Noi, per il resto del mondo. di Happy_Pumpkin (/viewuser.php?uid=56910)
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Secondo Capitolo
Pantheon,
tutte le divinità. A Naruto sarebbe venuto da ridere per la
stupidità del collegamento, peccato si trovasse in una
situazione nella quale gli veniva tutto meno che ridere. Stava infatti
ancora in sella a un gigantesco cavallo di bronzo, con accanto il suo
collega archeologo che pareva semplicemente incazzato e sulla
soglia dell’apprensione tragica, inseguito da una gigantesca
massa d’acqua marittima.
Grandi risate,
insomma.
Il peggio di
tutta quella faccenda, però, era che davanti a loro non
c’era il normalissimo edificio verso cui erano stati un
po’ brutalmente diretti, bensì... una voragine:
un’immensa spaccatura nella terra, al cui interno confluiva
ulteriore acqua che pareva essere divorata dalle profondità
più oscure.
Gli venne da
gridare. Un grido di rabbia, più che di semplice paura,
rabbia per dover morire senza combattere.
Ma
più si avvicinavano, più scorse qualcosa
comparire dal gigantesco buco che sembrava essersi generato nel
terreno, tra laterizi e pietre; più che qualcosa: un
edificio affondato senza una crepa o parti danneggiate, come se ci
fosse nato, in quella terra, con tutti i suoi marmi resi ancora
più lucenti dall’acqua che terminavano con un foro
centrale in cima all’immensa cupola.
Il Pantheon.
Sentì
Sasuke mormorarlo, nonostante il galoppare furente dei cavalli e lo
scroscio agitato dell’acqua alle loro spalle.
“Dobbiamo
gettarci nell’apertura della cupola.”
Decretò alla fine l’archeologo, stringendo le
redini senza distogliere lo sguardo da davanti a sé.
Quella frase
Naruto l’aveva sentita ancora meglio. E gli piaceva,
logicamente, persin meno.
“È
un tuo modo creativo per trovare un’alternativa in cui
moriamo schiantati, anziché affogati
dall’acqua?”
Se solo ci
fosse stato tempo, Sasuke avrebbe spiegato con didascalica precisione
il perché della sua scelta, giusto per concludere con un idiota finale che
risultava meno dispregiativo dei primi mesi. Ma anche in quel caso il
tempo non giocava esattamente a loro favore, dunque l’uomo si
limitò a ripetere a voce più alta, in modo da
essere sicuro di farsi sentire:
“Quando
avremo toccato la cupola del Pantheon salta dal cavallo e gettati di
corsa nell’apertura!”
Lanciò
una breve occhiata alle sue spalle: la forza dell’ondata
anomala d’acqua era tremenda, se li avesse travolti ne
sarebbero stati schiacciati, forse addirittura sarebbero morti sul
colpo per l’impatto dalla violenza di un tir schiantato a
tutta velocità.
Si
aspettò un’eventuale protesta di Naruto, ma questi
si limitò ad annuire, corrugando le sopracciglia con uno
sguardo determinato e gli occhi puntati davanti a sé, pronto
per il momento decisivo.
Momento che
non si fece attendere troppo.
Infatti, pochi
istanti dopo il cavallo, ormai fuori controllo, saltò oltre
il margine della voragine. Per qualche istante i due furono in balia
dell’aria, con la criniera in fili di bronzo che
ondeggiò placida, sospesa in un gonfiore leggiadro al pari
dei capelli dei conducenti, plasmati dal vento; specie quelli di Sasuke
che, anche se bagnati, erano comunque piuttosto lunghi.
Poi, il tempo
sembrò riprendere a correre più veloce e in quel
breve attimo di caduta, Sasuke e Naruto lasciarono le redini per
saltare ai lati del cavallo che atterrò in una vibrazione
metallica, crepando la superficie traslucida della cupola; gli zoccoli
schiaffeggiarono l’acqua che, sfidando ogni legge della
fisica, risaliva in ruscelli morbidi la superficie curva della cupola
per poi confluire nell’apertura circolare al centro.
Quando
rotolarono a terra senza farsi troppo male, Sasuke e Naruto si
rialzarono avvertendo ancora le viscere rimestarsi in petto, risalite
fino alla gola per via di tutti quegli sbalzi di altezze; ma non
c’era tempo per riacquistare l’equilibrio o
riprendersi: le gigantesche onde d’acqua continuavano infatti
a inseguirli con ostinata ferocia. Sebbene un po’
traballanti, appena riuscirono a rimettersi in piedi i due corsero, per
dirigersi senza ulteriore esitazione verso l’ingresso in cima
alla cupola.
