Storybrooke.
Non
era una bella giornata.
E
non era solo dovuto al tempo. Il cielo era coperto e il vento era
freddo. Tra
non molto le nuvole grigie avrebbero scaricato un bel po’ di
pioggia.
Ma
c’era qualcosa di strano nell’aria.
Trilli
era in apprensione e non riuscire a capire perché la rendeva
ancora più
nervosa. Era sicura che anche Turchina avesse percepito che stava per
succedere
qualcosa.
Erano
settimane che Storybrooke era tranquilla. Nessun mostro. Nessun demone
alato.
Nessuna Strega Perfida all’orizzonte. Nessun morto da andare
a prendere
all’Inferno. Emma Swan era tornata a casa e lei e Regina
vivevano felici e
contente. Marian era stata graziata da Zeus in persona.
-
Verdolina!
Lo
strillo di Flora la riscosse dal torpore. I fiori che aveva fatto
sbocciare con
un tocco della bacchetta si richiusero di colpo, infastiditi dalla voce
stridula che la chiamava.
-
Verdolina, vieni subito! Io credo che sia morta!
Lei
corse in direzione della voce. Vide subito Flora e Fauna chine sulla
sponda del
lago. Entrambe con le loro uniformi azzurre che svolazzavano. Una con
la
sciarpa rossa e l’altra con la sciarpa verde legate al collo.
C’era
un corpo sul prato.
Trilli
si infilò tra le due fate decisamente più alte di
lei, aprendosi un varco con
le braccia.
-
Non è morta, Flora. Sta respirando. – le disse
Fauna.
La
fata Nova era svenuta e pallida. Indossava la stessa uniforme azzurra
delle
altre fate e che aveva anche quando era partita per la Foresta
Incantata, mesi
prima, ma la sua era stropicciata.
Turchina
l’aveva spedita alla Corte Seelie, dalla regina Titania.
Prima o poi tutte le
fate ci andavano. Significava che non erano più apprendiste
ma stavano salendo
di livello.
-
Che cosa facciamo? Vedi anche tu quello che vedo io, vero?
-
Fauna, smetti di urlare. Non ce n’è bisogno.
– disse Trilli, sapendo bene che
Turchina non sarebbe stata affatto contenta. Nova non sarebbe dovuta
tornare.
Non ancora. Le fate passavano anni alla Corte Seelie prima di essere
mandate a
casa. – Dobbiamo portarla via. Torniamo
all’Istituto. E facciamo attenzione.
Potrebbe essere ferita.
-
Beh, certamente è ferita! – gridò
Fauna, anche se Trilli le aveva appena detto
di non strillare. – Non ha più le ali!
***
Foresta
Incantata.
Qualche mese prima.
L’erba
era già molto alta, ma Nova distingueva ancora il sentiero.
Si
snodava un po’ a zigzag, su per un pendio, perdendosi nel
cuore della foresta,
che sembrava espandersi intorno a lei, folta e verdissima. E sempre
più oscura.
Stando
alla mappa, non doveva mancare molto all’ingresso della Corte
Seelie.
E
allora affrettati.
Affrettati, perché non è bene stare ferma nello
stesso punto.
Quella
doveva essere la voce di Turchina.
Nova
si ingigantì, illuminando brevemente la penombra e
dispiegò la vecchia mappa
che le avevano dato prima di partire.
In
teoria avrebbe dovuto costeggiare il fiume ed aggirare il territorio
delle
Amazzoni. Avrebbe dovuto costeggiarlo fino a raggiungere una cascata. A
quel
punto doveva inoltrarsi nel bosco e seguire il sentiero. Fino al lago,
che era
la porta.
In
teoria.
Solo
che non udiva più il suono del fiume. Il suo gorgogliare si
era perso da un
pezzo dietro ai suoi passi.
Avrebbe
tanto voluto che Ruby e Scricciolo fossero ancora con lei, ma Ruby
aveva
seguito le tracce di un branco di licantropi, verso ovest, mentre il
gigante si
era diretto verso nord, ossia verso la terra dei suoi simili.
Era
sola.
-
Bene. – disse Nova, riavvolgendo la mappa. – Mi
sono persa.
Aveva
una paura folle e, a mano a mano che il sentiero si restringeva e si
inoltrava
nel cuore della Foresta Incantata, la paura aumentava. Stava diventando
terrore.
C’era
qualcosa di peggio della pazzia, lì. Qualcosa di molto
brutto e molto grave.
C’era
l’odore degli alberi, il profumo dolce del pino e
dell’abete, della corteccia e
della linfa. Ma i suoi sensi erano all’erta e se ascoltava
bene... c’erano
altri odori. Più inquietanti. Odore di marcio. Odore di
palude.
Potrei
tornare indietro.
Sì, certo, potrei farlo. Il sentiero è qui. Se
torno indietro, forse troverò il
fiume. Potrei usare la magia e ritrovarlo.
Però
i suoi piedi si spostavano in avanti, sempre avanti. Quasi ci fosse una
calamita in quei boschi... e la calamita la costringeva a proseguire,
non le
avrebbe mai permesso di tornare indietro. La calamita voleva spingerla
ad
abbandonare il sentiero e a perdersi nell’oscurità
sempre più fitta che la
circondava. La attirava per trascinarla verso un punto... un punto. Da
qualche
parte e, una volta raggiunto, non sarebbe più riuscita a
tornare sui suoi
passi.
Per
un momento, Nova fu sul punto di farlo. Fu sul punto di abbandonare il
sentiero
ed inoltrarsi nella Foresta.
Stai
attenta, le
aveva detto Turchina. Non comportarti da
sciocca. Segui la mappa e cerca di ricordarti quello che ti
è stato insegnato
quando arriverai alla Corte Seelie. È un momento molto
importante del tuo
addestramento.
