If You come on to me
Capitolo 1
Lestrade potrebbe dirsi che c’è qualcosa di ipnotico nel movimento
delle dita di Mycroft mentre si riabbottona la camicia, ma Mycroft gli
dà le spalle quasi subito, e lui ammette con se stesso che concentrarsi
sui movimenti dell’altro uomo è molto più facile che pensare a quello
che è appena successo e a quale dovrebbe essere la sua reazione.
E mentre Lestrade è ancora sdraiato tra le lenzuola sfatte a pensare (a
non pensare) alla propria reazione, Mycroft sta abbottonando polsini e
gemelli della camicia, già proiettato verso quello che sarà il suo
prossimo passo. Lestrade non ha il minimo indizio di quale possa
essere. Pensa che dovrebbe indagare e si schiarisce la gola prima di
parlare, pensando magari di chiedere “stai andando?”, ma quella sarebbe
una domanda oltremodo stupida, perché Mycroft sta chiudendo l’ultimo
bottone del suo colletto e ci fa scorrere sotto la cravatta per
annodarla (e l’immagine di quelle lunghe dita che costruiscono il
complicato nodo sarebbe sicuramente ipnotica, ma è completamente
nascosta alla sua vista), e in fin dei conti, che cosa si aspetta,
Lestrade? Che Mycroft Holmes resti nel suo appartamento dopo che hanno
fatto sesso? Che si attardi anche solo il tempo necessario per bere una
tazza di tè? L’idea è totalmente assurda, ridicola, ma lo è anche il
fatto che Mycroft sia a casa sua in primo luogo.
Lestrade non è sicuro di come si è ritrovato in quella situazione.
I fatti nudi e crudi sono che si è ritrovato Mycroft davanti in
Tribunale, dopo aver deposto per un caso a cui ha collaborato con
Dimmock, con la prospettiva di un pomeriggio libero, perché si era
preso qualche ora di permesso (teoricamente per guardare con calma le
carte del divorzio, ma sapeva che con tutta probabilità avrebbe finito
per restarsene buttato sul divano a bere, con il calcio di sottofondo
alla sua depressione. Ogni tanto ci vuole, un pomeriggio così, no?); il
che significava che Donovan era allo Yard, e Lestrade era solo, quando
aveva incontrato Mycroft Holmes casualmente per la prima volta in
cinque? sei? anni che si conoscevano. Il che era più che normale, visto
che di sicuro non c’è il rischio che si incontrino al supermercato il
sabato pomeriggio. Inoltre Lestrade ha il sospetto che nessun incontro
nella vita di Mycroft sia davvero casuale.
Ma il maggiore degli Holmes non era certamente in Tribunale per vedere
Lestrade, e Lestrade era abbastanza sollevato all’idea di vedere un
volto conosciuto ma inusuale, qualcuno che non fosse un collega, un
superiore o Sherlock con John, e abbastanza atterrito di fronte alla
prospettiva del pomeriggio che lo attendeva da invitarlo per un caffè.
Quindi Lestrade ha sicuramente le sue colpe, ma Mycroft non è da meno.
“Sarebbe un piacere, Ispettore, in cui avrei tutto l’interesse ad
indulgere, visto che ne abbiamo l’occasione,” aveva risposto Mycroft e
Lestrade era sì abituato all’eloquio altisonante di Mycroft Holmes, ma
non è né sordo né cieco, e il tono di Mycroft era inequivocabilmente
provocante e il piccolo sorriso che lo accompagnava quasi malizioso.
Quale uomo nel bel mezzo di un divorzio rinuncerebbe a una mezz’ora di
flirt innocente? Chi rifiuterebbe un passaggio a casa, dopo? E quale
uomo avrebbe rifiutato l’invito di Lestrade a salire da lui,
palesemente sfacciato, senza neanche il contorno di una buona scusa?
A Lestrade era balenata in mente la scena di Quantum of Solace in cui
Daniel Craig invita Gemma Artenton in camera sua perché “non riesco a
trovare…la carta da lettere…”: gli viene facile associare Mycroft a
James Bond, nonostante la scarsa somiglianza con Daniel Craig.
In ogni caso, l’altro uomo è quasi completamente vestito ormai, e
Lestrade deve
dire qualcosa.
“Hai…hai tutto quello che ti serve?”
Mycroft si gira con un sorrisetto divertito, ma si ricompone in fretta.
“Ho tutto quello che mi serve, Ispettore, grazie. Non occorre che si
alzi per accompagnarmi alla porta,” risponde e prende il suo cellulare
per richiamare l’autista, forse.