I loro piedi,
come gli zoccoli del cavallo, lambirono i ruscelli d’acqua
trasparente, sottile, simile a pioggia scrosciante contro un vetro,
spruzzando a ogni salto di quella corsa disperata gocce che si
mischiarono alla spuma del mare. Quando arrivarono al bordo
dell’apertura circolare, Sasuke e Naruto si guardarono un
istante, poi si fiondarono all’interno quasi in
contemporanea; nel gettarsi, il tester trattenne il fiato, che gli
rimase bloccato all’altezza della gola.
Poi venne
travolto da una superficie d’acqua che sembrò
avvolgerlo in quella caduta folle, rimischiandogli ancora gli organi
che, quella volta, cercarono quasi sicuramente di risalirgli oltre il
palato.
Appena
riemerse, inspirò una gigantesca boccata d’aria,
tra la bocca che sapeva di mare e i capelli gocciolanti acqua
– almeno, la simulazione virtuale gli faceva credere a tali
livelli di essersi inzuppato fino al midollo . Preoccupato,
cercò Sasuke e lo vide intento a dare grandi bracciate per
raggiungere quella che sembrava… una canoa fatta di canne e
paglia? Nel bel mezzo di quel gigantesco bacino d’acqua che
sommergeva le statue del pantheon e le sue nicchie?
Bene, tutto
assolutamente normale.
Lo raggiunse e
si issò a sua volta, senza che ovviamente
l’archeologo gli desse una mano e… beh, figurarsi
se lui gli avrebbe chiesto qualcosa. L’imbarcazione
ondeggiò un istante per poi stabilizzarsi. Nonostante
l’aspetto fragile, sembrò reggere bene il loro
peso e anche le acque parvero essersi calmate; meraviglia, forse per
una volta non c’era nulla che stesse cercando di ucciderli!
“Non
so come sistemeremo tutta questa storia – borbottò
Naruto, tirandosi indietro i corti capelli fradici – che ci
fa ‘sta bagnarola nel mezzo del Pantheon, proprio non so. Poi
i romani non erano grandi marinai, giusto?”
Fece presente,
fiero dell’osservazione.
Sasuke gli
lanciò un’occhiata e precisò,
meticolosamente fastidioso: “Per inciso, questa bagnarola
è una feluca egizia. Che… no, non so nemmeno io
cosa rappresenti in questo contesto – guardò un
istante altrove, per poi ammettere suo malgrado –
è vero, i romani non erano grandi marinai, anche se Agrippa
fu determinante per Ottaviano, non solo per le sue capacità
ingegneristiche, basti pensare ad Azio, o…”
Corrugò
appena le sopracciglia, per poi sospirare e scuotere la testa, mentre
la barca galleggiava placidamente: “Lascia perdere, non so
perché ti racconto tutto questo nel mezzo del casino in cui
ci troviamo, sarà il fatto che è stato proprio
Agrippa a erigere il primo Pantheon.”
Ma Naruto
scosse la testa: “No, no, anzi, mi ha fatto piacere! Hai una
luce diversa negli occhi quando parli di ciò che
ami.”
Si fissarono
un istante e Sasuke pensò fosse stupido imbarazzarsi per
quelle parole; parole, se possibile, ancora più stupide
– anche se, avendo conosciuto Naruto in quell’anno,
poté ammettere che non sempre diceva cose totalmente a caso,
il più delle volte lo faceva credendoci davvero.
Ma prima di
poter ribattere, improvvisamente la barca cominciò a
muoversi totalmente da sola, dato che non c’erano remi,
né loro erano ancora dotati di capacità
telecinetiche, per quanto fittizie. Si voltarono entrambi a guardare in
avanti, realizzando che la corrente aveva cominciato a sospingerli
verso una delle estremità del Pantheon, più
precisamente contro una delle pareti; anche se ai rispettivi margini di
tale parete due nicchie, rispettivamente una con la statua della Luna e
l’altra con quella del Sole, cominciarono a sollevarsi
facendo defluire ulteriore acqua in una cascata, la barca
sembrò non accennare a spostarsi da quella direzione.