Poi
un ramo si spezzò alla sua destra. Si ruppe con un rumore
secco, simile ad un
colpo di pistola. La riportò esattamente dov’era e
a ciò che stava pensando di
fare. In preda al panico, girò goffamente su sé
stessa, sapendo che avrebbe
potuto rimpicciolire, ma era troppo spaventata per provarci. Con la
gola
stretta e la faccia deformata dalla smorfia di sgomento di chi si
sveglia e
scopre di essersi avventurato sul cornicione di un grattacielo, la fata
estrasse la bacchetta, puntandola in svariate direzioni.
-
Chi c’è? – chiese, udendo chiaramente
rumori di cose in movimento.
Nova
si spostò, barcollando e uno dei suoi piedi
affondò in una pozza d’acqua
melmosa. Le sfuggì una stridula esclamazione di sorpresa,
mentre inciampava e
precipitava. Batté la fronte contro una pietra che sbucava
dal terreno e il
mondo diventò grigio, riempiendosi di luccicanti stelle rosa.
“Sei
tu.”
“Noi...
ci siamo già
conosciuti?”
“Sei
la donna che ho
visto in sogno prima di uscire dall’uovo, l’anno
scorso.”
“Tu
hai solo un anno?”
“Lo
so. Dimostro meno
della mia età.”
Altri
due rami cedettero con sinistro rumore e dal folto del bosco si
levò una risata
roca e sghignazzante. Era vicinissima ed era un suono immenso. Non era
possibile immaginare quale creatura potesse emettere un simile suono.
Nova
spalancò gli occhi di scatto e lo stordimento
passò. Si mise a correre, con la
bacchetta ancora in pugno, cercando di gridare ma senza riuscirci.
Stava ancora
correndo e tentando di gridare, ma invano, quando finalmente il
sentiero si
aprì.
Pensò
febbrilmente di essere arrivata. Dopotutto, era possibile che avesse
raggiunto
il lago. Il suo vestito rosa era tutto strappato e sporco di fango.
Aveva
perduto il fermaglio e i capelli le ricadevano ai lati del viso.
“Sentirai
qualcosa. Dei
suoni. Non ascoltare per nessuna ragione. Se è necessario,
usa la magia. Ma non
lasciarti paralizzare dalla paura.”
Non
c’era nessun lago. Avrebbe dovuto esserci un pendio, nel
quale erano intagliati
una ventina di gradini molto stretti e che conducevano alle rive del
lago.
No.
Decisamente non c’era. Era sbucata in una piccola radura. I
suoi piedi e i
polpacci sparivano in una nebbia grigia e densa che aderiva al terreno.
L’aria
era più calda, vibrante. Tutto era immobile, come se la
natura stesse
ascoltando e si preparasse ad un attacco. Doveva essere ancora giorno,
ma gli
alberi erano così fitti che la luce del sole non passava.
Nova
fece un giro su sé stessa. Ne fece un altro, sentendosi
sempre più terrorizzata
e sempre più sciocca.
L’altra
entrata.
La
Corte Unseelie. Era nel territorio della Corte Unseelie, il Regno
Oscuro? La
porta che conduceva al mondo governato dalla Fata Nera era vicina?
-
Oh... – mormorò Nova. – Oh, no... oh,
cielo.
La
voce, quella risata agghiacciante, si fece sentire ancora. Stavolta
proveniva
da sinistra. Qualche momento dopo risuonò a destra e alle
sue spalle.
Poi
all’improvviso la nebbia perse la sua luminosità e
Nova si rese conto che
nell’aria di fronte a lei era sospesa una brutta faccia
ghignante. Gli occhi
grandi erano gialli e infossati. I denti non erano denti, ma zanne e le
orecchie erano grandi corna ricurve. Farfugliò qualcosa, ma
Nova ovviamente non
capì nemmeno una parola. La punta della sua lingua biforcuta
danzò, pigramente.
Nova
agitò la bacchetta a casaccio. Un fascio di luce luminosa
colpì la testa
fluttuante, che si dissolse per qualche momento per poi ritornare
più compatta
di prima. Iniziava a formarsi un corpo. Un corpo con due braccia umane,
ma
lunghi artigli al posto delle unghie.
La
faccia scattò in avanti, spalancando le fauci e Nova si
tirò indietro,
gridando. Cadde nell’erba alta, in mezzo alla nebbia densa e
perse la
bacchetta.
“Sei
sicura di voler
andare da sola?”, le
aveva detto Ruby, prima di incamminarsi
verso ovest. “Non è
sicuro. Potrei
seguirti fino al lago.”
“Devo
andare da sola.
Tutte le fate lo fanno.”
Mentre
cercava a tentoni la bacchetta, sempre più ansante e
disperata, sicura che il
mostro l’avrebbe mangiata, Nova si pentì di non
aver accettato. Ma Ruby doveva
trovare il suo branco, così come lei doveva trovare la
strada per la Corte
Seelie.
La
creatura mostruosa ora era gigantesca, troneggiava sopra di lei,
bucando la
nebbia. Udì un tonfo di piedi da elefante che calpestavano
il terreno.
Una
mano si allungò, bramosa, verso la fata.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Nova si riprenderà. – disse Turchina, ma con una
voce piatta e tesa che non
lasciava presagire nulla di buono. – Dormirà per
qualche ora. Non cercate di
svegliarla. Ha bisogno di riposo.
-
Certo. – disse Trilli.
-
E non fate entrare nessuno.
Trilli
non disse niente. In realtà, non era sicura che sarebbe
riuscita a far entrare
qualcuno, ma presto avrebbero ricevuto una visita. Mentre tornavano
all’istituto, portando Nova con loro, avevano incrociato il
nano che starnutiva
sempre. Trilli gli aveva dato un messaggio per Leroy. Eolo non se
l’era fatto
ripetere due volte ed era partito in direzione delle miniere.
Ma
era Eolo, poi? O Mammolo?
