clan aburame 3
-Muori!-
Si, i ninja sono delle macchine assassine, addestrate fin dalla tenera
età per il lavoro sporco del mercenario. Mani sporche di sangue,
mani lorde e imbrattate del liquido vitale così crudelmente
sottratto al nemico o target prefissato.
Omicidi, sporchi peccatori su di questa terra.
Certo, se l’attacco mortale viene sferrato da una neo iscritta
all’accademia ninja, armata di un kunai di gommapiuma e piccola
all’incirca un quarto del suo avversario, la cosa può
anche risultare oltremodo ridicola.
Eppure Gaara, rotolando per terra come schiacciato dal peso incombente
della piccola nipote, implorava pietà come il più osceno
dei maiali sgozzati.
-No, ti prego! Abbi pietà di me!-
E così, quando il nemico è prostrato ai tuoi piedi, si
può distinguere chiaramente tra le anime buone e quelle
semplicemente opportuniste. Le prime, dotate di senso dell’onore,
lasciano in vita e quel poco di dignità rimasta al proprio
avversario, le seconde invece infieriscono sul nemico senza il minimo
pudore o risentimento interiore.
-Ora ti ho cattura e ti uccido!-
La risata sadica della bambina si elevò dal giardino fin fuori
la piccola casetta bianca, mentre la mano mimava con una certa
noncuranza il gesto dello sgozzamento.
E così Gaara morì, un’altra volta, per mano della piccola Miyako.
Il suo corpo ebbe qualche spasmo, mentre i muscoli tremavano e si
irrigidivano per il dolore e l’adrenalina impazzita, gli occhi si
allargavano tanto fino a diventare vacui e vuoti. Si afflosciò a
terra, privo ormai dello spirito vitale.
Che attore nato…
Miyako si alzò trionfante sulla preda, gridando soddisfatta.
-Vittoria!-
Altra risata sadica, molto teatrale a dire la verità. Poi
però calò il silenzio, sulla bimba così come sul
corpo martoriato del perdente. Gli occhietti chiari della bimba,
nascosti dalle lenti scure che indossava ormai in ogni occasione, si
puntarono sul cadavere steso a terra. E vi restarono a lungo.
Il rimorso si fece strada lungo tutta la piccola personcina della
primogenita dell’Entomologo per eccellenza, fino ad arrivare agli
occhi, dove si trasformò in un pianto dirotto e decisamente poco
Aburame.
-No, zio! Noo! Non voglio che tu muoia! Non voglio!-
Singhiozzi su singhiozzi, la bimba pianse tutto il suo rimorso.
Ma ecco che una voce annunciò il miracolo, una voce che venne da qualche parte indefinita del giardino.
-Dolce fanciulla, le tue lacrime tanto sincere hanno commosso me, Dio della Morte…-
Silenzio, un poco imbarazzato e anche un poco sospetto per chi non
avesse l’età di sei anni. Dopo però il Dio della
Morte riprese il suo annuncio.
-Ti restituirò tuo zio…-
E, come per magia, Gaara si mosse appena dalla sua posizione e, cosa fondamentale, tornò alla vita.
Nel momento in cui un piccolo Aburame entra all’Accademia ninja
deve indossare gli occhiali scuri che rendono chiara la sua
appartenenza al Clan tanto in vista all’interno di Konoha.
Ognuno ha il suo paio d’occhiali, assieme naturalmente ad un paio
di scorta dato in dotazione direttamente dal capo famiglia, in questo
caso Shibi Aburame.
Così era stato anche per la piccola Miyako che
all’età di sei anni aveva dovuto fare i conti col
ritrovarsi immediatamente di fronte ad un oscurante di prima categoria.
Cadute, inciampi, rotolamenti a non finire. Miyako s’era
ritrovata più volte per terra che ben ritta in piedi. E ogni
volta che era arrivata a far collidere le sue povere, martoriate
ginocchia col suolo duro o la terra secca, s’era ritrovata a
piangere chiamando uno dei genitori.
