Non
posso perderti
-Manca poco, resisti...
Kakashi correva, con
tutta l'energia che gli era rimasta: correva come ne andasse della
propria vita, ma in realtà lo stava facendo per salvare quella
di qualcun altro.
-Cazzo!
Il sangue del ferito che
si era caricato in spalla colava copioso dallo squarcio sul petto.
-Obito, mi senti? Resta
sveglio!
Il rifugio medico era
poco più di un mucchio di tende sparpagliate su un piccolo
spiazzo tra i fitti alberi.
-Ci siamo...
L'uomo cadde sulle
ginocchia accanto ad uno dei medici presenti, che si apprestò
a chiamare due inservienti nel tentativo di recuperare lo shinobi che
giaceva ancora sulla schiena dell'Hatake.
-Aiuta... te... lo.
°
Cerco di issarmi a sedere,
ma ogni singola parte del mio corpo protesta solo all'idea. Il
bruciore si è diffuso ovunque, insieme alla sensazione di
essermi rotto qualche osso.
Come se non ci fossi
abituato.
Ci provo di nuovo, ma nulla
da fare: i muscoli non vogliono rispondere. Dovrei dargli torto?
Casco nuovamente sul
giaciglio di fortuna, maledicendo la scomodità di quel campo.
Nella mia mente si rincorrono immagini di morbidi letti
all'occidentale, lenzuola profumate e cuscini in piuma. Torno alla
realtà, grazie al dannato dolore alla gamba che richiama la
dovuta attenzione.
Obito.
Obito, dove sei?
Mi gira la testa, e gli
occhi faticano a stare aperti. Mi hanno dato di sicuro qualcosa: come
se imbottirmi di antidolorifici bastasse a tenermi buono. Illusi.
Devo vederti.
Stai bene?
Concentro tutta la forza che
posso nel collo, nel tentativo di voltarmi: di nuovo un male cane, ma
devo accertarmi assolutamente di una cosa. Riesco nell'intento, mi
giro verso destra. Nulla. Non ci sei.
Riprovo, verso sinistra
stavolta. Non sei neppure lì. Dove sei finito? Sto cominciando
ad agitarmi, sento tremare le mani, e la gamba è trafitta da
migliaia di aghi roventi. Mi resta una cosa da fare: chiamare
qualcuno, e chiedere informazioni. Apro la bocca, ma non sono in
grado di pronunciare nessuna parola; le labbra si muovono, niente di
più. Punto i gomiti: voglio alzarmi, devo andare a cercarti.
Devo essere sicuro che tu...
Non riesco a finire questo
pensiero, al diavolo le congetture. La sola idea che possa essere
morto mi fa venire la nausea. Accertarmene è l'unico modo per
non impazzire.
Ci riprovo.
Niente.
Mi sento scivolare in un
oblio nero, denso e viscoso. Al diavolo loro, e le loro droghe
mediche.
°
-Ehi... Mi senti? Spalanco
gli occhi, il cuore sussulta in gola. Faccio troppo affidamento al
mio corpo, alzandomi di scatto: brutta cosa. Ricasco sulla schiena,
maledicendo quante più deità possibili mi vengano in
mente. Sbatto le palpebre un paio di volte, nel tentativo di
scacciare il velo assonnato dalle pupille. Non so chi sia, non
riconosco la voce; non ha il camice, quindi presumo sia venuto qui
mandato da uno dei medici.
-Sei in grado di capire
quello che dico? No, ho cambiato lingua solo per non darti
soddisfazioni. Lasciami in pace, devo andare.
Sbuffo di nuovo.
-Ti do una mano.
Strano, ha colto il segnale
palese al primo colpo: tipo intuitivo dunque, non è poi così
immeritata quella divisa da Jounin lisa e macchiata di sangue
rappreso. Mi sembra di sentirne ancora l'odore.
Trattengo un conato, mentre
lo sconosciuto passa il braccio sotto alle mie scapole, nel tentativo
di farmi sedere.
-Va meglio?
Una meraviglia, come sempre.
Sono sperduto in mezzo alla foresta, scampato ad un agguato di un
gruppo di imbecilli che mi ha colto di sorpresa, e non ho la più
pallida idea di come stia il mio compagno. Perfetto, no?
Tento di rispondere, ma la
gola e la bocca sono così secche e impastate da non
permettermi altro se non un paio di colpi secchi di tosse. Il nuovo
arrivato mi porge una borraccia con dell'acqua.
-Tieni, bevi.
Faccio fatica persino a
deglutire. Appena il liquido scende giù fino allo stomaco, un
altro conato si presenta; stavolta riesco a trattenermi a stento,
nonostante non ne sarebbe uscito nulla, se non acidi. Respiro
profondamente: devo riuscire a comunicare, devo riuscire a sapere
come stai.
