Fake Love.
If
it’s for you,
I can pretend
like I’m happy when I’m sad
If
it’s for you,
I can act
strong even when I’m hurt
Hoping love was
perfect as love itself
Hoping all my
weaknesses could be hidden
I grew a flower
that can’t be bloomed in a dream that
can’t come true
I’m
so sick of this fake love, fake love, fake love
I’m
so sorry but it’s fake love, fake love, fake love
I wanna be a
good man, just for you
I gave you the
world, just for you
I changed
everything, just for you
Now I
don’t know me,
who are you?
In our forest,
you weren’t there
The route I
took, I forgot
Now I
don’t even know who I used to be
Try babbling
into the mirror,
who the heck
are you?
If
it’s for you,
I can pretend
like I’m happy when I’m sad
If
it’s for you,
I can act
strong even when I’m hurt
Hoping love was
perfect as love itself
Hoping all my
weaknesses could be hidden
I grew a flower
that can’t be bloomed in a dream that
can’t come true
Love you so
bad, love you so bad
Mold a pretty
lie, for you
Love,
it’s so mad, love, it’s so mad
Try to erase
myself and make me your doll
I’m
so sick of this fake love, fake love, fake love
I’m
so sorry but it’s fake love, fake love, fake love
Why you sad? I
don’t know, I don’t know
Smile, tell me
you love me
Look at me, I
threw myself away
Not even you
can understand me
You say
I’m strange when I changed into the person you
liked
You say
I’m not the person you used to know
What do you
mean?
No,
I’ve grown blind
What do you
mean, it’s love?
It’s
all fake love
I
dunno, I dunno, I dunno why
I
don’t even know myself
I just know, I
just know, I just know why
‘cause
it’s all fake love, fake love, fake love
Love you so
bad, love you so bad
Mold a pretty
lie, for you
Love,
it’s so mad, love, it’s so mad
Try to erase
myself and make me your doll
I’m
so sick of this fake love, fake love, fake love
I’m
so sorry but it’s fake love, fake love, fake love
If
it’s for you,
I can pretend
like I’m happy when I’m sad
If
it’s for you,
I can act
strong even when I’m hurt
Hoping love was
perfect as love itself
Hoping all my
weaknesses could be hidden
I grew a flower
that can’t be bloomed in a dream that
can’t come true
Erano di nuovo le
tre e un quarto.
Lo
avevi visto accendendo il cellulare, ma lo avresti saputo lo stesso
anche senza
controllare.
Era
ormai diventata un’abitudine per te, allungare il braccio e
trovare soltanto il
vuoto del lenzuolo piegato.
Era
freddo, nonostante non lo fosse.
Eri
fredda, nonostante fosse estate.
Ed erano di nuovo
le tre e venti, come tutte le altre notti.
Anche
quella notte avevi dormito poco e male e non sapevi quanto tempo
avresti potuto
continuare ad andare avanti in quel modo.
Era
già un po’.
Lo
pensavi da almeno quattro mesi che era già un po’
di tempo che avresti dovuto
smetterla ed andare avanti. Lo sapevi, però, che la tua
mente non lo avrebbe
lasciato andare facilmente, lo sapevi che si sarebbe opposta alla
cancellazione
di quei ricordi che ti facevano girare e rigirare nel letto e che, alla
fine,
ti costringevano ad alzarti per la disperazione.
Ed erano di nuovo
le tre e venticinque, come tutte le altre notti.
Quella
volta era stata diversa e non sapevi se esserne felice o sentirti
ancora più
distrutta, per aver ricordato momenti che non avrebbero fatto altro che
rovinarti la giornata a venire.
