OS 5 - Il bello e le bestie
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Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0
Italia.
Attenzione:
questa One-Shot fa parte di una raccolta di One-Shot relative alla
storia "Io e te è semplicemente complicato" (più
conosciuta con il nome di "Io e te 3"), di cui trovate il link qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3696063&i=1 o qui https://www.wattpad.com/455486419-io-e-te-%C3%A8-semplicemente-complicato-prologo
In
particolare, questa è la quinta della serie di OS e si colloca,
temporalmente, dopo il capitolo 18 di "Io e te 3", ovvero "Io credo nel
matrimonio, lo giuro, lo giuro!".
Sono letteralmente anni che aspetto di pubblicarla XD
Buona lettura!
.
Il bello e le bestie
.
Alla vera Emma e ad Edoardo.
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Onestamente,
pensavo che Alessandra fosse più una ragazza da dobermann con il
collare borchiato. O al massimo da chihuahua con il vestitino
leopardato, possibilmente femmina e di nome Chanel. Invece mi stupisco
di trovare, nel piccolo giardino antistante casa sua, un grande
labrador che si sta leccando le palle.
Inizialmente
il fatto che ci sia un cane mi preoccupa, ma poi noto che la mia
rumorosa presenza non lo tocca minimamente. Arrivo fino in fondo al
vialetto, accosto vicino al portone, parcheggio, e lui si sta ancora
leccando le palle. Quando scendo mi guarda per qualche secondo, ma poi
decide che le sue parti intime sono molto più interessanti e non
solo non mi calcola, ma mi lascia pure entrare, noncurante che io mi
sia aperto il cancello da solo.
Ho fretta di raggiungere la porta, certo, ma questo canide mi sta troppo simpatico per non meritare un po' della mia attenzione.
"Ehi, bello!" lo chiamo, mentre con cautela mi avvicino a lui.
È
buio, ma non troppo: ci sono faretti sparsi per tutto il giardino e
anche un po' di illuminazione che arriva dalla strada, sebbene questo
non sia un vialetto troppo popolato. Non mi sono stupito quando ho
scoperto, tramite ricerche che rasentano lo stalking, che la casa di
Alessandra si trovava fuori dalla laguna, in uno di quei paesetti di
terraferma dove stanno costruendo un sacco di nuove ville per tipi con
il macchinone.
Beh, ok, di macchinoni non ne vedo, ma di solito i ricchi li tengono ben protetti in garage, per cui.
Il
mio amico peloso cessa finalmente di avere rapporti orali con se stesso
e mi viene in contro scodinzolando. Mi guardo bene dal farmi leccare,
ma lo accolgo affettuosamente, accarezzandogli il collo con entrambe le
mani. È di color nocciola chiaro e ha due enormi occhi marroni
che comunicano serenità; strano, avrei detto che i cani di
Alessandra fossero tormentati divoratori di umani.
Contro
ogni previsione, poi, l'amico qui non ha nomi imbarazzanti come Chanel
o Dior, ma è un semplice Snoopy. Uno dei tanti, probabilmente,
ma di sicuro uno Snoopy felice e un po' indecoroso. Gli rimetto a posto
la targhetta del collare, sorridendo al fatto che Alessandra ci abbia
messo il suo numero di telefono e non qualsiasi altro. Ancora una
volta, non la facevo così affezionata ai cani; la immaginavo
più che altro in una caverna, di notte, ad accarezzare
pipistrelli.
Quando
mi avvicino alla porta, Snoopy dà il primo segnale d'allarme,
ergendosi sulle quattro zampe con fermezza e fermando il dondolio della
coda. Penso che voglia difendere la porta di casa da estranei, ma poi
suono il campanello e lui non abbaia. Ok, probabilmente vuole difendere
me da quel che potrei trovare dentro la casa. Comprensibile.
Mentre
aspetto che qualcuno apra, mi rendo conto di non essere del tutto in
forma. Mi brucia lo stomaco e per qualche ragione non riesco a stare
fermo. Chiaramente sono in ansia, ma non capisco perché tutta quest'ansia.
Il senso di colpa in questi giorni mi ha abbastanza provato,
però ho sempre gestito bene le situazioni difficili. Esami,
interrogazioni, addirittura la discussione di laurea; eppure questo
sembra l'effetto di un brutto bibitone che non riesco a smaltire. Senso
di colpa, più ansia, più fretta di tornare: il mio
stomaco non è mai stato così preso d'assalto...
sarà che Alessandra mi fa proprio paura.
Neanche fossimo nel mio peggiore incubo, ad aprire dopo un po' è proprio lei in persona.
Lo
fa distrattamente, senza nemmeno aver chiesto chi è,
perché presa da qualcosa che sta accadendo nell'altra stanza e
dalle urla che ora sento inconfondibilmente pure io. Mi fissa con
encefalogramma piatto per un po', mentre il concerto continua, poi fa
mente locale ed impallidisce.
Io propongo un sempreverde sorrisetto ironico: "Allora è qui che torturi le tue vittime?"
Alessandra non perde nemmeno un millesimo di secondo a rispondermi; afferra la porta e me la sbatte in faccia.
Ma ci sta, ci sta. Ero preparato.
Ciò
a cui non ero preparato, ma che sospettavo fortemente, era che ci
fossero davvero persone rinchiuse nel suo antro malvagio; possibilmente
gente che stesse soffrendo e che avesse, dunque, un buon motivo per
urlare. Infatti chi sta dando aria ai polmoni non ha intenzione di
smetterla, lasciando così che i propri lamenti trapassino i
vetri della finestra; sono solo suoni, senza parole, ma sembrano gemiti
di donna; o ancor più precisamente di bambina.
Alessandra mangia i bambini?
Mentre
suono insistentemente il campanello, pongo questa domanda anche a
Snoopy, il quale a mia insaputa si è messo sotto un piccolo
cespuglio a scavare una buca. Probabilmente è lì che la
Gruccia nasconde i resti delle sue prede; li fa passare per ossa di
costata, ma il realtà dà in pasto al cane pezzi di corpo
umano.
Dopo
quello che dovrebbe essere il decimo suono di campanello, Alessandra mi
apre di nuovo la porta, ancora più trafelata di prima e con una
faccia che sembra implicare che la mia non è affatto una
presenza gradita. Avete mai visto Dexter che
finge di essere un uomo normale, mentre nell'altra stanza sta
massacrando qualcuno con la motosega? Io adoro Dexter e Alessandra me
lo ricorda.
"Che diavolo vuoi?"
"Un pass per il backstage di questo nuovo horror."
"Chiamo la polizia, Natale."
"O
la chiamo io?" la provoco avvicinandomi a lei e mettendo
contemporaneamente una mano sullo stipite, per guadagnare un po' di
avanzata.
Ora
che la vedo meglio, illuminata dalla luce degli interni, mi accorgo con
sorpresa delle sue condizioni: ok che è in tenuta da casa (o da
antro malefico) però non credevo che potesse assumere tali
pietose sembianze. Anzi, in realtà, direi che sembra quasi
un'altra persona: non ha un filo di trucco, per cui scopro ora quante
lentiggini (segno del male) le infestino il viso, e quante rughe di
espressione modifichino il suo volto, e quanto profonde siano le sue
borse sotto gli occhi. Dopodiché vedo i capelli raccolti alla
bell'e meglio da un mollettone, la canotta sgualcita e più larga
di lei e i leggins bagnati. È coperta di macchie un po'
dappertutto e non so perché, ma puzza, puzza terribilmente,
puzza di... latte?
"Oh,
cazzo!" la sento imprecare e, al massimo della meraviglia, la vedo
sparire verso quella che dev'essere la cucina, chiaramente per spegnere
qualcosa che stava per bruciarsi. A naso, direi latte, ma potrebbe
anche essere acido per sciogliere i cadaveri e farne sparire le tracce.
Non si sa mai.
In ogni caso, nel frattempo entro e mi chiudo la porta alle spalle.
Mentre
da destra continuano urla e tonfi e a sinistra imprecazioni e
spadellamenti, io mi fermo in entrata colpito e affondato dall'enorme
quadro che mi ritrovo di fronte: il ritratto di una donna molto,
molto bella, con lunghi capelli ramati e un sorriso identico a quello
della Gruccia, quindi malefico, ma in qualche modo affascinante. Non
è Alessandra, ovviamente, perché quella del ritratto
è chiaramente più vecchia, ma è altrettanto bella
e in molti dettagli simile, quindi deduco sia la madre. Giuro che mai
come in questo momento ho desiderato di avere rapporti con una MILF.
Non che ciò implichi che la madre di Alessandra sia una MILF,
ovviamente.
Ho dei pensieri impuri, a volte, ma sono un ragazzo educato.
"Come
ti permetti di entrare in casa degli altri?" mi tuona addosso
Alessandra mentre trotta dalla cucina alla parte opposta della sala.
"Esci subito."
"No."
Alessandra ha in mano degli oggetti - giocattoli? -, li porta nell'altra stanza e poi torna in cucina.
"Vattene via Natale, o mi costringi a chiamare la polizia!"
Passa
di nuovo, stavolta con l'iPhone rivolto minacciosamente verso di me in
una mano e un enorme pupazzo nell'altra. Arriva nella stanza opposta,
posa l'iPhone ed esce con il pupazzo.
"Per caso allevi bambini e poi li mangi, come la strega di Hansel e Gretel?" le domando, curioso.
Lei
sbuffa in un moto di ira funesta e si accorge di aver lasciato
giù l'oggetto sbagliato, quindi torna nella stanza per
riprendere il telefono, si sentono alcune altre grida disumane, e poi
un suo ordine tuonante e perentorio: "Miriana, chiudi quella diavolo
porta, per favore?!"
E pace improvvisa.
La
porta si chiude, il rumore si ovatta all'istante e la rossa esce
finalmente con il suo iPhone tra le mani, sudata e a corto di fiato.
Miriana, molto probabilmente, è la schiava ipnotizzata che serve
inconsapevolmente la famiglia da anni, dopo essere stata strappata
dalla sua vita di normale ragazza con dei sogni. Con ogni
probabilità, sarà la stessa fine che spetta a me, dopo
stasera.
