family secret -genji
Family Secret
Genji & Hanzo Shimada
Work Text:
- Sei in ritardo.
"Sono le quattro del mattino"
Hanzo lo disse con freddezza, senza staccare le mani dal volante ne voltare la testa verso di lui.
Nel suo tono di voce vi era il gelido distacco che usava per dispensare
minacce e pochi sopravvivevano alle sue parole. C'era qualcosa nella
linea acuta delle sue sopracciglia, o sulla punta degli zigomi
accentuati, che lo faceva sembrare sempre troppo serio.
Genji, tuttavia, vi era abituato.
La camicia bianca aveva i bottoni del colletto strappati e c'era del
rossetto sul suo petto. Schioccò la lingua impastata dall'alcol
e si aggrappò con entrambe le mani allo sportello aperto della
Mercedes.
"Sei venuto a prendermi!" sorrise allegro "Credevo-umh. Non avevo preso la mia auto?"
"L'hanno ritrovata a due isolati da qui." ancora Hanzo si ostinava a tenere gli occhi fissi sulla strada "Nel fiume."
Genji si trascinò nell'auto e rise appena, lasciandosi cadere sul sedile del passeggero senza dire niente.
"Lo trovi divertente?!"
Hanzo era sempre statico, immobile, ma sotto la pelle il suo sangue
ribolliva. Nelle vene aveva solo rabbia rossa, veleno per l'anima.
Quando guidava indossava i guanti. Anche quando uccideva. Ruotò
la chiave nel quadro di accensione ed il motore dell'auto rombò,
riscaldandosi in fretta.
Genji si strofinò gli occhi senza smettere di sorridere. Umh,
merda. Aveva perso gli occhiali da sole. Doveva averli lasciati da
qualche parte al piano superiore, tra i privè a luci rosse. Era
quasi sicuro che, mentre era nei cessi del locale con in gola il cazzo
di- umh- adesso il nome gli sfuggiva... beh, lì era sicuro di
averli ancora.
"Ho perso i miei occhiali." sentì il bisogno di aggiornare anche Hanzo.
"Hai perso la tua dignità" lo freddò lui mettendo in moto.
Hanamura era una città che non dormiva mai. Le insegne dei
negozi erano ancora accese, così come i lampioni. Ogni
riflesso faceva brillare la carrozzeria bianca dell'auto e tutto era in
movimento oltre il vetro.
"Sono così felice che sei venuto, fratello!" la vista di Genji
era annebbiata quanto il suo udito. Le pupille dilatate reagivano poco
alla luce e vedevano solo quello che intendeva vedere "Fino a che non
vado a dormire il giorno non finisce! Sapevo che non ti saresti mai
perso il mio compleanno!"
Le mani di Hanzo si strinsero sul volante, i guanti scricchiolarono.
- Dove eri finito?
"Ti stiamo cercando da due giorni..." sibilò Hanzo a denti stretti.
La luce di un lampione si riflesse sul cruscotto e poi sulle ginocchia
di Genji. I pantaloni del completo erano strappati al ginocchio e
macchiati lungo tutta una coscia.
Sbattè le palpebre cercando di elaborare l'informazione ma qualcosa nella sua memoria si inceppò.
Aveva preso la macchina, era il suo compleanno. Il locale a luci rosse,
il privè, la colazione assieme a loro padre. Era uscito per- si
strofinò le narici con due dita e tirò su con il naso
-per festeggiare!
Hanzo non avrebbe mai mancato il giorno. Gliel'aveva chiesto, no? Di uscire insieme a far festa!
Era il suo compleanno, non potevano essere passati due giorni! Non era
ancora andato a dormire, il giorno non era ancora finito! La colazione
insieme a loro padre, il magazzino, il garage, la macchina.
Rise, credendo di capire la battuta, e tirò un pungo leggero
sulla spalla di Hanzo. Non notò quanto si irrigidì al
tocco, o il serrarsi delle sue labbra...
"Sei divertente, Hanzo! Proprio divertente! Dai, andiamo da qualche
parte solo io e te, finiamo di festeggiare! Non ci metteremo nei guai!"
- Siedi composto.
La luce del semaforo era ancora arancione ma Hanzo inchiodò.
Genji non si era disturbato ad allacciarsi la cintura quindi si
piegò sul cruscotto e per poco non vi batté la faccia
contro. Imprecò tra i denti e poi rise borbottando qualcosa a
mezza voce, parlando con se stesso. Hanzo era ancora seduto come quando
aveva aperto la portiera, il mento alto e lo sguardo tagliente. Nel
piccolo spiraglio di carne che separava l'orologio costoso dall'orlo
della camicia, i nervi del suo polso erano tesi, in rilievo sulla pelle.
"Non ci metteremo nei guai?!" le sue mani si strinsero contro il
volante, i guanti scricchiolarono "Riesci almeno a capire quello che ti
sto dicendo? Due giorni, Genji! Due giorni! Credi che nostro padre sia
così sciocco? Credi che non veda tutto quello che fai? Il suo
stupido Sparrow!"