Trilli
tendeva a confonderli.
-
Sapevo che non doveva mandarla laggiù da sola. Io
l’avevo detto! – strepitò Fauna,
dopo che Turchina se ne fu andata. Si tormentava la sciarpa, allentando
il nodo
e poi tornando a stringerlo.
-
Tutte vanno da sole, Fauna. Anche tu ci sei andata da sola. –
ribatté Flora. –
Sono queste le regole. È sempre stato così.
-
Ma Nova non è come noi. Lei è... diversa.
-
Diversa?
-
Turchina la chiama sognatrice. Nessuna fata è come Nova. Ed
è imbranata!
Flora
rifletté qualche istante. – Molto imbranata!
-
E a proposito del nano... Verdolina, non avresti mai dovuto farlo. Ti
rendi
conto che se il nano viene qui Turchina non lo farà mai
entrare? – disse Flora,
più agitata che mai.
-
Non solo non lo farà entrare, ma noi finiremo nei guai.
– disse Fauna.
-
Mi chiamo Trilli. E nessuna di voi due finirà nei guai.
Turchina non è qui
adesso. – le rassicurò Trilli.
-
Non importa. Finiremo nei guai comunque. – tornò a
dire Fauna.
-
Forse... potrei parlarle. Ragionarci. – Trilli si
avvicinò al letto in cui
avevano sistemato Nova e le rimboccò un po’ le
coperte.
-
Ragionare?
-
Con Turchina? – le fece eco Flora.
-
Non sarà così terribile. – disse
Trilli. Sapeva benissimo che poteva esserlo,
ma doveva trovare un modo. Magari, invece di ragionarci, poteva
distrarla, nel
caso in cui fosse tornata mentre Leroy era nell’istituto.
-
Oh, sì che lo sarà.
-
Nova ha perso le ali, ormai. Cosa volete che importi? –
Trilli non era
semplicemente preoccupata. Era anche furiosa. Non capiva come fosse
accaduta
una cosa del genere e soprattutto pensava fosse ingiusto.
Sì, molto ingiusto.
Ingiusto che Nova non avesse più le ali. Ingiusto che Leroy
non potesse
accedere all’Istituto della Madre Superiora.
Lei
sapeva benissimo cosa significava perdere le ali. Cosa significava cadere.
-
Le importa. Finché non capirà che cosa ha
combinato Nova, le importerà. – disse
Fauna.
-
Chi dice che ha combinato qualcosa?
-
Ha perso le ali. È ovvio che ha combinato qualcosa...
Trilli.
-
Potrebbe essere un malinteso.
Flora
scosse la testa lentamente. – Non perdiamo le ali per dei
malintesi. È una
sciocchezza bella e buona.
-
E se fosse stata... non so, la Corte Unseelie? Quelle creature
malefiche... –
suggerì Fauna.
-
La Fata Nera!
Fauna
gettò un’occhiata lungo il corridoio, come se si
aspettasse di veder sopraggiungere
un’orda di mostri partoriti dalla Corte Unseelie e comandati
dalla Fata Nera in
persona.
Tutto
quel vociare avrebbe svegliato chiunque, ma Nova continuava a dormire.
Ogni
tanto gli occhi si agitavano sotto le palpebre. Ma per il resto era
immobile.
Non era ferita. Turchina aveva detto che stava bene e che era dovuto al
trauma.
Però aveva un aspetto fragile, come se la sua stanchezza
fosse immensa.
Abissale.
-
Tuttavia, ci deve essere un sistema. Per il nano, intendo. Anzi...
c’è! –
esclamò Flora, quasi avesse avuto un’epifania.
Estrasse la bacchetta. – Potrei
trasformarlo... e se i muri avessero le orecchie? Forse è
meglio...
-
Parla, Flora. Turchina non c’è. – la
incitò Trilli.
***
Foresta
Incantata.
Qualche mese prima.
Il
mostro con gli occhi gialli stava per affondare gli artigli nel corpo
di Nova,
quando un fascio di luce magica lo colpì alla testa.
Era
magia molto potente, decisamente più potente della sua,
perché la creatura
della Corte Unseelie lanciò un grido disumano, sbatacchiando
le braccia enormi
e strizzando le palpebre.
Nova
tastò il terreno alla ricerca della bacchetta e la
trovò.
Un’altra
esplosione azzurrina. Nel petto possente del gigante si aprì
uno squarcio.
Altre grida che le ferirono le orecchie.
Pensò
di sognare quando vide due uomini a cavallo. Aggirarono la creatura,
fendendo
l’aria con le loro lance luminose. Poi un puntino luccicante
disegnò scie magiche,
circondando il corpo della creatura.
Nova
guardò con gli occhi sbarrati quel corpo mentre si
disfaceva.
Fu
come guardare un castello di sabbia che crolla lentamente dopo essere
stato
colpito da un inimmaginabile piede.
-
Oh... – riuscì soltanto a dire.
Poi
uno dei cavalieri le si accostò, parlandole. Le chiese se
stava bene e glielo
chiese nella sua lingua. Era un elfo. Orecchie a punta e sopracciglia
oblique,
era di corporatura esile ma anche solida. Nella mano destra stringeva
la lancia
e a tracolla portava un arco possente, insieme ad una faretra piena di
frecce
dall’impennaggio di cigno.
-
Sto bene. Grazie. – rispose Nova. Non sapeva ancora parlare
bene l’elfico ed
era sicura che se ci avesse provato, avrebbe fatto una pessima figura.
L’altro
cavaliere sembrava più vecchio del primo, con i lineamenti
più affilati, gli
occhi splendenti come gemme e una spada infilata nella cintura. Sul
capo
indossava un elmo di bellissima fattura, d’argento e ambra.
Il
puntino luminoso che aveva sconfitto la creatura si
ingigantì, assumendo una
grandezza umana.