Temari l’avrebbe volentieri strozzata già ai primi giorni,
non era stata certo preparata per una simile tortura psicologica, e
certo il pensiero che l’attendevano altre due pargole del
medesimo destino non era molto positivo. Ma si era ripromessa di
salvarne una, almeno una di quelle povere piccole creature, obbligando
la famiglia del marito a risparmiarla dalla tortura degli occhiali da
sole.
Gli Aburame, purtroppo, usano le poche parole che pronunciano per essere i più chiari ed esaustivi possibili.
Così, all’occhiata quasi omicida di Shibi erano seguite della parole secche e perentorie.
-Ogni Aburame porta gli occhiali.-
E basta, Temari si sarebbe dovuta adattare a tale regola, senza dire nulla.
Certamente, se Shibi si sarebbe ritrovato con una nipote in meno non sarebbe stata solo colpa sua…
La piccola Miyako, stretta tra le braccia dello zio maggiore, stava
gustando la sua granita nella piccola pausa tra un allenamento e
l’altro. Giocare ai ninja con i due zii era davvero molto
stancante, specie se uno moriva e si doveva richiedere
l’intervento dello stesso Dio della Morte per farlo tornare in
vita e funzionante.
Kankuro sorrise, andando ad accarezzare la testa crespa della piccola.
La figlia della sorella era davvero una Temari in miniatura, con la
differenza che era mora, portava gli occhiali ed era Aburame. Eppure
assomigliava così tanto a Temari che gli faceva davvero una
tenerezza infinita.
-Zio Kanky, non vuoi un po’ di granita?-
Il cucchiaio fu allungato in su, mentre il suo contenuto verdognolo,
traballante nell’involucro che lo racchiudeva più o meno
efficacemente, si ergeva in tutto il suo splendore davanti agli occhi
dell’uomo.
Kankuro si espose appena, per accogliere la granita fresca tra le
labbra, ed emettere un mugugno estasiato un po’ troppo forte per
essere realmente ispirato. Ma tant’è, l’affetto fa
fare cose razionalmente inspiegabili.
-Che buona che è questa granita!-
La bimba sorrise di rimando, andò a pescare altra granita nella
sua tazza e gliene porse un altro cucchiaio; alla terza volta che il
processo veniva ripetuto, Kankuro ebbe qualche dubbio
sull’effettiva bontà dell’azione, pensando invece
che la bimba semplicemente s’era stufata della granita e gliela
stava rifilando a lui. Poco male, l’arsura della giornata era
davvero intollerabile.
-A me non dai niente?-
La voce poco espressiva di Gaara fece voltare la testolina della
piccola Aburame. L’uomo, forse nel tentativo di avere la sua
meritata dose d’attenzioni (era stato persino ucciso da Miyako,
ricordiamocelo!) s’era sprecato ad aprire le sue labbra ed
emettere qualche suono riconoscibile nella lingua corrente.
Dopotutto, al Kazekage non erano permessi tanti giorni da dedicare alla
propria vita privata, ed era un miracolo che Shino, dopo soli quattro
mesi dalla nascita della terza figlia, aveva deciso di affrontare il
deserto per annunciare ai nobili parenti della moglie la nascita di
Midori. L’indifferenza di Gaara e la somma impassibilità
di Shino s’erano già scontrate più volte,
dimostrando all’umanità quanto due persone riuscissero a
stare zitte l’una di fronte all’altra restando
straordinariamente ferme per quasi tre ore di seguito, senza fare
alcuna mossa o dire una sola sillaba.
Due mostri a confronto, questo era stato palese a chiunque.
Dunque, Gaara s’era oltremodo stupido che il genero rischiasse la
vita della propria bambina per annunciarla ai suoi parenti più
prossimi.
-Certo, se tu fossi stato meno impegnato ci saremmo risparmiati la fatica…-
Perché un Aburame non lascia correre nulla, e Gaara avrebbe dovuto tenerlo molto bene a mente.
