CAPITOLO 8 - NO ONE
CAPITOLO 8 – No One
[ARYA]
I
suoi fratelli seguirono le sue orme sulla riva, gelata per metà. Un’immane
fortezza, bruciata da secoli, dominava il lago. Il puzzo del fuoco che aveva
sciolto la pietra delle torri era ancora intenso, eterno… e pericoloso.
Conosceva quel castello, una parte di lei ci aveva vissuto un tempo.
Gli
uomini d’oro lo avevano lasciato incustodito. Erano in tanti e dalle intenzioni
ostili. Tre dei suoi fratelli erano morti e molti altri erano rimasti feriti
l’ultima volta che si erano avvicinati troppo.
L’odore
del sangue la guidò per molte miglia verso sud, lungo le sponde del lago e poi attraverso
la pianura innevata. Sangue di uomo e sangue di lupo. La neve era chiazzata di
vermiglio, i cadaveri quasi interamente seppelliti dalla neve. A giudicare dai
resti erano due gli uomini morti e intorno a loro il doppio dei suoi fratelli.
Ancora una volta…
Centinaia
di ululati si unirono al suo, che risuonò più a lungo e più minaccioso di tutti
gli altri.
“Che Diavolo ti prende ragazzina?”. Il Mastino la svegliò
colpendola al costato con la punta dello stivale, mozzandole il fiato. “Vuoi
che tutta la dannata Compagnia Dorata ti senta?”.
Forse aveva di nuovo urlato mentre dormiva, o ululato
come i lupi del sogno perché anche Gendry la osservava con quel suo sguardo corrucciato
e confuso. Non accettava di buon grado che lei l’avesse, per così dire,
allontanato. Ma la sua missione lo
aveva reso necessario. Le dolci distrazioni che lui le offriva la portavano
lontano dalla realtà e dal suo scopo. Come se di colpo si ritrovasse nella vita
di qualcun altro, in un qualcosa che non poteva avere. Non ancora almeno.
“Dobbiamo agire. Stanotte” riuscì appena a scandire
mettendosi a sedere e tossendo per il colpo ricevuto.
“C’è una dannata tempesta in corso” grugnì il Mastino
soppesando la situazione.
“No” protestò Gendry. “Dobbiamo aspettare che abbassino
la guardia”
“Lo faranno questa notte”. Lo sentiva.
“Come puoi esserne sicura?”. Gendry cercò man forte dal
Mastino che lo liquidò con un’alzata di spalle.
“Lo so e basta. Preparatevi oppure andate per la vostra
strada. Lo farò da sola se necessario”
Gendry arrossì come un ragazzino sotto il suo sguardo
tagliente prima di convincersi. “D’accordo”
“Bene. Ripetiamo il piano”
“Oh piantatela ragazzina” grugnì infastidito il Mastino.
“Ricordiamo tutti il maledetto piano. Non c’è bisogno di ripeterlo
all’infinito. Allora adesso vuoi dirci come facciamo a sapere quando iniziare a
sgozzare i mercenari?”
“Lo capirete quando sarà il momento. Cercate di non
morire prima di allora”.
La Compagnia Dorata era accampata solo poche miglia più a
sud della capanna dove avevano trovato rifugio, lungo l’Occhio degli Dei. La
conoscevano, lei e il Mastino, quella casa di pietra grigia dal tetto di legno
e paglia. Ma nessuno dei due lo aveva dato a vedere. E nessuno dei due si era
azzardato a parlare del fattore e della sua bambina che la abitavano anche se
appena entrati Arya aveva visto un lampo negli occhi di Clegane. Rabbia, e
tristezza.
Con il favore dell’oscurità e la protezione della
boscaglia e dei rumori della tempesta riuscì ad entrare nell’accampamento senza
essere vista. Gendry e il Mastino si separarono dirigendosi in direzioni
opposte. Seguivano la Compagnia Dorata da giorni, in lungo e in largo per le
Terre dei Fiumi, aspettando il momento adatto per colpirli. “Uccidiamo il loro
capo e li spargiamo al vento come la neve a primavera”. Questo era quello che
aveva detto ai suoi compagni di viaggio. Aveva tenuto per se il vero motivo per
cui lo aveva condotti in quella caccia. Non avrebbero capito e lei non aveva
alcuna voglia di spiegarglielo.
Rapida e silenziosa come un gatto scivolò tra le tende
evitando le piccole piazze in cui ardevano i fuochi di guardia. La tempesta
costringeva gli uomini al riparo dai venti freddi dell’inverno. E un uomo
infreddolito è poco propenso ad allontanarsi dal fuoco. Probabilmente, nessuno
si sarebbe comunque preoccupato di una ragazza che si aggira per un
accampamento. L’avrebbero scambiata per una delle puttane che si accodano agli
eserciti, ma preferì comunque non rischiare e celarsi ad occhi indiscreti il
più possibile.
Una guardia sonnecchiava, appoggiata ad una lancia, all’ingresso
della tenda del comandante, gli occhi fissi sulle braci incandescenti di un
fuoco quasi estinto. Si accorse appena della daga che scivolò lungo il suo
collo lasciando un solco purpureo. Pochi istanti e il mercenario morì con un
rantolo, impalandosi sulla sua stessa lancia.
A giudicare dalle ombre c’erano due uomini nel padiglione
del comandante. E di Gendry e del Mastino nessun segno. O si erano fatti
catturare oppure si erano persi tra le centinaia di tende che sorgevano
ovunque. In ogni caso era sola. Avrebbero dovuto incontrarsi davanti alla tenda
del comandante per coglierlo di sorpresa. Non muoversi in gruppo, aveva imparato,
era un buon modo per non essere beccati.
“Non torneremo indietro per dare la caccia a quei topi”
stava dicendo quello che le sembrò essere il capo. “Tu e i tuoi maledetti
arcieri ve li siete fatti sfuggire, Balaq. E ora ti aspetti che mandi all’aria
tutti i nostri piani per catturare il fottuto Sterminatore di Re e qualche trota? Al diavolo”
“Avevamo anche un altro compito. Scovare e uccidere gli
assassini dei Frey. La regina non sarà contenta” brontolò Balaq in risposta.