Anzi, man mano
che la feluca avanzava, la corrente divenne più intensa e
inoltre, sebbene con maggiore lentezza, il volume dell’acqua
stava cominciando a calare drasticamente.
“Finirà
così e ci andremo a schiantare.”
Mormorò Sasuke, guardando l’apertura verso
l’esterno in entrambe le nicchie. Non sapeva esattamente
perché, cosa si fosse alterato, ma aveva la sensazione che
quel mare si estendesse per chilometri e chilometri, con ampiezze molto
più grandi di quelle effettive.
“Puoi
giurarci. Più incrementerete la velocità,
più farà male; e posso assicurarvi che
farà molto
male.”
Nonostante
l’impellente necessità di trovare una soluzione,
dato che nelle colonne in mezzo tra le due edicole sembrava esservi
nient’altro che solido marmo, sia Sasuke che Naruto si
voltarono di scatto al sentire una voce che sembrava in qualche modo già conosciuta.
E per nulla amichevole.
“Il
tizio di prima!”
Esclamò
infatti Naruto, quando vide seduto sulla punta della feluca proprio
l’uomo che avevano incontrato attraverso la fenditura;
riuscì anzi a distinguerne ancora meglio i contorni, i
capelli lunghi e disordinati, nonché quelle che sembravano
occhiaie.
“Madara,
prego.” Replicò tagliente il tizio in questione.
La barca
andò più veloce, fendendo l’acqua nella
sua spuma bianca. Il livello si stava abbassando, ma più
scendeva, più pareva che sotto di loro non ci fosse alcun
pavimento: solo l’abisso, oscuro e terribile, mentre la via
di fuga attraverso le due aperture continuava a rappresentare
l’unica soluzione per andarsene da quel posto infernale.
Sasuke lo
fissò, sentendo una rabbia crescente: “Chi sei?
Cosa vuoi da noi?”
“Non
c’è tempo per le domande – con un cenno
della testa li invitò a tornare a guardare avanti e i due,
loro malgrado, istintivamente lo fecero – decidete, quale
fiume prenderete: Don, Po’, Tevere o Nilo?”
Rise. Poi, in
quell’istante, si abbassarono altre due nicchie, con le
statue ricche di panneggi di Marte e, rispettivamente, di Venere.
Quattro
statue, quattro direzioni diverse.
La corrente
cominciò a cambiare in una serie di turbinii confusi e la
feluca sembrò non saper più dove dirigersi. I
muri colonnati parevano in ogni caso volerli far schiantare e
inghiottire, come l’abisso sotto di loro.
“Quattro
fiumi? Dove li vedi quattro fiumi a Roma?”
Esclamò
Naruto, scuotendo la testa. Fece per allungare la mano e afferrare il
tipo che aveva detto chiamarsi Madara, ma questi sembrò
inconsistente, perché la mano del tester passò
attraverso il corpo dello sconosciuto.
“Che
domanda stupida. Sasuke, almeno tu, Uchiha secchione, non mi
deludere.”
Ci fu aperta
ironia in quella richiesta, ma Naruto si sentì offeso:
“Beh, Casper dei poveri, stupido sarà tutto questo
gioco assurdo; sono io a sistemare i bug evidentemente provocati da te
grazie alle mie conoscenze informatiche. Secchione a lui,
tzé.”
Gonfiò
le guance, incrociando le braccia.
Tevere.
Pensò frenetico Sasuke: l’unico fiume presente era
il Tevere.
Fece per
aprire la bocca e dirlo, quando si bloccò.
Qualcosa non
tornava: era una risposta troppo facile e, in tutto quel casino, se
c’era una cosa chiara era che il tizio seduto ai margini
della barca non sembrava affatto amare le cose semplici.
“Piazza
Navona!” esclamò alla fine, facendo sussultare il
tester. Ovviamente, Sasuke in quei casi si era semplicemente messo a
riflettere, al di là della frustrazione e della voglia di
attaccare alla gola Madara che si era intromesso nel loro
già complicato lavoro.
Chi fosse,
cosa volesse… perché sentiva di ricordare
qualcosa su di lui, persino su di sé, dimenticato nel tempo?
Domande lecite, in realtà, ma necessariamente da rimandare;
per quel motivo aveva ignorato Naruto, come era capitato già
tante altre volte prima di allora a dire il vero, lasciandolo al suo
blaterare mentre cercava di fare qualcosa di concreto.