"Allora,
te ne vai o no, Natale?" fa lei, posando le mani sui fianchi, e io non
so se prenderla come una minaccia oppure come l'ultima
opportunità utile per salvarmi la vita.
"Sono appena arrivato e già me ne devo andare?"
"Non ti ho nemmeno detto che potevi entrare; questo è chiaramente un caso di effrazione."
"Non hai nemmeno chiesto chi era alla porta, se è per questo. Non mi sembri molto preoccupata delle effrazioni."
"Stavo aspettando qualcuno; ero convinta che fossi quella persona."
"Chi, se posso chiedere?"
"Non
puoi chiedere. Vattene via, Francesco." mi ordina, mentre con un
canovaccio che porta attorno al collo (mio Dio, ma dove sono finiti i
choker di Gucci e le collanine di Tiffany?) si asciuga le mani e le
braccia.
"Scusa."
le sorrido allora, sperando di scaldarle un po' quel ghiacciaio che ha
nel petto. "Ero venuto per parlarti. E anche controllare come stavi."
"Davvero?" accidenti, non è per nulla impietosita.
"Davvero."
"Beh,
non è il momento. Mi dispiace." con un paio di falcate mi supera
e apre la porta, invitandomi con questo gesto e con tutta la sua
postura ad attraversarla e sparire.
"D'accordo."
alzo le mani in segno di resa, ma prima di perdere così
miseramente in partenza, mi gioco una carta, che in realtà
solamente gioco non è. Infilo una mano nella tasca ed estraggo
il suo bracciale Pandora, che ho conservato per tutto il viaggio
sperando che almeno alla vista di quello mi potesse risparmiare la vita
in qualche momento critico. Lo so, ho sprecato subito la chance,
ma ehi... non potevo andarmene con quel coso. Furto ed effrazione non
sono propriamente bei reati e poi, ho come l'impressione che per lei
sia importante.
Difatti,
quando lo vede, i suoi occhi tradiscono tutta la sceneggiata di un
secondo fa. Allunga una mano e lo sfiora, come a dubitare che sia
reale: "Oh, l'hai trovato."
"L'avevi
perso alla villa. Quando ti sei tolta i guanti da lavoro, credo." le
spiego, guardandola dall'alto e notando quanto sembri diversa conciata
così. "L'ho trovato tra i pezzi strappati del mio progetto."
Per un istante, brevissimo istante, mi sembra che provi quasi un lievissimo senso di colpa. Ma poi torna acida.
"Grazie."
cinguetta mettendo finalmente gli artigli sul suo prezioso gioiello.
Controlla che ci sia in particolare uno di quei mille costosissimi
ciondoli e poi lo infila al polso. Mentre tenta di incastrare la
chiusura, le sue mani smettono di reggere la porta, così piano
piano questa fa per serrarsi e io le do la spinta finale
affinché anche la serratura compia il suo scatto.
Alessandra alza gli occhi, mi fissa e poi sbuffa, esasperata.
"Dai, posso restare solo un po'?"
La
rossa nemmeno mi risponde. Aggancia il suo braccialetto e poi sparisce
di nuovo in cucina, stavolta aspettandosi di avermi alle calcagna,
perché quando si volta per parlarmi, ha già un mestolo in
mano, pronto per perforarmi un polmone.
"Ti avverto che se fai gesti o discorsi non di mio gradimento, ti sbatto fuori e ti faccio sbranare da Attila."
"Attila?"
"Il mio cane. È un rottweiler ed è incatenato qui fuori."
Sorrido, appoggiandomi a un bancone della cucina e incrociando le braccia: "È un labrador e si chiama Snoopy."
"Come
cavolo...?" Alessandra si scandalizza, ma poi sospira, portando una
mano alla fronte. "Oddio. Dimmi che non si stava leccando le parti
intime."
"Spero che non sia vera la teoria che ogni cane assomiglia al suo padrone, altrimenti..."
Non
dovrei essere così spavaldo; Alessandra mi ha appena lanciato il
mestolo in testa e prevedo che sappia fare anche di peggio.
"Dimmi
quello che mi devi dire." decreta, posando entrambe le mani sul
bancone, dalla parte opposta della mia, per guardarmi bene con occhi di
fuoco da creatura mitologica del male. "E poi vedi di sparire."
"Ok."
la accontento, timoroso di essere nuovamente ferito da qualche utensile
da cucina. "Ero venuto per parlare di quanto accaduto alla villa. A...
chiederti scusa, in un certo senso, ma prendila comunque con le pinze.
Non è uno scusa così gratuito; vorrei delle ammissioni in
cambio, o quanto meno delle considerazioni."
"Che cosa dovrei ammettere?"
"Innanzitutto che senza fondotinta sei inguardabile."
"Ti odio, Malpelo." sibila, facendo muovere satanicamente quelle sue ciocche disordinate sul viso. "Va bene come ammissione?"
"In
realtà, questo già si sapeva." schiocco la lingua. "Io
ero curioso dei perché dietro alla tua fuga e di quanto potresti
considerare un eventuale ritorno."
"Cos'è,
ti hanno mandato quei mentecatti perché senza qualcuno da
colpevolizzare per i mali del mondo si sentono perduti?"
"I mentecatti sarebbero i nostri amici?"
"Sì."
"Allora no, stai tranquilla. Non ci sono di mezzo loro."
"Ancora
meglio. Significa che davvero se ne sbattono." a concludere questa
triste affermazione, ci pensa una sveglia dell'iPhone, a cui è
stata abbinata la canzone di Adele 'Hello'.
Opportuna
per sviare l'imbarazzo, questa notifica mette sull'attenti la Gruccia,
che torna ad armeggiare con pentole ed oggetti della cucina. Mentre con
una mano infila la presina per non scottarsi, con l'altra apre un'anta
ed estrae un pacchetto di cereali.
"Tu fai colazione alle undici di sera?"
"Tu fai sempre domande stupide?" mi risponde per le rime.
"Beh,
non capisco il funzionamento di questa casa. Il cane non fa la guardia,
ma si lecca le parti intime, il citofono è installato, ma non
viene utilizzato e c'è il latte sul fuoco, nonostante sia tarda
sera. Poi, non parliamo del casino che si sente. Ce li hai o no i
bambini chiusi nell'altra stanza?"
Come
in risposta a questa domanda, la porta del salotto si apre e lascia
uscire una ragazza minuta dalla faccia simpatica, sicuramente poco
più vecchia di me, che mi sorride gentilmente: "Buonasera."
saluta, educata.
Una schiava ipnotizzata, per l'appunto.
Si
fa avanti, mentre Alessandra controlla l'ora sull'iPhone e sembra
davvero presa malissimo: "Oh, Miriana, è già ora che tu
vada?"
"Mi spiace, Ale, lo sai che sarei già ben oltre l'orario di servizio. Non è ancora arrivata tua mamma?"
Mi
aspetto che la rossa le risponda, ma in realtà non parla. Le due
si limitano a scambiarsi uno sguardo significativo e io non capisco. O
meglio, rafforzo la mia teoria sul fatto che Alessandra le abbia
impiantato qualche microchip per il controllo mentale.
"Beh, almeno non sei da sola." afferma Miriana, non riuscendo a cancellarsi dal viso quell'espressione allusiva.
Io
le sorrido per educazione, mentre Alessandra si fa ancora più
acida: "Oh, lui non dovrebbe nemmeno essere qui. Comunque: Miriana,
Francesco, Francesco, Miriana. Lei è la nostra operatrice
sanitaria-" me la introduce lasciandomi ancora più confuso. "Lui
è uno stronzo." mi presenta poi, affettuosamente, alla ragazza.
Lei ridacchia e mi dà la mano: "Ora capisco perché non è ancora stato annientato dal tuo caratterino."
Ci manca poco, penso.
"Serve
una certa somiglianza." conclude Miriana, offendendo sia me che lei, ma
uscendosene impunita perché, a quanto ho capito, il suo turno
con straordinari è terminato.
"Ci vediamo a giugno, Ale, ok?"
"Mi
lasci per un mese, sul serio? Ne sei completamente sicura?" domanda la
rossa, mentre versa dei cereali nel latte bollente e li riduce ancora
più in poltiglia di quanto già siano. Ha uno sguardo
sinceramente supplichevole: mi sta uccidendo il cuore.
"Ne
abbiamo già parlato, Ale." osserva lei, pentita, ma non troppo.
"Sai che comunque in caso di assoluta necessità puoi usare i
contatti che ti ho dato. Buon proseguimento e... buona serata." augura
a entrambi, stavolta senza troppa malizia, ma prima di uscire del
tutto, si arresta un secondo sulla porta. "Ah, dimenticavo! Emma ora
vorrebbe i cereali."
Alessandra,
rassegnata, alza la ciotola per far vedere che già lo sapeva e
Miriana risponde mimando un ok e poi andandosene definitivamente.
"Chi
è Emma?" è forse l'unico tassello che mi manca e che
potrebbe restituirmi un quadro generale più chiaro su tutta la
situazione apparentemente catastrofica della mia compagna.
Lei
prende la ciotola di latte e cereali assicurandosi di non scottarsi,
poi mi guarda consapevole che questo momento sarebbe arrivato e
risponde solennemente: "Mia sorella."
***
PRIMO BREAK
Coraggio, alzi la mano chi almeno per un secondo ha pensato che Ale avesse una figliola XD
Delusi?
***
Okay, forse questo non risolve i miei dubbi come avrei sperato.
La
mia faccia confusa non cambia nonostante la rivelazione e Alessandra
decide di lasciarmi a boccheggiare in questo modo, senza darmi altre
spiegazioni. Difatti, si alza, trasporta con attenzione la scodella e
piano piano si dirige verso il salotto, ovvero la stanza che prima
aveva gentilmente ordinato a Miriana di chiudere, onde evitare di far
uscire le grida di disperazione del suo ostaggio.
Così,
mi affretto a seguirla e mi allungo a giraffa dietro di lei per poter
spiare quando apre di nuovo il salotto-prigione.
Finalmente
vedo con i miei occhi chi è la vittima di tutto questo: razza
caucasica, sulla quindicina, rannicchiata in un angolo del divano e
sottoposta al lavaggio del cervello a causa dei cartoni animati di
Boing che passano sullo schermo a tutto volume. Sono arrivato troppo
tardi; anche se volessi salvarla in un atto eroico, è già
chiaramente fottuta.