“Che si fotta la regina. Sarà bella e morta quando
arriveremo” ribatté ancora l’uomo e le proteste dell’altro cessarono.
Chiuse gli occhi per prepararsi al duello, inspirò a
fondo e per un attimo non fu più solo se stessa. Percepì con molta più
chiarezza gli umori della tempesta crescente e, sottovento, gli odori
dell’accampamento. “Adesso”. Il
tepore della tenda la colpì in pieno viso, risvegliando i suoi sensi.
“E tu chi diavolo sei?” esclamò Harry Strickland balzando
in piedi. “Dov’è la guardia?”
Arya sorrise maliziosa. “Oh… è rimasta così contenta del
mio trattamento che si è subito… ecco, addormentato”
I due uomini sorrisero cogliendo la sua allusione. “Beh
noi siamo degli amatori migliori di quel pivellino”
Le sue dita si chiusero intorno all’elsa di Ago. “Chi ha
parlato di sesso?”
Lo spettro della risata di scherno congelò sul viso dei
due mercenari. Centinaia di ululati riempirono la notte. I lupi erano molto
vicini, persino all’interno dell’accampamento. E quello era un richiamo di
guerra.
Fuori dalla tenda spade cozzarono l’una contro l’altra,
mischiandosi ai ruggiti e alle urla. Un grugnito familiare le disse che il
Mastino e Gendry erano arrivati, alla fine.
“Adesso morirai ragazzina. E poi moriranno quei lupi lì
fuori”.
Scivolò di lato quando il primo dei due calò la spada
corta. Ago la deviò di lato e con un affondo alle gambe mandò il mercenario a
rovinare contro le pareti della tenda. Uno dei pilastri di legno che la
sorreggevano cedette e le pelli e gli stracci avvolsero l’uomo impedendogli di
muoversi. Un secondo affondo, dritto alla gola e l’uomo morì. “Infilzali con la parte aguzza”
Il resto del padiglione crollò intorno a loro
incendiandosi su uno dei bracieri. Gendry si batteva con due soldati, alle sue
spalle. I colpi del suo martello frantumavano gli scudi dei nemici. Non vide
Clegane ma non se ne preoccupò. Il fuoco crebbe d’intensità lentamente lungo le
pellicce umide respingendo solo parzialmente l’oscurità ma comunque a
sufficienza per riflettersi in un paio occhi ocra. Occhi di lupo. “Sei qui. Sapevo che non mi avresti
abbandonata” pensò.
Harry Strickland non si accorse della meta-lupa argentea
che comparve alle sue spalle. Finalmente era riuscito ad estrarre la sua spada.
“Non credere che mi farò uccidere da te, ragazzina. Chi diavolo credi di
essere?”
“Che ti importa. Domani potrei essere qualcun’altro”
“Bene allora. Chi ti piacerebbe essere domani?” domandò
Harry Strickland preparandosi all’attacco.
“Ho io una domanda per te. Cosa ti ha promesso Euron
Greyjoy?”.
Strickland rise, gli occhi colmi d’avidità. “Castel
Granito”.
Nymeria scattò in avanti, scavalcando con un balzo
l’anello di fuoco che andavano via via avanzando. Le sue fauci si chiusero
intorno alla vita di Harry Strickland. L’urlo dell’uomo si disperse negli
ululati dei lupi.
[TYRION]
Lasciarono il Moat all’alba, gli Immacolati come scorta e
trenta uomini del nord divisi tra avanguardia e retroguardia. Sansa, Lady
Brienne, Podrick e ser Davos Seaworth cavalcano insieme a lui. Il resto del
gruppo, Varys, Missandei e Sam Tarly con la sua famiglia viaggiavano sull’unico
carro superstite.
La Strada del Re si stendeva tra due campi paludosi, per
metà ghiacciati e per l’altra metà irti di canneti anch’essi congelati. Non
avevano alcuna notizia da Grande Inverno dal giorno in cui erano partiti e
questo lo metteva a disagio, a dir poco. Il chiedersi continuamente se abbandonare
il nord era stata la scelta giusta aveva lasciato il posto all’ansia e alla
paura di cosa sarebbe accaduto se la battaglia fosse stata persa. Se il nord
fosse caduto e l’esercito sconfitto scappare a sud non sarebbe servito a molto.
Tanto valeva morire a Grande Inverno. Sarebbe stato più sensato cercare
Daenerys e i suoi dannati draghi. Ma Varys era stato l’unico a condividere i
suoi dubbi. E non avevano alcuna pista su di lei o sui suoi figli. E come
avrebbero mai potuto. Neve e ghiaccio, foreste e ghiaccio, paludi e ghiaccio. E
il culo gelato giorno e notte. Ecco cos’era diventato quel viaggio. E come se
non bastasse le giornate si erano ridotte a non più di cinque o sei ore di
luce.
“Sei ancora convinta di dirigerci verso la Valle, mia lady?”
chiese cavalcando accanto a Sansa.
“Mio padre diceva che Nido dell’Aquila è il castello più
inespugnabile dei Sette Regni” rispose Sansa Stark senza distogliere lo sguardo
dalla strada. Portava il mantello calato sulla fronte ma qualche ciocca di
capelli ramati, sfuggita all’acconciatura, le ricadeva su una spalla. Aveva le
guance arrosate e gli occhi spenti ma non mancava certo di determinazione. Quel
freddo avrebbe piegato chiunque sotto i suoi morsi gelidi. E Sansa Stark, tra
tutti loro, era la persona che meglio sopportava quelle temperature.
“Ma è anche molto lontano. Due settimane, forse di più”
intervenne ser Davos. “Stabilirci nelle Terre dei Fiumi potrebbe essere una
scelta più saggia, vista la situazione”
“Harrenhal dovrebbe essere la nostra destinazione” lo
spalleggiò Tyrion.
“Harrenhal è un rudere, mio lord” gli ricordò lady
Brienne contrariata dalle opposizioni al piano della sua signora.
“Ne siamo al corrente lady Brienne. Ma da lì avremo una
visione migliore di quello che accade nel reame” provò Tyrion con tono
conciliante.
“E come proponi di difendere Harrenhal da un qualsiasi
attacco? Dimentichi che abbiamo poco più di cento uomini” chiese Sansa.