Il sorriso sul volto di Genji non si spense, ma gli angoli della sua
bocca scivolarono più in basso. Scosse la testa cercando di
mettere a fuoco qualcosa che non era la vista. Qualcosa che gli morse
lo stomaco facendogli aprire la bocca per riuscire a respirare...
"Hanzo..." era il suo compleanno. Perché doveva essere arrabbiato anche per il suo compleanno?
Non poteva per una volta, una soltanto, provare ad essere felice con lui?
"Non una parola di più" lo freddò Hanzo "Ragionare con te è come parlare al vento. Ti riporto a casa."
La luce del semaforo diventò verde. La macchina rombò di
nuovo e le luci ripresero a specchiarsi sul cruscotto. A tratti
illuminavano le mani di Genji, abbandonate sulle sue ginocchia come se
ne avesse perso il controllo. Aveva le punte delle dita macchiate d'un
rosso scuro che pareva sangue ma era vino, poiché il sangue
seccava, scheggiava, si rompeva e diventava polvere. Il sangue era
più facile da lavare via del vino; le macchie restavano sugli
abiti e sulla pelle, trascinando un altro bicchiere tra le sue dita.
Genji alzò una mano per afferrare il bicchiere e poi
sbatté le palpebre, rendendosi conto che non c'era. Aveva sete.
"Non voglio tornare a casa" disse.
"Ho detto non una parola di più."
"Non voglio tornare a casa!" ripeté Genji alzando la voce "E' la mia festa! Fammi scendere!"
In tutta risposta, Hanzo chiuse gli sportelli.
- E non formulare scuse.
Genji afferrò la maniglia e la strattonò, frustrato.
"Hanzo!" gridò. Il sorriso era sparito. "Fammi scendere ho detto!"
Il morso nel suo stomaco si fece più tagliente. C'era qualcosa che non andava.
Tirò un pugno contro il vetro del finestrino ma una voce nel
retro della sua mente gli disse che era vetro antiproiettile, che non
sarebbe servito a nulla.
Era un pensiero lucido, coerente, anche se a tratti si sentiva leggero
come una nuvola e subito dopo pesante come un macigno. Rimase con il
pugno posato sul vetro a guardare negli occhi il proprio riflesso.
Il suo viso era immobile, appena visibile oltre il rapido susseguirsi
della città dietro di esso. Sfrecciava di luci e colori ma non
erano abbastanza per nascondere il labbro rotto, né i baci
stampati col rossetto sul suo collo. I capelli verdi erano ancora pieni
di gel, ma erano stati tirati, spostati, dita ci erano passate in mezzo
cambiandone la forma e scombinandoli. Aveva perso gli occhiali da sole
e adesso non vi era niente a nascondere le occhiaie scure,
terribilmente in risalto sulla sua pelle.
Due giorni, e la festa non sarebbe finita fin quando non fosse andato a dormire.
Cazzo! Il magazzino, il carico appena arrivato, la busta di plastica
che si era fatto scivolare nella tasca, la colazione con loro padre, la
porta del garage che si apriva, il portachiavi che continuava a
sbattere contro il cruscotto e la nuca di quella bella ragazza dai
capelli scuri, piegata tra le sue gambe mentre l'auto sfrecciava tra le
via della città. Il ristorante, il locale, la torta di
compleanno, la scazzottata, il coltello, la stanza della polizia. Quel
poliziotto carino che porta sempre la foto della figlia nel
portafoglio, quello a cui vendono la cocaina. La stanza dell'hotel, il
frigobar, il sesso, un altro locale ed era giorno. La torta di
compleanno, diversa stavolta... ed Hanzo non c'era.
Digrignò i denti e distolse lo sguardo dal finestrino. Il morso
nel suo stomaco era rabbia e si fece strada graffiando nella sua gola,
fino a trasformarsi in parole.
"Perché devi sempre rovinare tutto?!"
Hanzo era ancora una statua, viva solo grazie ai micromovimenti che gli
servivano per pilotare l'auto. Il leggero spostarsi delle due mani sul
volante ed il ritmico alzarsi e abbassarsi delle scarpe scure sui
pedali erano tutto ciò che di lui era ancora umano. Le sue
labbra serrate erano di pietra come lo era il guscio duro in cui
cercava di rinchiudere il proprio cuore. Le parole non scalfiscono la
pietra.
"E' tutta colpa tua!" gli urlò Genji "Andava tutto così
bene fino a che non sei arrivato! Mi stavo divertendo, cazzo! Ti
costerebbe tanto per una volta, una fottuta volta, lasciarmi in pace e
farmi fare quello che voglio?!"
"Quello che vuoi?!" la voce di Hanzo uscì cupa, tonante, ma
comunque non lo degno del suo sguardo "Fai sempre quello che vuoi!
Cresci, Genji!"
"Ah adesso devo crescere? Devo crescere ma non posso uscire con la mia
auto, andare fuori una sera, festeggiare il mio maledetto compleanno?!"
"Questo non è crescere, Genji! E' solo aver l'età legale per farlo!"