-
La Corte Unseelie poteva fare di meglio. –
commentò la fata, ritirando le
proprie ali e nascondendo la bacchetta sotto la tunica blu.
Nova
restò là a fissarla, sapendo benissimo chi era.
Non l’aveva mai vista, ma
Turchina aveva ragione quando diceva che l’avrebbe
riconosciuta in ogni caso.
-
Ben arrivata, Nova. – Lo sguardo della regina Titania era
ancora ripieno del
suo potere. Le iridi erano color oro. Scolorirono lentamente per
recuperare il
colore originale, un magnetico verde chiaro.
-
Mia... mia regina... – balbettò Nova, ricordandosi
di inchinarsi forse un po’
troppo tardi. – Sono... davvero onorata.
-
Sì. Vorrei che foste stata anche più prudente.
– osservò Titania. – Invece non
solo non lo siete stata, ma vi siete anche ingigantita senza motivo. Vi
siete
persa. Siete in ritardo. E vi siete lasciata paralizzare dalla paura.
Nova
aprì la bocca per dire qualcosa, ma ritenne opportuno
tacere. Diventò rossa. Nella
corsa attraverso il bosco aveva anche perduto la mappa.
Titania
era più bassa di lei, eppure le sembrava comunque imponente.
Era il suo modo di
guardare, il suo modo di muoversi, il fatto che fosse palesemente
potente e
molto vecchia. La sua figura pareva occupare più spazio di
quello che in realtà
occupava.
Nova
si sentì minuscola e più imbranata del solito.
-
Ma del resto... – continuò la regina, sistemandosi
il cappuccio della tunica
sul capo. – La prudenza è qualcosa che si
può imparare. Forse. Con il tempo.
Siete stata persino migliore di alcune fate.
-
Ah, beh... grazie.
-
Andiamo. La Corte Seelie non è lontana. – Titania
dispiegò le ali e
rimpicciolì.
I
due elfi spronarono i cavalli, che partirono al trotto.
Nova
si disse che sarebbero stati mesi molto lunghi. Probabilmente i
più lunghi
della sua vita.
Non
era affatto sicura di essere pronta.
**********************************
Regno
di Oz. Due giorni
prima.
Ruby
si chiese quante scimmie volanti ci fossero.
Non
appena gli arcieri o i soldati a piedi ne abbattevano due o tre, ne
arrivavano
altre, strepitando tanto da spaccare i timpani.
Dorothy
ne centrò una con la balestra e poi, usando la spada, si
liberò di uno degli
uomini della Strega dell’Est, chiuso nella sua armatura nera,
con gli occhi
vuoti dietro la celata dell’elmo. Il medaglione verde che
portava al collo
esplose in mille frammenti, che evaporarono prima di toccare
l’erba.
L’area
intorno al palazzo della Sorellanza risuonava di grida, ordini e di
clangore di
spade e scudi. A ciò si aggiungevano i versacci delle
scimmie e il sibilo delle
frecce. Per terra c’erano molti corpi, sia nemici che
volontari che
combattevano al fianco di Dorothy.
Ruby,
in forma di lupo, sentiva chiaramente l’odore del sangue e
della morte.
Il
capitano Li Shang e il suo battaglione respinsero gli avversari,
costringendoli
ad arretrare verso la foresta di Oz.
-
Copritemi, capitano. – disse Mulan, alzando la voce per farsi
sentire sopra la
cacofonia di voci.
-
Dove andate? Aspettate!
Mulan
non gli diede retta.
Nella
mischia intorno al palazzo, Dorothy roteava la spada. Era
stanca e le facevano male le braccia, ma
quei soldati in armatura nera sembravano non finire mai. Vide Ruby
afferrare un
uomo pronto ad infilzare il principe Fiyero. Il soldato
urlò, sentendo i denti
che affondavano nella carne del polpaccio. Il lupo lo
trascinò per un bel
tratto, prima di lanciarlo contro un altro soldato, che
ruzzolò giù dal proprio
cavallo.
Mulan
salì in cima al pendio dove erano state piazzate le
catapulte. In lontananza
vedeva altri soldati neri avanzare, compatti, verso il Palazzo della
Sorellanza. L’esercito di Dorothy e di Li Shang stava avendo
la meglio, ma quel
battaglione... erano decisamente troppi.
I
due uomini che avevano controllato la catapulta erano morti. Giacevano
a pancia
in giù, i corpi trafitti dalle frecce decorate con piume
nere.
Mulan
udì una di quelle frecce sibilare sopra la sua testa. Si
abbassò, sollevando lo
scudo che aveva usato per proteggersi e che era già cosparso
di dardi.
Vi
faccio vedere di che
cosa sono capace, maledetti.
Dorothy
venne centrata in mezzo alle scapole da qualcosa di duro, forse una
pietra, che
le tolse il respiro.
Cadde
in avanti. Istintivamente, nonostante il dolore, rotolò
verso destra, evitando
la lama di una spada. La sua era a pochi metri, in mezzo ad una
moltitudine di
piedi. Era difficile raggiungerla.
Fulminea,
prese la balestra e scagliò una freccia senza prendere la
mira. L’uomo che
l’aveva quasi uccisa gridò di dolore quando il
dardo penetrò nella spalla,
dandole il tempo di alzarsi in piedi. Lui continuò a
brandire la spada. Sferrò
un manrovescio e Dorothy si tirò indietro per evitarlo.
-
Muori, paladina del nulla! – gridò il soldato.
Il
lupo si gettò su di lui a fauci spalancate. L’uomo
cacciò un urlo terribile,
mentre i denti si chiudevano sull’altra spalla.
La
palla di fuoco illuminò a giorno il campo di battaglia,
sorvolando l’ammucchiata
di soldati e andando a schiantarsi tra le file di uomini in arrivo, i
rinforzi
mandati dalla Strega dell’Est.