Così, di fronte alla nipotina, non aveva resistito dal chiedere,
elemosinare un briciolo di affetto familiare; un sorriso andava
più che bene, per gli standar d’assoluta piattezza emotiva
a cui era abituato.
Ma la piccina lo guardò un attimo sorpresa, abbassò lo sguardo pensierosa e poi tornò a sorridere allo zio.
La vocina uscì dalle sue labbra sicura come mai era stata.
E prima ti tornare a gustarsi la sua buonissima granita sotto gli
sguardi esterrefatti di entrambi gli zii, Miyako rispose con una sola
parola.
-No!-
Shino non aveva mai aiutato la comprensione, mai e poi mai.
Per quanti sforzi facessero, Gaara e Kankuro non erano mai riusciti a
comprendere quel poco che bastava del carattere del loro unico genero.
Freddo, razionale, imperturbabile; questi aggettivi non bastavano loro
per essere soddisfatti.
Insomma, si trattava oramai di un membro della loro famiglia, non di un
estraneo a cui potevano anche non interessarsi. Il marito della loro
unica sorella urgeva di attenzioni che ne esplicassero la natura
segreta.
La discrezione, il distacco dell’uomo li misero a dura prova, ma
rimediare su stratagemmi infidi quali richiedere istruzioni a Temari
voleva dire ammettere la propria sconfitta, e un tale disonore non
faceva parte dei loro piani.
Indi avevano optato per un piano trasversale, conquistare le sue figlie
e, ragionando secondo logica quasi matematica, vedere quali
comportamenti non fossero simili a quelli materni, deducendo
così, quasi per osmosi, il comportamento del padre.
Una tecnica infallibile, senonché avevano preso la bimba sbagliata.
Miyako era Temari, tutti i difetti e tutti i suoi pregi li aveva
ereditati unicamente dalla madre; la piccola Karura, per un mistero
della fede che ancora loro non riuscivano a decifrare, come il resto
della famiglia e specialmente il padre della bimba, era simile allo zio
talmente tanto che a Kankuro venne qualche serio dubbio a riguardo;
l’unica che restava era proprio Midori, ma era ancora troppo
piccola per riuscire a ricavare qualcosa di interessante dal suo
comportamento.
Praticamente, erano riusciti sconfitti dalla sfida che avevano concepito solo loro.
Midori gattonava, eccome se gattonava.
Andava avanti e indietro, seguiva corridoi, usciva ed entrava dalle
stanze, divertendosi come una matta ad esplorare quel luogo sconosciuto
e tanto immenso che era il palazzo del Kazekage. Che ovviamente la
struttura fosse sovraffollata di gente che lì ci lavorava,
schiavizzata dal Capo Villaggio con una noncuranza degna solamente del
signor Sabaku non tingeva assolutamente alla sua coscienza da poppante
troppo esaltata.
Alle sue calcagna, silenzioso e veloce come un’ombra fedele,
Shino, che non le aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno un secondo,
rischiando più di una volta di andare a collidere con un povero
sventurato che passava ignaro accanto alla coppia, come se fosse colpa
sua il ritrovarsi al mondo e specialmente troppo, troppo vicino alla
terzogenita dell’Aburame.
Ma il solo fatto di essere un Aburame sembrava una buona scusa
perché nessuno osasse avvicinarsi quel tanto che bastava a far
coincidere i propri tragitti, per cui Shino non aveva dovuto attuare la
tecnica ninja di tortura tanto amata dal suo Clan: la Rivelazione Degli
Occhi, detta anche Ora ti Acceco Idiota.
Ogni tanto la bimba si girava, come a cercare la conferma che la sua
Body guard personale fosse sempre presente, nel caso qualche cretino le
fosse finito addosso aveva la garanzia della vendetta.