“Potremo inviarne alcuni a cercare mio fratello e tuo
zio, lady Sansa”. Brienne parve convincersi che fosse un’idea sensata o
comunque preferì non ribattere.
Sansa Stark ci pensò per qualche istante. “Mandate quegli
uomini. Quanto dista Harrenhal?” chiese infine.
Al terzo giorno dopo aver lasciato il Moat la neve cadeva
così fitta da impedirgli anche solo di scambiare poche parole. La Strada del Re
era diventata una lunga distesa di fango ghiacciato e neve cedevole,
costringendoli a rallentare fino quasi ad arrancare. Uno dei cavalli che trainava
il carro era morto il giorno prima e Tyrion era stato costretto a sostituirlo
col suo ronzino e a sedersi accanto a Sam Tarly sul carro.
La strada costeggiava la Baia del Morso, molte miglia a
sud di Moat Cailin, dove l’Incollatura sfociava nelle Terre dei Fiumi. Le
paludi e gli acquitrini lasciavano il posto alla boscaglia. Ma neanche allora
la neve accennò a diminuire.
“Speravo che a sud avremo trovato temperature più miti”
si lamentò Tyrion.
“È l’inverno, lord Tyrion. Neanche Approdo del Re, Castel
Granito o Alto Giardino saranno risparmiate dal gelo” rispose Sam
rabbrividendo.
“Avevo dimenticato quanto sono cupi i Guardiani della
Notte” provò a scherzare.
“I Guardiani della Notte non esistono più, mio lord”.
Ognuna di quelle parole lo fece soffrire come una lama nel petto, Tyrion glielo
lesse in volto, ma Samwell Tarly le pronunciò con tutto l’orgoglio che riuscì a
racimolare.
“Suppongo che questo ti metta nella condizione di lord di
Collina del Corno” provò a consolarlo. Solo dopo qualche minuto di imbarazzante
silenzio ricordò cosa gli aveva detto Daenerys un attimo prima di nominarlo suo
Primo Cavaliere: “Non starà a me dirlo ma
fa schifo come consoli, lord Tyrion”.
L’avanguardia del nord trovò un punto in cui il fondale
del Tridente era sufficientemente basso per guadare. Ma anche così l’acqua
arrivo fino alla cintola dei cavalieri. Gli Immacolati dovettero attraversare a
nuoto e alcuni di loro furono trascinati a valle dalla corrente. Una dozzina, forse
di più. Due cavalli, già profondamente debilitati dal lungo viaggio, morirono
sotto i morsi dell’acqua gelida. E tutti gli altri non erano in condizioni
migliori.
A mezzo miglio verso sud, lungo il fiume, sorgeva una
locanda che gli uomini dell’avanguardia avevano scelto come rifugio per la
notte. Tyrion Lannister era già stato lì e, quella volta, aveva dovuto
inghiottire il rospo più grosso di tutti, il suo orgoglio, e piegarsi alla
cattura da parte di Catelyn Stark. La Guerra
dei Cinque Re e tutto quello che ne era seguito aveva ridotto la locanda ad
un rudere. Ma la sala grande era larga a sufficienza da accoglierli tutti, soldati
compresi, ed era anche in buono stato. E gli alloggi della locandiera, dietro
la sudicia cucina, erano piccoli ma forniti di un bagno con una vasca in legno
istoriato. Missandei, Sansa e Gilly si concessero il lusso di un bagno e anche
Tyrion, dopo che loro furono ricomparse nella sala, si diede una ripulita.
Indossò gli stessi indumenti logori che portava ormai da quando erano partiti.
Il suo farsetto, un tempo del fiero porpora di casa Lannister, era ridotto ad
un mucchio di sfumature di rosa e arancione o di ancor peggiori tinte di
marrone e verde. Le sue brache erano in condizioni solo leggermente migliori,
ma sentirsi finalmente pulito gli ridiede un po’ di vigore.
“Se
in una di quelle botti c’è un po’ di quel vino acquoso delle Terre dei Fiumi
potrei quasi sentirmi in forma stasera” pensò mentre rientrava nella
sala comune.
Uno dei cacciatori aveva ucciso le due lepri più grosse
che Tyrion avesse mai visto e il profumo dello stufato di carote e cipolle
selvatiche che ne era derivato gli fece venire l’acquolina in bocca.
“Con un pezzo di quel pane duro ai cereali degli Immacolati
sembrerà un banchetto di re Robert” scherzò Tyrion guardando il succulento
stufato davanti a se.
Missandei rise di gusto e Gilly gli chiese di
raccontargli di uno di quei banchetti. Anche Sansa si concesse un sorriso. La
cena si risolse con un racconto delle settantasette portate del matrimonio di
Joffrey e Margaery. Del torneo di nani e di come il re lo aveva umiliato di
fronte a tutti.
“Quindi è stata la Regina
di Spine a uccidere il re?” chiese Sam Tarly stupito.
“Con l’aiuto di Ditocorto”
confermò Sansa. “Il veleno era in una delle ametiste della mia collana. Quando
ho ripreso il calice reale per passarlo a lord Tyrion, alcune gocce di veleno
sono cadute nella coppa”
“Ma avrebbero potuto avvelenare anche te, mia signora”.
Gilly era quasi sconvolta dal racconto.
“In realtà no. Perché mai lady Sansa avrebbe dovuto
portare la sua coppa vicino al petto?”. Tyrion mostrò il suo bicchiere e mimò
il gesto. “Vedi? In nessun caso il mio bicchiere può entrare in contatto col
veleno sulla collana”.
“L’omicidio perfetto” commentò ser Davos. “Ditocorto fornisce la collana, la Regina di Spine il veleno per il re, e
il nano, invidioso del giovane re, si prende la colpa”
“Non avrei saputo dirlo meglio ser” commentò Tyrion con
una risata amara. “Beh… credo che andrò a contemplare questi ricordi mentre
svuoto la vescica”.
Gli Immacolati e gli uomini del nord avevano abbattuto degli
alberi intorno alla locanda. “Difese di legno e foglie lord” gli disse uno
degli Immacolati di guardia scuotendo la testa.
“Almeno
non moriremo di freddo stanotte” pensò Tyrion avviandosi con
la sua andatura barcollante.