Le
file si ruppero. Scoppiò una baraonda quando
iniziò il fuggi fuggi.
Qualcuno
cercò di richiamare gli uomini all’ordine,
gridando comandi, ma fu praticamente
inutile.
Una
seconda sfera di fuoco si schiantò in mezzo ai nemici.
Alcuni soldati si
trasformarono in fantocci ardenti. I cavalli, resi folli dalla paura,
gettarono
a terra i propri cavalieri e scapparono alla cieca, investendo altri
soldati.
Il
capitano Shang gridò ai propri uomini di serrare i ranghi.
Alcuni erano feriti,
con le armature ammaccate e gli scudi deformati dai colpi di mazza e
spada, ma
la maggior parte se la sarebbe cavata. Il che era un miracolo
considerando che
l’attacco li aveva quasi colti di sorpresa.
Si
girò a guardare il Palazzo della Sorellanza.
L’incantesimo protettivo aveva
retto, ma immaginava che richiedesse molta concentrazione e Glinda
certamente
non avrebbe resistito molto a lungo.
-
Non inseguiteli! – ordinò. – Non ce
n’è bisogno.
I
soldati della Strega si ritirarono velocemente, lasciando i feriti sul
campo di
battaglia e abbandonando anche le armi.
***
Storybrooke.
Oggi
-
Un fiore?
-
Dobbiamo farti entrare in qualche modo. Le altre fate non devono
vederti. Lo
direbbero a Reul Ghorm. – precisò Trilli.
Leroy
guardò in faccia le tre fate, sicuro che stessero
scherzando. Erano sul retro
dell’edificio e quando lui era arrivato, dopo aver ricevuto
il messaggio di
Eolo, le aveva trovate lì ad aspettarlo. La sorella con la
sciarpa rossa aveva
subito disegnato un cerchio magico con la bacchetta perché
risultassero
invisibili e non potessero essere ascoltati, ma lo aveva avvisato che
non
sarebbe durato.
-
Non chiamarla per nome. Non è rispettoso, Verdolina.
– disse Fauna.
-
E tu chiamami Trilli. Anche se Turchina ci fosse, non potrebbe
sentirci.
-
Non mi trasformerai in un fiore, sorella. –
sentenziò Leroy, interrompendole.
-
Puoi scegliere qualsiasi tipo di fiore. O anche una pianta. Un bonsai,
magari? –
Flora agitò la bacchetta.
Leroy
sollevò una mano come per proteggersi. – Io sono
un nano. Fare commenti sulla
mia altezza non ti aiuterà a convincermi, sorella.
-
Perché non la smetti di chiamarmi sorella? Non siamo davvero
suore. – esclamò
Fauna. – Beh, una volta pensavamo di essere suore. Ma
adesso...
-
Io chiamo così tutte le donne. – rispose Leroy.
-
Si tratta di un incantesimo temporaneo. Ci serve per farti entrare
senza
destare sospetti. – disse Trilli. La magia che li proteggeva
si stava indebolendo.
Dovevano sbrigarsi. – Se ti vedessero sarebbe la fine anche
per noi.
Leroy
sembrò rifletterci per qualche istante. Alzò lo
sguardo, fissandolo sulla
finestra della stanza in cui le fate tenevano Nova.
“Se
adesso fuggite
insieme, per voi non ci sarà lieto fine. Nova
perderà le sue ali. Ma se adesso
torni alla miniera e permetti a Nova di diventare la straordinaria fata
che è
destinata ad essere... il vostro lavoro porterà gioia in
tutto il mondo.”
-
Non abbiamo più tempo. La magia sta svanendo. Lasciate fare
a me! – Fauna agitò
la bacchetta in faccia a Leroy.
-
Fauna, aspetta... – iniziò Flora.
Vi
fu un pop e Leroy scomparve.
Trilli
abbassò gli occhi sul prato.
-
Non avevamo detto che sarebbe diventato un fiore? – disse
Flora, facendo un
paio di passi indietro.
-
I fiori non gli piacevano. E nemmeno i bonsai. – si difese
Fauna.
Il
rospo lanciò un gracidio contrariato, fissandole con due
occhi sporgenti e
gialli, con le pupille verticali.
***
Regno
di Oz. Due giorni
prima.
-
Mi dispiace per le vostre perdite, capitano. – disse Mulan,
mentre Li Shang
appoggiava una mano sul viso di un uomo per abbassargli le palpebre.
-
Questa è la guerra. – rispose semplicemente lui.
I
nemici si erano ritirati da un pezzo e l’alba stava sorgendo.
I feriti erano stati
sistemati nel salone al pian terreno del Palazzo della Sorellanza.
Glinda stava
facendo il possibile per guarire chi poteva essere guarito con la
magia, ma
aveva un’aria esausta. Ormai era rimasta l’unica
strega della sorellanza.
Nessarose l’aveva tradita ed era la responsabile di quella
baraonda e Locasta
era morta.
Il
principe Fiyero lasciò che la Strega del Sud gli curasse una
ferita al braccio.
-
Vorrei dirvi una cosa, con tutto il rispetto. –
continuò Li Shang. – Siete stata
molto coraggiosa, ma siete anche il soldato... più pazzo che
io conosca, Fa
Mulan.
Mulan
non commentò quell’esternazione. Strinse le
labbra, guardandolo con diffidenza.
– Come fate a sapere il nome della mia famiglia?
-
Io so molte cose su di voi. – disse Shang. Il suo tono era
riverente, come se
stesse parlando ad un altro capitano o a qualcuno che stava ancora
più in alto
di lui. – Avete rubato l’armatura di vostro padre,
siete scappata di casa, vi
siete travestita da soldato, avete ingannato uno dei comandanti, avete
praticamente
distrutto il palazzo dell’imperatore...
Mulan
aprì bocca per interromperlo, ma lui sollevò una
mano.