Ti
eri svegliata con il sorriso sul volto e con l’illusione che
fosse tutto ancora
come prima, ma tu lo sapevi, quando avevi allungato la mano, che niente
sarebbe
stato mai come prima. Ti eri spaventata, perché non lo avevi
trovato e, poi,
avevi respirato con il fiato mozzato in gola e un peso sul petto, come
se non
fosse stato così anche prima, come se il vuoto non ci fosse
mai stato, come se,
ad essere vuoto, fosse davvero il tuo letto e non tu. Ti eri seduta sul
lenzuolo, solo per poi ricadere indietro sui cuscini, sfiancata dal
fatto di
non poter trovare pace neanche nel sonno. Avevi voltato la testa verso
il suo
lato, come facevi ogni volta che finivate di fare l’amore e
lui ti sorrideva, e
ci era voluta tutta la tua forza per non ricominciare a piangere. Ti
eri girata
sul fianco e ti eri raggomitolata in posizione fetale, allungando una
mano
verso il suo cuscino, come se potessi ancora sentire la sua presenza a
fianco,
come se, dopo tutti i lavaggi che ti eri costretta a fare, potessi
ancora sentire
il suo profumo tra le coperte.
In
quelle notti insonni, non avevi fatto altro che chiederti
perché, chiederti se
avrebbe potuto finire diversamente, se avrebbe potuto non finire
affatto. Lo
sapevi che era andata come avrebbe dovuto andare. Lo sapevi ma non
riuscivi
ancora ad accettarlo, nonostante il punto e a capo l’aveste
messo di comune
accordo.
Ma
lui che faceva adesso?
E
come riusciva a combattere la tua mancanza?
La
sentiva davvero, la tua mancanza?
Perché
tu non riuscivi a pensare ad altro, la notte al buio. Non riuscivi a
non
pensare al suo respiro profondo mentre dormiva al tuo fianco, non
riuscivi a
non pensare alle sue dita che ti sfioravano quando si svegliava prima
di te e
si metteva a sistemarti i capelli dietro alle orecchie, non riuscivi a
non
pensare al giorno in cui era venuto a prendersi tutte le sue cose e,
insieme a
metà armadio, si era portato via anche un pezzo di te.
Quando
si era chiuso la porta dietro le spalle, lasciando il suo mazzo di
chiavi
all’entrata, senza neanche salutarti, ti eri detta che era
stata la scelta
giusta e che saresti stata in grado di risollevarti e ritrovarti.
Ti
eri solo persa di più, senza di lui.
Ed erano ancora
soltanto le tre e mezza, come tutte le altre notti.
Avevi
deciso di alzarti, per schiarirti le idee e prendere un bicchiere
d’acqua che
ti aiutasse a mandare giù quel groppo che non voleva saperne
di sparire. Non
avevi neanche bisogno di accendere la luce per orientarti, in quella
casa che
era stata per così tanto tempo vostra che solo pensare fosse
tua ti lasciava
l’amaro in bocca. Aprire il rubinetto era un’azione
così facile che, anche con
la mente annebbiata come in quel momento, eri riuscita a portare a
termine.
Te
lo eri chiesta spesso in quei mesi, cosa fosse andato storto fra voi
due.
Ti
eri chiesta se fosse stata colpa tua, se fosse stata colpa sua o se
fosse stato
scritto così dal principio.
E
che crudeltà era stata farvi innamorare soltanto per poi
veder distruggere
tutto senza pietà?
Forse,
era stato sbagliato tutto dall’inizio.
Forse,
eravate entrambi troppo piccoli, per capire a cosa steste andando
incontro.
Forse,
avevate corso troppo velocemente, senza prima imparare a camminare.
Eppure.
Eppure,
non sembrava sbagliato per niente quando facevate l’amore,
non sembrava sbagliato
niente quando avevate deciso di vivere insieme, non sembrava sbagliato
quando
parlavate del futuro.
Ma
era sbagliato.
Era
stato sbagliato imparare a vivere soltanto in funzione
dell’altro.
Era
stato sbagliato cambiare per tentare di compiacersi.
E
poi era finito tutto, lasciandoti il problema di capire chi fossi
davvero.
