Come Akaashi sopravvive a un trasloco
...
e altri modi per manipolare Bokuto
Keiji Akaashi non era mai stato un fissato con l’ordine.
Metteva a posto semplicemente perché in quel modo riusciva a
lavorare meglio e far funzionare la sua mente analitica:
c’erano meno dettagli e questo gli consentiva di concentrarsi
sui particolari davvero interessanti. Per questo in principio non gli
era pesato particolarmente soggiornare in stanze piene di scatoloni,
oggetti ammucchiati su ripiani, libri impilati a sostituzione dei
comodini che dovevano ancora arrivare e videogiochi le cui custodie
finivano inevitabilmente per scivolare ed espandersi a terra a macchia
d’olio.
Insomma, come
intuibile si trattava di una normalissima condizione post-trasloco;
esatto, quattro mesi fa l’un tempo alzatore della Fukurodani
aveva compiuto la più grande pazzia della sua vita:
trasferirsi in un appartamento a Tokyo assieme al suo ormai
pluriannuale ragazzo, Bokuto Koutaro.
“Bokuto-san.”
Ripeté
il suo nome in un sospiro a metà tra il nostalgico e
l’irritato, rivivendo in quel titolo onorifico i bei tempi
andati in cui era un semplice studente senza troppi pensieri. Poi era
arrivata l’Università, la borsa di studio, il
lavoro part-time presso una scuola privata come insegnante di
matematica e, praticamente pochi mesi dopo aver firmato il contratto,
la convivenza.
Si sedette sul
divano, trovando un posto tra cuscini, divise da lavare, tute
da ginnastica, un pallone da pallavolo e il pupazzo di Tippy, il gufo
di pelouche che avevano comprato assieme quando anche Akaashi era
entrato all’università. Si tolse da sotto il
sedere dei sottopentola ancora incartati e mai usati, comparsi da uno
degli scatoloni mentre cercavano probabilmente qualcos’altro,
e si domandò, stropicciandosi lentamente il volto:
“Perché?”
Poteva
continuare la sua vita al campus come una buona parte di studenti
all’inizio del terzo anno universitario, invece si era fatto
due conti sulle entrate e uscite, nonché sulla questione che praticamente
finiva sempre per passare comunque il tempo libero con Bokuto, dunque
aveva optato per accettare la reiterata proposta di convivenza del suo
compagno.
Peccato che,
ancora a quattro mesi di distanza dal trasloco di entrambi in un
appartamento più grande rispetto alla stanza al campus o al
monolocale di Koutaro, la casa fosse un gigantesco, immenso casino:
scatoloni non svuotati, pezzi di mobili che mancavano, oppure strutture
fisicamente ingegnose per reggere la biancheria appena lavata. In parte
perché nessuno dei due aveva granché tempo, in
parte perché Bokuto diventava totalmente insofferente
all’idea di sprecarlo togliendo cose dagli scatoloni, fiero
sostenitore della teoria del Pian
Piano Mettiamo a Posto.
Teoria
fallace, dato che la casa faceva schifo esattamente come prima, ed era
stato solo per senso dell’igiene che Akaashi puliva girando
attorno agli scatoloni.
Scorse da quel
punto i suoi libri di diritto civile usati da Bokuto per reggere la
playstation e assottigliò le labbra, giocando distrattamente
con le dita, mentre fissava i suoi tomi di studio usati come
poggia-cose.
Fino
ad adesso ho fatto un calcolo di equilibrio tra il lavoro di entrambi,
lo studio e il fatto che quest’anno Koutaro dovrà
laurearsi; insistere sul trasloco lo avrebbe portato a un maggiore
stress, quindi maggiore lamentela, disperazione, scarsa
produttività di entrambi e incremento dello stress anche per
me. Decisamente pressarlo non mi sembrava l’opzione migliore. Ma
ora...
“Akaaaashi!”