-
Nǐ
jiùle wǒmen suǒyǒu rén
– aggiunse, usando la lingua del suo popolo.
E
avete salvato tutti
noi.
Aveva
salvato tutti loro, ma nei suoi sogni vedeva ancora i corpi senza vita
sdraiati
con la faccia nella neve. Aveva salvato tutti loro, ma nei suoi sogni
vedeva
ancora il volto brutale di Shan Yu. Vedeva ancora la ferocia nello
sguardo del
comandante che aveva ingannato e che aveva risparmiato la sua vita solo
perché
lei lo aveva salvato.
Salvare.
Salvare.
Salvare.
-
Glinda, forse è meglio che andiate a riposare. Siete molto
stanca. Non potete
aiutare tutti da sola. – Fiyero
stava
porgendo una mano a Glinda perché si alzasse. Ruby era stata
sistemata in mezzo
ad altri feriti. Il taglio alla gamba era lungo e piuttosto profondo.
Dorothy
era seduta accanto alla compagna e sembrava decisamente arrabbiata.
Toto era
accucciato vicino ai piedi della padrona, con la testa sulle zampe.
-
La prossima volta lascia fare a me. Lo avevo in pugno. Non avevo
bisogno di
aiuto, lupacchiotta.
-
Non sembrava che lo avessi in pugno. – disse Ruby, cercando
di ignorare il
dolore e provando a tirarsi un po’ su. – Eri
disarmata.
-
Avevo ancora la balestra! Era ferito. Lo avevo colpito.
-
Sì. E lui aveva una spada ed era ancora capace di usarla, Kansas. – Ruby strinse i denti
quando Glinda riprese ad usare la
magia sulla ferita. Evidentemente alla Strega del Sud non importava
nulla di
quello che aveva detto Fiyero.
-
Sono stata in situazioni peggiori. Non avevo così tanto
bisogno di aiuto. –
insistette Dorothy. Con le dita le scostò i capelli dalla
fronte sudata.
-
Sei sicura che fosse una spada? – domandò Glinda.
-
Sì... era... – rispose Ruby.
Fiyero
osservò la pelle intorno alla ferita. Pulsava come un cuore
e strane
ramificazioni violacee si dipartivano dal lungo taglio.
-
Che cos’è? – domandò il
capitano Shang.
-
Dov’è la spada che l’ha ferita?
– chiese Glinda.
Fiyero
aveva catturato l’uomo che aveva quasi ucciso Dorothy e
ordinò ad uno dei
soldati di andare a cercare l’arma che aveva con
sé. Quando tornò poco dopo,
mise la spada nelle mani del principe, che se la portò
davanti al viso e poi
sotto il naso.
-
Che succede? – chiese Dorothy.
-
Quest’arma è avvelenata. È Sognombra.
– sentenziò Fiyero.
Ruby
capì che la situazione era ben peggiore di quanto fosse
sembrata all’inizio.
Sapeva benissimo che tipo di veleno era e a giudicare dalle facce dei
presenti... lo sapevano anche loro.
-
Dov’è l’antidoto? – Dorothy
iniziò subito a raccogliere le proprie armi, come
se avesse già deciso quello che doveva fare.
-
Dorothy...
-
Abbiamo bisogno della polvere di fata. – disse Glinda,
contrariata. – La mia
magia non può guarirla. Non è sufficiente. E qui
ad Oz non ci sono fate.
-
Gli altri feriti stanno bene, però. –
osservò Mulan.
-
Significa che non tutte le armi erano avvelenate. Probabilmente la
Strega
dell’Est ne ha a disposizione solo una quantità
limitata. – Fiyero posò la
spada.
-
Le fate sono nella Foresta Incantata. La leader delle fate nella
Foresta
Incantata è Turchina, ma non è in questo mondo.
Servirà il permesso della
regina. – Glinda si portò una mano alla testa come
se avesse una forte
emicrania. – Occorre un invito per accedere alla Corte
Seelie. E anche così...
il tempo in quel reame scorre in modo diverso. Poche ore potrebbero
equivalere
a giorni per noi.
-
Ma qualcuno deve andarci. Ed io ci andrò. Come posso
arrivarci? – domandò Dorothy.
-
Non puoi andarci da sola! – esclamò Ruby. Si
voltò verso Glinda. – Quanto tempo
ho?
-
Non lo so con certezza. Dipende anche dal tuo fisico. Forse un paio di
giorni.
Forse meno. Il veleno sarà già in circolo. La
ferita è profonda.
-
E tu non sei come noi, Ruby. – aggiunse Fiyero.
-
Cosa significa? – Dorothy si stava perdendo dei pezzi. Si
sentiva confusa, con
le orecchie che fischiavano orribilmente e dovette serrare i pugni per
evitare
che gli altri si accorgessero di quanto le tremavano le mani.
Il
principe era stanco tanto quanto gli altri. Aveva gli occhi orlati di
rosso, la
sua pelle nera sembrava traslucida sotto le luci delle torce e i suoi
tatuaggi
a forma di diamante parevano più vividi.
-
La Sognombra avrà un effetto diverso perché sei
un licantropo. È mortale... ma
lo è per la tua parte umana.
Ruby
pensò a corpi smembrati e alla neve colorata di rosso. Le
orme insanguinate. Pensò
a Peter, incatenato ad un albero e a denti aguzzi che lo dilaniavano.
Immaginò
Dorothy... non incatenata ma abbastanza vicina perché la
belva potesse
acciuffarla e farla a pezzi.
-
Non dovreste rimanere qui. – disse Ruby, terrorizzata.
-
Hai ragione. Non ce ne staremo qui con le mani in mano. –
ribatté Dorothy. –
Glinda, puoi spedirmi alla Corte Seelie?
-
Posso aprire un portale, ma arrivare alla Corte Seelie non
basterà. Non ti faranno
entrare e vorranno delle prove. La prova... è Ruby.