-... ito...
Il giovane mi si avvicina,
tentendo l'orecchio.
-O... Obito...
Il suo sguardo perde
risolutezza, spostandosi repentinamente verso un punto casuale di
quel posto che comincio solo ora a riconoscere. Perché non
risponde? Penso di essere riuscito a farmi capire, maledizione!
-Riesci a reggerti in piedi?
Te la senti di camminare?
Ci provo ancora, nella
speranza che questo ragazzo possa accompagnarmi da te. Porto un piede
davanti all'altro, inveendo ad ogni passo: la maledetta gamba non
vuole ascoltarmi, ma non m'importa.
La strada è più
breve di quello che pensassi.
Che idiota, come ho fatto a
non accorgermene? Il riparo non è poi così angusto,
vista una seconda porzione di terreno celata da un telo di fortuna.
-Forse non dovrei...
Metto da parte l'orgoglio, e
con un filo di voce lo supplico di scostare quella tenda e farmi
avvicinare.
...!
Sei tu... Non ci posso
credere, sei ancora vivo...!
Sento le ginocchia venire
meno. Gli occhi faticano a stare aperti a causa dei farmaci e del
pizzicore improvviso che percepisco sotto alle palpebre. Il giovane
che ancora mi sta sorreggendo mi accompagna ad un rustico giaciglio,
mantenendo il silenzio. Mi aiuta ad adagiarmi accanto a te, senza
chiedere nulla di più: presumo sia arrivato alla conclusione
che sarebbe stato impossibile reggermi nel tentativo di starti
appresso.
-Grazie.
Poco più che un
sussurro, colto comunque. Mi sorride, scosta nuovamente il separé
e si allontana. Ricorderò il suo volto, ne sono sicuro:
l'unico che abbia dedicato del tempo per ciò di cui avevo
assolutamente bisogno. Non ho nemmeno idea di quanto tempo sia
effettivamente passato da quando siamo arrivati. Non ci sono finestre
ovviamente, non posso capire neppure se è giorno o notte.
Non importa.
L'unica cosa ora che conta è
essere qui.
Siamo da soli, e ho appena
constatato che sei ancora vivo. Per miracolo, presumo.
Non hai ancora aperto gli
occhi.
Non mi stupisce, guarda lo
stato in cui ti trovi. Non che io stia tanto meglio, ma almeno non mi
sono fatto aprire in due. Sei un emerito idiota, sul serio. Avrei
dovuto esserci io al tuo posto, ed adesso inveirei non sai quanto
contro di te, visto che ti sei buttato tra me e quello stronzo; non
posso farlo, mi provoca dolore solo l'idea di tentare.
Sono così vicino al
tuo profilo, da poterlo sfiorare con i capelli. Il tizio di prima è
stato fin troppo gentile, mi auguro solo non arrivi nessuno in questo
momento: due imbecilli mezzi morti che se ne stanno appiccicati uno
accanto all'altro, in un solo posto letto di fortuna.
Oh, al diavolo, pensino
quello che vogliono: sei ancora vivo, chi se ne importa di ciò
che può pensare chiunque altro.
Il tuo volto è troppo
pallido, ed il tuo petto si muove così lentamente, quasi in
maniera impercettibile. Vorrei poter poggiare la mano sul tuo torace,
soltanto per assicurarmi di non stare sognando. Sei nudo per metà,
fasciato e coperto di bende. Sono bianche, significa che sono
riusciti a ricucire la ferita in maniera dignitosa.
Sembri beatamente rilassato,
mentre riposi: vorrei poterlo essere pure io, ma ho il terrore di
rivivere quello che è accaduto, lasciandomi andare alla
stanchezza. Se chiudendo gli occhi e riaprendoli, non ti trovassi
più? Scoprire che è tutto un sogno, realizzare che in
realtà non sei... sopravvissuto? Le palpebre si abbassano:
è già la seconda volta che mi scuoto nel tentativo di
rimanere sveglio. Ci sto provando, ma neppure il dolore riesce a
frenare la stanchezza.
Guardami.
Ti prego, apri gli occhi e
guardami, Obito.
So che sei vivo, ma fammelo
capire. Sorridi, fai una delle tue solite smorfie idiote, corruga la
fronte e prendimi in giro. Fai quello che ti pare, davvero: non mi
importa. Scimmiottami quando leggo, quando mi alleno, quando mi
incazzo. Rispondimi a tono come quando litighiamo come bambini.
Fallo.
Parlami.
Guardami.
-Attento!
Obito aveva ucciso quello
che credeva l'ultimo assalitore.
Estrasse il kunai dallo
stomaco dell'uomo che sarebbe collassato un attimo dopo.
"Da dove arrivano?"