Alcuni soldati erano riuniti intorno al fuoco di guardia
all’ingresso della taverna. Si passavano un otre di vino e si raccontavano
storie dei loro precedenti inverni. Tyrion passò oltre dirigendosi verso le
stalle. La tempesta di neve aveva finalmente fatto il suo corso. Nelle ore
migliori di quella notte forse avrebbe addirittura potuto vedere qualche
stella. Anche se avrebbe preferito vedere un drago. E un esercito amico se non
era chiedere troppo.
Stava per rientrare quando due soldati a cavallo
arrivarono nel cortile. “Abbiamo trovato gli eunuchi che la corrente ha
trascinato a valle” disse balzando giù da cavallo, rivolto ai suoi compagni
vicino al fuoco. “Morti. Tredici uomini. Forse di più. Difficile dirlo con
precisione”
“Cosa significa difficile dirlo con precisione?” chiese
Tyrion sbucando dall’oscurità.
“Ci stavi spiando nano” sputacchiò uno dei soldati.
Il mondo gli sembrò più freddo nonostante si fosse
avvicinato al fuoco di guardia. “No, ser. Stavo solo pisciando. E ora vi ho
fatto una domanda e gradirei ricevere una risposta”.
“I loro corpi erano smembrati in tanti pezzi e disposti
in modo strano. Una spirale forse, o qualcosa del genere”
“Sono qui” disse Sam Tarly dall’uscio della locanda, la
voce ridotta ad un soffio. Ma tutti lo udirono. Tyrion lo capì dalla paura che
si allargò sui loro volti come il morbo grigio. Dopo pochi attimi carichi di
tensione qualcuno suono il suo corno.
“Dannazione” imprecò. “Tanto vale uscire nella foresta e
farci ammazzare”
“Non siamo stati noi, mio lord” gli rispose uno dei
soldati. “Viene dalla foresta”
“Oh
Sette Dei, fate che sia Jaime”
I polmoni parvero schizzargli fuori dal naso quando
inspirò. L’aria gli sembrò un enorme blocco gelido. Eroe, il capo della scorta
di Immacolati, urlò qualcosa in valyriano ai suoi uomini, ma Tyrion lo udì
appena. Lady Brienne aprì la porta con un calcio e sfoderò la sua spada in
acciaio di Valyria, pronta alla battaglia.
“Cosa diavolo succede?” chiese quando vide soltanto degli
uomini intorno al fuoco.
“Estranei” rispose Tyrion. “Vi direi di raddoppiare la
guardia ma sarebbe una battuta troppo triste per un momento come questo”
Podrick Payne sbucò alle spalle della sua signora. “Credo
che ti serva questa, mio Lord” disse porgendogli un arma dall’impugnatura.
“La mia ascia”. Tyrion si sforzò di sorridergli. “Era un
dono per il mio scudiero, Pod”
“È vero, lord Tyrion. Ma non hai nulla con cui
difenderti. E io preferisco la spada”
Arrivarono da tutte le direzioni, nel medesimo istante.
Saltarono e si arrampicarono sugli alberi ammassati intorno alla locanda.
Centinaia di morti. Indossavano parti spaiate e distrutte di armature bianche e
azzurre e brandivano acciaio forgiato: spade, lance, mazze chiodate. “Un esercito”
I cavalli scalciarono e nitrirono di paura, legati in ciò
che restava della stalla. Un uomo urlò di dolore.
Ci fu un attimo, prima che Immacolati e non-morti si
scontrassero, in cui Tyrion Lannister si sentì un gigante. Alto quanto gli
altri e anche di più.
“Castel Granito! Castel Granito!” ruggì lanciandosi
contro il primo non morto che gli arrivò a tiro. L’ascia colpì poco sopra il
ginocchio, aprendosi la strada attraverso carne putrida e ossa fragili. Il
non-morto cadde rovinosamente a terra ma continuò ad avanzare strisciando e
colpendo il terreno con la sua daga. Il secondo colpò gli mozzò di netto il
braccio armato. Podrick salto davanti a lui con una bastone infuocato. Il
non-morto si contorse mentre le fiamme lo avvolgevano.
Brienne di Tarth combatteva a pochi passi da loro.
Giuramento in una mano e una torcia nell’altra. I morti cadevano intorno a lei
come foglie infuocate o, colpiti da Giuramento, esplodevano come vasi di
coccio.
Qualcuno, o qualcosa, lo afferrò per un braccio,
trascinandolo a terra, nella neve e nel fango. Udì Sansa urlare mentre
ruzzolava sugli scalini della locanda battendo violentemente una spalla.
L’impatto con la pietra gli mozzò il fiato. Si rialzò a fatica stringendo la
sua ascia con entrambe le mani. “Fatevi avanti bastardi” urlò.
E lo fecero. I non-morti gli furono addosso in un
istante. Le loro lame calarono, ma Tyrion fu abbastanza veloce da evitarle,
rotolando indietro fino a battere la schiena sul portone della locanda, grugnendo
per il dolore. Era in trappola. Una immane spada dalla lama scura balenò per un
attimo sopra la sua testa, tranciando di netto il braccio del non-morto più
vicino. Samwell Tarly era in piedi accanto a lui, l’antica spada Veleno del
Cuore nel pugno e il terrore disegnato in volto. “Non possiamo respingerli”
mugugnò.
“Hai ragione. Non possiamo, dobbiamo” urlò rimettendosi
in piedi. “AVANTI. RESPINGETELI”
Non seppe dire per quanto tempo combatterono. Una donna
cavaliere e il suo scudiero, un nano e un grassone. Ci fu un altro momento in
cui Tyrion credette di morire ma ser Davos Seaworth lo spinse di lato
intercettando la mazza da guerra del non-morto.
La resistenza era pronta a cadere quando un ruggito li
costrinse a guardare verso alto, seguito da un grido che sapeva di speranza.
“Dracarys”
Una gigantesca ombra nera calò su di loro. Brienne di
Tarth urlò a tutti loro di stare indietro salvandoli dalla fiammata di Drogon.
“Daenerys”.
L’ombra nera atterrò davanti a loro. Sul suo dorso
Daenerys Targaryen si voltò a guardarli per qualche istante. Incrociando il suo
sguardo Tyrion vi lesse più di quanto avrebbe voluto: dolore e forse paura.