"Prima
che tu faccia qualche battuta infelice." mi precede Alessandra,
sussurrando sopra la ciotola di latte per non distrarre la ragazzina.
"Lei è mia sorella Emma ed è autistica. Ora vado a darle
il latte e nel frattempo tu te ne stai qui muto come un pesce a
riflettere sulla tua stupidità. Chiaro?"
Preso in contropiede, annuisco leggermente.
"Quando
ho finito, voglio anche il resoconto della tua riflessione. Sempre che
il tuo mezzo cervello sia in grado di partorirne una."
Badabum-tsss.
Applausi per la crudeltà dell'affermazione.
Alessandra
sculetta verso il divano nella sua maglia inspiegabilmente non succinta
e i leggins macchiati, io, invece, eseguo i suoi ordini senza battere
ciglio. Immagino una linea virtuale che delimita la mia postazione, mi
ci immobilizzo davanti e mi appoggio con il gomito allo stipite; comodo
per poter lisciare ciuffi a caso dei miei capelli, utilizzando il mio
indice e il mio medio come se fossero una mini piastra. Lo so, sono
strano, ma lo faccio da quando sono piccolo perché pensavo di
tirare via il colore rosso in questo modo; avrei tanto voluto nascere
biondo.
Questa
stupida mania è diventata una specie di tic; tendo a farlo ogni
volta che sono inquieto e ora lo sono senza ombra di dubbio.
Anche
se avevo capito a grandi linee, vedere la sorella di Alessandra, della
quale ignoravo le problematiche, mi ha lasciato disorientato. Sembra
così fragile e silenziosa, ma appena si accorge del suo latte
incomincia di nuovo a gridare; acuti fastidiosi accompagnati da un
movimento scomposto della braccia, che impressionano me, ma sembrano
essere normale amministrazione per la mia compagna.
Difatti,
con una calma inaudita, Alessandra le si siede accanto, posa la ciotola
e le chiede se ha fame. La ragazzina non dà una risposta di
senso compiuto, ma continua ad agitarsi e lanciare gemiti, cosa che
avrebbe già fatto perdere la pazienza a un santo, quindi mi
chiedo come diavolo faccia la Gruccia a non aver già sclerato
brutalmente.
Mi
metto ad osservare a braccia conserte, interessato e curioso, come se
avessi davanti uno spettacolo per cui non ho nemmeno pagato.
Beh, un po' sì. La benzina da Cecina a Venezia l'ho pagata eccome.
"Emma, parla piano." la ammonisce pacatamente Alessandra.
'Parla
piano' non è assolutamente quello che io avrei detto a uno che
sta sbraitando a perdi fiato, ma il fatto che abbia di fronte una
ragazza autistica non sembra rientrare tra i suoi accorgimenti. La
tratta come se non avesse alcun tipo di problema.
"Prendi il tablet." continua, senza perdere la calma e passandole l'oggetto. "Rispondi alla mia domanda: hai fame?"
Emma
sembra calmarsi, rapita per un attimo dalla luminosità dello
schermo che ha di fronte, poi preme diverse volte con il dito e dal
dispositivo si sente pronunciare 'Fame', nel tono della stessa tizia di
Google Maps.
"Ok, bene." approva Alessandra. "Fame di cosa? Cosa vuoi mangiare?"
Ma
Emma non sembra molto intenzionata a fare questi giochetti, difatti
preme di nuovo "Fame" e torna a lamentarsi. Fame fame fame fame fame.
"Emma, smettila. Che cosa vuoi mangiare?"
Emma indica la ciotola e urla.
"Cerali? Emma, vuoi i cereali?"
La
ragazza guarda il dispositivo per un po', poi preme "Sì" e
finalmente lo sentiamo tutti quanti. Gruccia, non è il momento
di fare la maestrina, dai. Dalle quei cereali, prima che ti uccida a
colpi di tablet.
"Brava."
sorride Alessandra vittoriosa, in un modo che mi sconvolge un po',
perché non pensavo che gli angoli della sua bocca potessero
salire lontano da una fotocamera. "Mangi da sola o ti aiuto io?"
Emma
è impaziente, non le va di rispondere, quindi sbatte i piedi e
indica ancora la ciotola con entrambe le mani. Penso sia tipo un
ultimatum, e anche la rossa sembra capirlo. Grazie al cielo.
Difatti si arrende e sospira: "Ok, ok, giornata no, ho capito. Meglio che ti aiuti io."
Sotto
il mio sguardo rapito e quasi incredulo, Alessandra afferra la ciotola
e si posiziona meglio di fronte alla sorella. Ora che le vedo vicine e
di profilo, una certa somiglianza la noto, nel naso perfettamente
dritto e nelle lunghe ciglia che abbelliscono gli occhi. Ma Emma non ha
i capelli ramati e lisci come quelli di Alessandra; i suoi sono crespi
e scuri, direi neri come gli occhi. Le lentiggini, comunque, firma
della madre, sono sulla pelle di entrambe.
Sono
troppo incantato per accorgermene, ma mentre Alessandra allunga verso
Emma il cucchiaio colmo di poltiglia di cereali, qualcosa va storto.
Qualcosa
che lei non aveva calcolato, forse, o che comunque fa parte del
carattere istintivo di Emma. La ragazza avverte la bevanda troppo calda
e, protestando aggressivamente per questo motivo, colpisce la ciotola,
che si rovescia in parte sul divano e, in parte, sul viso della sorella.
È
solo in questo momento che mi accorgo che i miei piedi hanno sorpassato
la linea immaginaria e stanno correndo verso di lei.
"Non ti preoccupare." mi ferma mostrandomi il palmo della mano e mantenendo una calma zen che io, davvero, boh.
Cioè...
ha i capelli coperti di cereali e uno zigomo bruciato dal latte, oltre
che una sorella urlante di fronte, ma non si muove di un centimetro. Ha
solo chiuso gli occhi quando il liquido le è finito in faccia e
nient'altro. Non si è digievoluta o trasformata in un mostro
verde, è... è un miracolo.
Ed
è da non credere: ricordo molto nitidamente quando circa cinque
anni fa, durante il viaggio a Mykonos, il povero Amerigo le
versò addosso la granita per errore. Certo, era freddissima e
non caldissima, ma ehi, in quell'occasione gli aveva riservato un
concerto di insulti persino su Twitter; che cosa le è preso
adesso? Ok, siamo maturati tutti, è vero, ma questa reazione non
è da lei. O meglio, non è dalla lei che conosco. E non
che mi stia lamentando, ovvio, però non me lo aspettavo proprio.
Alessandra
si alza compostamente dal divano, raccoglie gli utensili e poi si
rivolge a Emma, nonostante lei non la stia ascoltando più: "Te
lo rifaccio più freddo."
Cambia il canale della tv e finalmente Emma si incanta davanti a Frozen, così mi fa segno di seguirla e lasciamo la sala.
"Cazzo..."
sussurra, tornando finalmente umana quando siamo di nuovo in cucina. Il
viso le fa chiaramente male, difatti posa la tazza vuota e poi si
fionda sul lavabo, per gettarsi l'acqua fresca addosso. Ma non sa come
fare finché ciuffi ricoperti di cereali le cadono in fronte.
Così, impavido di fronte al pericolo, decido di intervenire.
"Aspetta."
faccio, accorrendo verso di lei. Le tolgo il mollettone dai capelli e
la aiuto a tenerli indietro, cosicché si possa rinfrescare senza
intoppi. Nel frattempo, rimuovo i maledetti Cheerios, pensando che da
piccolo avrei anche potuto farmi degli impacchi di cereali ai capelli,
se solo mi avessero detto che tolgono il colore rosso. Non è
vero, ovviamente, sono solo viscidi, ma io ero credulone e determinato
a diventare biondo.
Tutto
questo, comunque, mi ha fatto tornare alla mente quella sera di anni
fa, in Grecia, quando lei vomitava per aver bevuto e aver baciato il
sopracitato Amerigo e io le tenevo i capelli per limitare il disastro.
Fu una nottata nefasta per me. Forse, direi, per entrambi. Ma non
gliel'ho mai chiesto.
"Grazie." mormora, tra le gocce d'acqua.
"Prego. Fammi vedere."
Non
vorrei meritarmi un'altra cucchiaiata in faccia, ma la situazione
richiede veramente attenzione. Continuo a tenerle i capelli
all'indietro, chiedendomi quanto manca ad essere morso dalle sue zanne
e contemporaneamente le inclino un po' il volto per valutare il danno.
Non l'avrei fatto, se non avessi visto qualcosa di brutto, ma
c'è: una bella striatura rossa appena sotto l'occhio, sullo
zigomo destro.
"Che cos'ho?" mi chiede, infatti, preoccupata.
"Ti fa male?" testo, posandoci sopra l'indice, e lei si ritrae con un gemito.
"Chi ti ha insegnato il primo soccorso?!"
Mentre
si lamenta, le guardo l'altra guancia e vedo che c'è un segno
molto simile, solo che ha perso l'arrossamento e sembra essersi
cicatrizzato. Lei si accorge di dove sta puntando il mio sguardo e si
copre interamente i lati del viso, imbarazzata.
"Dovrei imparare dagli errori, lo so."
"È
già successo?" mi preoccupo, ipotizzando che, in realtà,
quello di poco fa non sia stato un incidente così isolato.
"È colpa mia." si affretta a precisare. "So come dovrei fare, ma ogni volta non seguo la prassi alla lettera."
"Mh."
il mio è un verso di disapprovazione, perché, ci pensate?
Tonnellate di fondotinta per coprire ciò che veramente
Alessandra vive. Non mi piace venirne a conoscenza solo ora: è
come immaginare per giorni il regalo di Natale in base alla forma del
pacco e poi scoprire qualcosa di completamente diverso all'interno. A
volte può essere positivo e altre invece negativo. Non so
perché, ma per me non è bello venire a sapere che lei
stia nascondendo tutto questo. Deve farle malissimo.
Infatti, incrocio le braccia e la bypasso con lo sguardo.
"Oh, non quella faccia." commenta lei, antipatica.
"Quale faccia?"
