neve d'aprile
Neve
d’Aprile
Azzurro. Il cielo era tinto di una
tonalità
fredda, come il clima di quella mattinata. I rami pungevano come aghi
di ghiaccio, i bulbi troppo pigri per schiudersi ancora. Erano in
ritardo. In ritardo come quella calca, che passava con la forza di un
fiume in piena, proprio sotto di loro.
Orde di mocciosi, gente impaziente,
teste
saltellanti di pulcini in un nido. Tutti raggruppati davanti un
cartellone, grande tre volte loro. Occhi curiosi; che schizzavano a
destra
e manca. Frugavano il loro nome, tra le scritte minuscole.
Restò in fondo, in pace. Se
ne sarebbero
andati — prima o poi. Non aveva fretta di scoprire in che
classe
fosse finito, non gli importava molto. Era un altro il risultato che
occupava la sua mente.
Continuò a palleggiare
imperterrito.
“Cinquantadue, cinquantatré,
cinquantaquattro…” — poff!
Guardò pigramente la palla
sprofondare nel manto bianco, a pochi centimetri da lui.
Sospirò.
“Questo è veramente
l’unico posto
al mondo in cui ti ritrovi con i cumuli di neve ad apri-”
Neanche il tempo di chinarsi per
prenderlo, che si
ritrovò il pallone davanti, tra due mani guantate.
Alzò
gli occhi e incontrò uno sguardo timido, incorniciato da
ciocche
castane. Un viso avvolto in una sciarpa rosa, il naso a patata che
sbucava timidamente.
“Prego.”
sussurrò la ragazza.
Era una voce famigliare —
delicata, armoniosa. Calda.
Quella voce spezzata, gli ricordava un
passato non
così lontano. Avrebbe voluto dimenticarlo, quel ricordo
estivo...
Azzurro. Il colore del cielo, del mare. È il colore che i
bambini scelgono per disegnare le persone tristi.
Lacrime.
L’aria era
intrisa di singhiozzi. Discorsi tristi recitati dagli studenti, tra cui
– se la memoria non lo ingannava – c’era
anche lei.
In piedi sul palco, vicina alla foto; un foglio - che si era rifiutata
di leggere - tra le dita tremanti. Esprimeva sentimenti sinceri. Le
parole avvolte in una bolla di nebbia. Era un discorso gentile, ma
sentiva che mancava qualcosa — un ultimo ringraziamento.
Erano vicini,
quando anche lui decise di pronunciare qualche parola. Gli doveva
tutto. Negli anni, ciò che il preside della Furano aveva
fatto
per la squadra di calcio rappresentava tutto per Hikaru.
Si era avvicinato
al microfono. Aprì la bocca; ma le parole lo abbandonarono.
La
voce tradì un gemito. Le corde vocali si spezzarono. Doveva
resistere. Non doveva arrendersi al pianto.
Non poteva.
Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo.
“Il
preside
era... una brava persona.” Il petto si gonfiò
d’orgoglio e un sorriso gli illuminò il
volto.“Ci ha
insegnato a combattere a testa alta, a restare uniti nei momenti di
maggiore difficoltà. Ci ha sempre spronato a inseguire i
nostri
sogni con passione. Per noi della squadra di calcio è stato
tutto. È stat-” scosse la testa
“Continuerà
ad essere la nostra guida. Per sempre.”
Forse aveva mormorato anche un ringraziamento alla fine, non ricordava.
Si mise da parte,
ad ascoltare il resto dei discorsi. Restò accanto alla
bambina,
per tutto il tempo. Non si rivolsero mai la parola, neanche si
presentarono.
Scesero dal palco,
in silenzio. E quando lui, per quell’attimo di lontananza
dalla
folla, cedette all’istinto di affogare nella manica della
giacca
blu, lei gli prestò un fazzoletto.
Una lacrima. Solo una lacrima da
asciugare il giovane capitano poteva permettersela, no?
“Grazie” - un
attimo, per ricordare
vagamente il nome pronunciato dal vicepreside quel giorno -
“… Fu-Fujisawa, giusto?”
La ragazza sorrise e annuì
leggermente.
“Io invece sono
Matsu-”
“YOSHIKO!!”
Una voce stridula lo troncò.
Saltellava. Un groviglio di rame sbucava tra le
capocchie delle altre matricole. Si faceva largo tra la folla,
senza troppi complimenti. Una corsa lenta, affossata dalla neve.
Sbucavano i calzettoni di lana spessa, il cappotto marroncino e la
sciarpa, che aiutava la produzione di nuvolette. Nuvolette che le
peggioravano ancora di più la vista. Sbuffava ritmicamente.
