E rieccoci su
questi lidi.
Questa storia
è una di quelle whatif dove Stanley non ha rotto il progetto
di Stanford e sono rimasti best buddies. E non so che altro dire, se
non che di nuovo amo il rapporto tra questi due e che ne vorrei
scrivere all'infinito.
★ Iniziativa: Questa
storia partecipa al “Back to Office” a cura di
Fanwriter.it!
★
Numero Parole: 1859
★
Prompt/Traccia: A è il classico stereotipo del
contabile occhialuto, silenzioso e immerso nei numeri. B dopo le
vacanze è deciso a fargli un makeover. BONUS “Ma
come ti vesti??”
Stanley
sapeva bene che suo fratello era un caso senza speranza, un nerd senza
ritorno, un folle scienziato senza cura. Insomma, lo conosceva da una
vita – letteralmente – e ne era ben consapevole.
Stanley adorava suo fratello, ed era disposto anche ad andare a
riprenderselo in altre dimensioni, ma era consapevole di quanto il
gemello fosse un disadattato sociale senza alcuna riabilitazione.
Insomma, Stanford Pines poteva essere un gemello fraterno e,
addirittura, affettuoso ma a livello di rapporti interpersonali al di
fuori di lui era davvero un disastro. Era ancora un mistero il come sia
riuscito a fare amicizia con uno come Fiddleford, ma i nerd si capivano
a vicenda e quella spiegazione se l’era fatta bastare.
Con questo, Stanley voleva dire che conosceva suo fratello.
Fin da bambini non avevano mai abbandonato il fianco
dell’altro e non sembrava che sarebbe successo tanto presto.
Certo, quando erano venuti gli esaminatori della West Coast Tech e
avevano riempito la testa della sua famiglia con l’idea di
ricchezza e fama Stanley aveva temuto tanto di essere lasciato dietro,
ma aveva deciso di fare un passo indietro. Stanford sembrava
così felice di poter entrare in quella scuola per ricconi
– una delle migliori dello stato, mica la prima che capitava
– e lui aveva ingoiato il suo rospo, sorridendo.
Non era promettente, ne era consapevole. A malapena stava
dietro allo studio obbligatorio, figurarsi l’essere portato
per tutta quella stranezza che tanto sembrava appassionare suo
fratello. Nessuno contava su di lui, capace solo di sferrare un
possente gancio sinistro alla giusta occasione. Stanford, in simile
occasione, non aveva bisogno di lui.
Era riuscito ad ottenere il posto in quella
stramaledettissima scuola. Lui aveva sorriso, si era congratulato e
aveva scherzosamente affermato che sarebbe venuto a trovarlo di tanto
in tanto. Stanford, allora, aveva sgranato gli occhi.
« Tu vieni con me. » aveva detto, serio,
ma Stanley l’aveva presa sul ridere.
« Certo, come no. » Stanford aveva
scosso la testa, avvicinandosi serio.
« Stanley, pensi che io me ne stessi andando da
solo? » avrebbe voluto rispondere di sì, ma aveva
taciuto. Non sembrava una battuta, il gemello sembrava maledettamente
serio. L’emozione del momento gli stringeva il cuore e se
simile affermazione si fosse rivelata uno scherzo ne sarebbe certamente
morto. « Stanley! » Stanford gli era apparso
piccato da quel momento di sfiducia.
Ma lo aveva davvero seguito fino alla costa ovest, in quel
posto così lontano da tutto e tutti.
La vita lì non era facile, i loro genitori non
avevano dato molti soldi per mantenerli. O meglio, mantenerlo, visto
che Stanford aveva rifiutato un posto nel dormitorio. Ma stavano
andando bene, riuscivano a racimolare abbastanza denaro per cibo e
bollette, ma dovevano condividere il letto. Stanford si era laureato in
anticipo di tre anni e aveva iniziato a lavorare a casa, mentre lui
continuava a fare lavoretti saltuari ovunque. Non riusciva a trovare un
qualcosa che lo soddisfacesse appieno.
Finalmente, dopo anni, erano riusciti ad andare in vacanza.
La California era uno spettacolo, e fare un road trip rendeva il tutto
ancora più magico. La sua macchina, sorprendentemente, era
riuscita ad accompagnargli per tutto il tragitto senza guastarsi. Era
un fatto miracoloso quanto quello di Stanford che aveva accettato di
fare quel viaggio, ma soprattutto che avesse accettato la loro breve
deviazione a Disneyland.