“Dracarys” la sentì urlare ancora.
Ma nemmeno il drago nero riuscì a respingere le centinaia
di non morti che continuavano a sbucare dalla foresta, da ogni lato. I tronchi
tutt’intorno sembrarono esplodere e contorcersi nelle fiamme di Drogon. I
non-morti che non avevano ancora varcato il cerchio di fuoco furono costretti a
fermarsi. Questo diede loro qualche attimo di tranquillità in cui Tyrion
ritrovò la lucidità che aveva perso nella foga della lotta.
“Presto, salite. Vi porto via di qui”. La regina gli tese
un braccio per aiutarlo a salire, ma Drogon si voltò per affrontare un nuovo
attacco e l’attimo svanì. Il fuoco stava pian piano spegnendosi e i non-morti
avevano ricominciato ad attraversarlo. Neanche Drogon avrebbe potuto
respingerli ancora a lungo.
Poi degli uomini a cavallo irruppero sulla battaglia. I
non-morti caddero sotto i colpi delle loro spade. Alcuni brandivano delle torce
di legno, altri dei pugnali o lance. L’uomo che li guidava indossava un’armatura
porpora e oro, con sulle spalle il mantello bianco della Guardia Reale. Un
leone dorato.
“Jaime.
Grazie al cielo”
[SANSA]
Erano passati tre giorni da quando erano sfuggiti alla
morte nella battaglia della taverna sul Tridente e gli esploratori continuavano
a riportare notizie di non-morti che li inseguivano nella fuga verso Harrenhal.
Ser Brynden il Pesce Nero e i suoi esploratori
conoscevano alla perfezione le Terre dei Fiumi ed erano in grado di sfruttarne
ogni piccolo particolare a loro vantaggio. Jaime Lannister guidava l’avanguardia.
L’intervento dell’esercito Lannister-Tully aveva salvato
la vita a tutti loro, compresa Daenerys. Neanche Drogon, l’enorme drago nero,
sarebbe stato in grado di resistere ancora per molto alle ripetute cariche dei
morti.
La regina viaggiava su un carro insieme al suo seguito:
lord Tyrion, Missandei e Varys. Durante la battaglia, Daenerys era svenuta,
stremata, ed era stata tratta in salvo dai suoi guerrieri Immacolati. Drogon
era rimasto ferito colpito più e più volte mentre proteggeva il corpo inerme di
sua madre. Da allora, il drago aveva sorvolato il convoglio senza mai
allontanarsi troppo e ruggendo.
“Cosa è successo? Da dove arrivavano tutti quei morti?” aveva
chiesto Sansa Stark al suo prozio Brynden quando erano stati sufficientemente
lontani da sentirsi al sicuro. Si era subito resa conto che non potevano
arrivare da nord. Indossavano abiti tipici delle terre a sud dell’Incollatura e
a guidarli non c’era nessun Estraneo.
“Dalla Valle di Arryn, mia signora” aveva risposto il
Pesce Nero. “Abbiamo saputo che un drago ha attaccato Nido dell’Aquila e gli
altri castelli della Valle”
“Il Re della Notte ha fatto la sua mossa” era intervenuto
ser Davos, cavalcando al loro fianco. “Nessuno se lo sarebbe mai aspettato
ovviamente”
“Nido dell’Aquila è caduto?” Sansa ne fu scioccata. “E
cosa ne è stato di lord Robin?”. Il giovane lord della Valle non le era mai
stato simpatico, ma era suo cugino e in fondo, Sansa sperava che, in qualche
modo, fosse riuscito a mettersi in salvo.
“Non lo sappiamo. Probabilmente è morto” Brynden aveva
scosso la testa rabbuiandosi. “Non ero lì per proteggerlo. Un tempo avevo
giurato fedeltà al lord di Nido dell’Aquila”
“Non è colpa tua zio. Se fossi stato lì ora saresti solo un’altra
spada per l’esercito dei morti. Preferisco vederti brandire la tua spada al
fianco dei vivi” lo aveva consolato Sansa. “Cosa sappiamo di quanto accade nel
resto del Reame?”
“Molto poco, in verità. Per ora le Terre dei Fiumi
restano saldamente in mano nostra. Tuo zio, lord Edmure, tiene Harrenhal e sua
moglie, lady Roslin, governa Delta delle Acque. La Compagnia Dorata è diretta a
sud, ad Approdo del Re senza dubbio. E non credo che faranno ritorno a nord
molto presto”
“Cersei vuole difendere la capitale. E per farlo
lascerebbe morire tutti gli altri senza batter ciglio” aveva asserito convinto
ser Davos.
“Li ucciderebbe lei stessa se ne avesse l’occasione”.
Sansa aveva chiuso così il discorso Cersei.
Dopo un giorno o due di viaggio, Daenerys si era ripresa
quel tanto che bastava per farla chiamare e raccontarle quello che era successo
a Grande Inverno. “Mi dispiace, lady Sansa” era tutto quello che era riuscita
ad aggiungere alla notizia della caduta di Grande Inverno. Sansa avrebbe voluto
urlarle contro. Avrebbe voluto dirle che lei era la regina, madre dei draghi, e
che aveva lasciato il nord in balia di se stesso allontanandosi con i draghi.
Avrebbe voluto urlare e piangere, far voltare il cavallo e tornare di corsa a
casa. Da Jon, da Bran e da Adrian. Era stanca di fuggire. Avrebbe voluto saper
impugnare una spada e uccidere più non morti di quanti ne aveva uccisi Drogon.
E invece aveva continuato a cavalcare verso sud, mantenendo la compostezza che
si confaceva al suo rango.
“Rhaegal è rimasto a Grande Inverno. Stanno bene, ne sono
certa” l’aveva rassicurata Daenerys. Anche lei aveva perso molto nella
battaglia di Grande Inverno. Tutto il suo khaalasar era caduto sotto l’attacco
degli Estranei e non aveva notizie dei suoi Immacolati. E anche lei aveva
bisogno di credere che Jon fosse ancora vivo. Dopo tutto, Daenerys soffriva
quanto lei.
