Questa oneshot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal
gruppo facebook Hurt/Comfort
Italia - Fanfiction & Fanart
#26promptschallenge - prompt 19/26
#VISITAMEDICA
sostantivo
1.
Serie di accertamenti clinici cui può essere periodicamente
sottoposta una persona per avere un quadro completo del suo stato di
salute.
2. l'insieme di comportamenti e procedure messi in atto dal medico,
specialista o medico di famiglia, nel corso dell'incontro con il
paziente che ne richiede la consulenza.
#26promptschallenge - prompt 20/26
#FERITANASCOSTA
1.
Lesione traumatica della cute o delle mucose tenuta volontariamente
lontana dalla vista del prossimo per paura, vergogna o altre ragioni
personali.
2.
fig.
Intima esperienza dolorosa accompagnata da risentimento o profonda
afflizione celata sotto un finto stato di benessere.
Titolo opera:
Legacy: La speranza oltre la disperazione
Fandom:
Saint Seiya
Ship:
OC/Aiolos
Parole: 3545
Tags: #AU
#vistitamedica #feritanascosta #lacrime #ricordi #speranza #amicizia
#missingmoment
Warning/note:
Missing moment che va a riempire parte del buco narrativo fra l'ultimo
capitolo e l'epilogo della long Legacy
*****
«Uova fritte, strapazzate o toast?» disse Caroline,
affacciandosi dalla cucina, dove la padella era già sul
fornello e le fette di pane in cassetta abbrustolivano nel tostapane.
La risposta, si stava facendo attendere più del solito.
Allora, decise di andare lei da lui. Si fermò di fronte alla
porta del bagno degli ospiti, occupato da più di venti
minuti, e bussò prima due e poi tre volte, con una cadenza
quasi da segnale segreto. Aspettò ancora qualche secondo e
ripeté la domanda.
Dopo un gran trambusto la porta si spalancò e un trafelato
Aiolos, con i capelli ancora umidi, per poco non la travolse, mentre si
stringeva il nodo alla cravatta quasi fino a strozzarsi.
«Sono troppo in ritardo, prendo un sorso di caffè
e mi dileguo», disse, afferrando la tazza sul tavolo e
ingollandone tutto il contenuto senza prendere fiato.
Poi, simulò un conato di vomito nell'accorgersi che si
trattava di caffè d'orzo, freddo, dolce, proprio come
piaceva a Caroline, mentre lui invece lo detestava. Si trattenne dal
condividere con la donna una serie di improperi che avrebbero fatto
impallidire addirittura Tarantino.
Caroline alzò gli occhi al cielo, risparmiandogli uno sbuffo
esasperato. Capiva lo stress che stava vivendo Aiolos in quel periodo:
non era facile per lui, dopo aver ricoperto un ruolo importante nella corporation della
famiglia Hayes e aver lavorato fianco a fianco con Kanon Hayes, chinare
la testa e sopportare di essere l'ultima ruota del carro in uno studio
legale semi sconosciuto. Ciò che faceva perseverare il
giovane era che presto, molto presto, avrebbe affrontato l'esame di
abilitazione e, con le sue conoscenze, non avrebbe avuto problemi a
trovare clienti.
La donna prese la tazza thermos e la riempì di
caffè ancora bollente, quello che preparava apposta per lui,
e l'appoggiò sul tavolo.
Aiolos non disattese le aspettative di Caroline: fissò
quell'affare con la scritta Keep
calm, it's only a coffee cup! su sfondo rosa pallido che
detestava e grugnì qualcosa di irripetibile.
Per lei era un divertimento vedere come lui non fosse in grado di
dissimulare certe sue reazioni. Lo osservò fare qualche
resistenza, ma alla fine prendere il thermos, la giacca che aveva
appoggiato poco prima sullo schienale della sedia e avviarsi verso la
porta d'ingresso.
«Passo a prenderti stasera alle sette. Mia madre prepara lo
stufato», le ricordò, mentre afferrava le chiavi
dell'auto dallo svuota tasche sul mobile d'ingresso.
«Non vedo l'ora!» rispose Caroline con un sorriso.