Ed erano ancora
soltanto le tre e trentacinque, come tutte le altre notti.
C’erano
stati giorni in cui non eri riuscita neanche a guardarti allo specchio,
senza
chiederti a chi appartenesse davvero quella pelle che ti rivestiva, se
fosse
stata davvero mai tua o se avresti fatto meglio a toglierla,
impacchettarla e
darla a lui, che si era portato via anche tutto il resto.
Ti
eri chiesta se la volevi davvero, una pelle che portava le sue impronte
e un
corpo che portava il segno del suo passaggio e la risposta non era mai
stata
chiara.
C’erano
stati giorni in cui avevi pensato che lui ti mentisse, quando tornava
più tardi
del solito o quando lo guardavi negli occhi e lui distoglieva lo
sguardo.
Te
lo aveva rinfacciato, quando avevate litigato.
Prima
che se ne andasse e non tornasse più indietro.
Ti
aveva rinfacciato di averlo fatto diventare una persona diversa da
quella che
lui sapeva di essere e tu non avevi trovato le parole per dire che lui
neanche
aveva dovuto chiedertelo di cambiare, perché avresti fatto
qualunque cosa per
lui.
Ti
aveva rinfacciato di aver rinunciato ad una parte della sua vita per
poter
stare con te e tu non eri riuscita a trovare le parole per dirgli che
lui non
aveva neanche dovuto chiedertelo di rinunciare a qualcosa,
perché avresti dato
via tutto per lui.
Ti
aveva rinfacciato di aver perso sé stesso per trasformarsi
in qualcuno che ti
compiacesse e tu non avevi trovato la forza per dirgli che tu, spesso,
non
sapevi neanche chi ti stesse di fronte quando ti mettevi davanti allo
specchio.
Ma
lo volevi lo stesso, contro tutto quel poco buon senso che ti era
rimasto.
Lo
volevi e volevi solo lui.
L’acqua
era rimasta nel bicchiere sul lavandino, intoccata.
Ed erano ancora
soltanto le tre e quaranta, come tutte le altre notti.
Di
tornare a stenderti sul letto sfatto non se ne parlava, preferivi
metterti a
terra, sotto la finestra e aspettare che arrivasse l’alba.
Sedendoti, avevi
portato le gambe al petto, abbracciandoti le ginocchia come se dovessi
aggrapparti a qualcosa. Per fortuna almeno il muro ti sorreggeva, in un
momento
in cui non sapevi se saresti stata più in grado di tirarti
via da quella
posizione.
Quando
eri arrabbiata ti diceva di sorridere e ti ripeteva che ti amava.
E
tu sorridevi sempre, perché non eri mai stata capace di
arrabbiarti davvero con
lui.
Avevi
portato la testa fra le braccia, pregando che smettesse di farti
così male,
chiedendoti quando la sua assenza avrebbe smesso di essere una voragine
che ti
divorava il petto a livello del cuore.
Ed erano ancora
soltanto le tre e quarantacinque, come tutte le altre notti.
Ti
eri sempre illusa che l’amore sarebbe stato bello come quello
delle favole, che
amare qualcuno sarebbe stato facile come amare l’idea stessa
di amore. Ti eri
illusa che sarebbe stato bello e semplice e delicato, come
l’amore doveva
essere.
Ti
eri illusa che quello che ci fosse tra voi due fosse un sogno e,
proprio come
un sogno, si era trasformato in un incubo che era finito fra le urla e
il
sangue di quello che era stato il vostro rapporto, ormai dilaniato,
senza che
nessuno potesse far niente, se non piangerne dopo i resti.
E,
come qualsiasi sogno, era stato costretto a finire, facendo morire
quella
speranza di eterno che era cresciuta con voi come un fiore e che, con
voi,
proprio come un fiore, era appassita.
Ed erano ancora
soltanto le tre e cinquanta, come tutte le altre notti.
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