occhi, stupita: -Vuoi dire che nemmeno Andais ha potuto farlo fuori?-.
-No. E la sua rabbia
è stata tremenda, credimi. Per più di due secoli, l'ha
tenuto
chiuso in una gabbia magica all'interno della sua camera da letto. "Il
mio diavoletto in gabbia", lo chiamava. Non so esattamente quali e
quante umiliazioni Kerak abbia dovuto patire, ma di certo furono
immense. Una notte, però, non so come, riuscì a fuggire.
Tutti credevano che Andais se lo sarebbe ripreso in men che non si
dica, perché lei è la regina dell'Aria e delle Tenebre e
riesce sempre a trovarti quando il mondo
è ricoperto dal manto nero della notte, invece con lui non ci
riuscì, probabilmente per via del potere di Kerak di tramutarsi
in
pietra all'occorrenza-.
Mi sentii
incredibilmente sollevata a quest'ultima notizia. Certo, avevo augurato
a Kerak di perdere l'onore e di morire da solo in un paese freddo e
desolato dopo mille anni di sofferenze, ma non le avevo certo
immaginate così atroci.
-E lui ora dove si trova?-.
-Non lo so di per
certo- rispose Sinead. -Già è stato un miracolo ritrovare
te... Abbiamo scoperto che non eri morta molto di recente, grazie a una
spia-.
La fissai con aria sbalordita.
Sinead sorrise: -Il tuo giardiniere ha la lingua lunga, lo sapevi? E molti cugini in America, anche-.
Bastardo!
ringhiai dentro di me. Seamus l'avrebbe pagata cara: se c'era una cosa
che detestavo nei miei dipendenti più che la mancanza di
cortesia o di affidabilità, era la mancanza di discrezione: puoi
essere sgarbato e poco puntuale, ma devi farti i cazzi tuoi! Sempre!
-Ottimo- commentai sarcastica. -In ogni caso... In sostanza io vi servo per trovare Kerak, giusto?-.
Sinead annuì.
-E cosa vi fa pensare che io sappia dove si trova?- replicai, inalberandomi.
-Nessuno pensa che tu
sappia dove si trova- replicò dolcemente mia sorella. -Ma di
sicuro, sei l'unica che sa come trovarlo. Sbaglio?-.
-No, non sbagli- replicai, dopo un attimo di silenzio.
-E lo farai? Lo farai per noi, per la tua famiglia... per nostra madre?-.
Spostai lo sguardo
verso la finestra, ed osservai il boschetto di querce che prendeva
quasi l'intera ala est della mia proprietà. Ai miei occhi,
apparve nidida l'immagine di una bambina che cercava di evocare sua
madre in uno specchio d'acqua. E la madre che invece le compariva alle
spalle, bella come un sogno, e la lanciava in aria per poi
abbaracciarla, i capelli come seta d'oro che scintillavano al sole. E
quella donna meravigliosa odorava di miele, di latte caldo e di
fragole.
-Sì, lo
farò per nostra madre, perché non voglio che svanisca-
dissi alla fine. -Cercherò Kerak e ve lo porterò in
America... Con le buone o con le cattive-. Mi alzai, lisciandomi le
pieghe della gonna. Sinead era ancora inginocchiata ai miei piedi,
mentre il piccolo demi-fey ora svolazzava attorno alla mia testa.
-Ma sappi una cosa,
sorella: una volta che ti avrò portato Kerak, non voglio saperne
più niente di questa storia. Tornerò alla mia vita di
prima, è chiaro?-.
Sinead non rispose.
Llywyd intervenne: -Lui non te lo lascerà fare, lo sai, vero?-.
-E questo chi te lo
dice? Probabilmente, la prima cosa che tenterà di fare non
appena mi vedrà sarà quella di uccidermi-.
Llywyd scosse la testa, e intonò un canto della sua terra natale, la Cornovaglia:
Sul mio corpo non ho più controllo
Da che appartiene a lei.
In due parti oramai sono tagliato,
Ora che lei, l'amata, se n'è andata.
Era uno dei miei piedi, uno dei miei fianchi...
Lei, dal viso lucente come biancospino...
Ero più suo che mio,
Era metà degli occhi miei, metà delle mie mani.
Metà del mio corpo,
La torcia appena accesa.
E mi sento sfinito mentre lo dichiaro...
Era metà dell'anima mia.
La voce di Llylwyd era profondissima, e sembrava penetrare ogni recesso
del mio spirito. Era una voce magica, la voce di una Sirena... e al
tempo stesso, benché fosse completamente diversa, era la voce di
Kerak, bassa e un po' roca.
Mi sentii sciogliere come fossi fatta di neve... Lacrime calde mi
punsero gli occhi. -Ti prego, non farlo mai più-. E un paio di
gocce roventi rotolarono giù per le mie guance gelide.
Llywyd si avvicinò e mi prese per le spalle.
-Credimi, Blàthnaid... Per quanto adesso lui possa dire di
odiarti, il suo cuore sanguina ancora per te. Tanto più che ti
crede morta. Quando scoprirà che sei ancora in vita...-.
-Tenterà di uccidermi, te l'ho detto- dissi, asciugandomi gli
occhi con il dorso della mano in un gesto davvero poco regale.
-Sì, forse è vero- Llywyd sorrise. -Ma sbaglio o fu proprio così che cominciò, fra voi due?-.
-No- lo corressi. -A quel tempo, ero io a volerlo morto. Fui io a tentare di ucciderlo-.
-E non c'è preliminare più erotico, per un Goblin,
nevvero?- zio Mabon diede una gomitata a Llywyd, ed entrambi
scoppiarono a ridere di pura complicità maschile, mentre io
arrossivo di vergogna perché sapevo che quel che loro avevano appena detto
era perfettamente vero.
* Merman: così vengono spesso indicati i maschi delle Sirene.
** Calderone di Dagda,
o Calderone dell'Abbondanza: secondo le leggende irlandesi è una
larga pentola che non si svuota mai e che non lascia mai nessuno
affamato, ed è uno dei quattro tesori che i Tuatha Dè
Danann (altro nome dei sidhe) portarono con sè in Irlanda.
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