"Quella
ancora più ipocrita della solita." mi spiega. "Sono sempre io.
La Gruccia. Non è che una scottatura o una sorella ritardata
facciano di me una persona diversa."
"In realtà, stavo pensando esattamente questo."
Alessandra fa una risatina amara: "Non l'hai pensato per anni, eppure da anni io sono così."
Incrocio le braccia, indeciso su come rispondere, ma lei mi precede.
"Vado a farmi una doccia. Potresti mettere un po' di latte sul fornello, nel frattempo?"
"Certo."
"Grazie." dice, voltandomi le spalle. "Fruga pure in giro. Tanto ormai hai già trovato tutti gli scheletri negli armadi."
Con una smorfia petulante, la guardo andarsene in bagno e comincio a ripreparare latte e Cheerios.
*
Sì,
lo so. Lo so che non era nei patti, ma appena ho avuto un attimo di
pace, ho deciso di fare un giretto turistico per la casa. Ho fatto il
bravo bambino, ovviamente: prima ho cucinato il latte, poi l'ho posato
accanto alla finestra aperta per farlo raffreddare e poi sono andato in
avanscoperta.
Ho
sbirciato nelle stanze da letto, contando solo tre letti singoli e
nessun matrimoniale. O meglio, due di essi sono uniti, però ho
ipotizzato che fossero quello di Emma e della madre, dato che la stanza
era per metà piena di giocattoli e per l'altra metà di
ritratti e gigantografie della stessa MILF dell'entrata. Quanto alla
stanza di Alessandra, non ho osato invaderla per più di mezzo
metro, onde evitare che una rete invisibile di laser mi facesse a
pezzi.
Finito il mio proficuo hometour e vedendo che Alessandra ci stava mettendo un lustro a lavarsi, ho deciso di entrare cautamente in salotto.
Non
so per quale istinto suicida, però mi sentivo attirato dalla
figura di Emma e così mi sono avvicinato a lei e l'ho salutata.
Lei mi ha guardato per un secondo, dopodiché è tornata a
cantare - o più che altro gridare come un'amazzone - sopra 'Let
it go' di Elsa.
"Ciao,
Emma." ho riprovato, finché lei non ha deciso che in qualche
modo, forse perché ho i capelli rossi come sua sorella, sono
interessante.
Mi
ha risposto per assonanza, muovendo la mano, e allora le ho indicato il
tablet, ottenendo un suo consenso per utilizzarlo (insomma, non mi ha
urlato in faccia, quindi l'ho preso come un nulla osta). Rapidamente
sono riuscito a capire come funziona: è tutta un'unica
applicazione, molto colorata e intuitiva, dove si possono comporre
frasi e addirittura parole, categorizzate nei grandi campi semantici.
Così, mi sono presentato.
"Io Francesco." le ho detto, digitando di seguito le lettere.
Dopo
un po' di strani mugolii, mi ha strappato il tablet dalle mani e ha
ripetuto il nome, dimostrandomi di aver capito. Tutto ciò, non
so bene il perché, mi ha emozionato, seriamente, ed è per
questo che sono rimasto qui con lei svariati minuti.
"Io venticinque anni." le sto spiegando ora, sempre attraverso l'ausilio dell'applicazione e parlando un po' come Tarzan. "Tu?"
Come da copione, ormai, Emma mi ruba il dispositivo e digita: "Ventisette."
"Ma no." la correggo, ridendo. "Io venticinque. Tu, Emma? Quanti anni tu?"
Emma
inizia ad arrabbiarsi, forse perché non capisce, e mentre preme
ripetutamente i numeri due e sette, decido di lasciar perdere. Ho visto
ciò di cui è capace: meglio non rischiare, mi basta
già l'ira di una delle due sorelle.
Dunque
ci mettiamo a cincischiare per un po' con qualche giochetto dell'app in
cui lei, naturalmente, è un asso, dopodiché ritorna
Alessandra dalla doccia più lunga del secolo e guasta la festa a
tutti.
"Che ci fai qui?" bercia, guardandomi oltraggiata. "Ti avevo detto di rimanere in cucina."
"No,
non l'hai mai detto, e, nel caso mi stessi per sottolineare che era
implicito, beh, è sempre meglio esplicitare. Specialmente con
me, dato che ho solo mezzo cervello."
"Fottiti,
Malpelo." mi invita candidamente, mentre porta il latte ad Emma,
stavolta assicurandosi che sia alla giusta temperatura. "Bravo, almeno
questo l'hai fatto bene."
"Imparo dagli errori altrui."
Inutile
dire che le non-risposte della Gruccia mi spaventano. Ogni volta che
decide di ignorare le mie provocazioni, immagino il contenitore della
sua cattiveria riempirsi di una goccia in più, in una lenta
ascensione verso l'empireo della malvagità. Quando la capienza
sarà esaurita, esploderà in uno dei suoi monologhi
sottilmente offensivi, di cui ogni singola parola è come una
lama che va a conficcarsi negli organi vitali, ma soprattutto
nell'autostima, della sua vittima.
Questo
giro, fortunatamente, Emma si lascia imboccare senza storie e, alla
fine del pasto, si rannicchia ancor di più sull'angolo del
divano, cambiando d'umore. Sembra molto più calma, ma triste, e
ne ho conferma quando si mette ad imitare l'espressione e la
gestualità del pianto.
"Guarda
che lacrime di coccodrillo." dal tono un po' materno di Alessandra,
tuttavia, deduco che è in atto un pentimento. Sicuramente nel
tablet esiste la parola 'scusa', ma Emma preferisce manifestare
così il suo dispiacere per essersi comportata male con la
sorella. È una scena davvero insolita e dolce, che si conclude
con il perdono, un abbraccio e la ragazzina finalmente vinta dal
sonno.
***
BREAK ARTISTICO
Scusate,
ma non potevo non inserire proprio in questo spazietto il meraviglioso
disegno di Angelica. Lo trovo semplicemente perfetto e dolcissimo.
***
Così,
per non disturbare la pace che si è stabilita nella stanza,
Alessandra si alza furtivamente dal divano e mi invita a seguirla.
Torniamo in cucina, buttiamo tutte le pentole sporche nel lavabo e poi
la Gruccia afferra un guinzaglio.
"Non avrai intenzione di legarmi da qualche parte, adesso." commento, sentendo che potrebbe essere arrivata la mia ora.
"Più tardi; per adesso tocca a Snoopy." risponde lei, enigmatica.
Alessandra
esce per catturare il suo povero cane e poi lo porta verso il
giardinetto sul retro, mentre io seguo entrambi con il cuore in gola:
"Sono ancora in tempo per cambiare idea e andarmene?"
"Non
lo faresti, perché sai che la tua presenza mi dà ai nervi
e ne gioisci. La gioia di farmi soffrire è più grande
della paura di essere tu quello a rischio di soffrire. Sennò
saresti già scappato."
"Acuta
osservazione. Immagino tu abbia pure un influsso psicologico sulle tue
vittime. Come i serpenti che ipnotizzano gli umani."
"Quello era sul Libro della Giungla, Malpelo. Sono gli umani ad ipnotizzare i serpenti, non il contrario."
"Beh, tu ipnotizzi chiunque."
"Non so se sia un complimento."
"No. Cioè potrebbe esserlo, ma no. Non era in quel senso."
Parlando,
finiamo per ritrovarci, assieme a Snoopy, in un giardinetto davvero
piccolo. Sta dietro la casa, per cui è nascosto dal vialetto
d'entrata, però è più grazioso di quello che si
vede da fuori. È costituito per un quarto dal muro, attraverso
cui si può controllare il salotto grazie alla grande finestra
che Alessandra ha lasciato appositamente aperta. Per il resto, invece,
è delimitato da una ringhiera piuttosto alta, a cui si sono
avvinghiati diversi rampicanti. Ma è tutto ordinato: non so chi
delle tre (ipotizzo Alessandra) dev'essere appassionata di
giardinaggio. Ci sono vasetti di spezie un po' ovunque e poi delle
fioriere dai colori vivaci.
...a cui Snoopy si è appena avvicinato per marchiare il territorio. Ah, questo cane!
"Snoopy!"
Alessandra lo richiama a bassa voce, ma lui chiaramente se ne strafrega
e si piazza esattamente due centimetri accanto alla sua pozza di
pipì, rotolandosi sulla schiena con contentezza.
"Non
fa sempre così." mi assicura lei, mentre a sua volta prende
posto su una panchina di cemento, che è per metà occupata
da sacchi di terra e attrezzi per l'orto. Se io occupo lo spazio libero
e lei si siede sullo schienale, ci stiamo senza problemi, quindi ci
sistemiamo in quel modo, finendo per essere molto, anche fin troppo
vicini.
Alla
mia destra ci sono i sacchi, a sinistra le gambe di Alessandra. E per
fortuna che è più in alto di me, altrimenti saremmo stati
praticamente guancia a guancia. Guancia a guancia con il diavolo:
potrebbe essere un bel titolo per un romanzo esoterico su un viaggio
negli inferi. Più o meno quello che sto facendo io, anche se mi
sa che non mi risveglierò da un brutto sogno come Dante. La
situazione è molto reale e reale pure il momento in cui
dovrò avere un confronto serio con questa ragazza.
"Stai dicendo che Snoopy ha un'altra identità?" faccio, rabbrividendo.
"Può essere."
Fisso
Snoopy che si rotola: "Mi sembra difficile ipotizzare che in
realtà si chiami Chanel e che lo vestiate con pettorine
leopardate."
Ad Alessandra scappa una mezza risata: "No, infatti."
"A
meno che non si chiami davvero Attila e alla luce della luna assuma
sembianze scheletriche ed ali da pterodattilo." alzo gli occhi verso il
cielo per controllare. "Per fortuna stanotte non c'è la luna.
Siamo salvi."
"Sai
che dici un sacco di cazzate?" mi rimprovera lei, perplessa dalle mie
povere battute. "Snoopy è il cane più dolce che esista.
È un po' imbarazzante, ma è perfetto. Soprattutto per
Emma; se ne prende cura come fosse la sua cucciola."
"Oh, wow."