Amava lo stufato di pollo di Georgina Cooper quasi quanto quello di sua
madre e le cene a casa dei genitori di Aiolos – che senza
sapere come, erano diventate un appuntamento settimanale ormai fisso
– erano animate e caotiche tanto che la facevano sentire in
famiglia. All'inizio aveva sospettato che Aiolos la portasse con
sé per mantenere un clima più disteso in casa ed
evitare di litigare con il padre per via del suo orientamento sessuale,
che Thomas non nascondeva di disprezzare, ma con il tempo si dovette
ricredere, perché l'uomo alla fine lo aveva accettato e
anzi, vedeva il figlio sotto una luce diversa, migliore, tanto da
parlare di lui con orgoglio; e lei veniva coccolata e viziata da
Georgina e Thomas come fosse una figlia.
Caroline fece un cenno di saluto con la mano e chiuse la porta, ma
senza far scattare la serratura, perché tanto più
tardi sarebbe dovuta andare nel seminterrato per fare il bucato.
Tornò in cucina, prese una tazza pulita dal pensile e si
versò dell'altro caffè d'orzo. La casa era di
nuovo tutta per lei, ma invece di sentirsi finalmente libera e
rilassata come sarebbe stato naturale, le prese una strana tristezza.
Da quando Aiolos si era presentato alla sua porta, con uno scatolone
fra le mani e un borsone a tracolla, e aveva occupato la camera degli
ospiti, non aveva avuto più un momento per pensare a
sé e alla sua situazione. In un certo senso, quel ragazzo
burbero e talvolta maleducato, era stato una manna per lei ed era
riuscito a riempire i suoi vuoti. Non avrebbe creduto che un giorno lo
avrebbe apprezzato e, perché no, che gli avrebbe voluto bene
come ora voleva bene a Chris.
Aprì l'armadietto vicino al frigorifero, prese il flacone
delle vitamine e fece cadere un paio di capsule sul palmo della mano.
Se le mise in bocca e le mandò giù con un altro
sorso di caffè d'orzo. Poi, con la tazza in mano, si
spostò nella zona notte. Di colpo la luce che entrava dalle
finestre si abbassò di intensità, avvolgendo la
casa in una sorta di bolla grigiastra. La mattinata sembrava virare
verso il brutto, un po' com'era stato per tutta la settimana. Quel
tempo quasi novembrino, benché in realtà fosse
già marzo, le rovinava l'umore e spegneva in lei ogni voglia
di fare. Sapeva quindi che doveva sbrigarsi per fare le faccende di
casa perché altrimenti, se le avesse tirate per le lunghe,
probabilmente le avrebbe lasciate a metà.
Quando entrò nella sua camera, trovò Kitty, ben
al centro del lettone, sdraiata sul fianco e immersa nel soffice
piumone, che si stava stiracchiando, arcuando la schiena all'indietro.
Il suo musetto spuntava appena fra le pieghe della stoffa e la fissava
con i suoi occhietti color ambra. Era incredibile come in pochi mesi si
era fatta grande. Le si avvicinò per farle una carezza, ma
lei, per dispetto, scattò da parte e, esibendosi in una
capriola, con un balzo silenzioso scese dal letto dall'altro lato,
zampettando poi veloce fino in cucina con la sua codina dritta.
Caroline la seguì con lo sguardo e sbuffò,
portandosi le mani sui fianchi. C'erano giorni che quella micia era
tutta coccole e fusa e altri che invece faceva la sostenuta e concedeva
i suoi favori solo quando le dava la pappa.
Tirò via il piumone, pensando con un certo sollievo che
ancora pochi giorni e avrebbe potuto finalmente metterlo via, e
stirò con le mani il lenzuolo sul materasso, quindi rimise
il piumone, rassettandone la superficie. Prima di uscire dalla camera
aprì la finestra per far arieggiare l'ambiente. Nel bagno
annesso non c'era molto da fare, quel mattino non aveva sentito la
necessità di farsi la doccia; quindi, con uno straccetto
pulì lo specchio e il lavandino. Poi uscì con la
biancheria sporca sotto il braccio e uno strano sorrisetto sulle labbra.
Passò davanti alla camera di Aiolos e tirò
dritto. Come ogni mattina il suo socievolissimo
coinquilino le faceva trovare un post-it con su scritto – a
stampatello e in rosso – un categorico Non entrare!