-
Se vado con Dorothy e perdo il controllo, la ucciderò. Il
mantello non basterà
contro il veleno. Forse è meglio che...
-
Se è una prova quella che questa regina vuole, gliela
porteremo. – Dorothy si
chinò e strinse la mano di Ruby. – Ti
farò la stessa domanda che mi hai fatto
tu quando ci siamo incontrate... ti fidi di me?
Ruby
levò gli occhi al cielo. – Lo sai che mi fido di
te. È di me stessa che non
fido.
-
Io mi fido.
-
Non devi. Questo è più forte... è
più forte di me. Diventerà sempre più
forte.
Dorothy
la baciò per un lungo momento, trattenendola vicino a
sé anche quando si
separarono. – Puoi non essere forte abbastanza da sola. Ma
insieme... insieme
possiamo esserlo.
***
Storybrooke.
Oggi.
Il
rospo riuscì ad entrare nell’edificio, saltellando
e sfuggendo alle tre fate,
che lo ricorsero su per le scale.
Tuttavia
il suo saltellare terminò quando andò a
schiantarsi contro una parete, dopo un
balzo eccessivamente lungo. Finì sul pavimento, sdraiato
sulla schiena. Agitò
le zampette corte e roteò gli occhi.
Trilli
lo raccolse, ignorando i gracidii e la pelle viscida e coperta di
verruche. Lo
avvolse in un panno prima che qualsiasi altra fata
dell’edificio potesse
accorgersi di quello che stava accadendo.
-
Non è stata una cosa carina da fare! –
sentenziò Flora.
-
No, ma mi ha resa abbastanza felice. – replicò
Fauna. Però la infastidiva che
Verdolina avesse usato la sua sciarpa come panno
per il rospo.
Trilli
entrò nella stanza di Nova e chiuse la porta, mentre
l’animaletto ricominciava
a gonfiarsi ed ingigantirsi, segno che l’incantesimo si stava
esaurendo.
Leroy
si ritrovò sul tappeto della stanza, a muovere le braccia e
le gambe come in
preda alle convulsioni.
-
Leroy! – lo chiamò Trilli.
Il
nano smise di dibattersi e si guardò i palmi, scoprendo che
erano tornati ad
essere palmi umani e che anche lui era della grandezza giusta.
-
Non è stato poi così doloroso, no? –
osservò Fauna. – La mia sciarpa, grazie.
Trilli
gliela restituì. La fata la strinse tra pollice e indice,
tenendola a distanza,
come se fosse appena stata usata per avvolgere un cadavere.
Nova
dormiva ancora, con la testa reclinata di lato e una ciocca di capelli
castani che
le spioveva sul viso. Leroy si avvicinò e si
sentì davvero sollevato
nell’accorgersi che respirava normalmente. Le tre sorelle gli
avevano detto che
stava bene, ma che era incosciente e tuttavia aveva voluto accertarsene
di
persona.
Ed
ovviamente era bella. Era bella anche con i capelli sciolti. Era bella
nonostante fosse pallida e con gli occhi un po’ segnati.
Trilli
spinse Fauna e Flora fuori dalla stanza, mettendo a tacere le loro
proteste.
***
Corte
Seelie. Foresta
Incantata. Il giorno prima.
L’origine
della sua specie si perdeva nella notte dei tempi.
Una
leggenda molto famosa sosteneva che, quando il primo bambino aveva riso
per la
prima volta, quella risata si era sbriciolata in migliaia di frammenti,
che si erano
sparpagliati, trasformandosi in fate.
Una
storia ben diversa diceva che le fate erano estremamente antiche, che
non
avevano mai preso posizione nella guerra tra creature angeliche e
demoni, così
erano cadute sulla Terra,
scacciate
da un reame paradisiaco perché incapaci di schierarsi.
E
poi c’era la leggenda che descriveva le prime fate come
figlie dell’unione di
angeli e demoni. Nelle Cronache della
Corte Seelie, Nova lesse che le fate che terminavano la loro
vita nel Reame
Oscuro o Corte Unseelie in quanto malvagie, erano creature in cui il
seme
demoniaco era molto più forte che in altre e quindi prendeva
il sopravvento.
Nova
preferiva di gran lunga credere alla storia della risata sgretolata.
Anche
il patto tra elfi e fate era troppo antico perché le
Cronache ne riportassero i
particolari. Sembrava esistere da sempre. L’alleanza
prevedeva, tra le tante
cose, che la regina delle fate sposasse il re o la regina degli elfi.
Alla
morte della regina, il sovrano elfico, chiunque fosse, avrebbe dovuto
abdicare.
E viceversa.
Ormai
erano settimane che si trovava alla Corte Seelie – o forse
erano mesi, dato che
il tempo scorreva in modo diverso in quel luogo – ma non
aveva ancora terminato
le Cronache. C’erano
così tante cose
da sapere... così tante cose da imparare.
Come
altre fate della Corte, partecipava alle lezioni di magia con
l’insegnante
scelta direttamente dalla regina Titania. A volte veniva spedita nel
mondo
esterno in cerca di piante curative o ad accogliere ospiti della Corte,
che
erano soprattutto elfi che venivano da Ellésmera, la
capitale degli elfi. Una
volta aveva avuto la possibilità di assistere ad una
riunione del Consiglio
delle Fate, alla quale avevano partecipato sia la regina che suo
marito, re
Oberon.
E
a proposito di Oberon...
Persa
com’era nelle sue riflessioni, non si accorse del folletto.
Puck era sgusciato nella
stanza e aveva volontariamente scombinato alcune pergamene che Nova
aveva
disposto sul tavolo, insieme ad alcune pozioni e alla sua bacchetta.
-
Ehi, giù le mani! – esclamò lei,
sporgendosi come per schiaffeggiare i palmi
del folletto.