L’interpellato
guardò fisso davanti a sé, intento a fare un paio
di calcoli, eppure udì comunque il suono della porta
d’ingresso chiudersi, il rumore di un piede sbattuto contro
uno scatolone e relativa protesta verbale a riguardo, infine
l’appoggiarsi di un borsone dove c’era posto.
Avvertì
persino il suono di chi traeva fiato per parlare ancora, dunque
intervenne prima:
“Bokuto-san,
siediti un attimo.”
Si
girò per vedere l’espressione perplessa del
proprio ragazzo che, capelli ancora sparati come una volta e occhi
dorati sgranati, sconvolto dall’essere stato interrotto, si
portò davanti all’ex-alzatore con i pugni sui
fianchi e la giacca di squadra posata sulle spalle.
“Mi
stavi per proporre di andare fuori da qualche parte a mangiare,
Keiji?”
Gli sorrise
tutto sicuro di sé, anche se intimamente era un
po’ preoccupato per l’uso di quel –san,
dato che ormai Akaashi lo utilizzava se le cose erano veramente, veramente
gravi. E non gli sembrava fosse successo nulla di che, eccetto essersi
dimenticato di tirare lo sciacquone dopo aver fatto pipì la
mattina, ma quello non poteva essere un crimine contro
l’umanità. O sì?
“Prometto
che stasera tiro l’acqua anche due volte. Spesso essere
così pieni d’impegni è
tremendo.” Lo prevenne, annuendo convito.
Akaashi lo
fissò senza battere ciglio, evitando di ricollegare gli
assurdi ragionamenti dell’altro: “Siediti,
Koutaro.”
Quest’ultimo
dette un colpo di tosse. Cosa poteva aver combinato di più
grave dello sciacquone? Abbassò lo sguardo, realizzando che
Akaashi era compressato tra vestiti, cuscini, oggetti da cucina e...
“Tippy!
Ecco dov’era!”
Esclamò,
temporeggiando inconsapevolmente.
Akaashi prese
in grembo Tippy, tenendolo per il collo. Koutaro sbiancò,
spostò le sue tute della squadra di pallavolo,
compressò un cuscino e si sedette.
“Tippy
è sempre stato lì, Bokuto. Sepolto in mezzo al
mucchio di roba mai messa a posto.”
Replicò
Akaashi con freddezza e una sorta di stoica tranquillità che
lo avrebbero fatto diventare il perfetto giudice a cui aspirava essere.
L’altro
inarcò un sopracciglio, cominciando ad avvertire una sorta
di tensione istintiva. Se anni fa, quando erano a scuola assieme, aveva
un po’ approfittato dell’animo da balia di Akaashi
– che lo seguiva ovunque, lo riparava dalla pioggia, lo
costringeva a coprirsi se faceva freddo – con il tempo e la
crescita si era reso conto che Akaashi era più che altro
categorico: se riteneva che una cosa fosse giusta, non ammetteva
alternative. Se Bokuto doveva indossare la giacca, Bokuto
l’avrebbe indossata e basta – tendenzialmente aveva
quasi sempre ragione, ma questo per Koutaro era irrilevante, non
contemplabile, nada,
errore di sistema.
“Quindi
non volevi andare fuori a mangiare.”
Dedusse,
intrecciando le mani in grembo mentre lo guardava con la schiena ancora
eretta, sull’attenti.
“Il
mangiare non c’entra niente. Guardati attorno.”
Replicò l’altro con calma che, per contro,
generò ansia nel compagno.
“Beh,
è il nostro salotto. C’è la
televisione, il tavolino, il divano, la libreria, la vetrina in cui
metterò le action figures...”
Ma Akaashi gli
portò un dito davanti alla bocca, intervenendo:
“Hai detto correttamente, Bokuto-san. Metterò.
Quando pensi di farlo? E in che modo, dato che siamo sostanzialmente
sepolti nell’unica cosa che non hai menzionato?”
Bokuto
trattenne il respiro, inchiodato dagli occhi blu-metallici del
compagno. Di solito erano un ottimo incentivo a fare sesso selvaggio
dove capitava, ma non quella volta. Quella volta erano più
gli occhi della gorgone con tanto di paralisi perpetua.