Per i primi tempi si era chiesta cosa mai potesse nascondere e doveva
ammettere che la curiosità era stata tanta, poi
però ci fece l'abitudine, limitandosi a scrollare un poco la
testa mentre ci passava davanti.
Kitty iniziò a seguirla nel suo percorso, attirata dal
reggiseno che penzolava un poco dal mucchio di biancheria. Caroline se
ne accorse quando la gattina le fece solletico con la zampetta. Era
divertita da tanta vivacità dell'animale, la faceva sentire
meno sola; ma, inevitabilmente, le faceva tornare in mente i momenti
felici passati con Saga. Aveva smesso di piangere per lui e per come
era finito il loro rapporto, ma non poteva evitare che la tristezza
affiorasse sul suo viso. Era una ferita aperta la sua, che
però doveva in ogni modo tenere nascosta: a sua madre e a
suo fratello, quando si sentivano via skype e ad Aiolos,
per non sentire la sua solita sfuriata.
«Su, su, Kitty, fai la brava», ridacchiò
Caroline, vedendo la gattina spiccare un buffo salto e tentare di
acchiappare la bretella del reggiseno, andando a vuoto
perché lei l'aveva tirato via all'ultimo.
Percorse il corridoio con lo sguardo basso, intenta a scansare
quell'ombra nera che correva avanti e indietro, che si fermava di
colpo, si sdraiava a terra e sbatteva la codina e poi, quando veniva
superata, si alzava di scatto e le zampettava fra le gambe, strisciando
la sua codina sulla pelle. Era un vero amore vederla. Se non avesse
avuto tanto da fare si sarebbe seduta a terra e avrebbe giocato con lei
fino a sfiancarla, ma ora proprio non poteva darle retta.
La scavalcò con un lungo passo, passandosi il bucato da un
braccio all'altro per vedere meglio e ridendo, ma quando Kitty si mosse
per stiracchiarsi, arcuando la lunga schiena e allungandosi dove stava
posando il piede, lo spostò d'istinto per evitarla. In quel
momento incespicò nel tappeto e, senza accorgersene,
andò a sbattere il fianco nello spigolo di un tavolino
stretto con il piano in marmo rosa.
Caroline cadde a terra a pancia in giù, senza fare un fiato,
o un grido, spargendo dappertutto la biancheria sporca.
Contemporaneamente, fuori, un tuono cadde vicino alla casa, facendo
tremare i vetri delle finestre.
Caroline era incredula, sotto choc, mentre in casa tornava a regnare il
silenzio. Kitty sbucò da dietro una porta socchiusa e si
avventò su una calza di cotone, la prese fra i dentini e se
la portò via.
La giovane si mise a sedere, lentamente, appoggiandosi con la schiena
alla parete del corridoio. Provava un dolore lancinante al fianco, che
quasi le impediva di respirare. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Due goccioloni che le caddero direttamente sulla camicetta color
glicine che le piaceva tanto. Strinse il labbro inferiore fra i denti,
fissando quel tappeto tutto spostato verso sinistra,
ripiegato su se stesso in grosse pieghe, pensando a quanto fosse stata
stupida.
Più di una volta Aiolos le aveva detto che quel tappeto
poteva essere pericoloso, che avrebbe dovuto toglierlo, o quantomeno
mettere sotto dei gommini antiscivolo. Si era ripromessa di fare
qualcosa a riguardo, ma poi se ne dimenticava.
Se solo avesse fatto più attenzione...
Il suo corpo fu scosso da un singulto di pianto. Provò a
raccogliere le ginocchia al petto, ma una fitta la fece desistere e
altre lacrime scesero lungo le guance. Non riusciva a capire come
poteva essere accaduto; eppure... quella mattina era iniziata
così bene. Lei si sentiva così bene, felice.
Rimase seduta lì, al semibuio del corridoio per un tempo
indefinito, con il cielo che si era fatto ormai nero e la pioggia
iniziava a cadere, dritta, pacata. Aspettava che quel dolore passasse.
Ma non era il dolore fisico a tenerla a terra e a impedirle di
muoversi, o ad alzarsi. Pensava con sgomento al bambino che cresceva
dentro di lei. Non sapeva come stesse e questo le riempiva il cuore
d'angoscia.