“La
fontana dei quattro fiumi, quella del Bernini – riprese
più velocemente – il Gange, il Rio della Plata, il
Danubio e…”
“Il
Nilo.” Concluse per lui Naruto.
Sasuke
annuì, ma prima che potesse domandarsi se il collega fosse
davvero a conoscenza di dettagli simili, il tester lo
anticipò, indicando l’imbarcazione:
“Si
tratta di una feluca egizia, no? Forse avevamo l’indizio sin
dal principio.”
“Hai
ragione.” Ammise Sasuke, sorpreso ma non più di
tanto. Quell’idiota dai capelli biondi aveva una conoscenza
archeologica e artistica che rasentava il ridicolo, però non
mancava di spirito d’osservazione e intelligenza. Doveva
ammetterlo, anche se gli costava fatica.
Infatti
prontamente Naruto sgranò gli occhi, provocandolo:
“Oh, incredib…”
Ma Madara lo
afferrò per la collottola della maglia –
chissà come, ma quel tipo sembrava invece poterli picchiare
persino troppo facilmente – e incalzò, con lo
sguardo più folle, persino divertito:
“Quindi?”
“Nilo!
Prendiamo il Nilo!” gli ringhiò contro Naruto,
esasperato.
Con una virata
brusca, la feluca cambiò direzione e si diresse verso
l’edicola un tempo appartenente a Venere, la quale era
però sparita, in modo da lasciare lo spazio sufficiente per
passare.
Madara li
osservò un istante, poi li provocò:
“Chissà
se riuscite a risalire fino alle acque vergini, pivelli!”
Ma non si
godette le gioie di vederli cercare di replicare qualcosa
perché sparì, facendo sussultare leggermente la
feluca che, però, proseguì il suo incedere rapido
fuori dal Pantheon, trasportata dalla corrente forte ma non travolgente.
Metro dopo
metro, le acque si fecero meno dense e violente, finché
l’imbarcazione sembrò paradossalmente spiaggiarsi
in quella che, come previsto dalla normale urbanistica, era Piazza
Navona. Placida, la fontana funzionava quasi fosse stata una tranquilla
giornata qualsiasi, con le sue statue e le sue alture rocciose che le
elevavano. Un po’ sospettosi, Sasuke e Naruto scesero
dall’imbarcazione, scrollandosi per quanto possibile un
po’ d’acqua dai vestiti e dai capelli zuppi.
Le nubi
all’orizzonte sembravano più lontane, ma erano
sempre presenti e incombevano su di loro come una spada di Damocle.
“Wow
– mormorò Naruto – incredibile,
però siamo ancora vivi.”
Strizzò
ulteriormente la maglia, gocciolando acqua salmastra.
“Già.”
Convenne Sasuke.
Si
girò e, già preoccupato all’idea di
come accidenti avrebbero fatto a risistemare un Pantheon interrato e
affogato nel mare, rimase di sasso quando realizzò che
l’edificio era perfettamente normale, con tanto di marmi
lucenti, la sua gloriosa cupola e le alte colonne frontali che
sorreggevano il frontone austero.
Prontamente,
il tester tirò fuori il pad personale per memorizzare i
codici modificati e salvarli nel suo database, in modo da facilitarsi
eventuali nuove correzioni.
Nel frattempo,
lo scroscio dell’acqua proveniente dalla fontana e del
tintinnare di monete si espanse nell’aria con un effetto
persino rassicurante.
“C’è
una valuta virtuale?” domandò Naruto
all’improvviso, contemplando a sua volta il Pantheon, a
caccia di eventuali buchi dovuti a imperfezioni residue.
“Come?”
si riscosse Sasuke, tornando a guardarlo.
Naruto si
voltò, scrutando alle proprie spalle, infine
spiegò: “Non so, mi è venuto spontaneo
chiedere. Ho sentito qualcosa che ricordava un tintinnio, ma forse
è solo la mia immaginazione, in mezzo a tutto questo
casino.”
Ridacchiò.
“Allora
lo senti anche tu, il tintinnio.” Constatò invece
Sasuke.
Deviò
lo sguardo: oltre la fontana, scorse la figura di un ometto con un
cappello elaborato, decorato da una piuma svolazzante, e addosso una
giacca dai pretenziosi orli in filo dorato, fatta di un tessuto che
ricordava velluto.
“Lui…
lo vedi?” sussurrò Sasuke.