"E
pensa che l'abbiamo trovato al canile." mi racconta, chissà
perché in vena di condivisione. "Eravamo andati in un
allevamento di cani di razza, perché pensavamo che lì ci
sarebbe stato qualcosa che facesse al caso nostro, ma la realtà
è che nessuno di quei cani sembrava felice di tornare a casa con
un umano. Sulla strada del ritorno, allora, abbiamo deciso di dare
un'occhiata anche al canile, così giusto per, e abbiamo visto
lui. Era piccolo e imbranato e sopratutto sporco come una pallina di
fango, ma è letteralmente saltato addosso ad Emma e lei l'ha
amato dal primo istante. Anche io a dire il vero."
"Ti piacciono i cani?"
"Certo."
"Ti
avrei fatta più un tipo da gatto." o da pipistrello domestico,
come dicevo. O anche da cane-pterodattilo mannaro. Ecco, sì,
questa è la rappresentazione più adatta.
Alessandra si stringe nelle spalle: "Hai un sacco di pregiudizi."
"Mi sa di sì."
Mentre
tira una leggera brezza piacevole, il profumo dello sciampo di
Alessandra arriva alle mie narici e finalmente respiro qualcosa di
diverso dal latte.
"Non
è che li smentisci sempre, comunque." osservo, apprezzando il
ricercato aroma che emana ad ogni spostamento. "Ti sarai lavata con il
Dior."
"Quello è fuori discussione." si vanta, muovendo una ciocca ancora un po' umida e sprigionando dunque un'altra folata.
Assieme
a questi dolci venti, arriva anche qualcos'altro di meno piacevole e
inaspettato: il ritorno dell'ansia. Non capisco bene che cosa la faccia
scattare, ma quel bruciore allo stomaco è qui di nuovo e non
promette nulla di buono.
Istintivamente, infilo una mano nella tasca ed estraggo il pacchetto di sigarette.
"Fumi?"
Lo
chiediamo entrambi, all'unisono; io rivolto a lei nel senso di 'Sei
abituata a fumare?', lei invece me lo chiede stupita, come a dire 'Hai
ricominciato a fumare?'.
"No." decreta lei, allora.
"Io sì." sospiro recuperando anche l'accendino.
"Perché?"
fa, dando occhiate alterne alla mia sigaretta che si accende e a Snoopy
che si rotola. "Voglio dire... non avevi smesso? Perché hai
ricominciato?"
"Storia lunga." taglio corto, imbarazzato dal vero perché. "E tu? Perché no? Qualche volta ti ho visto fumare."
"Lo
faccio quanto sto in ansissima." rivela. "O quando lo sento
assolutamente necessario. Ma mi sforzo di non cedere: il fumo è
veleno per la pelle."
"Ah, non per i polmoni."
"Dal mio punto di vista, rappresenta una minaccia anche estetica."
"Quindi fumare ti piace?" domando, esalando un po' per gioco e un po' per provocazione, una boccata vicino a lei.
Alessandra scaccia la nuvoletta con una smorfia: "In realtà, non piace a nessuno. Ma ci serve."
"Che
stronzata." scuoto la testa, pensando che a me invece piace eccome.
Cioè sì, mi serve, certo, ma ha un fascino... voglio
dire, è bello. "Se ti serve solo un calmante, puoi prendere una
valeriana. Anzi, nel tuo caso direttamente una confezione di Diazepam."
"Non mi servono dei calmanti."
"Allora fumi perché ti piace; ammettilo."
"È una storia lunga." riassume. "Dai, dammene una."
Con mia sorpresa, Miss È Veleno per la Pelle fa
esattamente ciò che ha professato di saper evitare, ovvero
cedere alla tentazione. Ma non posso lamentarmi: in fondo, avere un
compagno di sigaretta è sempre cosa gradita, e poi mi diverte il
pensiero che per lei sia una vera e propria lotta. Lotta che io le ho
fatto perdere.
Sorridendo, poso sul suo palmo aperto una preziosa Marlboro: "Sei in debito."
"Certo, Malpelo."
Quando
si china verso di me per incontrare la fiamma del mio accendino, ho
modo di osservare il suo viso grazie alla luce del fuoco e rivedo la
bruciatura di prima. È lucida perché deve averci spalmato
sopra qualcosa, ma per fortuna non sembra peggiorata.
"Come va lo zigomo?" le chiedo comunque.
"Non fa male, non sento nemmeno più bruciore. Il tuo?"
"Il mio?" faccio, toccandomi istintivamente quella parte del viso.
"Non te l'eri rotto?" non so se sia una provocazione o meno, ma a me risulta come tale.
"Me
l'hanno rotto." preciso. "E comunque cinque anni fa. Direi che se lo
vedi ancora al suo posto, la frattura si è sistemata."
"Era
successo anche a mio padre, una volta. Gli ci sono voluti anni prima
che si sistemasse del tutto e ad ogni temporale che stava per arrivare,
sentiva delle fitte."
È
la prima volta che Alessandra mi parla di suo padre, ma comunque non
capisco perché stia pensando al mio zigomo, quando per anni non
se n'è minimamente preoccupata.
"Mi spiace per lui, ma io sto bene."
"Meglio
così." annuisce, facendo un tiro dalla sigaretta con una
spigliatezza che indica abitudine. Mi sembra una fissata con la linea
che in realtà si fa puntualmente uno spaghetto aglio olio alle
due di notte: perché ha così tanta riservatezza sulle sue
debolezze?
Bah,
che domanda idiota. Perché è parte del suo carattere,
ovviamente. Deve sembrare la perfetta ragazza fortunata, con
l'impeccabile intorno di agi e l'invidiabile vita equilibrata. Pure
leggermente invincibile e stronza, aggiungerei, cosa che ha provato di
non essere, ogni tanto.
"Pensi
ancora che sia colpa mia?" mi chiede senza un senso apparente, ma che
poi ricollego al famoso pugno in faccia da parte di Pierpaolo.
Quindi mi volto con inquietudine verso di lei: "Perché ne stiamo parlando adesso?"
Si
chiude di nuovo nelle spalle: "Sei qui da ore e non hai ancora
affrontato il motivo della tua visita. Credevo ti piacesse prendere
tempo con conversazioni a caso."
"Questa
non è una conversazione a caso." la indico con la sigaretta. "Ci
stavo per arrivare al punto, ma ci sono stati degli intoppi. Comunque
no, non penso che sia colpa tua e non l'ho mai pensato."
"Ah no?"
"No,
è stata colpa mia." rettifico con ovvietà. "Anzi,
è stata colpa di Pierpaolo Scilla, perché l'unico
squilibrato manesco della situazione è lui. Ho fatto certamente
qualcosa di grave, ma non meritevole di un pugno da parte di un
represso che non c'entrava un cazzo."
Alessandra ride divertita dal mio modo di elogiare Scilla: "È ancora represso. Dopo tipo dieci anni."
Scuoto
la testa, davvero felice di essermi lasciato alle spalle almeno quella
gatta da pelare: "Forse è arrivato anche il suo momento. In
questi giorni sembra che finalmente abbia rotto la barriera del disagio
tra lui e Federica."
Un
fischio esce dalle labbra della mia compagna: "Quanta cattiveria,
Natale. A volte sembri quasi me. Continua a bruciarti tutta quella
questione con la Di Mario?"
"Siamo
ancora nel flashback di cinque anni fa, non ci credo." faccio, buttando
a terra un po' di cenere e scuotendo la testa. "No, l'ho superata. Non
mi brucia per niente."
"Allora perché sei così teso?"
"Perché ne sto parlando con te."
la mia risposta è talmente genuina che non riesco nemmeno a
tenermela dentro. E un po' stupisce pure il sottoscritto, ma in
fondo... è la sacrosanta verità. Conversare così
apertamente e così vicino a lei mi disturba, come cinque anni
fa, quand'eravamo seduti in riva al mare su quel tronco.
Sapevo che sarebbe finita male allora e adesso è la stessa cosa. Non sono mai tranquillo con lei.
Getto
il mozzicone e contemporaneamente tiro fuori un'altra sigaretta: se
uscirò da qui, sarà con un tubo di scarico al posto della
trachea.
"Ero
solamente venuto per sistemare il casino dell'altro giorno." snocciolo
allora. "Non pensavo che avremmo passato una serata in famiglia."
indico con la Marlboro prima lei, poi Emma dalla finestra e infine
Snoopy che, fedele a se stesso e alla razza canina, ha ripreso a
leccarsi lo scroto.
"Scusami
tanto, Rosso Malpelo." si irrita lei, buttando anche il suo mozzicone e
approfittando del mio pacchetto ancora aperto per scroccarsi la seconda
sigaretta. "Se mi avessi avvertito che stavi per irrompere nella mia
proprietà, avrei finto di abitare da sola in una villa senza
persone autistiche e cani pervertiti."
"Non
intendevo quello." mi discolpo subito, rendendomi conto del tono
sbagliato che ho fatto passare. "E comunque sei doppiamente in debito."
aggiungo indicando la sigaretta che si sta accendendo dopo avermi
soffiato anche l'accendino.
"Contaci."
"In
realtà, mi ha fatto piacere conoscere Emma." affermo,
onestamente. "E anche Snoopy, chiaro. E... Miriana la schiava
ipnotizzata."
"Ti droghi, secondo me."
"No, sono veramente solo Marlboro."
"Beh, comunque ti sei perso il personaggio più simpatico della famiglia; mia mamma."
"È la bella signora appesa nel ritratto in entrata?"
"So
che pensi che sia una MILF." mi addita. "E tanto lo è, quindi
non preoccuparti. Comunque sì, quella è mia madre.
Avrebbe dovuto tornare stasera, ma non si è vista. Chissà
dove cazzo è."
Uh, sento aria di rancore.
"È la persona che stavi aspettando quando hai aperto la porta a me?"
"Esatto.
Passo metà della vita ad aspettare lei, ma arriva solo altra
gente, spesso e volentieri gente rompipalle, tra l'altro."
"L'ho presa sul personale."
"Era personale, infatti."
"Haha." rido sarcasticamente, inspirando un po' di catrame. "Raccontami di lei."
Sento lo sguardo di Alessandra fisso su di me, perforante come un coltello.
"Se vuoi." aggiungo dunque.