«Saga...» mormorò con la voce spezzata
dal pianto.
Non osava immaginare come avrebbe reagito se avesse perso anche quel
bambino. Forse... forse questa volta non sarebbe riuscita a riprendersi.
Aveva bisogno di aiuto e si sentiva più sola che mai.
Sentiva la mancanza del suo Saga. Del suo principe azzurro che l'aveva
tratta dai pasticci in più di un'occasione. Sentiva la
mancanza di sua madre; lei di certo avrebbe saputo cosa fare, cosa
dirle per rassicurarla e per spronarla. Sentiva la mancanza dello zio
Phil, l'unica figura paterna che aveva avuto dopo la morte di suo padre.
Non c'era nessuno di questi. Era sola e doveva contare solo su se
stessa, ma era così difficile.
Nascose il viso fra le mani e dette sfogo alla disperazione e alla
solitudine che le gravavano addosso. Perché sarebbe dovuto
esserci Saga al suo fianco. Lui l'avrebbe dovuta accompagnare alle
visite di controllo, con lui avrebbe dovuto fare il giro per negozi e
comprare il lettino, il fasciatoio, e arredare la cameretta del loro
bambino.
«Saga»
Pronunciò quel nome con voce piena di disperazione, ma anche
d'amore, perché nonostante lui l'avesse rifiutata, lei lo
amava ancora.
Chiuse gli occhi, provando a fare un respiro profondo, ma le si
fermò a metà. Riprovò, più
lentamente, riempiendo bene i polmoni. Di quelle fitte lancinanti era
rimasto solo un dolore sordo, pulsante, che poteva sopportare. Poteva
tentare di alzarsi, ma preferì rimanere lì, in
quella posizione, nel semi buio del corridoio, come in una sorta di
caverna, che la teneva al riparo dal temporale.
Lo scalpiccio di passi pesanti arrivò da dietro la porta
d'ingresso, che si spalancò pochi secondi dopo.
«Caroline, sono io, ho dimenticato il cappotto»,
disse Aiolos, entrando in casa con lo sguardo basso su di
sé, impegnato a passarsi le mani sulla giacca imperlata di
gocce di pioggia.
Si diresse a grandi passi verso la sua camera, perché il
cappotto che aveva ritirato dalla lavanderia a secco qualche giorno
prima l'aveva ritirato nel suo armadio e non nel guardaroba
all'ingresso.
«Caroline? Ma che diavolo...» La giovane donna
alzò la testa e lo fissò con occhi arrossati.
Aiolos non ebbe bisogno di terminare la frase. Si guardò
attorno: il tappeto fuori posto, la biancheria sparpagliata a terra, la
ciotola di cristallo sul mobiletto rovesciata e il pot pourri sparso
sul marmo... Si accovacciò di fronte a lei. Era come se
stesse avendo un déjà-vû.
«Caroline, stai bene?» disse, questa volta con voce
gentile e preoccupata.
«Aiutami, Aiolos. Ho fatto un gran casino», disse
lei, stringendosi le braccia al ventre.
*****
Ancora una volta, Caroline e Aiolos si ritrovavano in una saletta di
visita dell'ospedale. Lei indossava il camice di tessuto carta, era
sdraiata sul lettino con entrambe le mani sulla pancia e teneva lo
sguardo fisso su un poster che raffigurava una veduta innevata delle Berkshire mountains
appeso alla parete alla sua sinistra. Forse doveva servire a far
rilassare i pazienti, ma lei lo trovava cupo e triste.
Aiolos era appoggiato con la schiena in un angolo e stava facendo una
telefonata. Nonostante parlasse a voce bassa, si capiva che era nervoso
e stressato. Terminò con uno sbuffo spazientito. Solo
allora, Caroline si voltò verso di lui e lo vide rabbuiato.
Comprese che quella telefonata non doveva essere stata piacevole per
lui e ancora una volta si rammaricò di essere ancora fonte
di guai per lui.
Lo vide prendere la sedia di plastica, avvicinarsi al lettino e sedersi
pesantemente.
«Mi dispiace averti creato problemi», disse in tono
contrito.
«Non sei tu. È quel cretino del titolare dello
studio. Si atteggia a grande avvocato ma non sa neanche preparare una
semplice richiesta di rinvio.»