Harrenhal apparve davanti a loro nella bruma mattutina. Giorni
e notti di cavalcate serrate avevano lasciato tutto il gruppo senza forze. Sam
Tarly non aveva smesso un attimo di tremare con in braccio il piccolo Sam
avvolto in un mucchio di pellicce, tanto da farlo sembrare quasi grosso quanto
il padre. Tutto quello che avevano potuto fare era stato seguire i loro
salvatori attraverso le colline innevate, lungo le pianure ed infine al riparo
dalla neve nelle foreste delle Terre dei Fiumi.
Un lungo, spontaneo sospiro di sollievo gli salì alle
labbra quando avvistarono l’immane fortezza in rovina di Harren il Nero. Uomini
dei Tully avevano approntato il castello per ospitare un esercito, guidati da
suo zio, lord Edmure Tully. Sansa non ricordava molto del fratello della sua
defunta madre. L’unica volta che lo aveva visto era poco più di una bambina e
lord Edmure era diventato un uomo e un lord da allora. I suoi capelli ramati
erano striati di grigio e il suo viso era stanco e tetro.
“Lady Sansa” la saluto quando smontò da cavallo. “Sei più
bella di quanto tua madre sia mai stata. È un piacere rivederti”
“Anche per me zio”. Sansa lo abbracciò brevemente.
“Ho fatto preparare per te degli appartamenti nella Torre
del Rogo del Re”
“Ti ringrazio. Fa in modo che anche la regina Daenerys
sia trattata con il massimo riguardo. Te ne prego. È nostra alleata in questa
guerra”
“Aye”
Tyrion Lannister caracollò al suo fianco quando Edmure si
fu allontanato. “La regina vorrebbe convocare un concilio ristretto. Gradirebbe
che fossi tu a rappresentare il nord”
Sansa osservò Daenerys da lontano. La regina smontò con
difficoltà dal carro, sorretta da due Immacolati. Era sparita per settimane,
vivendo in territori ostili con la sola compagnia dei suoi draghi e questo
aveva lasciato su di lei dei segni evidenti. “Ne sarei felice, lord Tyrion”.
“Bene. Seguimi se ti compiace”
Nell’immenso solarium che un tempo era stato la dimora di
Harren il Nero un fuoco ardeva ad allontanare il freddo e l’odore di muffa. Sansa
sedette accanto a ser Davos e lord Edmure. Erano presenti, oltre a Tyrion e la
regina anche ser Jaime Lannister e Samwell Tarly.
“Grande Inverno è caduta” esordì la regina e Sansa Stark
credette di sentire il suo cuore spezzarsi ancora una volta.
“Cosa?” chiese lord Edmure. “Come fa a saperlo?”
“Ci sono stata. Ho partecipato alla battaglia”
“L’esercito è stato sconfitto ed è in fuga verso sud”
confermò ser Davos.
“E cosa ne è stato di Jon?” chiese Samwell Tarly con voce
incerta e preoccupata.
“Jon sta bene. Sta guidando gli uomini in salvo” rispose
la regina come se anch’essa avesse bisogno di crederci. Aveva l’aria stanca e
febbricitante ma non sembrava voler cedere, almeno fino a quando la riunione
fosse finita.
“Dobbiamo organizzare delle squadre di recupero che
vadano loro incontro e li guidino fino ad Harrenhal” propose ser Jaime
Lannister.
“Hai ragione ser” lo appoggiò Daenerys. “Dopo che avrò
ottenuto il giuramento dei miei nuovi sudditi affronteremo questo discorso”. Si
rivolse a Jaime Lannister e a lord Edmure Tully.
Lord Edmure guardò per un attimo Sansa come se cercasse
da lei una risposta. Sansa acconsentì impercettibilmente con un cenno del capo
e il lord di Delta delle Acque si alzò sfoderando la sua spada.
“Delta delle Acque combatterà per te, maestà” disse. “Tue
sono le nostre spade, tua è la nostra vita”
Daenerys si alzò in piedi con un sorriso stanco. “E io mi
impegno a non chiedervi mai un’azione che vi arrechi disonore. Alzati Edmure,
lord di Delta delle Acque e Protettore del Tridente”.
Ma quando toccò a Jaime Lannister l’aria si caricò di tensione.
Il Lannister la guardò sprezzante e anche un po’ annoiato. “Ho giurato di
combattere al tuo fianco contro i morti ma non per questo ti giurerò fedeltà.
Il tuo obiettivo è quello di spodestare la mia famiglia e io non avrò parte in
questo” disse, lo sguardo smeraldino fisso negli occhi ametista della regina.
“Jaime, fratello…” intervenne Tyrion.
“Per favore lord Tyrion” lo interruppe Daenerys. “Capisco
le tue motivazione ser. Ma non ti darò l’occasione di tradire ancora la mia
famiglia come hai fatto in passato. Arrestatelo”
“Dany, ti prego…” provò ancora Tyrion ma Daenerys lo
zittì con lo sguardo.
Due Immacolati si fecero subito avanti per prendere in
custodia ser Jaime, ma il Lannister non aveva intenzione di accettare la
sentenza. “Hai bruciato migliaia dei miei uomini e tutte le provviste che
servivano a sfamare la capitale. Cosa ti aspetti da me?”
“In guerra si fanno cose di cui poi ci si pente, ser. Lo
sai bene anche tu” provò ad intercedere ser Davos.
“Ed era guerra anche lasciar bruciare vivi dal drago lord
Randyll Tarly e suo figlio?” chiese Jaime divincolandosi dalla presa degli
Immacolati.
Nessuno si aspettava che Samwell Tarly potesse esplodere
di rabbia in quel modo. Era ancora profondamente scosso dal lungo viaggio e per
tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltare. “Mio fratello?” chiese.
Daenerys arrossì violentemente. “Io… mi dispiace” riuscì
solo a dire.
“Ti dispiace?” Sam era furioso. “Mio fratello aveva
sedici anni. Era un bravo ragazzo e tu lo hai dato in pasto ad un drago?”.
Balzò in piedi battendo le mani sul tavolo. “Tu non sei la mia regina”
“Samwell…” Tyrion provò ancora a riportare la calma.
“No lord Tyrion” urlò ancora. “Lei non è la mia regina,
non è regina di niente. È Jon Snow il vero erede al Trono di Spade”
[CERSEI]
“Ne sei sicuro?”. Cersei si cinse il ventre con un
braccio.