"Non ti sembra di aver già saputo abbastanza sulla mia bellissima vita?"
"Raccolgo materiale per un programma su Real Time." la prendo in giro. "Voglio chiamarlo I miei scheletri nell'armadio oppure La mia vera identità, anche se ho pensato pure a Guancia a guancia con il diavolo, che non è affatto male. Se partecipi senza troppe storie, poi ti do metà degli incassi."
"Sei a una battuta dalla denuncia."
"Dai." ridacchio. "Si vede lontano un miglio che hai bisogno di qualcuno con cui parlare."
"Mio
eroe, grazie." schernisce. "Oltre ad avere un certo intuito, sei pure
valoroso. Proposte di questo genere si ricevono solo dagli psicologi al
giorno d'oggi."
"O
dagli amici." le strizzo l'occhiolino, come a sottolineare che è
qualcosa di cui attualmente è sprovvista, per via di questa sua
avversione all'essere umana.
"Oh, il mio cuore." fa la finta offesa, portandosi una mano al petto e confermando ancora di più la mia teoria.
Come
piccolo incentivo a spiattellarmi la sua vita privata, le offro
un'altra sigaretta, per esattezza la numero tre della serata, e lei
accetta l'insieme con un sospiro sconfitto: "Mi porterai alla rovina."
"Vivo per questo, Pel di carota, ormai dovresti saperlo. E comunque, sei un sacco in debito."
"Tu sei in debito. Mi devi un polmone nuovo e della privacy che mi hai rubato."
"Per mia natura di gentiluomo, un giorno ti ripagherò."
Ma
non oggi, penso. Siamo entrambi talmente incasinati che non possiamo
far altro che barattare la nostra privacy per qualche sigaretta, senza
permetterci beni di lusso come la salute. Comunque, per fortuna ne
rimangono solo due e non ho la minima intenzione di darle a lei. Me ne
servirà una per festeggiare la mia uscita da questo posto ancora
tutto intero e poi un'altra per autocommiserarmi quando sarò
tornato a Cecina senza aver compiuto la mia missione. Perché a
questo punto della serata, credo che la Gruccia non tornerebbe in
Toscana con me nemmeno se volesse.
"Mia
mamma fa la rappresentante di un'azienda di creme e cosmetici da tipo
una vita." ecco, ci siamo. Mi metto comodo per ascoltare i cavoli della
Gruccia: forse mi faccio influenzare dalla morbosità di Eva, ma
mi sento troppo attirato da tutto ciò. "Ha sempre lavorato in
giro. Convention di qua, fiere di là, soggiorni, corsi di
aggiornamento, workshop, un casino di impegni. Insomma, non è
nuovo per me che non sia a casa e, sinceramente, non è che me ne
freghi più di tanto. Può fare la vita che desidera, per
quanto mi riguarda, con tutti i toy boy che trova alle reception degli
hotel, ma il problema è che qui." indica il pavimento con la
sigaretta. "C'è bisogno di lei."
"Beh, ma tuo padre?" mi scappa, istintivamente. "Cazzo, non dirmi che è morto."
"Magari."
sorride lei con malvagità, preoccupandomi. "Sarebbe tutto
più facile, se fosse stecchito, invece è ancora vivo, ma
sta in Portogallo con una MILF simile a mia madre che non ha avuto
progenie handicappata."
Ricordate il discorso del contenitore della cattiveria? Ecco, ha esondato.
"Mi devo preparare a una storia triste?"
"Nah."
fa un tiro piuttosto lungo, concentrandosi sul fumo che sicuramente le
sta facendo da inibitore delle emozioni forti. "Ho una relazione
complicata con lui, sai tipo il classico amore odio. Se n'è
andato ancora quando io avevo nove anni."
"Cioè quando è nata Emma?"
"Che?
No." sorride lei, aggrottando le sopracciglia. "Emma era già
nata da un po'. Guarda che sono io la più piccola delle due."
"Sul serio?"
"Mh-mh."
Alessandra sta consumando quel mozzicone fino all'ultimo millimetro: si
brucerà le dita. "Emma ha ventisette anni. Papà se
n'è andato quando lei ne aveva dodici, perché è
stato in quegli anni che il suo problema è peggiorato
pesantemente... prima era quasi normale."
"Davvero? Pensavo... ero convinto... insomma, sembra che abbia appena quindici anni."
"Fa
parte del suo disturbo." asserisce la Gruccia. "È nata con una
leggera forma di autismo, ma nonostante le cure, nel passaggio alla
pubertà si è aggravata fino allo stadio in cui la vedi
ora, implicando anche altri tipi di problematiche fisiche e mentali. E
forse si aggraverà ancora in futuro, questo non lo so."
"A scuola qualche volta parlavi di tua sorella, ma non hai mai accennato a nulla di tutto ciò."
"Perché
non ne vedo l'utilità. In più, avrei dovuto specificare
che il fatto ha spaventato papà e l'ha spinto a lasciarci da
sole."
"Non vedo perché tu te ne debba vergognare; non è mica colpa vostra."
"A
nove anni ti prendi la colpa di qualsiasi cosa. Specialmente se tuo
papà ha ben pensato che finché poteva, avrebbe fatto
meglio ad ingravidare una donna più adatta. Sai com'è, lo
trovavo leggermente imbarazzante."
"Lo odi?"
"No."
risponde immediatamente. "In un modo un po' perverso, gli voglio pure
bene. La me adulta ha capito le sue ragioni e non lo biasima per
essersi stufato di una moglie vagabonda, però la me bambina non
ha mai smesso di pensare che fosse un uomo di merda per aver messo al
secondo posto la famiglia e, soprattutto, per essere scappato dal
problema di Emma. Non è colpa sua se l'ha avuto e non poteva di
certo risolverselo da sola. E non è nemmeno colpa mia se a nove
anni non potevo fare di più, ero troppo fottutamente piccola. Ma
questo l'ho capito dopo, ovviamente."
Gioco con il pacchetto, pensieroso: "Io non l'avrei mai fatto."
"Cosa?"
"Abbandonare la mia famiglia."
"Facile
dirlo quando non ti capita. Mia mamma la pensa come te, ma in fondo
pure lei è sempre un po' in fuga. Dice che il lavoro è
lavoro, ma so che per lei è pura e sana evasione."
"Però è rimasta."
"Per
potersene andare ogni due settimane alla fiera del makeup a Praga e
scoparsi i ventenni che rappresentano le creme corpo della L'Oreal."
schiocca la lingua. "È rimasta per modo di dire. Penso che,
semplicemente, in una famiglia del genere i deboli di cuore non
riescano a rimanere per troppo tempo."
"Quindi non odi né tua madre né tuo padre." riassumo, incredulo.
Alessandra si mostra un po' imbarazzata: "Per te sarebbe giusto che li odiassi?"
"Non
lo so. Io i miei li ho odiati per anni, quando mi hanno costretto a
seguire una strada che non era la mia. Immagino che a questi livelli si
sia ben oltre l'odio."
La
rossa sospira, muovendo un po' di buon vecchio Dior nell'aria: "Alla
fine sono comunque genitori. Fanno i peggio casini per definizione."
"Questo è vero."
"Mamma
è spesso assente, ma quando la situazione si fa ingestibile,
torna a sistemare le cose come solo lei sa fare. Papà non ha mai
mancato un appuntamento con noi: lo vediamo regolarmente una volta ogni
tre mesi ed Emma lo adora. È irritante, stronzo e crudele, ma
paga il mantenimento e credo che in fondo non abbia mai cancellato
l'affetto verso di noi. L'ha brutalmente soppresso, certo, ma non
è assente; lo vedo dai sorrisi. E dai regali fighi che ci fa: il
Dior che ho messo ora è suo."
Annuisco
lentamente, non molto comprensivo nei confronti di quanto appena
sentito, ma ammirato per le dichiarazioni di Alessandra. Mi sarei
aspettato il disastro da parte sua, in risposta a tutti questi torti
della vita, invece mi scopro essere quello più incazzato dei due.
Quale
genitore degenere si laverebbe le mani di fronte a una figlia autistica
e alla minore costretta a farle da madre e padre, oltre che da sorella?
Quale stronzo creerebbe dei traumi del genere ad una ragazzina? Se la
Gruccia fa schifo a relazionarsi, soprattutto con gli uomini, è
colpa sua. È ovvio... con un modello di padre così, anche
io sarei diventato una diva inacidita che sputa veleno su qualsiasi
situazione piacevole della vita. E non mi sarei mai voluto legare
sentimentalmente a qualcuno che non fosse, per l'appunto, irritante,
stronzo e crudele. Il tipo di ragazzo che piace alla Gruccia e per cui
rasenta la prostituzione anziché lasciarsi corteggiare come si
deve.
In
conclusione, se vedessi ora i suoi genitori, prenderei a pugni
entrambi. E sorprendentemente, per la prima volta, mi trovo a capire il
gesto di Pierpaolo Scilla di cinque anni fa.
"Sei veramente un po' perversa." concludo.
"Lo
dice anche Miriana. Paradossalmente, è lei che litiga con i miei
più di quanto faccia io. A volte intraprende battaglie che io
lascio perdere a priori. Che ci vuoi fare; è uno spirito
ribelle."
"Infatti lei mi piace."
La
Gruccia annuisce divertita: "Chissà perché, Malpelo.
Miriana mi salva spesso la vita; se esco a fare aperitivo ogni tanto
è merito suo, perché fa un sacco di ore extra e mi
permette di prendere impegni. È praticamente una di famiglia,
nonché una specie di migliore amica a pagamento. Ma è
lesbica, ti avverto."
Sbuffo
fingendo che la cosa mi dispiaccia, ma in realtà no. Mi sembrava
simpatica, ma non ci avrei provato con lei, perché sarebbe stato
troppo facile e tranquillo. Sono più per le irraggiungibili
acide che creano problematiche in qualsiasi circostanza... tipo...
Federica. Solo Federica, non pensate che mi riferissi a qualcun altro.
Per l'appunto.
"Però ora va in ferie, mi pare di aver capito."
"Sì,
sono le uniche vacanze che prende durante l'anno." mi spiega. "Mamma la
paga per dieci mesi interi e non ti dico quante ore in più ci
regala. Se lo stramerita, anche se, come vedi, mi sta lasciando
alquanto nella merda, almeno fino a giugno."