“Non
so se esserne felice, ma… sì, lo vedo.”
“Messeri!”
esclamò all’improvviso l’uomo, facendo
una leggera corsetta. Lo seguiva un carro in legno semplice, guidato da
due cavalli senza cocchiere; tutto il contrario, insomma, della
ricchezza portata addosso a quella figura bassa e un po’
sovrappeso.
“Dimmi,
Sasuke, si tratta di un altro degli artisti che conosci soltanto
tu?”
Sasuke
roteò gli occhi, faticando come sempre a seguire
l’ironia dell’altro, per poi replicare asciutto:
“Non
so chi sia questo tizio, va bene?”
Lo osservarono
fermarsi per controllare una scarsella in cuoio che, a giudicare dal
suono metallico in quel momento riconoscibile, doveva essere piena di
monete tintinnanti.
“Messeri,
quale gaudio avervi trovato! Non so per quale ragione, ma stavo
rientrando verso la magione di famiglia e tutto è tanto
subitamente mutato. Orrore! Sortilegio demoniaco!”
Fece per
agitarsi, ma Naruto lo bloccò, cercando di mostrarsi
rassicurante e non mettersi a ridere per l’effetto comico
della combinazione piuma-cappotto improbabile:
“Signore,
stia tranquillo, stiamo cercando di risolvere la cosa.”
L’ometto
respirò una boccata profonda, lo fissò, infine,
ignorando il fatto che i due messeri fossero bagnati fradici e vestiti
in maniera totalmente anacronistica per quelli che sembravano i suoi
ricchi gusti, spiegò:
“Il
mio cocchiere, lestofante, è scappato, lasciandomi in balia
del nulla coi cavalli che potrebbero imbizzarrirsi e correre ovunque,
portandomi a morte certa – spalancò gli occhi,
come prospettando immagini orribili di sé intento a
involarsi oltre il carretto – già è
stato difficile reperire qualcosa di meglio oltre a questo catafalco
pietoso, almeno tento di rientrare alla magione al fine di recuperare i
mezzi di trasporto che si convengono al mio stato.”
Naruto
annuì, dispiaciuto per quel signore che, in fondo, gusto nel
vestire a parte sembrava tener davvero a rientrare a casa. Forse se lo
avessero aiutato, indipendentemente dalla strada, non si sarebbero
disintegrati in milioni di pixel; magari poteva essere un modo come un
altro per correggere il bug di chi non si trovava nel posto giusto,
come la simpatica foto monodimensionale di Chir…
Chiam… Chiaradia.
Ma Sasuke
scattò, sospettoso:
“Chi
sei, esattamente? E perché dovremmo aiutarti? –
poi guardò Naruto e ribatté, incurante della
presenza dell’ometto, per quanto virtuale – Chi ci
dice che non sia un trucco di Madara per mandarci
fuoristrada?”
Naruto avrebbe
voluto ribattere che Madara, per quanto perverso, non avrebbe mai
potuto partorire un design così orripilante per qualcuno
sostanzialmente progettato per ucciderli, ma venne interrotto proprio
dal presunto killer in questione che ribatté, oltraggiato:
“Io
sono un banchiere, poffare! La mia famiglia ha acquisito uno dei
maggiori simboli del potere e del prestigio
insito…”
Le sue parole
si fecero più deboli quando vide i cavalli nitrire e, dopo
uno sbuffo, decidere che forse conveniva loro galoppare da
un’altra parte.
“I
destrieri! Ohibò, intendete aiutar questo
pover’uomo o volete bighellonare come donnine di facili
costumi?”
“Ci
ha appena dato delle puttane?” domandò Sasuke,
inarcando un sopracciglio.
Ma Naruto non
badò a simili sottigliezze linguistiche, afferrò
per un braccio il collega e cominciò a correre, urlando:
“Signor Banchiere, le acchiappiamo i destrieri, magari ci da
un passaggio!”
L’uomo
li seguì con una corsa più goffa, tenendosi il
cappello per evitare di farlo volare via.
In un modo o
nell’altro riuscirono a raggiungere il carro e, prima di
aiutare Sasuke a salire, Naruto con un balzo si mise al posto di guida,
afferrando le redini al volo. Riuscì, se non proprio a
frenare del tutto i cavalli, perlomeno a rallentarli.