Puck
si tirò subito indietro, ma Nova ebbe modo di notare lo
scintillio furbesco nei
grandi occhi verde bosco.
-
Aspetta, dove credi di andare? – Nova lo seguì per
acciuffarlo.
Tuttavia
non ne ebbe bisogno, perché non appena mise un piede in
corridoio, Oberon gli
rifilò una pedata nel sedere, colpendolo proprio con la
punta dello stivale e
facendolo finire lungo disteso. Un brownie, tenendosi aggrappato ad una
liana, si
tuffò sul folletto e gli rubò il cappello,
causando i suoi strepiti.
-
Credevo di averti detto di non disturbare nessuno, folletto maligno.
– lo
rimproverò Oberon. – Forse è il momento
di metterti al guinzaglio.
-
No, mio signore, vi prego! Il guinzaglio no! È tutta colpa
del brownie. Mi ha
rubato il cappello! – sentenziò Puck, agitando le
braccia e saltellando per
raggiungere la creatura che in quel momento rideva di lui.
-
Certo, è sempre colpa degli altri. – Oberon scosse
il capo e poi si rivolse a
Nova. Si portava dietro il solito profumo di fiori appena sbocciati.
Gli occhi
azzurri erano imperscrutabili. – Perdonatelo. Non
imparerà mai.
-
Oh... non importa. Avevo quasi finito. – disse Nova.
-
Ne sono lieto, perché dovreste venire con me.
-
Dove?
Oberon
le fece strada verso la sala del trono.
Mentre
si dirigevano laggiù, tra elfi e fate che svolazzavano
rendendo l’aria luminosa
e tintinnante, Nova pensò a tutto quello che aveva fatto da
quando era arrivata
alla Corte Seelie; aveva combinato qualche pasticcio senza
accorgersene?
Credeva di essere stata persino meno imbranata del solito, escludendo
quell’inizio
poco promettente.
I
troni di Oberon e Titania, in legno di quercia e ricoperti di fiori,
erano
dotati di radici che affondavano nel terreno levigato. La regina,
tuttavia, non
sedeva su uno dei troni, ma aveva gli occhi fissi sullo specchio
d’acqua nella
polla accanto al suo posto. Non era felice, il che era già
una pessima notizia.
Non che le sembrasse felice quando la incontrava, ma in quel momento
era
paonazza, con le labbra strette in una linea piatta. Tra le mani si
rigirava un
fodero dorato, nel quale era infilato un pugnale. L’elsa era
bellissima,
costellata di gemme verdi, come l’abito che Titania
indossava.
-
Mia regina... – iniziò Nova.
-
Vieni qui. – disse Titania, senza distogliere gli occhi dalla
polla. – E
guarda.
Nova
non se lo fece ripetere un’altra volta. Si
avvicinò e si sporse, sapendo che
sulla superficie dell’acqua avrebbe visto qualcosa.
Non
capì subito che cosa stesse accadendo. Riconobbe Ruby,
seduta su ciò che
restava di un tronco caduto, non molto distante dalle rive del lago.
Era
pallida e si stringeva nel mantello rosso come se ne andasse della sua
stessa
vita. Era anche ferita, perché c’era del sangue
sulla stoffa dell’abito,
all’altezza del ginocchio. Una ragazza le ronzava intorno,
armata di balestra.
E una palla di pelo grigia rotolava avanti e indietro. Quando
sollevò il capo,
Nova vide che era un cane di piccole dimensioni.
-
Vai là fuori e scopri che cosa ci fa quella creatura
maledetta nel mio
territorio. – sentenziò la regina. Estrasse il
pugnale dal fodero e glielo
porse.
“...che
cosa ci fa quella
creatura maledetta nel mio territorio...”
-
Creatura maledetta? – si lasciò sfuggire Nova.
-
Prendi.
Era
chiaro che non parlava del cane grigio, ma di Ruby. Le sfuggiva il
senso del
rancore che percepiva nella sua voce. Un rancore radicato e oscuro.
Sembrava
che si stesse controllando appena.
-
Non... non credo che mi servirà un’arma.
È Ruby. La conosco. – disse Nova,
occhieggiando il pugnale splendente.
-
Prendilo comunque. – insistette Titania. Lo sguardo verde la
schiacciò,
facendola sentire piccola ed indifesa. Aveva l’impressione
che gli ottocento
anni della fata stessero ricadendo sulle sue spalle.
Con
le mani che tremavano, Nova strinse l’elsa del pugnale. Era
pesante.
Lo
fece scivolare nel fodero.
*************************
Angolo
autrice:
Ciao
e grazie per essere arrivati fino a qui.
Volevo
aggiungere qualche precisazione.
Prima
di tutto, la storia fa parte della serie “Lost and
Found”. Spero abbiate letto “The
Lost Hero” e “Lost and Found”, giusto
perché così non vi perderete dei pezzi. O
forse avete letto “Clarity”. Titania è
un personaggio che appare anche in
quella storia quindi magari ve la ricordate. Ma se siete qui senza aver
letto
nessuna delle precedenti storie, ma solo perché adorate Nova
e Brontolo e le
Ruby Slippers, beh... benvenuti lo stesso. Non sono coppie molto
gettonate, lo
so. Ma io le adoro.
La
Corte Seelie non è mai stata nominata in OUAT e nemmeno una
regina delle fate.
Quindi tutto ciò che dirò a riguardo è
inventato (non proprio tutto, in realtà,
ma vedremo). Titania è anche un personaggio di
“Sogno di Una Notte di Mezza Estate”
di Shakespeare.
La
Corte Unseelie, notoriamente il regno delle fate cattive, corrisponde
al Reame
Oscuro, cioè il mondo in cui vive la Fata Nera. Ho deciso di
trasformarlo nella
Corte Unseelie, nella serie tv viene chiamato solo Reame Oscuro, mi
pare.