Era dopo simile tappa che era apparso un problema,
nonostante Stanford cercasse di nasconderglielo.
Stanford frequentava poca gente, legava con
difficoltà, e con persone a cui importava poco del suo
aspetto esteriore. Stanley non si era mai fatto nessun problema, e si
fregiava di tanto in tanto del titolo di gemello belloccio tra i due,
scatenando spesso le risate dell’altro. Non gli importava
molto di come il fratello andasse vestito in giro, almeno
finché non aveva tentato di rimorchiare qualche ragazza
dalle parti del parco Yosemite. Stava andando così bene,
finché quella triglia non aveva commentato ridacchiando il
vestiario di suo fratello che era interessato ai opuscoli turistici. Lo
aveva detto con un tono di voce abbastanza alto, per farsi
volontariamente sentire, e Stanford probabilmente l’aveva
recepito dato che era scivolato in fretta fuori dal negozio di
souvenir. Gli era salito il sangue alla testa e aveva malamente
liquidato quella oca – gli era persino passata la voglia di
rivolgerle la parola – ma un lato di sé gli dava
ragione.
Stanford non aveva molto gusto di vestire, o almeno non
stava affatto al passo con la moda. Ogni giorno era camicia e maglione,
persino d’estate mentre lui sudava da parti del corpo che
nemmeno sapeva potessero. Ma era sinceramente interessato ad aiutarlo,
non poteva sopportare l’idea che qualcun altro ridesse del
suo gemello – a parte forse Fidds, che aveva la sua personale
concessione di farlo –.
Per questo aveva chiesto a suo fratello di accompagnarlo a
fare delle spese, una volta tornati dal loro viaggio. Stanford aveva
sbuffato, perché si annoiava parecchio ad aspettare Stanley
che si provava l’intero negozio, ma gli era apparso
inconsapevole dell’idea che aveva per lui. Era ancora capace
di mentire al fratello, e un lato di sé ne era segretamente
compiaciuto.
Aveva adocchiato un negozio non troppo vistoso, con vestiti
che potessero andare bene su uno come Stanford ma senza essere troppo
sgargianti o eccentrici. Quella era più il suo campo. Suo
fratello lo seguiva, come un’ingenua pecora condotta al
macello. Doveva trattenersi dallo scoppiare a ridere, perché
già si stava pregustando il divertimento.
« Io vado a sedermi in là, dimmi quando
hai finito. » classico Sixer, sempre a svignarsela
nascondendosi nei suoi tomi pieni di paroloni complicati. Ma non
stavolta. Questa volta Stanley lo afferra per un braccio, un sorriso
quasi mefistofelico che appare sulle sue labbra.
« No, Ford, oggi sei tu il protagonista.
» esclama, prima di buttarlo senza troppa grazia nel
camerino. Stanford all’inizio non capisce, incespica nella
tendina e boccheggia confuso.
« Cosa? » mormora, non capente. Stanley
sorride.
« Stanford. » sussurra, avvicinandosi.
« Inizia a spogliarti o lo farò io. » il
fratello emette un verso e arrossisce, nascondendosi nel camerino,
mentre Stanley cerca di reprimere delle grasse risate. Prendere in giro
il proprio gemello gli provocava fin troppo divertimento.
Certo, provocava anche qualcos’altro ma per quel
momento aveva giurato a se stesso di non indagare affatto i sentimenti
che nutriva per il suo consanguineo. Analizzare i propri sentimenti
portava guai.
Afferra qualche pantalone e felpa, valutandole con un occhio
così critico che avrebbe fatto sentire in imbarazzo persino
i grandi marchi della moda, e si dirige il camerino, aprendo la tendina
senza troppa grazia. Stanford caccia un urlo che Stanley non sapeva
nemmeno fosse in grado di fare.
« Stanley! » sibila allora, e lui chiude
un poco per schermarlo da sguardi indiscreti. Suo fratello gli aveva
dato retta e si era già levato i vestiti superiori. Era di
un pallore surreale, ma era comunque molto magro –
probabilmente stava di nuovo saltando i pasti mentre lui era al lavoro
– ma piacevole da guardare. Aveva ancora i pantaloni
allacciati.
Peccato.
Stanley scuote la testa, rimproverandosi. Peccato cosa? Non doveva
farsi certi pensieri, se li era proibito in maniera assolutamente
categorica. Non voleva perdere suo fratello a causa loro.