“Ma certo, Altezza” la rassicurò lord Quiburn. “Tuo
figlio verrà al mondo sano e forte”.
Aveva seriamente temuto un aborto dopo essersi
risvegliata nel suo letto, ricoperta dal suo stesso sangue. Euron Greyjoy
poteva averla in qualche modo avvelenata anche se dopo alcuni giorni Quiburn lo
aveva escluso. Non aveva riscontrato i sintomi di nessuno dei veleni da lui
conosciuti e per questo avevano deciso di rilasciare Euron dalla prigionia.
Sperava che qualche settimana di stenti avesse piegato la sua sfacciataggine.
Cersei non scendeva nelle prigioni della Fortezza Rossa
da quando vi aveva rinchiuso Ellaria Sand e sua figlia. La ragazzina era morta
e sua madre continuava a fissare il suo corpo decomporsi. Ormai doveva essersi
ridotto solo ad un mucchietto d’ossa. Passare davanti a quella cella le diede
piacere. Ripensare a quel momento le ricordò che lei era la vera regina dei
Sette Regni e che nessuno, nemmeno Euron Greyjoy avrebbe mai potuto metterla da
parte.
“Siederò sul Trono di Spade oggi” sentenziò continuando a
seguire Quiburn lungo il corridoio che conduceva alla cella di Occhio di Corvo.
Non lo faceva dal giorno in cui era svenuta.
“I tuoi sudditi saranno lieti di rivederti, Vostra
Grazia”. Quiburn armeggiò con un grosso mazzo di chiavi e finalmente trovò
quella che apriva la cella di Euron.
Il re delle Isole di Ferro era seduto a terra, con la
schiena poggiata al muro e un sorriso sghembo sulle labbra. “Mancavo alla mia
regina oppure è giunto il giorno della mia esecuzione?”.
“Lord Greyjoy, sei libero di andare. Richiama i tuoi
uomini e riporta l’ordine nella mia città”. Cersei parlò dalla porta.
Euron Greyjoy si alzò uscendo dalla penombra. Guardandolo
meglio Cersei notò i segni che Ser Gregor gli aveva lasciato. Aveva la parte
destra del viso ancora livida e un braccio appeso al collo. Ma questo non gli
impedì di sorridere ancora e di mostrare un dente mancante. “E quand’è che
diventerò tuo marito, altezza? Gli uomini di ferro potrebbero non obbedire ad
un semplice lord. Vedi sono stato imprigionato e malmenato. Cosa impedirà loro
di vedermi solo come un burattino?”
“Sono certa che saprai farti rispettare. Oppure, tra
qualche giorno, quando la Compagnia Dorata sarà qui, chiederò a loro di
occuparsene. A te la scelta”. Cersei lo lasciò da solo nella semi oscurità
della sua cella a rimuginare sulla sua minaccia. Ellaria Sand urlò quando passò
di nuovo davanti alla sua cella ma Cersei non le badò affatto.
Il Trono di Spade attendeva nella sala del trono,
meraviglioso e letale come sempre. Ricordava bene come Joffrey si tagliava
spesso sulle lame sporgenti. “Il trono
respinge chi non è degno di sedervi”. Anche Aerys II era spesso sanguinante
per via di quelle spade tanto da essere stato soprannominato Re Piaga. Ma non Cersei Lannister. Il
Trono non la respingeva, lei meritava il Trono di Spade. Salì lentamente i
pochi gradini, assaporando passo dopo passo il gusto del potere che quel trono
le conferiva.
I bracieri nella sala del Trono riempivano l’aria di un
piacevole tepore ma fuori dalle grandi vetrate Cersei poteva vedere l’inverno
pressante. Una coltre di nuvole copriva il cielo della capitale e copiose
nevicate non si erano fatte certo attendere. L’inverno più duro a memoria
d’uomo, secondo i maestri, era cominciato. Il popolino era allo stremo e più
volte erano arrivati allo scontro con le cappe dorate. In sua assenza Quiburn
aveva gestito con pugno duro quelle piccole scaramucce, ma le ribellioni si
facevano sempre più frequenti e sempre più uomini si raccoglievano sotto la
fortezza rossa per protestare contro il regime Lannister.
Cersei aveva fatto scrivere un proclama in cui incolpava
Daenerys Targaryen e i suoi draghi per aver distrutto tutte le scorte
dell’Altopiano che sarebbero dovute servire a rimpinguare le scorte della
capitale ma nemmeno questo aveva avuto l’effetto sperato. Così si erano rivolti
alla Banca di Ferro di Braavos che attraverso i suoi contatti con i mercanti di
Qart e Volantis aveva fatto sì che i morsi della fame fossero allentati, almeno
per un po’.
“È
fondamentale tenere a bada il popolo. In inverno la paura non basta”. Un
altro degli insegnamenti del lord suo padre che Cersei Lannister non aveva mai
dimenticato. Per questo quando quella mattina si era affacciata sulla terrazza
che dava sulla piazza rossa i soldati si erano uniti all’acclamazione del
popolo.
“Un po’ di cibo li terrà calmi per qualche settimana”
aveva detto a Quiburn. “Fingono addirittura di amarmi quando sarebbero capaci
di vendere la mia testa a quella puttana bionda alla prima occasione”
“Di certo ci proveranno, Altezza”. Quiburn aveva sorriso
malevolo. “Ma i tuoi piromanti hanno portato a termine il loro compito. Se mai
questo dovesse accadere avranno ciò che meritano. Tutti loro”
“Molto bene lord Primo Cavaliere. Hai notizie della
Compagnia Dorata?”
“Un messo di Harry Strickland è giunto stamattina. Il tuo
esercito sarà qui in un paio di giorni al massimo. Ma le buone notizie
finiscono qui”
“Parla” lo incitò.
“Ser Jaime è fuggito e il suo esercito raccogliticcio ha
continuato ad attaccare la Compagnia Dorata mentre viaggiavano verso sud. Il
messo dice che facevano causa comune con un branco di lupi”.
Cersei soppesò a lungo quelle informazioni. Sapeva di non
potersi fidare di quei mercenari ma non credeva che fossero così incompetenti.