O la macchina è rimasta ad aspettarlo? Lestrade si sente avvampare al
pensiero. Ma almeno la bellissima assistente di Mycroft non c’era.
Lestrade dubita che avrebbe osato invitare Mycroft nel suo appartamento
se la donna fosse stata in macchina con loro: non avrebbe sopportato
uno dei suoi sguardi disinteressati al di sopra dello schermo del black
berry.
Il pensiero dello sguardo di Anthea richiama quello di occhi ancora più
penetranti e Lestrade si copre la faccia con un gemito sonoro.
“Oh, mio dio. Sherlock…” spiega futilmente a Mycroft.
Sherlock lo farà a pezzi. Gli darà un’occhiata e saprà quello che è
successo, dedurrà esattamente ogni cosa: che Lestrade ha invitato
Mycroft per scopare, che gli ha infilato la lingua in bocca appena
chiusa la porta (in parte anche per evitare che Mycroft facesse troppo
caso al disastro che è casa sua…), che nel giro di cinque minuti era
nudo come un verme e sbavava vergognosamente alla vista di Mycroft che
si spogliava meticolosamente. Lestrade può già quasi sentire il tono di
oltraggiato disgusto con cui Sherlock gli chiederà se è così debole e
patetico da non saper resistere alla minima manifestazione di
attenzione nei suoi confronti, se il fallimento di una vuota
istituzione, di una convenzione sociale illogica e incomprensibile come
il matrimonio può renderlo ancora più idiota, se la solitudine lo ha
già trasformato in una meretrice schiava dei propri istinti. E
ovviamente Sherlock lo farà davanti a John, e…
Mycroft scuote la testa, interrompendo i suoi pensieri orripilati:
“Sherlock e il Dottor Watson sono fuori Londra per le prossime 72 ore.
Abbastanza perché qualunque indizio di questo incontro, come segni,
profumi, bruciature da barba e quant’altro svanisca. E tra quattro
giorno confido che riuscirà a guardare mio fratello senza che il panico
e il senso di colpa siano troppo evidenti sulla sua faccia, Ispettore.”
Il tono è pratico, e Lestrade lo trova quasi rassicurante. Quasi.
Ovviamente Mycroft ha calcolato conseguenze e variabili, probabilmente
dal momento stesso in cui Lestrade gli ha proposto una tazza di caffè:
non è uomo da indulgere in ispirazioni o impulsi improvvisi, al
contrario di Lestrade.
“Ok. Be’. È bello sapere che almeno uno di noi due ci ha pensato su un
minimo.” Si rende conto che non suona molto gentile da dire. “Scusa.
Volevo solo dire che…non avevo pensato a Sherlock. Forse avrei dovuto.”
Mycroft alza un sopracciglio: “Per fortuna-o sfortuna-sembra che invece
io sia del tutto incapace di escludere Sherlock da qualunque equazione.
Ma non si preoccupi, Ispettore. Non c’è niente di questo piccolo
arrangiamento di oggi a cui lei debba pensare, se non vuole. Buona
serata,” lo saluta poi uscendo dalla camera da letto.
Nonostante l’appartamento abbia le dimensioni di una scatola da scarpe,
Lestrade non sente chiudersi la porta d’ingresso. Sente però da lì a
poco un rombo di motore che mormora ‘auto di lusso’ e sa che Mycroft se
n’è andato davvero.
Lestrade, che era rimasto all’erta e contratto fino a quel momento, si
abbandona di nuovo sul materasso, lasciandosi andare a un altro verso
di autocommiserazione.
Anche se Sherlock non lo farà allo spiedo, si è comportato da sciocco:
avrebbe dovuto riflettere un minimo sulle conseguenze. Non ha certo
bisogno di sperimentare con Mycroft l’imbarazzo che talvolta causa il
sesso occasionale, visto che sono costretti a frequentarsi, oltre che a
Baker Street, anche per lavoro, di tanto in tanto. Questo non sembra il
caso, per fortuna, perché soprattutto ora Lestrade non ha bisogno di
quel genere di complicazioni, non quando le sue ore di permesso
andrebbero dedicate a documenti e telefonate all’avvocato.