"E quando avrò l'età legale per poter uscire senza dover
sempre essere seguito? E per poter avere degli amici a cui non mancano
le dita? Quando potrò festeggiare il mio compleanno con mio
fratello senza che lui venga solo a riportarmi a casa?!" il
gridò gli arrochì la gola ed un singhiozzo gli
incastrò le parole tra la lingua e il palato, ma non avrebbe
pianto. Era troppo arrabbiato per piangere... almeno questo lui ed
Hanzo lo avevano in comune.
Suo fratello rimase in silenzio a lungo, continuando a guidare. Le luci
della città facevano accendere e spegnere il suo volto
con riflessi di insegne e vetrine, a volte nascondendolo
nell'ombra e a volte facendone brillare i lineamenti così simili
a quelli di loro padre. Gli stessi zigomi, le stesse labbra, la stessa
espressione.
- Devi essere migliore di così.
"Mi chiedi quando..." rispose. La sua voce si era fatta più
bassa, non gridava più, ma il tono era sempre diretto e
tagliente "e sai la risposta. Quando smetterai di essere egoista,
Genji, ed inizierai a capire che far parte di questo clan, degli
Shimada, comporta anche dei sacrifici."
"Non voglio far parte del clan" singhiozzò Genji "Voglio far
parte di questa famiglia! Voglio solo-" prese fiato, lo sterno
schiacciato da una sensazione di vulnerabilità "-uscire con te e
papà per un cazzo di pranzo! Trovare una ragazza che non stia
con me per
i miei soldi o che non scappi per il mio cognome! Andare al cinema il
sabato sera- fare cose normali! Non è chiedere tanto!"
"Ma sono molte richieste" lo freddò Hanzo "E sai che sono impossibili."
Fottuto Hanzo. Sempre a dare ordini e pretendere.
Genji si infilò una mano in tasca e ne tirò fuori il
contenuto, rovesciando qualche spicciolo e mentina sul tappetino
dell'auto. Mise a fuoco la carta di credito e la sua bustina di
plastica. Rovesciò la polvere sul cruscotto e la tagliò
in linee con la carta, poi vi si piegò sopra e si tappò
una narice, inspirando forte.
Solo allora Hanzo voltò lo sguardo verso di lui, attratto dal
rumore. Aprì la bocca per dire qualcosa, le sue sopracciglia di
contrassero con rabbia... ma fu solo per un attimo ed i suoi occhi
schizzarono di nuovo sulla strada.
Aveva visto tante cose che aveva dovuto fingere di dimenticare.
L'uomo a cui avevano tagliato la gola per aver collaborato con un clan
avversario non era più difficile da tener segreto della cocaina
che Genji rubava dal magazzino.
Lo sapevano tutti, ma se nessuno lo diceva restava un segreto. La colpa tanto cadeva sempre su qualcun'altro.
"...torniamo a casa, Genji. Non una parola di più"
"Sei in ritardo."
Hanzo si inchinò appena sulla soglia, scusandosi in silenzio.
Sojiro sedeva a capotavola e la colazione era già servita,
l'orologio segnava le sette e trentacinque del mattino. Cinque minuti
in più del solito.
Vicino al piatto di Genji vi era un pacchetto dallo stile elegante, una
piccola scatolina nera, e la sua sedia era vuota quanto quella di Hanzo.
"Dove eri finito?" chiese Sojiro senza alzare gli occhi dal giornale.
Hanzo si sedette alla sua destra, facendo scorrere la sedia senza fargli fare rumore.
"Mi dispiace. Mi hanno trattenuto per un problema al magazzino, mancava parte del carico ma-"
"Siedi composto." Sojiro gli batté due dita su un gomito,
spingendoglielo giù dal tavolo "E non formulare scuse. Devi
essere migliore di così."
In quel momento sulla soglia comparve Genji, pantaloni eleganti e
maglietta del pigiama, ma il sorriso di loro padre si allargo. Mise via
il giornale e si alzò in piedi per accoglierlo come se la
trasandatezza fosse un pregio su di lui, ed il ritardo un crimine non
punibile. A lui tutto era perdonato, lui non doveva caricarsi sulle
spalle il peso di un impero.
Lo sguardo avanti, le labbra serrate, le mani chiuse in pugni sotto al
tavolo. Hanzo li sentì ridere come fosse un rumore registrato in
sottofondo, senza ascoltare, e rimase seduto composto.
"Verrai al mio compleanno?" Genji lo scosse dal suo silenzio
battendogli una mano contro una spalla "Possiamo andare in città
insieme, ci divertiremo!"
Ma il guscio del cuore di Hanzo era di pietra, doveva esserlo. Le scuse
non bastavano e con il carico che era sparito doveva risolvere o
trovare qualcuno da accusare. Non aveva tempo per festeggiare.
"No, Genji. Ho del lavoro da fare."
Doveva essere migliore di così.
Sapeva tenere un segreto.
Notes:
C'era
una volta coca-Genji e la faccia che ho fatto due anni fa quando di
Overwatch non conoscevo nient'altro che il trailer ed ho letto sul sito
ufficiale che Hanzo trafficava armi e droghe mentre Genji faceva il
playboy.
Best plot twist ever. Bless Blizz.
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