Fra loro calò il silenzio. Lei non aveva molta voglia di
fare conversazione e lui probabilmente se avesse dato voce a
ciò che veramente voleva dire, avrebbe detto qualcosa che di
cui poi si sarebbe pentito.
Caroline tornò con lo sguardo sul soffitto, tamburellando
con le dita sulla pancia. Era all'inizio del sesto mese e ancora si
vedeva appena un accenno di rotondità. A volte si chiedeva
se fosse tutto reale, non poteva credere di stare vivendo davvero
quella gravidanza che tanto aveva sognato, ma quando sentiva i lievi
movimenti del suo bambino dentro di lei, i suoi dubbi e le sue paure
svanivano come per incanto.
Aiolos controllò l'ora sul suo orologio da polso:
attendevano l'arrivo della ginecologa da più di venti minuti.
La giovane riprese a osservare il suo accompagnatore. Anche per lei era
come vivere un déjà-vû.
Ripensò al breve periodo a Philadelphia e a quel giorno in
cui era stata tanto male da essere portata d'urgenza al pronto
soccorso, dove scoprì di aspettare un bambino e dove, poco
dopo, glielo strapparono via senza che lei potesse opporsi.
Anche in quell'occasione Aiolos era con lei. Aveva aspettato con lei
l'arrivo di un medico e poi l'aveva ritrovato accanto a lei quando si
era risvegliata. Probabilmente fu proprio da quel momento che le cose
fra loro avevano iniziato a mutare.
Non erano mai stati amici, ma ora lo considerava come un fratello
maggiore, un confidente, un buon coinquilino. Forse, con il tempo,
sarebbero potuti diventare amici.
«Senti ancora dolore?» chiese lui, allentando il
nodo della cravatta.
Caroline scrollò piano la testa.
Le fitte lancinanti erano solo un lontano ricordo, ma non voleva
confessargli che continuava a sentire un dolore sordo in tutto
l'addome. E poi, era da quando era caduta che non sentiva
più il bambino muoversi. Certo, non erano ancora dei
movimenti evidenti, ma lo stesso, quelle piccole sensazioni che
nell'ultimo mesi si erano fatte più frequenti le davano un
senso di conforto e le infondevano forza e coraggio per affrontare la
vita giorno dopo giorno.
Perché non sentiva più nulla?
Chiuse gli occhi e si accarezzò la pancia con movimenti
circolari della mano. Avvertì la mano di Aiolos posarsi
sulla sua.
«Non ti preoccupare, andrà tutto bene.»
Caroline lo guardò e sorrise. In quel momento la porta della
stanzetta si aprì e fece la sua entrata la dottoressa Celine
McArthur.
«Buongiorno, Caroline», la salutò la
dottoressa. «Il nostro appuntamento era programmato solo per
la prossima settimana. È successo qualcosa per farla
decidere di anticipare?»
Aiolos si alzò e fece spazio alla donna, ma ebbe la
sgradevole impressione di essere invisibile, mentre la giovane si mise
seduta sul lettino, tenendo lo sguardo basso. «Ho fatto una
brutta caduta e adesso...»
La dottoressa McArthur fece un cenno di assenso, avvicinò il
macchinario per le ecografie al lettino e posò la cartella
clinica sul piano accanto alla tastiera. Poi, si sedette sullo sgabello
e invitò la sua paziente a sdraiarsi di nuovo, battendo
delicatamente la mano sul materassino. Da uno stipetto prese un
lenzuolo bianco e lo aprì sulle gambe di Caroline, tirandolo
fino alla vita. Poi, ne arrotolò una parte, per abbassarlo
quel tanto che serviva e iniziò a tirare su il camice della
giovane, scoprendole la pancia.
Si rimise di fronte al macchinario, accese il monito e
iniziò a digitare qualcosa sulla tastiera. Infine, con una
mano prese il flacone del gel, mentre con l'altra prese la sonda
dell'ecografo.
«Lo sentirai un po' freddo, abbi pazienza», disse,
e sorrise alla contrazione involontaria della pancia di Caroline.
Sembrava procedere tutto bene, ma la donna si bloccò
all'improvviso, come se solo in quel preciso momento si fosse accorta
di una terza presenza nella stanzetta. «Mi scusi, signore,
lei è il marito? Venga più avanti,
così vedrà meglio.»