Giurò
che dopo quella volta, tra equini giganti di bronzo e altri invasati
digitali, non avrebbe più toccato un cavallo se non tra
molto, moltissimo tempo.
Sasuke si
issò, aiutando suo malgrado il banchiere che, ansimando, si
accasciò sulla panca di legno, la quale
scricchiolò sotto il peso del corpo comunque denso.
Nonostante
avessero già superato Piazza Navona e il carro stesse
proseguendo lungo quello che rimaneva dello Stadio di Domiziano, i due
visitatori non erano ancora spariti, il che tutto sommato era un buon
segno. Sasuke un po’ si dispiacque per aver trattato
così male quel tizio ansante al suo fianco, ma non troppo.
Dette un colpo
di tosse e domandò:
“Di
che famiglia fa parte, quindi?”
“Ehi,
Sasuke – lo interruppe Naruto, i cui capelli sembrarono
più dorati, quasi sabbiosi – guarda,
c’è della gente sugli spalti che ci acclama! Figo!
Mi piace questa versione!”
Sia
l’archeologo che il banchiere deviarono lo sguardo verso
l’unica ala ancora integra dello stadio, dove le sole
scalinate presenti erano quelle di accesso; nessun bug, per una volta:
a livello museale, da prima della Pangea quello che rimaneva dello
stadio iniziale era solo una triste mezza curva.
“Spero
bene che abbiano pagato lo spettacolo.” Borbottò
l’ometto, sistemandosi meglio sul sedile come per darsi
importanza.
Sasuke
incrociò le braccia, un po’ a disagio per quella
situazione. Incredulo, però, roteò gli occhi
quando sentì addirittura Naruto esultare e ruggire.
Andava bene la
gloria e la parata in pompa magna, ma era quantomeno ridicolo
atteggiarsi tanto solo per fare un paio di metri nella sabbia
dell’arena, oltretutto a bordo di quattro assi di legno che
per miracolo non si erano ancora distrutte.
“Smettila
di ruggire, sei fastidioso.” Lo pungolò.
“Ma
che ruggire? Ho solo salutato!” ribatté Naruto,
voltandosi un istante.
Nel farlo,
però, sgranò gli occhi, guardando qualcosa alle
spalle dei due passeggeri improvvisati.
Si
elevò un altro ruggito che sembrò più
vicino. Come già accaduto, da prassi del manuale delle cose
destinate a precipitare, Sasuke seguì lo sguardo del collega
e mormorò, con piccata rassegnazione:
“Leoni. Perfetto,
davvero perfetto.”
Infatti un
branco di tre leoni ruggenti, con tanto di criniera folta ed enormi
zampe che si schiantavano sul terreno, era intento a correre nella loro
direzione e, a giudicare dalle fauci immense, i tre animali erano anche
pronti a divorarli con tutto il pacchetto, carro sgangherato compreso.
Ironia della
vita, non li avevano incontrati al Colosseo, figurarsi se potevano
esimersi dall’averci a che fare nel momento meno opportuno di
sempre.
Fu Naruto
però a dirgli: “Sasuke, prendi tu le redini, io mi
occupo dei leoni.”
Senza che
l’altro potesse esprimere qualcosa in contrario, il tester si
era già voltato, in modo da balzare sul carretto che
tremò un istante, come incerto se sbilanciarsi. Prima di
trovarsi scaraventati a terra, suo malgrado Sasuke dovette saltare al
posto di guida e prendere il controllo dei cavalli che, spaventati,
cominciarono ad avere un’andatura discontinua, a volte
cozzando l’uno contro l’altro.
Il banchiere
si fece il segno della croce e mormorò qualcosa in latino.
Naruto
imbracciò il fucile e lo trasformò in una mazza
da baseball.
“Non
si preoccupi, Signor Banchiere. È previsto un ritorno alla
base.”
“Gesù.”
Mormorò l’uomo, guardando quello strumento
demoniaco estratto dal legno. Sbiancò.
Sasuke
sentì i capelli sul collo rizzarsi. Non si voltò,
ma sapeva, lo sentiva a pelle, Naruto stava progettando qualche cazzata.
“Sasuke,
non prendere velocità o questa carretta non regge! Lascia
fare a me!”
Fu allora che
l’archeologo, ovviamente incredulo sulla reale
possibilità di lasciare tutto nelle mani di Naruto, si
voltò e assistette allo spettacolo più
tragicomico della sua esistenza: vide infatti l’uomo tutto
determinato, in piedi, con tra le mani quella che era… una mazza da baseball.