Alessandra getta finalmente quel briciolo di Marlboro che le è rimasto e si passa una mano nei capelli.
"Quindi se anche ti pregassi di venire con me a Cecina, tu non potresti?"
"Esatto,
Malpelo." mi sorride, strafottente. "Non potrei e sopratutto non vorrei
seguire uno stronzo travestito da bravo ragazzo come te."
Deglutisco il sapore secco del fumo, faticando ad affrontare il suo sguardo: "Ah, cazzo... mi dispiace."
Non
riesco a gestire il senso di colpa, specie alla luce di quanto appena
appreso. Mi sento proprio coglione, oltre che impotente. Le ho detto
cose così cattive, supponendo realtà che non avevano
nemmeno senso di esistere e ignorando, invece, quale fosse il vero
ambiente in cui Alessandra deve destreggiarsi. Non è che il suo
caratteraccio sia perdonato grazie a tutto ciò, ma nemmeno il
mio ha scusanti. Ha ricevuto molte pugnalate allo stomaco da parte mia
e questo mi fa stare malissimo.
"Dammi l'ultima sigaretta e sarà tutto dimenticato." scherza lei, strisciando le infradito sul cemento della panchina.
"Oh, non sai quanto ne fumerei un'altra pure io."
"Nulla ti ha fermato finora." mi incoraggia.
Ma io scuoto la testa: "Mi serviranno per sfogare tutto questo malessere dopo."
Alessandra rotea gli occhi: "Non reggi nemmeno un po' di dramma. Che mezza pippa."
A
me non va molto di scherzare, purtroppo, difatti rimango serio,
stringendo il cartone con un po' più forza: "Se l'avessi saputo
prima..."
Avete
letto Harry Potter? Se non l'avete letto e non volete spoiler, saltate
le prossime tre righe, altrimenti sappiate che mi sto sentendo come
quando ho letto di Severus Piton e del suo cazzo di passato
strappalacrime. Tutta la mia vita ha preso una direzione diversa,
allora, e mi sono sentito un impietoso giudice senza prove. Mi sto
sentendo così anche adesso.
"Francesco."
la mano che Alessandra mi posa sulla spalla mi stringe ancora di
più lo stomaco. "Non hai scoperto nulla di sconvolgente. Io sono
sempre io, da quando mi hai visto per la prima volta. Non ho mai fatto
nulla per essere una persona migliore, anche se potrei, e quindi mi
sono sempre aspettata le reazioni di chiunque attorno a me. Beh, quasi
tutte."
"In che senso?"
"Che sei comunque l'unico che è tornato a prendermi. Questo non me l'aspettavo, perché non l'ha mai fatto nessuno."
Mi
tornano alla mente le parole di Marinella su quanto secondo lei io
fossi l'unico con certe eroiche capacità perché avrei
visto qualcuno dietro la bestia che Alessandra è. Ma io non
sapevo nemmeno che esistesse questa realtà, non sapevo nulla
della sua vita, quando mai avrei potuto vedere dell'altro in Alessandra
Gruccia?
"Immagino che entrambi abbiamo un modo di sorprendere." commento, pensieroso.
"Certi pregiudizi vanno smentiti."
"Comunque
non mi spiego perché." esclamo allora, sentendo qualcosa
montarmi dentro, forse un'evoluzione ancor più pericolosa
dell'ansia e dello sdegno. "Perché ti comporti in questo modo?"
"Definisci 'questo modo'."
"Quando
stai con gli altri, perché fai la stronza, perché non
condividi, perché vuoi sempre passare per il bullo della
situazione?"
"Perché è il mio modo di essere forte."
"Ma
non lo sei! Anzi, guarda come sei debole. È forte chi non
è solo e tu per adesso non fai nulla per evitarlo. Sforzandoti
di ottenere il contrario, rischi invece che gli altri piano piano ti
abbandonino."
"Ti
sbagli: anche stando soli si può essere forti e il mio
atteggiamento mi aiuta quanto meno a rendermi conto di chi tiene
davvero a me. Per ora sei l'unico candidato."
"Non te ne importa nulla della classe?"
"No."
"Non
rispondere come sei abituata, rispondi sinceramente. Non saresti sempre
alle rimpatriate, se davvero non ti importasse, non saresti nemmeno
parte del gruppo."
"Beh,
ok, ci sono dentro, ma so che ho le ore contate. Gli altri mi accettano
solo per senso del dovere. So che se potessero, mi avrebbero già
sbattuta fuori mille volte. Il post di Eva, per esempio, l'ho letto."
"È più complicato di così. Perché non ti apri con loro? Perché non ne parli?"
"Non sono fatta per queste cose."
"Potrebbe
essere dovuto a quello che è successo con tuo padre o a quello
che vivi a causa di tua madre, insomma... a qualche trauma del passato,
o alla stessa situazione di Emma."
"Wow. Freud, fatti da parte." commenta con sufficienza.
"Io
ti posso aiutare, o possiamo parlare con qualcuno. Non è grave,
anzi, pure io ci sono andato spesso dallo psicologo ed è
qualcosa che consiglio a chiunque."
"Grazie,
ma fa lo stesso, ok? La situazione è così da troppo
tempo, non credo che si possa rimediare. Non riesco a cambiare me
stessa da quando ero una stronzetta che lanciava le palline di carta
addosso ai secchioni del primo banco, figuriamoci se riesco a
convertirmi nell'anima del gruppo. L'acidità è la mia
comfort zone. Quando ci sono entrata era talmente tanto tempo fa che
non ho la minima idea di come si esca."
"Loro ti possono aiutare."
"No,
loro mi odiano, Malpelo, e mi odieranno per sempre! In più non
sono dei fottutissimi psicologi; hanno dei problemi esattamente come
me!"
"Appunto,
l'amicizia si fonda su questo. E come dicevi riguardo ai tuoi genitori,
sebbene si comportino male, loro ti vogliono bene, come tu vuoi bene a
loro. Lo sai che funziona così anche nella classe e se non fai
qualcosa in tempo, rischi che qualcuno, tu o loro, se lo dimentichi."
"Io sono a mio agio con chi mi disprezza. So come tenergli testa."
"Certo,
perché ti hanno solamente insegnato che è giusto fingersi
forti. Che i deboli perdono o vengono abbandonati. Ma ti ripeto che
l'amicizia è esattamente essere deboli, avere dei problemi e non
capire che cazzo fare della propria vita."
Alessandra
sospira: "Perché ti stai fissando così tanto? È
perché speri che torni a Cecina con te? Ti ho già detto
che non posso."
"No,
non è per questo." rettifico. "Insisto perché a volte
anche io mi sento escluso, ma poi realizzo che ho bisogno di quel
gruppo, perché che lo voglia o no, mi ha sempre aiutato ad
affrontare meglio la vita, e a crescere. E anche tu ne hai bisogno e,
soprattutto, insisto perché non voglio che tu te ne vada."
Alessandra incassa in silenzio.
"...non di nuovo, almeno."
A
questo punto si rabbuia, colpita dalle mie parole e stranamente
riflessiva. Dopo un po', pronuncia un semplice 'ok' e approfittando
della mia distrazione, mi sfila dalle mani il pacchetto di Marlboro,
estrae le sigarette e ne distribuisce una a me e una a se stessa.
"Non puoi fumare così tanto." la rimprovero, lasciandomi fregare anche l'accendino.
"Pensavo che da quella porta fosse entrato qualcuno di diverso da mia madre."
"Finiamo il pacchetto." la addito, minaccioso. "E poi non fumiamo mai più."
"Certo, Malpelo."
Alessandra
fa scintillare la fiammella dell'accendino ed entrambi ci avviciniamo
al fuoco, nello stesso momento, finendo per trovarci sul serio, questa
volta, guancia a guancia. Solo che non so più chi di noi due
è il vero diavolo, o se c'è mai stato davvero un diavolo,
o sei nostri sono sempre stati solamente stupidi pregiudizi.
Il
suo profumo sovrasta l'odore del fumo e allora mi ricordo. Ricordo
quand'è stata l'occasione in cui ho visto qualcosa in lei.
Certo, ero ubriaco fradicio e arrabbiato e triste, ma l'ho baciata e in
quel momento non ho sentito nient'altro che il suo profumo e quel vero,
completamente folle bacio. Ho sempre etichettato quel gesto come la
mossa giusta che mi ha fatto uscire dalla relazione sbagliata che c'era
tra me e Federica... ma ho sempre avuto paura che fosse la mossa
sbagliata per entrare nell'unica relazione giusta che potrei avere
nella vita.
Ecco
perché Alessandra mi fa così tanta paura: perché
credo di provare qualcosa di davvero folle per lei. Qualcosa che io
proprio non capisco, ma che mi brucia lo stomaco, come quella sera in
cui pensavo che fosse tutta colpa dell'alcol e della delusione per
Federica.
Invece... era tutta un'altra storia.
"Malpelo." sussurra a un millimetro dalla mia bocca e con il fuoco dell'accendino ancora acceso. "Mi stai per baciare."
"Che intuito."
A
questo punto, non ho più molta integrità morale. Ho il
fumo nel cervello, il Dior nelle narici e le sue profonde parole nella
gola. Vorrei tornare di nuovo a quella sera accanto a lei e
ricominciare da lì, sapendo, stavolta, chi è lei davvero
e, soprattutto, chi sono io. Se veramente è dipeso tutto da un
bacio, allora voglio che sia un bacio a descrivermi che cosa diavolo
è giusto in questa difficilissima vita.
E prima che me ne renda conto, ho posato una mano sulla sua guancia e inclinato la testa per incontrare le sue labbra.
Ma lei, esattamente come cinque anni fa, non me lo permette.
"Non osare." mi rimprovera, spingendomi via.
"Perché?"
"Perché
sono fidanzata." risponde con una semplicità disarmante,
ricordandomi l'unico dettaglio della sua vita che davvero non mi piace.
"Ok." inspiro, allontanandomi con fatica disumana e intascando la sigaretta intatta. "Ok."