Li
raggiunse, nonostante fosse controcorrente. Fu un miracolo che non
inciampò nel tragitto.
“Abbiamo avuto
fortuna!” ansimò “Siamo in classe
insieme: prima B!”
“Ottimo!”
L’atteggiamento di Fujisawa si
rivoltò
come un calzino. Era più aperta, più allegra,
più
tranquilla.
“Uh?” La nuova
arrivata non poté
far a meno di notare il ragazzo con cui l’amica
conversava.“Sei quello che si è presentato ai
provini
stamane?” - ottenne solo un cenno in risposta -
“Tranquillo, ti hanno preso di sicuro!”
“Eh?” Matsuyama
sbatté le
palpebre più di una volta “Beh, non che ci
volesse
tanto... Da che ne so, anche nella squadra delle medie mancano
membri...”
La quattrocchi lo squadrò per
bene, da
sinistra a destra, dalla testa ai piedi. Aveva uno sguardo dubbioso e,
a forza di avvicinarsi, stava per farlo cadere all’indietro.
“La prima cosa che faccio agli
allenamenti di
oggi è rimetterti a posto quel monociglio che ti
ritrovi…”
“Scusami?!”
Che confusione. Chi diavolo era quella
ragazza? Come
sapeva che aveva passato la selezione? E perché aveva tirato
fuori un discorso sull’estetica come se fosse sua madre?
“Scusa, la franchezza, ma non
ti conosco.”
“Eh? Hai davanti Machiko
Machida, manager della squadra di calcio!”
Aveva un portamento orgoglioso, mentre
ripuliva le lenti.
Matsuyama alzò un
sopracciglio.“Hanno
posto per una manager?”
“E lei è Yoshiko
Fujisawa,
l’altra manager.” Ripresentò
l’amica, con un
sorriso soddisfatto.
Ora il ragazzo era decisamente
esterrefatto.“Hanno
il posto per ben due manager??”
Non ebbe il tempo di riprendersi.
Machiko prese Yoshiko per il polso, trascinandola via.
“Sarà meglio
sbrigarsi o faremo tardi!”
L’altra zompettò
titubante. Timida. Non
se la sentiva di lasciare il ragazzo così, di punto in
bianco.
Accennò giusto un saluto: “C-ciao!”
“Ci... vediamo...”
mormorò Hiakru.
Sparirono nel bianco. Rimasero solo le
impronte
nella neve. Fece vagare lo sguardo tra le nuvole, i rami scoperti, i
foglietti volanti. Sbatté le palpebre. Non era sicuro di
cosa
fosse appena successo; ma doveva andare avanti.
Trascinò a fatica il pallone.
Lo calciò con pesantezza.
Buttò un occhio sul
cartellone: “Prima B…”
Sfortuna volle che finisse nella sezione
C. Avrebbe
pian piano scoperto com’era passare dall’inverno
alla
primavera.
***
Azzurro. Il cielo era tinto di una
tonalità
calda, come il clima di quella mattinata. I rami carezzavano come un
vento estivo, i fiori troppo giovani per appassire ancora. Erano in
anticipo; come la calca, che passava con la forza di un fiume in piena
sotto di loro.
Orde di ragazzi, gente ribelle, teste
assonnate di
animali in letargo. Tutti raggruppati davanti un cartellone grande tre
volte loro, cercavano scritte minuscole.
“Cinquantadue, cinquantatré,
cinquantaquattro…” — poff!
Guardò pigramente la palla
sprofondare nel
manto rosato, a pochi centimetri da lui. Alzò
gli occhi al cielo.
“Preferivo quando Furano era
l’unico posto al mondo con cumuli di neve ad apri-”
Neanche il tempo di chinarsi per
prenderlo, che si
ritrovò il pallone davanti. Tra due mani delicate, sottili
— femminili. Alzò lo sguardo per incontrarne un
altro —
timido, incorniciato da ciocche castane.
“Sorpresa...”
sussurrò la ragazza.
Trattenne il respiro per un istante.
Solo per accertarsi che non stesse sognando.
Sfilò il pallone dalle sue
mani. Lentamente. Percepiva la pelle liscia; quelle dita, gli erano fin
troppo famigliari.
“Yoshiko!”
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N.A.: Ho
semplicemente scoperto d’aver finito questa oneshot qualche
tempo
fa. E per me non c’è mai abbastanza Matsu/Yoshiko
♥
Spero vi sia piaciuta, ci si rilegge in giro!
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