Sembrava la
versione contraffatta di un film hollywoodiano di Ercole con la
versione alternativa della clava; ci mancava solo che al posto del
copricapo in pelle di leone si mettesse un cappellino con visiera ed
era pronto per sfondare nel mondo del cinema amatoriale.
“Una
clava! Potevi almeno usare una fottutissima clava!”
Sbottò,
convinto che ormai la loro fine fosse prossima.
“Vieni,
Nemeo: ti aspetto, stronzetto!”
Quasi
richiamato dalla provocazione, un enorme leone gli balzò
addosso, ma Naruto fece una potente torsione del busto che si concluse
con uno schianto della robusta mazza in legno contro la mandibola
spalancata della creatura, pronta a divorare l’intero
carretto.
Il leone
finì nella polvere in un ruggito frustrato, per poi sparire
in una pioggia di pixel dorati.
“Uno
a zero per me, yeah!”
Sasuke,
decisamente, non sapeva se essere più stupito per quello
strike portentoso contro un leone volante, o se per il fatto che Naruto
si fosse ricordato del leggendario leone Nemeo ucciso da Ercole in una
delle sue fatiche. L’aveva pure soprannominato stronzetto, ma
quelli erano dettagli.
Con
altrettanta energia, mentre ormai Sasuke guidava i cavalli lungo le
strade di fronte a sé, sperando sempre di non venir
cancellato assieme a banchieri, leoni e giocatori di baseball
improvvisati, Naruto colpì gli altri felini che gli andarono
addosso; urlò pure, per sovrastare i loro ringhi e darsi la
carica.
Quando fu
certo che non li seguisse più nessuno, ansimante, il ragazzo
si sedette sul legno, socchiudendo un istante gli occhi.
“Cavoli,
non mi sento più le mani.”
“Sei
stato bravo – ammise Sasuke dopo qualche istante –
a conti fatti credo che senza la tua idea ci saremmo sfracellati
già da tempo.”
Felice per
quel complimento sincero, anche se esausto Naruto sollevò il
pollice in segno di trionfo.
Il banchiere
si schiarì la voce, ritrovando un po’ di colore
sul volto terreo.
“Chigi.”
Disse alla fine.
“Chigi?”
domandò il tester.
“La
mia famiglia – replicò l’altro, quasi
come se fosse la cosa più scontata del pianeta, dopo i leoni
cancellati a colpi di mazza da baseball – i rinomati
banchieri che hanno acquistato l’omonimo palazzo.”
“Palazzo
Chigi – intervenne Sasuke – dirigiamoci
lì.”
Forse,
dopotutto, la missione del banchiere aveva davvero impedito al sistema
di cancellarli, anche perché non avevano ancora esattamente
capito dove andare.
Proseguirono,
oltrepassando varie strade: la Chiesa della Santa Maria Maddalena con
il suo stile Rococò pieno di fronzoli – Sicuro che non è un
bug? Aveva commentato Naruto – per poi
costeggiare Montecitorio e, finalmente, giungere fino a Palazzo Chigi,
così rinominato in seguito all’acquisto nel 1659
da parte di una famiglia di banchieri senesi, i Chigi per
l’appunto.
Sasuke tenne
per sé quelle nozioni di cultura, aveva parlato anche troppo
per i suoi standard e quell’operazione di ripristino mista a
fuga disperata si stava rivelando ancora più lunga del
previsto.
Eccetto i
leoni, se non altro né Piazza Navona, né i resti
dello stadio sembravano danneggiati, lo stesso valeva per quanto visto
di Montecitorio; inoltre, con uno certo spirito pratico il tester aveva
provveduto a memorizzare i codici scannerizzati mediante il pad.
Quando
fermò i cavalli, il banchiere sospirò sollevato e
discese, aiutato da Naruto che gli evitò una rovinosa caduta
a terra. L’arma del tester era ritornata il classico fucile
multiuso.
“Vi
sono debitore, messeri. Se volete aprire un conto e ottenere un
prestito, vi farò un prezzo di favore, miei prodi. Lo
diceva, il mio astronomo di fiducia, che il segno della Vergine sarebbe
stato benedetto da Dio quest’oggi. E l’acqua il mio
elemento fortunato.”
Sorrise,
battendosi qualche colpetto sul ventre un po’ abbondante.