Mosse gli
occhi, per poi dire, sfiorandogli il polpastrello.
“Catoloni.”
“Come?
Non ho capito cos’è che sostieni ci circondi da
ben quattro
mesi.”
Già
quattro? Come passa il tempo, pensa un po’!
“Scatoloni.
Ci sono un sacco di scatoloni.” Borbottò Bokuto,
assumendo un’aria un po’ seccata. Allora davvero niente cena
fuori. E non era nemmeno per via dello sciacquone!
“E i
miei libri di diritto. Usati come piedistallo per la tua
consolle.”
“Ehm,
a quello si può rimediare, era solo che non volevo
rovinarla, sai.” Scrollò le spalle lo
schiacciatore, gesticolando come per autoconvicersi delle sue
sacrosante ragioni.
“Il
codice civile invece nessun problema, non serve a nulla,
giusto?”
“Felice
che tu l’abbia finalmente notato, Akaashi! – ma
vide il suo sguardo assolutamente letale e si corresse – ma
ovviamente no, è il tuo
codice e non posso usarlo per metterci sopra le mie cose. Un bellissimo
codice civile tra l'altro, rilegatura robusta, caratteri...”
“Ok,
basta, va bene – lo interruppe l’altro, con un
sospiro esasperato – ora hai capito che cosa è tempo
di fare, Koutaro?”
Quest’ultimo
elaborò un sorriso, tentando la fortuna:
“Sesso?”
“No.
A meno che tu non voglia trovarti faccia a faccia con Tippy, i
poggiapentola e le tue divise, perché non
c’è spazio per fare sesso. E, casomai te lo stessi
chiedendo, io mentre sono nudo non ho intenzione di avere a che fare
né con Tippy, né coi sottopentola e tantomeno con
le tue divise.”
Per un attimo
Bokuto sperò che almeno le divise potessero comunque
accendere la fantasia di Akaashi, ma dovette subito ricredersi. Capiva
il gufo e i sottopentola, ma le divise avevano un loro
perché. E a ben pensarci anche i sottopentola...
“Bokuto,
quindi?”
“Quindi
tolgo i sottopentola?”
“E
tutto il resto. Tutto.
Dobbiamo
svuotare questi scatoloni e mettere a posto.”
Bokuto
sgranò gli occhi, fulminato da quella frase che lo uccise
sul colpo: fatale come la notizia che la nazionale di pallavolo
giapponese non aveva più bisogno di lui, o che aveva smesso
di essere l’asso e lo schiacciatore della sua squadra. Una
roba tremenda insomma.
“Akaashi.
Non puoi farmi questo, dillo che mi vuoi morto e non ti interessa il
fatto che io non cammini più su questo mondo. Ti fa schifo
perfino Tippy!”
Si
portò una mano sul volto, assumendo un’aria
tragica, come se la sola idea di disprezzare Tippy fosse riprovevole
quanto la caccia alle tigri albine.
“Tippy
è un splendido esemplare di gufo di pelouche – lo
tranquillizzò Akaashi, senza farsi impressionare dal tono
drammatico dell’altro, per poi prenderlo con pacatezza per un
polso – come tu sei uno splendido esemplare di uomo. Ma devi
capire che disfare gli scatoloni è un grande impegno e una
responsabilità: mi rivolgo a te perché so che
grazie al tuo aiuto verrebbe un eccellente lavoro. Se lo facessi solo
io non sarebbe la stessa cosa.”
Bokuto riprese
a guardare Akaashi, inarcando un sopracciglio:
“Davvero?”
Ovviamente era
impensabile che Akaashi svuotasse quelle robe da solo, lavorando e
studiando a sua volta, ma poteva anche omettere quel dettaglio.
“Davvero.
Puoi anche postare le foto dei progressi sulla tua pagina facebook, ti
faranno un sacco di complimenti. E le action figures. Saranno
bellissime accanto allo scaffale dei trofei.”