«No, dottoressa, lui è... Aiolos Foster»
«Allora, se non è un parente, dovrebbe attendere
fuori.»
«Sono il cugino e l'unico parente che ha in
città», mentì Aiolos, ma lo fece con
una tale sicurezza che la donna non ebbe dubbi e, dopo aver chiesto
conferma a Caroline, lo invitò di nuovo ad avvicinarsi.
Poi, finalmente, iniziò la visita.
La dottoressa McArthur iniziò a spostare la sonda sulla
pancia della paziente e sul monitor comparvero delle immagini un po'
confuse e sgranate, ma fra quel chiaroscuro si poteva distinguere con
chiarezza il profilo della testa, le spalle, le braccine e le manine
tanto piccole e anche le gambine piegate. Sulla parte alta del monitor
erano comparsi anche i dati biometrici, che rivelavano il battito
cardiaco del feto e la pressione sanguigna.
«Sembra tutto a posto», disse la dottoressa.
«È sicura, dottoressa? È da quando sono
caduta che non lo sento più muoversi.»
«Ha avuto perdite?»
Caroline scrollò la testa.
«Probabilmente non lo sentiva perché era
indolenzita dal colpo», disse la dottoressa, con un tono
comprensivo. «Guardi, Caroline, guardi qui. Si sta succhiando
il pollice.» Le indicò con l'indice l'immagine del
suo bambino.
A quelle parole, e a quella visione, Caroline si sciolse in un sorriso
bagnato di lacrime.
Aiolos istintivamente le strinse la mano, anche lui catturato
dall'immagine nel monitor.
«È proprio un bel maschietto. Sano e ben
formato», concluse la dottoressa.
«È un... maschietto?» disse incredula
Caroline.
La donna si accorse di aver commesso una gaffe. «Mi dispiace,
non voleva saperlo?» Ma a Caroline ora non importava
più che l'altra le avesse rovinato la sorpresa. Era solo
felice che tutto fosse a posto, che il suo bambino era sano e non
portava su di sé le conseguenze della sua avventatezza.
«Grazie, dottoressa McArthur.»
La donna pulì la sonda, risistemò il macchinario
e diede dei fazzolettini di carta affinché Caroline potesse
pulirsi. Poi, usci dalla stanzetta e diede appuntamento ai due nel suo
studio, per leggere i risultati delle analisi del sangue e per
dare le ultime raccomandazioni.
«Quella gattina è un pericolo per te, in questo
momento», le disse Aiolos, che aveva capito fin da subito
come avesse fatto Caroline a cadere nel corridoio. Vide la giovane che
era pronta a giustificare, come sempre, il comportamento irrequieto di
quella bestiola nera e le impedì di aprire bocca.
«Non mentire. Ha tentato di far cadere anche me; e diverse
volte!»
Sbuffò, aiutandola a scendere dal lettino e le diede le
spalle per permetterle di rivestirsi.
«Un maschio...» mormorò, grattandosi
dietro la nuca. Ora anche per lui le cose diventavano reali.
Pensò a quel bambino e pensò a Saga. Di sicuro
gli avrebbe assomigliato.
Avvertì il cuore battergli nel petto, nervoso.
Gli sarebbe piaciuto rivedere Saga, parlare con lui, per chiarirsi.
Aveva contattato Kanon, sperando che potesse fare da mediatore, ma
l'altro lo aveva scaricato, dicendogli che doveva cavarsela da solo.
Probabilmente si era bruciato ogni possibilità di rimanere
in quella famiglia quando si era dichiarato a Saga, in quel parcheggio
sotterraneo.
Chiedere a Shura, dopo che si erano lasciati male, era improponibile. E
comunque... dannazione! anche lui aveva il suo orgoglio! E poi, non
aveva fatto nulla di male. Se proprio doveva esserci qualcuno che
doveva sentirsi in colpa, questo era Saga.
«Grazie, Aiolos, per essere sempre al mio fianco nei momenti
difficili», disse Caroline, distogliendolo dai suoi pensieri.
Lei gli prese la mano e gli fece un sorriso gentile. «Andiamo
a prendere la strigliata dalla dottoressa.»
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