Nella
mia testa compare quel faccino da nobiletto del suo tipo, il famoso
Johannes, e improvvisamente non voglio più essere biondo. Quello
là e biondo e muscoloso; il tipico bambolotto che sta bene con
le ragazze come Alessandra, ma che dev'essere arido come il Sahara e
vuoto come il Gran Canyon.
Il
tipo di uomo che è suo padre e che lei non ha ancora capito se
amare oppure odiare. E vaffanculissimo ai traumi del passato.
"Credevo
fossi un uomo d'altri tempi, Francesco." afferma lei, riprendendosi
molto più in fretta di me. "I bravi ragazzi non tentano di
rovinare delle relazioni già in corso con altre persone."
"Hai un sacco di pregiudizi."
Alessandra
sorride, un po' imbarazzata per sostenere il mio sguardo: "Immagino che
non si possano smentire tutti in una sera, eh?"
Incrocio
le braccia, sentendomi decisamente deluso e a bocca asciutta, mentre
lei si alza in piedi: "Sarà meglio che porti Emma a letto."
"Aspetta." mi lamento, alzandomi a mia volta e trattenendola per il polso. "Davvero finisce tutto così?"
Mi
guarda con due occhi che per la prima volta mi sembrano da cerbiatto,
quasi come quelli di Snoopy al mio arrivo, quasi come se si aspettasse
che io smentisca per davvero quel pregiudizio e che la baci, qui, ora,
nel giardino sul retro di casa sua.
Ma
io sono Francesco Natale; non farei una cosa del genere, perché
rispetto la sua richiesta e perché non voglio essere il padre
stronzo che lei ricerca in ogni uomo a causa di un passato di merda.
Magari questa è una provocazione, una prova in tutto e per
tutto, per testare chi sono veramente. E non ho idea di cosa voglia
vedere in me, quindi non posso far altro che essere me stesso.
Indipendentemente
dalle sue intenzioni, comunque, sono convinto che se cedessi, non ci
fermeremmo assolutamente a un semplice bacio.
"Vieni con me, almeno." la supplico, deglutendo.
"Non posso, Malpelo." ripete, chiaramente in una posizione difficile.
"Per favore, ti chiedo solo un giorno, solo domani, per essere presente al matrimonio. So che ci tieni... lo so."
Lei
sospira, agitando lo sguardo attorno a sé: "Ma anche se fosse,
Emma... Miriana non c'è, mia madre non si sa nemmeno dove sia e
io non posso piantare qui mia sorella."
"Portala con noi."
"Non se ne parla."
"Gruccia."
mi impongo, serio. "Ti prometto che ti aiuterò a starle dietro,
che sarò anche più attento di Miriana. Venite con me
entrambe."
Alessandra
è esterrefatta, ma contemporaneamente si porta una mano ai
capelli, grattandosi nervosamente la nuca: "Non hai neanche la
più pallida idea di ciò che stai dicendo, Malpelo."
"Sì
che ne sono consapevole e poi, mi devi un favore. Ricordi?" cingo le
sue braccia con entrambe le mani, per costringerla a darmi retta e a
smettere di sfuggire al mio sguardo. "Fallo per lei. E per te stessa."
Mi fissa.
"E anche un po' per me, a dire il vero."
Tutti quei sospiri mi fanno sperare che si stia arrendendo, ma non sembra una battaglia facile da vincere.
"Andiamo,
non hai nulla da perdere." insisto. "Casomai da guadagnare e con il mio
aiuto, te lo assicuro, guadagnerai un sacco di soddisfazioni."
"Ora non montarti la testa, Malpelo."
"Lo so, ho questo brutto vizio."
Lei riflette per qualche istante, poi alza gli occhi: "Perché ci tieni così tanto a me?"
"Perché
al contrario di quello che pensi, o che vuoi, non è impossibile
che qualcuno tenga a te." rispondo, arguto. "E anche perché sono
un po' masochista."
"Vero." sorride, alzando un sopracciglio. "L'avevo capito quando ti eri messo con la Di Mario."
"Scelgo sempre sfide difficili."
Alessandra
mi guarda per un tempo che pare infinito, spostando le pupille sulle
mie con una velocità ipnotizzante e sbattendo solo una volta
quelle sue lunghe ciglia scure. Nessuno ha idea di quanto vorrei
afferrarle la schiena e baciarla, in questo momento, ma con
un'ottemperanza inaudita, mi trattengo.
"Purtroppo
sei fidanzata, Gruccia." le ricordo a fior di labbra, in realtà
parlando più per me stesso che per lei. "Voglio che tu venga, ma
non posso convincerti che a parole. Non voglio meritarmi un altro pugno
in un occhio."
"Io ho sempre voluto dartene uno." ridacchia, maliziosa. "Maledetto damerino del cazzo."
Ero partito con la paura di essere maltrattato da lei... ora invece sto quasi desiderando che lo faccia.
Ma
anziché aggredirmi o dar credito alle mie impure fantasie,
solleva leggermente gli angoli della bocca e comunica qualcosa
sottovoce: "Vengo con te."
Non
è del tutto preferibile a un atto di selvaggia passione, ma mi
va comunque bene. Avrò forse superato la sua prova?
"Davvero?" chiedo conferma, sorpreso.
"Sì. E portiamo anche Emma. Poi, se la smetti con le tue stupide usanze medievali, scarico Johannes e ti offro una cena."
Sorrido a trentadue denti: "Tu la offri a me?"
"Natale, porca vacca, l'amor cortese è morto da secoli. Ti va oppure no?"
"Non convenzionale, ma ok. Mi va."
"Perfetto." annuisce, per poi darmi le spalle e una frustata di Dior. "Vado a svegliare la belva."
La
guardo rientrare, con l'espressione ebete stampata in viso e un sacco
di pensieri che mi ronzano nella testa. Pensavo che la belva fosse lei,
ma ho scoperto che le uniche belve sono quelle che l'hanno allevata.
Pensavo che sarei tornato sconfitto, invece a quanto pare
tornerò vittorioso. Pensavo sarebbe stato difficile trattare con
lei, invece è stato facile abbattere i suoi muri. Mi è
bastato essere me stesso, come è bastato a lei.
Non
so cosa sarebbe successo se l'avessi baciata davvero, ma so che per non
averlo fatto, potrei aver vinto l'opportunità di baciarla un
sacco di volte.
E, onestamente... non vedo l'ora.
Inaspettatamente, la mia mano viene colpita. Abbasso la testa, vedo Snoopy con il guinzaglio stretto fra i denti, e sospiro.
"Immagino che voglia venire anche tu al matrimonio."
Il cane piagnucola e mi sospinge nuovamente.
"Ho
capito, ho capito." mi arrendo inginocchiandomi e agganciando la corda
al collare. "Siete davvero una famiglia di belve voi, eh?"
E
con questo, mi alzo in piedi e trascino Snoopy fino all'Audi di Mattia.
Spero almeno che nessuno di loro mi sfasci la macchina, oppure saranno
guai seri.
***
ANGOLO AUTRICE
Sommosse popolari mi attendono dietro l'angolo per non averci fatto scappare nemmeno un bacino. Lo so già.
MA sono preparata a quest'eventualità. Ho deciso di correre
questo rischio perché scrivendo ero sempre più convinta
che quel tipo di sviluppo non sarebbe stato bene dentro questa os. Nei
miei programmi, infatti, non c'è mai stata l'intenzione di farci
cadere dentro anche un avvicinamento fisico, in più scrivendo mi
sono resa conto che c'erano davvero dei problemi tecnici che il nostro
Natale non poteva ignorare. Lui non è tipo da cornificazione,
dai. Ha già pagato per aver sbagliato una volta XD
Ma comunque tranquilli, questo non significa che non ci sarà un
momento del genere tra i due. Per adesso, accontentiamoci di questa OS,
che, come vi ho detto anche all'inizio, bramavo di scrivere da tanto,
tanto tempo... per capirci, eravamo tipo a metà di "Io e te 2"
quando mi è balenata in testa, per cui.
Tutta la situazione di Emma e Alessandra si è sviluppata nel
corso degli anni, mentre scrivevo le trame principali. Tuttavia, non ha
mai smesso di essere una mia preoccupazione: ci tenevo molto a superare
la superficialità di Alessandra e a dare un po' di dimensione
alle sue scelte, nonché al suo caratteraccio. Volevo anche, con
questa os, rispondere a chi si chiede che diavolo c'entra uno come
Natale con una come la Gruccia e, infine, volevo tantissimo, da
veramente un sacco di tempo, farvi conoscere Emma.
Emma io la conosco davvero e, se ci avete fatto caso, le ho dedicato
questa os. Assieme ad Edoardo, ovviamente, che per me è la prova
vivente di cosa significhi amore, fratellanza e maturità. Sono
persone realmente esistenti, quindi non posso raccontarvi i cavoli
loro, però sappiate che mi sono stati d'ispirazione dal primo
momento in cui li ho conosciuti e se dovessi dirvi i nomi di due
persone che ammiro, soprattutto in tema di amore fraterno e sacrificio,
sarebbero loro due.
A questo punto non posso far altro che lasciar parlare voi, io vi ho già annoiato abbastanza;
1) Vi aspettavate di fare certe scoperte, seguendo Francesco nel suo viaggio?
2) Sapere della famiglia Gruccia ha influenzato il vostro modo di giudicare Alessandra?
3)
Riuscite a capire il punto di vista di Alessandra sul rapporto con i
suoi genitori? Vi fa rabbia o tenerezza il fatto che non riesca a
odiare nessuno dei due, nonostante tutto?
4) Avete un ciondolo/gioiello di qualche tipo che rappresenta una persona importante della vostra vita?
5) Quanto
avreste voluto distruggere il monitor con una mazza da baseball, quando
Francesco ha rinunciato a baciare Alessandra?
6) Come vi piacerebbe che proseguisse questa storia, una volta che la Gruccia avrà lasciato Johannes?
7) QUANTO E' CARINO SNOOPY???? <3 <3 <3
Per il momento, io vi lascio
rimuginare. Per quanto mi riguarda, fra poche ore ho un appuntamento a
Cecina. Due biondini si stanno per sposare e le sorti di un'intera
classe potrebbero essere decise per sempre. Chi ha un'ansia pazzesca
per questo matrimonio?
A prestissimo con il nuovo capitolo!
Daffy
***
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