Gli occhi di
Bokuto si illuminarono, allargandosi in medaglie di aperta meraviglia:
“Lo
scaffale dei trofei? Con anche le foto durante le partite?”
“Per
quelle possiamo fare una parete a parte. Magari all’ingresso:
la prima e l’ultima persona che gli ospiti vedono saresti
comunque tu. Non male.”
Notò
Akaashi.
Bokuto gli
batté una pacca sulla spalla, con esaltato entusiasmo:
“Non male? Akaashi è geniale! Come
abbiamo fatto a non pensarci prima? Pensavo di fare un poster con la
mia squadra, poi incorniciare una foto di noi due – Akaashi
passò oltre la concezione di priorità
in Bokuto – ma questo è ancora meglio! Immagina
poi una collezione dei palloni che abbiamo usato, poi quella delle
scarpe, poi...”
“Con
calma, cominciamo dalle cose basiche – lo interruppe
l’altro, di certo non intenzionato a collezionare scarpe
usate – per poter fare tutto questo, dobbiamo mettere a
posto. E tu sei il migliore, concordi?”
“Concordo!
– esclamò Bokuto per poi alzarsi in piedi,
così che la giacca gli scivolò dalle spalle, ma
Akaashi per riflesso ormai spontaneo gliela afferrò
– potevi dirmelo prima che c’era da sistemare! Sono
carichissimo! E... attenzione, potrei fare talmente in fretta da farti
domandare che fine hanno fatto le cose.”
Scoppiò
a ridere, incrociando trionfante le braccia.
Akaashi
tralasciò anche il fatto che era da circa quando avevano
messo piede in quell’appartamento che dovevano sistemare,
sempre a beneficio dello zero stress – per tutti, ma
specialmente per lui.
“Non
vedo l’ora.” Replicò senza particolare
entusiasmo, accennando un sorriso anche se gli occhi erano al solito di
una gelida pacatezza.
Ma
evidentemente, siccome Bokuto era il maggior esempio di entusiasta
ecosostenibile, ovverosia si alimentava da solo la propria euforia,
quella frase bastò per farlo caricare a mille e cominciare a
raccattare oggetti, aprire scatoloni, parlare di progetti artistici e di quando il suo discepolo Hinata avrebbe visto l’esposizione dei trofei:
l’avrebbe aiutato sicuramente a farne una uguale a casa!
Rassicurato
dall’intraprendenza e dalla buona lena dell’altro,
Akaashi si attivò per spolverare e aiutarlo a sua volta a
sistemare; erano stanchi entrambi, visto che era sera e nemmeno avevano
mangiato, ma di sicuro non aveva intenzione di sprecare
quell’occasione.
Questo
finché improvvisamente Bokuto, muovendosi come se fosse
già stato un pluri-esperto di traslochi, si
spostò con troppa confidenza: fece traballare la pila di
libri su cui troneggiava la consolle, riuscì ad afferrarla
giusto in tempo con uno slancio atletico ma, nel mentre, le custodie
con dentro i videogiochi scivolarono sul pavimento.
Si
sentì un crack
ben poco rassicurante.
Cadde il
silenzio. Ma anche col sudore freddo e la tensione addosso, Akaashi non
si lasciò prendere dal panico.
“Keiji?”
Sembrò
pigolare Bokuto, coperto dai suoi libri dell’Evoluzione dei
Kanji nella Letteratura – sì, dopo mesi erano
ancora inscatolati, poi quell’esame ormai era già
dato, quindi nulla di grave.
Akaashi
serrò le labbra, scattò ai piedi del proprio
compagno, gli sollevò il piede con le fantastiche calze di
Burba, l’Armadillo Spaziale, e raccolse velocemente una
schiera di plastiche spaccate a metà, con tanto di disco
ovviamente.
“Si
è rotto qualcosa? Era la mia collezione
preferita.” Come se ribadire l’idea di una
collezione generica aggravasse ulteriormente la situazione.