La Compagnia Dorata aveva la fama di essere la miglior compagnia mercenaria di
tutta Essos eppure Jaime e un pugno di uomini erano riusciti a metterli in
difficoltà. Come al solito poteva contare solo sulle sue forze.
“Vostra Grazia”. Euron Greyjoy entrò nella sala del trono
accompagnato da due dei suoi uomini di ferro. “La città è di nuovo interamente
dalla tua parte. Come avevi richiesto”
“Ti ringrazio lord Euron. Ti sei dimostrato ancora un
fedele amico della corona. Per questo il nostro matrimonio sarà celebrato al
compimento del prossimo ciclo di luna”. Non poteva più procrastinare quella
decisione. Doveva mostrare alla Compagnia Dorata e al reame intero che la casa
Lannister era ancora forte, tanto da legare a se la fedeltà di altre casate dei
Sette Regni.
Euron sorrise trionfante. “Anche mia nipote parteciperà
al banchetto di nozze” sentenziò. “Un uomo di ferro che siede sul Trono di
Spade accanto alla regina è qualcosa che non si è mai visto dalle nostre parti”
Harry Strickland era un uomo attraente anche se piuttosto
avanti con gli anni. Indossava un’armatura dagli spallacci placcati in oro e in
vita portava una spada lunga, una spada da scherma e una daga con l’elsa d’osso
di drago.
Entrò nella sala del Trono accompagnato da due uomini. Un
tyroshi dagli occhi blu come i suoi capelli e un uomo delle Isole delle Estate,
dalla pelle nera come la pece e lo sguardo ostile.
“Vostra Grazia” esordì inginocchiandosi al suo cospetto.
“La tua bellezza è nota in tutto il mondo conosciuto. Perfino ad Essos”
“Ti ringrazio, lord Strickland”. Cersei lo squadrò
malevola. “Ma avevi dei compiti che a quanto ho sentito non hai portato a
termine. Cosa ne è stato di mio fratello?”
Strickland si rimise in piedi. “Mi dispiace, maestà. Ser
Jaime è riuscito a fuggire e io ho deciso di non dargli la caccia”
“E questa decisione ha una motivazione oppure è stata
dettata solo dalla tua codardia?”
“Ha una motivazione più che valida. Dovevamo arrivare
nella capitale il più in fretta possibile per proteggere la tua regale persona”
disse il capo mercenario stuzzicando la sua curiosità.
“Continua” lo incitò.
“Sei circondata da traditori, altezza”. Il suo sguardo si
posò su Euron Greyjoy, seduto al tavolo del concilio e poi su Quiburn in piedi
al suo fianco. “Lord Euron mi ha promesso Castel Granito se lo avessi aiutato a
sottrarti il trono”
Cersei sentì la rabbia impadronirsi di lei. Sapeva di non
potersi fidare di Greyjoy ma non credeva che quel folle avesse preso accordi
con la Compagnia Dorata contro di lei. Infondo alla sala, tra gli uomini di
ferro cominciò a serpeggiare una certa inquietudine.
“E non è tutto. Quando mi ha assoldato mi ha detto di avere
qualcuno all’interno della Fortezza Rossa che lo appoggiava. Qualcuno di molto
vicino alla regina” continuò Strickland, prima che lei si riprendesse dalla
bomba che le aveva lanciato.
“Queste sono accuse gravi lord Strickland” intervenne
Quiburn. “Maestà, quest’uomo è un mentitore”
“Silenzio lord Quiburn”. Cersei Lannister balzò in piedi.
“Cosa hai da dire a tua discolpa, lord Euron”
“Nulla”. Con un unico fluido movimento Euron Greyjoy
sfoderò la sua spada.
Ser Gregor fu in un attimo al suo fianco pronto a
difenderla ma Euron Greyjoy si rivolse a Strickland. “Non so cosa speri di
ottenere con le tue menzogne mercenario. Ma a calunniare un uomo potresti
trovarti con lui a dover incrociare le spade”
Strickland non si scompose. Sorrise ad Euron Greyjoy
prima di rivolgersi nuovamente alla regina. “Ho portato un dono alla regina per
provare la mia buona fede. Toro, ti dispiace?”
Il Tyroshi dai capelli blu si inchinò ed uscì dalla sala
del trono, rientrando pochi istanti dopo, trascinando un uomo in catene. “Ti
porto un nemico della tua casata, altezza, a comprova della mia fedeltà”
Sandor Clegane, zoppicante e coperto di sangue sputò ai
piedi del fratello che impugnava la sua spada a due mani.
Cersei Lannister sorrise. Forse, dopotutto, il mercenario
stava dicendo la verità. Euron Greyjoy indietreggiò quasi nascondendosi dietro
la sua spada. “Credo che il nostro contratto matrimoniale si sia appena
interrotto. Riporto i miei uomini in mare,
vostra grazia”
“Uccideteli” ordinò.
Il sangue lordò il pavimento e le pareti della sala del
trono. Gli uomini di ferro attaccarono i soldati della regina e viceversa. La
battaglia durò molto poco perché Euron si aprì un varco fino alle porte della
sala. Rivolse a Cersei un ultimo sorriso malizioso prima di svanire nei
corridoi della fortezza.
“Prendeteli vivi o morti. E se non ci riuscite
scacciateli dalla nostra capitale” urlò lord Quiburn e i soldati della corona
si affrettarono ad inseguirli.
ANGOLO
AUTORE
Salve
a tutti. Innanzitutto voglio ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo i
miei fedelissimi: QueenInTheNorth, Colpani392 e Reyf
So che
è passato molto tempo dall’ultima volta ma far combaciare tutti i pezzi della
storia mi è risultato più difficile del previsto. Ho praticamente dovuto
riscrivere questo capitolo ma spero di essere riuscito ad inserire tutti i
pezzi per avviare il puzzle verso il suo completamento. Finalmente c’è qualche
informazione sul Re della Notte che sta rimpolpando il suo esercito.
Non
c’è, invece, un pov di Jon in questo capitolo ma nel prossimo vedremo cosa
scoprirà sull’Occhio degli Dei.
Infine
un grosso grazie anche a chi legge la mia storia. Spero che vi stia piacendo. Recensite
se potete, sono curioso di sapere cosa ne pensate.
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