Non era riuscito a comprendere il motivo dell'attacco: semplici
briganti? -Kakashi, voltati! Quest'ultimo colpì sulla
schiena l'avversario, facendogli perdere i sensi.
I due, ansimanti ma
soddisfatti, sorrisero.
-Bene, sembra sia finita.
Si adagiarono sfiniti
alla base di uno dei grandi alberi che li circondavano, in
quell'indefinibile luogo casuale ai confini di Konoha.
L'Hatake socchiuse gli
occhi, ciondolando la testa sul petto. Troppo stanco per dare la
dovuta attenzione all'ambiente circostante. L'Uchiha lo seguì,
complice l'improvviso silenzio e l'apparente quiete.
Il clink del kunai
estratto con decisa rapidità destò d'improvviso Obito.
Un unico suono.
Un movimento troppo
rapido.
Stringo forse con eccessiva
energia il lenzuolo, aggrappandomi fino a sentire svanire i tremori.
Il ricordo di quello che è
accaduto si è presentato in maniera fin troppo nitida durante
il mio ultimo collasso dato dalla stanchezza (decisamente la parola
corretta, non mi sono nemmeno accorto di essermi riaddormentato). Ho
ancora il fiatone, e percepisco delle piccole perle di sudore gelarmi
la schiena scoperta.
Dormi ancora: regolare,
fermo ancora nella posizione precedente. Non credo tu ti sia
svegliato. Riesco a voltarmi supino, constatando finalmente che
neppure le mie condizioni sono delle migliori; l'attenzione
totalmente risucchiata dall'idea di aver perso questo idiota che mi
sta dormendo vicino, mi ha fatto dimenticare dello stato in cui sono.
Fasciato, dolorante, di pessimo umore. Un arto che non riesco a
muovere, costole che danno il loro bel daffare, la schiena che
protesta a ogni movimento.
Bene, direi.
Più o meno.
Sposto lo sguardo su di te,
sul tuo corpo; poggio la mano sul tuo petto, muovendo delicatamente
le dita. Percepisco sotto i polpastrelli le ferite richiuse appena,
la pelle rovinata da centinaia di scontri, il battito lento e
regolare (fortunatamente regolare...): tutto ciò sussurra
"sono vivo". Non posso essere più felice di così,
in questo momento.
Sposto gli occhi al
soffitto: mi concentro sui rumori all'esterno, sulle conversazioni
anonime di persone senza volto che ci circondano, al di là del
tessuto che ci separa dal resto del mondo. Un fruscio attira la mia
attenzione. Richiudo d'istinto le palpebre.
-Bene, i parametri sono
normali. Mi chiedo ancora come sia possibile.
-Lo so, è assurdo:
lui l'ha portato sulle spalle fino al campo, prima di collassare a
terra. Non è che stesse poi tanto meglio dell'altro.
Non posso fare a meno di
origliare la conversazione tra i visitatori.
-Sul serio, non so in che
condizioni potrà risvegliarsi. Abbiamo fatto ciò che
abbiamo potuto: ora tutto sta nel suo corpo, e soprattutto nella sua
volontà.
Ogni singola parola di quel
maledetto mi ha spezzato qualcosa dentro. So che ce la puoi fare, sei
un cocciuto che non molla mai. Se ci sarà qualcosa che non va,
ti aiuterò io: qualsiasi siano le conseguenze.
Uno dei due mi si avvicina,
lo percepisco anche se non posso vederlo.
-Non serve spostarlo.
Lasciali così, non può fargli che bene. Andiamo.
Il suono dei passi si fa più
lontano.
Cosa sarà di te, dopo
che ti sarai svegliato? Quanto ci vorrà perché tu possa
riprenderti? Quanto ancora, perché tu riapra gli occhi?
Cadendo in un nuovo sonno
senza sogni, la mia mano scivola sulla tua, adagiandovisi e
percependone il rinfrancante tepore.
Obito...
Ci si può innamorare
di una ship, grazie all'angst che mi ispira? Certo che sì! Questo
è accaduto con Kakashi e Obito.
Inizialmente il progetto
prevedeva una OS, ma ho deciso di creare una minilong con i punti di
vista dei due protagonisti.
Una doppia visione a 360°
gradi di dolore, paura, perdita, sensazione di vuoto e
rassegnazione. Mi auguro vi abbia scatenato la giusta malinconia.
Io sto nuotando nei feels
con loro due! ^ ^
Un abbraccio speciale a BlueRoar,
Mahlerlucia e Miryel
perché ogni giorno sono un inesauribile spunto di nuove idee.
Grazie ragazze!
Un
saluto a chiunque sia passato di qui, e grazie a voi tutti per
l'attenzione che dedicate ai miei lavori!
-Stefy-
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