Akaashi
afferrò lo scatolone ormai vuoto, gettò dentro i
tre videogiochi ormai inservibili e replicò con nonchalance
impressionante: “No, Koutaro, tutto a posto: erano solo le
custodie vuote.”
Bokuto lo
sbirciò da oltre la pila di libri, in un misto tra
scetticismo e disperata voglia di crederci, ma vedendo
l’espressione per nulla afflitta di Akaashi optò
per il crederci tantissimo:
“Ehiehiehi!
Non poteva andare meglio, Akaashi!”
Quest’ultimo
annuì, accennando un sorriso: “Tolgo questi
scatoloni di mezzo, domani ti prendo delle custodie nuove per mettere i
dischi – lo rassicurò, per poi dire – se
lavoriamo con impegno per un’altra ora, secondo le mie stime
riusciamo già a liberare il mobile sotto la televisione; nel
frattempo possiamo se non proprio uscire a cena fuori almeno ordinare
d’asporto, che ne dici?”
Fugati, almeno
parzialmente, i dubbi riguardo un’eventuale perdita di
preziosi reperti del mondo videoludico, Bokuto si sentì
pienamente compreso dal proprio ragazzo, anche in termini di
sostentamento energetico:
“Ottima
idea, sei sempre un passo avanti, non so, è come... se mi
leggessi nel pensiero!”
Sarà
l’abitudine ad analizzarti.
“Sei
sempre esagerato, Koutaro – minimizzò Akaashi,
allontanandosi – per te ordino il solito?”
“Il
solito, porzione doppia però; mi sento carico ma non si sa
mai: abbiamo ancora una libreria da riempire!”
Si
esaltò, determinato, mentre stipava nell’angolo
più remoto i libri sui kanji.
Akaashi
sospirò imprecettibilmente, gettò i videogiochi
rotti ma, prima di farlo, memorizzò i titoli. In quel modo
poteva ricomprarli l’indomani al proprio ragazzo e farglieli
trovare, per rivelare che i precedenti videogiochi erano effettivamente
rotti.
Conoscendo
Bokuto, anche senza avere una nuova copia a disposizione in
realtà il compagno non se la sarebbe presa particolarmente;
ma Akaashi non poteva rinunciare a quel pretesto per vedere il suo
volto sorpreso e, poi, felice: per una vetrina coi trofei, per un
regalo della persona che amava.
Compose poi il
numero del ristorante d’asporto e attese una risposta. Nel
frattempo, scorse Bokuto fischiettare mentre sistemava gli oggetti di
entrambi comprati in quegli anni assieme; vedendolo, Akaashi ritenne
che la decisione di traslocare, anche se disastrosamente piena di caos,
era stata la migliore
della sua vita.
Sproloqui
di una zucca
Ohibò, ho
contaminato questo fandom anche in singolo. Assieme alla mia partner in
crimes, aka Sunako, abbiamo scritto a quattro mani delle storie su
Haikyuu e stiamo scrivendo delle long BokuAka, ma questa è
la prima volta che mi cimento a scrivere in solo una BokuAka,
considerando che è in assoluto la mia OTP del manga.
Che dire,
c'è un po' di fluff, è scemetta, ma spero di aver
centrato i caratteri dei personaggi e avervi strappato un sorriso,
perché questi due gufetti possono essere davvero adorabili.
Mi piacerebbe scrivere altre one-shot similari, con narrate le
'disavventure' dei nostri eroi quando saranno più grandi.
Ps: in Giappone
l'università dura quattro anni. Bokuto è al
quarto anno, studia Lettere - sì, con una borsa di studio in
quanto atleta lol - e Akaashi Legge. A quest'età oltretutto
immagino Bokuto giocare in una squadra a livello professionale e far
parte della nazionale - i pallavolisti, come tutti gli altri sportivi,
sono giovanissimi ovviamente e comunque tutti tendenzialmente vanno
anche all'università.
Grazie per aver letto
fino a qui e spero alla prossima <3
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