Sasuke fece
una smorfia, domandandosi in che modo l’astronomia potesse
incastrarsi con Dio, ma non aprì dibattiti in merito. Il
cielo aveva ripreso a rannuvolarsi e lui aveva la sensazione che il
tempo stesse per scadere.
“Dove
dobbiamo andare?” provò invece a chiedere
all’ometto, un po’ a bruciapelo.
Il banchiere
si fece perplesso: “Dove, mi chiede, messere? Ma io non lo
so, quali scempiaggini dite! L’unica cosa che so è
che gli equini valgono, di questi tempi, quindi me li
restituite.”
“E
tutta quella storia del debitore, dei prodi,
blablabla…” lo provocò Naruto, piccato.
L’uomo
borbottò qualcosa per poi aggiungere: “Parlavo di
tasso di interessi favorevole, un fondo destinato…”
Ma sia Sasuke
che Naruto scesero, mollando redini, cavalli e carretti.
“Sa
cosa? Si tenga i suoi tassi e pure i suoi cavalli. Andiamo a
piedi.” Tagliò corto Sasuke.
“Ben
detto.” Convenne Naruto.
Senza nemmeno
badare all’espressione stupita dell’uomo, i due si
allontanarono, ma non tantissimo, giusto per fare scena e attendere che
il banchiere se ne andasse, con tanto di cavalli che riluttanti lo
seguirono.
“Tassi
e cavalli. Bella battuta.” Ridacchiò Naruto.
Suo malgrado,
Sasuke accennò un sorriso e scrollò le spalle,
effettivamente divertito: “Mi è uscita
così.”
Risero
assieme, scaricando le tensioni di quel viaggio frenetico.
Poi,
lentamente, la risata si smorzò e ritornò la
consapevolezza pressante di dove accidenti dirigersi senza rischiare la
deframmentazione.
Quella volta,
se non altro, tempeste furenti a parte avevano qualche istante in
più per rifletterci.
“Sarà,
ma io non sono della Vergine e si vede, data la sfiga che mi
perseguita, anche se l’acqua è stata persin troppo
il mio elemento.” Borbottò Naruto, memore delle
dissertazioni astronomiche del Signor Chigi.
Sasuke lo
fissò, pensoso:
“Vergine.
Acqua.”
Naruto lo
scrutò: “Stai avendo un’idea brillante
da indizi assurdi, come il detective che risolve un caso
d’omicidio?”
“Non
so, è che… Madara – domandò
all’improvviso l’altro – aveva detto
qualcosa prima di andarsene.”
“Innanzitutto
ci ha dato dei pivelli, e già per questo quando giungeremo
al boss di fine livello gliela farò scontare tantissimo,
poi… boh, ci ha detto
chissà se riuscite a risalire fino alle acque vergini.”
Lo
scimmiottò Naruto, per poi bloccarsi. Pareva avere un senso,
ora che pensava a come tornavano i dettagli.
Sasuke fece un
sorriso trionfante e perfettamente sicuro di sé; Naruto lo
trovò inquietante ma bello al tempo stesso, cosa che lo fece
un po’ imbarazzare.
L’archeologo
infatti gli chiese, con sfida e accattivante esaltazione:
“Sai
presso quale fontana sorgeva l’acquedotto
dell’Acqua Virgo?”
Naruto
incrociò le braccia, guardando altrove:
“Oh,
dai, su, mister Genio, dimmelo, visto che muori dalla voglia di farmi
sapere quanto sei speciale.”
Sasuke gli
tirò un pugno sul braccio e lo mandò a fare in
culo, ma alla fin fine, orgoglioso, gli rispose, aggiungendo che
dovevano ancora superare un edificio ben più moderno prima
di giungere a destinazione, la Galleria Alberto Sordi. E Naruto, in
fondo, convenne che Sasuke ne sapeva davvero tantissimo. Oltre a essere
un figo, ma questo non glielo disse.
Sproloqui
di una zucca
Eccoci con questo
nuovo capitolo, decisamente il mio preferito: mi sono divertita un
mondo a scriverlo e spero abbia strappato anche a voi una risata. Mi
auguro che vi siano piaciuti gli indizi e che la trama in generale vi
acchiappi, sempre con quell'avvicinarsi progressivo di Sasuke e Naruto.
Grazie ancora a chi
legge e segue questa storia. Alla prossima!
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