Lestrade pensa di alzarsi, stringere i denti e mettersi sotto con la
sgradevole incombenza, ma si ritrova a sonnecchiare distratto: il suo
corpo è rilassato, anche se la sua mente si oppone ancora. Ma non per
molto. In fin dei conti è il suo pomeriggio libero, e non c’è niente di
male a passare un apio d’ore sonnecchiando, prima di dedicarsi alle
responsabilità della vita adulta…
Lo sveglia il trillo insistente del suo cellulare, alle 19:47, dice il
display quando lo recupera con un mare di imprecazioni dalla tasca dei
suoi pantaloni sul pavimento accanto al letto. Ma che cavolo…?
“Lestrade,” biascica.
“Mi spiace, boss. Brutte notizie,” dice Donovan nel suo orecchio,
mentre i ricordi del pomeriggio inondano la mente di Lestrade.
Donovan scambia il suo gemito per un rimprovero.
“Non chiamerei se non fosse importante! Abbiamo due corpi, a Fulham,
nel parco Parsons Green. Devi venire.”
Il primo pensiero di Lestrade è di sollievo. Lavoro. Bene. Qualcosa che
lo tenga impegnato, fuori da quell’appartamento arrangiato alla bell’è
meglio, lontano dai resti della sua vita passata e già che ci siamo
anche dal pensiero di Mycroft Holmes che lo guarda soddisfatto mentre
Lestrade lo spinge sul letto…cosa che gli ricorda all’improvviso perché
le sue lenzuola sono così poco piacevoli, sotto di lui.
“Ok, ok, Sally. Arrivo. Dammi un quarto d’ora per farmi una doccia.”
Non appena arriva segue Donovan oltre i nastri e gli agenti che
bloccano l’accesso alla scena, fino alle due tende impermeabili montate
in fretta e furia per proteggere le prove dalla pioggia, nella speranza
che non siano già state lavate via dal diluvio che Lestrade ha
attraversato per raggiungere Fulham e lo squallido prato incolto tra un
parchetto e un gruppo di case.
Il primo corpo appartiene a un uomo sulla quarantina, lo informa
Donovan.
“Niente portafogli o telefono, ma ha dieci sterline e degli spiccioli
in tasca…”
“È uscito solo per una commissione veloce? Per fare un salto al
negozio, tagliando dal parco?” ipotizza Lestrade avvicinandosi.
Se si fosse trattato di una rapina, il responsabile avrebbe preso il
denaro, almeno la banconota.
“Può darsi. È stato colpito al viso, più volte, con forza, e
accoltellato quattro volte,” continua Donovan.
“Due volte poco sopra i reni e poi altre due al ventre,” interviene
Anderson, salutando con un cenno Lestrade.
“Una stima dell’ora della morte?” domanda Lestrade.
“Direi due ore.”
“Difficile che siano più di tre. Prima delle 17.30 questa zona
dev’essere movimentata…l’orario di rientro, il parco…” precisa Donovan.
“Uhmm…”
I vestiti dell’uomo sono stropicciati e zuppi di pioggia, il sangue
attorno alle ferite ha lasciato enormi aloni rosati sulla stoffa. Il
viso è tumefatto, quasi irriconoscibile.
Lestrade non può credere di essere stato così bastardo da provare
sollievo alla notizia del ritrovamento del cadavere di quel poveraccio.
Aveva davvero bisogno della morte di quell’uomo, del dolore di chi lo
aspetta a casa, se c’è, per non pensare al fallimento del suo
matrimonio e al casino che è la sua vita? Il pensiero gli gela i
polmoni peggio dell’aria umida che li avvolge.
“Puoi dirmi che cos’è successo, Anderson?”
“Non aspetti lo strambo, questa volta?” chiede Donovan incrociando le
braccia.
“Sherlock è fuori città,” rispose Lestrade prima di pensare.
L’espressione di Anderson si inacidisce subito, all’implicita
ammissione che Lestrade lo avrebbe chiamato sulla scena, altrimenti: “È
una fortuna che il lavoro non si debba fermare per attendere Sherlock
Holmes.”
Lestrade reprime un sospiro.
“Che è successo a quest’uomo, Anderson?” chiede di nuovo. “L’assassino
l’ha colpito al volto, al ventre e poi alla schiena quando ha provato a
fuggire?” Magari ha perso il telefono fuggendo.
“No, no. L’opposto, probabilmente, o non sarebbe caduto di schiena, no?
Non ha tracce di fango sul petto,” risponde Anderson. “Deve averlo
accoltellato mentre fuggiva. L’ha raggiunto, l’ha afferrato e zack,”
mima. “Poi l’ha girato, o la vittima ha cercato di difendersi come
poteva-ha un taglio su una mano, anche-ed è caduto a terra. Ma le
ferite al volto…sulle mani non ho trovato segni di difesa compatibili
con quelle,” aggiunge. “È difficile dirlo, con queste luci e la
pioggia…sarò più preciso nel rapporto…ma forse queste sono state
provocate post mortem.”