Dopo una semplice occhiata, dove padre e figlia si scambiavano dieci
secondi di silenzio assortito, dove ai mortali non è concesso
sapere cosa esattamente i due si dicessero, la piccola tornava a
cinguettare allegra e a zampettare come un cagnolino, proseguendo la
sua passeggiata.
FU in questa situazione che Gaara avvicinò Shino, con una
cautela che ricordava tanto la discrezione che si deve usare quando si
sta interrompendo un rito sacro.
-Shino…-
L’Aburame non alzò lo sguardo da terra, troppo intento ad osservare la figlia alle prese con un angolo a gomito.
-Gaara…-
Gli occhi chiari del Kazekage caddero inevitabilmente sulla figurina
semovente davanti ai suoi occhi, come se Midori fungesse da piccolo
magnete ambulante.
-La tua bimba gattona già…-
Qualche passo in silenzio, poi, come un sospiro appena accennato, arrivò la risposta dell’Entomologo.
-Midori è una vera Aburame. Sta spendendo i suoi cinque anni di
sonorità infantile… dopo non sarà più
così…-
Il Kazekage cercò d’ignorare la velata minaccia sul
destino infausto della nipote davanti ai suoi occhi, concentrandosi sul
proprio obbiettivo.
Attacco diretto, chiaro, puro e semplice.
-Ogni Aburame è toccato da un destino infausto…-
-Solo chi non è Aburame considera infausto il nostro destino…-
E Gaara constatò quanto un Aburame possa diventare loquace se
provocato opportunamente, così come che il vero carattere di un
uomo non si possa celare né dietro lenti scure né dietro
abiti pesanti.
-Constaterai con me che indossare occhiali da sole per tutta la durata della propria vita è piuttosto gravoso…-
-E’ come portare un cognome altisonante… la stessa medesima cosa…-
-L’impedimento fisico, nella crescita di un ninja, risulta un ulteriore ostacolo alla carriera…-
-Prima si forma la persona, poi il guerriero… Se le mie figlie
si fossero chiamate Uchiha, la società non avrebbe concesso loro
un solo sbaglio…-
-Essere predestinati a una cosa risulta come una gabbia per la volontà…-
-Essere predestinati significa poter spaziare in ciò che ti
è stato concesso… ho dato un fine alla mia prole, se
vorranno cambiare nome quando saranno adulte lo potranno fare…-
-Gi occhi delle tue figlie non potranno vedere la luce del sole…-
-Gli occhi delle mie figlie saranno protetti dalle tenebre più profonde…-
Qualche secondo di silenzio, per un ultimo attacco.
-Dimmi una cosa, Shino… da dove avete tirato fuori il nome di Midori?-
E anche questa volta la risposta fu secca e fin troppo veloce.
-Abbiamo preso la guida telefonica e l’abbiamo aperta a caso…-
La mantide religiosa, la mangusta e la vespa. La vendetta, la devastazione e il potere.
Tre insetti simbolo per tre figlie, come era abitudine del Clan Aburame.
Così come Shino era la libellula, ognuna delle sue figlie aveva
dovuto scegliere da quale insetto essere rappresentata, e così
fu.
Certo, dover dire alle figlie che per essere un vero Aburame dovevano
diventare una sorta di formicaio vivente fu la prova più ardua
che Shino dovette mai affrontare in tutta la sua esistenza.
Hollala **
Io vi amo sempre di più **
Sette, dico, SETTE recensioni ** tutte per me **
Seriamente,
mi state riempiendo di gioia, questa ff si sta rivelando una fonte di
soddisfazione che mai credevo potesse essere **
Continuerò col mio lavoro, è una promessa **
Oh, una
notizia doverosa… oggi ho raggiunto un accordo con me stessa ^^
Questa ff non sarà più lunga dei sei capitoli u_u
più che altro perché devo fare 3000 cose °° sono
davvero, davvero incasinata °°
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ^////^
E ancora GRAZIE *W*
Alla prossima ^^
Ciao ciao
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