Gli allunga le felpe. « Prova un paio di queste,
sono sicuro ti stanno di-vi-na-men-te. » allunga
volontariamente le sillabe dell’ultima parola, e nonostante
Stanford lo stia fissando con disapprovazione prende i vestiti e li
esamina. Stanley può vedere chiaramente i suoi pensieri, li
legge chiaramente dai suoi occhi, da come sono corrucciate le sue
sopracciglia, dall’angolazione della bocca. E’
certo che Stanford si stia sforzando di non mostrare troppo il suo
apprezzamento per simile iniziativa.
Forse simile metodo ricorda loro madre, quando li portava
nei negozi e sceglieva gli abiti per loro – Stanley ponderava
se aveva preso da lei anche il buon gusto, oltre che la sorprendente
abilità di mentire – e si ritrova a scacciare la
nostalgia. Il New Jersey non gli mancava, il posto che chiamava casa
non gli mancava. Ora aveva una sua casa, quella che condivideva con
Ford, e si sentiva più accolto lì che dai suoi
genitori.
« Ti do due minuti, Sixer, e poi aprirò
la tenda. Farai bene ad essere vestito entro quel limite di tempo.
» Stanford lo guarda male e Stanley gli sbatte la tendina
dritta in faccia, ridendo.
Il tempo che trascorre con suo fratello è il
tempo migliore in assoluto.
Nessuno lo rende felice come ci riesce Stanford.
Forse era quello il problema. Certo, non che non avesse
buone conoscenze – era pieno di gente con cui uscire nelle
serate dopo il lavoro – ma da quando avevano lasciato Glass
Shard Beach si era sentito più leggero. Non aveva
più nessun obbligo sociale, non doveva fare amicizia con i
figli dei potenziali investitori del padre, non doveva corteggiare le
ragazze. E se l’ultima cosa non gli dispiaceva più
di tanto, quando era a casa anche l’avere una relazione era
un obbligo al quale non era in grado di sottrarsi.
Da quando era lì si sentiva spontaneo, libero. E
non avrebbe scambiato quella sensazione per nessuna al mondo.
La tendina che si scosta, rivelando uno Stanford decisamente
meglio vestito. Stanley si compiace del suo occhio, aveva azzeccato le
misure alla perfezione. Avrebbe decisamente dovuto congratularsi con se
stesso, dopo.
« Stai una favola, Sixer! » suo fratello
arrossisce lievemente, oppure se lo sta immaginando. Dovrebbe
decisamente riprendere a portare gli occhiali, la sua visione sta
iniziando a peggiorare, ma gli occhiali gli stanno male e la
vanità ha sempre la meglio sul suo buonsenso.
« Davvero? »
« Sì. » annuisce, forse con
troppa convinzione. Ora l’aspetto di Stanford è
migliorato, più cinquanta punti al personaggio come nel suo
nerdissimo gioco. Era molto più piacente allo sguardo, e di
certo ora nessuna barbie della California avrebbe osato commentare il
suo aspetto. Avrebbe difeso l’onore del gemello a pugni, se
necessario. « Ora quando andrai a fare resoconto al tuo
college, le ragazze stravedranno per te. »
Non era quello che voleva commentare, ma
l’infelice uscita era causata ancora dalle parole di quella
insulsa ragazzetta e non abbandonava ancora la sua mente. Stanford non
sembra molto felice di simile affermazione, mentre si alliscia un
maglione decisamente più cool. Guarda per terra, e sembra
quasi chiudersi nei suoi pensieri. « Terra a nerd, terra a
nerd. » esclama, cercando di attirare la sua attenzione. Lui
lo guarda, un po’ deluso.
« C’è qualcosa che non va?
» Stanford rimugina un poco, quasi indeciso sulla cosa
migliore da dire.
« E’ che vorrei un’opinione
onesta. »
« Te l’ho data. » risponde con
perplessità e Stanford scuote la testa. « Intendi
dire che vuoi un commento serio e argomentato come uno dei tuoi
resoconti, con tanto di punti di forza e debolezza e pieno di termini
così tecnici che mi viene il mal di testa per giorni?
» l’altro reprime una lieve risata, ma non emette
nessun diniego.
Lui, sinceramente, non sa che cosa dire. Ha solo
un’unica frase in mente, e forse quella dovrebbe dire. Certo,
non sarà complessa o articolata, ma è
l’opinione più sincera che suo fratello potrebbe
ottenere da lui in quel momento. Sorride.
« Sei fantastico, Stanford. »
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