Lestrade si rialza: “Quindi l’assassino si è accanito su di lui, dopo
averlo ucciso.”
“Personale. Rabbia, vendetta,” fa Donovan, pensierosa. Poi gli regala
un ghigno cinico: “Vedi? Non ci serve, lo strambo.”
Ma non appena mette piede nella seconda tenda, Lestrade desidera con
tutto il cuore che Sherlock appaia, contro ogni logica, a dare a tutti
degli idioti e a risolvere il caso con un’occhiata, perché l’altra
vittima è una ragazza che non può avere più di 22 o 23 anni, e ogni
secondo che passa buttata in terra nell’erba fangosa senza che il suo
assassino paghi è un oltraggio.
Anche lei è adagiata sulla schiena, ma non in modo scomposto come
l’uomo: ha le braccia distese lungo i fianchi, i piedi uniti. La gola
tagliata.
“Un affondo, non un taglio,” gli spiega Anderson. “E a giudicare dalla
posizione del corpo, dalla quantità di sangue sui vestiti e sul
terreno…”
“È stata spostata,” lo anticipa Lestrade, sforzandosi di studiare il
viso della ragazza, le sue mani, i suoi vestiti. “Quanto è distante
dall’uomo?”
Donovan risponde che sono 40 metri. A Lestrade sembrava di più, ma il
breve tratto tra gli alberi che hanno dovuto percorrere e le luci delle
lampade d’emergenza che appiattiscono tutto forse la hanno confuso.
“Chi è? L’uomo è probabilmente di queste parti, forse anche lei,” dice.
Donovan scuote la testa: “E qui si fa strano: lei non ha borsa, né
portafogli, niente cellulare, niente abbonamenti della metro, niente di
niente.”
Lestrade la guarda: “Niente che ci permetta di identificarla? Questo si
direbbe intenzionale…”
“Già. Un lavoro meticoloso, oltretutto…”
Lestrade si rimette a studiare la ragazza, rimpiangendo ancora di più
l’assenza di Sherlock. Un paio di minuti al massimo, e Sherlock
saprebbe dire che lavoro faceva o cosa studiava, dove abitava e con
chi, se praticava sport e cosa diavolo ci faceva a Parsons Green tra le
17:30 e le 18:00, l’ora del decesso, tutto guardandole la cerniera del
giubbotto, le suole delle scarpe, i capelli…
Lestrade nota un particolare e indica a Donovan: “È un hijab, quello
che indossa?”
Donovan e Anderson guardano entrambi.
“Mi sembra solo una sciarpa, boss.”
È una sciarpa: l’aveva attorno al collo, quando è stata accoltellata.
Guardi le macchie di sangue, Ispettore,” fa Anderson con sufficienza.
“Allora perché le copre i capelli, ora? Non mi sembra sia finita lì per
caso, mentre l’assassino trascinava il corpo, vero?”
La stoffa è sistemata con cura, Lestrade ne è certo, per nascondere i
capelli della ragazza. E il corpo è stato composto.
Anderson osserva con attenzione: “Non può essere finita lì per caso. Ma
cosa significa?”
“Non lo so,” ammette Lestrade.
Esce dalla tenda sotto l’acquerugiola insistente che continua a cadere.
Non ha bisogno di far cenno a Donovan di seguirlo.
“La nostra mossa?” chiede lei.
Lestrade inspira: “Chi ha trovato i corpi?”
Donovan legge sul suo taccuino: “Peter Wald. Ha fatto gli straordinari
al lavoro ed è passato per il parco. Ha visto il cadavere dell’uomo e
ci ha chiamati. Siamo stati noi a trovare la ragazza.”
“È ancora qui?”
“Sì. L’ho lasciato con un paio di agenti e una tazza di tè. Era un po’
scosso.”
“Andiamo a parlarci.”
Peter Wald e i due agenti hanno trovato riparo sotto a una pensilina
del pullman. Wald sta fumando assieme all’autista dell’ambulanza che
sta aspettando l’ordine di rimuovere i corpi.
“Buonasera, signor Wald, sono l’Ispettore Greg Lestrade. Mi spiace
incontrarla in queste circostanze. Le prometto che faremo il possibile
per permetterle di tornare a casa presto.”
Wald mormora un ‘buonasera’ e si aggrappa alla sua sigaretta come se ne
andasse della sua vita. Fa il gesto di allungare il pacchetto verso
Lestrade, ma lui lo blocca con una mano. L’autista dell’ambulanza, che
lo conosce, invece, si affretta a levargli la tentazione da sotto gli
occhi dandogli le spalle e spostandosi all’estremità della pensilina.
Peccato che non sia neanche lontanamente sufficiente.
“Signor Wald, può ripetere anche a me di come ha trovato il corpo?”
Wald racconta a Lestrade quello che Donovan gli ha già anticipato sugli
straordinari (“Il mio capo, sa, ha avuto un infarto l’anno scorso, e
ora deve prendersela più calma…così si accumula un po’ di lavoro per
noialtri, a volte…”) e sul percorso attraverso il parco.
“Se l’è ritrovato proprio davanti?” chiede Lestrade. “Era vicino al
sentiero?”
“Il…il corpo? No, in effetti, no,” risponde Wald. “Non sono
passato vicino al sentiero, ho tagliato per quel prato. Ma lui
era…vicino al passaggio. Voglio dire, il prato non è proprio piano, e
viene spontaneo passare dove c’è una leggera pendenza…Lui era più in
là, dopo una specie di dosso e non si vedeva bene. Ho pensato che fosse
un ubriaco o un senzatetto, e con questo freddo…poteva essere
pericoloso.” Wald si interrompe e sbatte gli occhi in modo gufesco.
“Così sono andato a vedere. È strano? Che sia andato a curiosare?
Insomma, non mi fa apparire…vero, Ispettore?”
“No, no, tutt’altro,” lo rassicura Lestrade con un sorriso stanco.
“Voleva aiutare. E ha fatto bene a chiamare la polizia.”
Wald annuisce e si aggrappa ancora alla sua nicotina. Lestrade si sente
prudere le mani.
“Vedrò di farla accompagnare a casa, signor Wald. Grazie per la
collaborazione.”
Quando Wald e gli agenti sono lontani, l’autista è risalito sul suo
mezzo, Lestrade e Donovan hanno la pensilina tutta per loro. Si godono
gli ultimi momenti all’asciutto.
“Che ne pensi?” chiede Donovan.
Lestrade inspira a fondo: “O l’uomo si è allontanato dal passaggio più
ovvio fuggendo all’assassino, o…”
“O anche lui è stato spostato,” conclude Donovan.
Lestrade annuisce e occhieggia il parchetto e poi le case.
“Quindi, con ordine: recintiamo e battiamo il perimetro del parco, e a
seguire le vie circostanti per trovare il luogo del delitto. E dei
delitti. Se siamo fortunati, salta fuori almeno il cellulare dell’uomo.
Magari anche il coltello.”
Donovan comincia ad organizzare tutto mentalmente, Lestrade può dirlo
dal modo in cui si guarda attorno e annuisce tra sé e sé.
Lui si gira di nuovo a osservare le case dietro di loro: molte finestre
accese, ma poche sagome affacciate sul trambusto della polizia. L’unico
vantaggio di quella pioggia, quella notte: tiene lontani i curiosi. Ma
se da una di quelle case mancasse qualcuno, da ore, ormai, qualcuno che
era uscito solo per pochi minuti, i lampeggianti blu e bianchi
avrebbero certamente richiamato qualcuno. Quindi probabilmente il loro
uomo abitava vicino, ma non così vicino.
“Troviamo due agenti per fare il giro delle case, sentiamo se qualcuno
ha notato qualcosa o sentito urlare. Magari qualcuno ha incrociato
l’uomo o la ragazza.”
Donovan fa un cenno d’assenso.
“Io e te ci spostiamo ancora un po’ e cerchiamo da quale casa è uscito
quel povero diavolo.”
Per la ragazza non c’è altro che possono fare, nell’immediato: forse
qualcuno la aspetta per cena, o resterà sveglio per controllare che non
sfori l’orario del suo coprifuoco…no, è troppo grande per un
coprifuoco, Lestrade, dannazione; ma non vuol dire che non ci siano
genitori preoccupati ad aspettarla. Domattina controlleranno tra le
persone scomparse, ma è più urgente capire dove è morta, ora, prima che
sia troppo tardi. Ma dopo ore di pioggia gelata…
Lestrade scuote la testa: “Andiamo.”
“Sì, boss.”
Note:
Grazie per aver letto questo primo capitolo!
La storia è già terminata e posterò i successivi capitoli a cadenza
settimanale, salvo imprevisti.
Ogni commento è ben accetto, specie sulle questioni poliziesche;)
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