La vie (capitolo
primo)
Je
vois ainsi cela était ma vie
Toutes les erreurs de mon passé
Ont
renforcé ma vie
J’avance
seule la tete haute
Je
ris face à la vie
La
vie la vie! Je ris face à la vie
La
vie la vie! Personne ne changera ma vie.
(“La
vie” – Marianne Mirage)
Tristan non aveva
più speranze di essere salvato e non lo desiderava nemmeno.
Elijah aveva
commesso l’ultimo e più terribile abbandono, lo aveva fatto rinchiudere in una
segreta di villa Mikaelson e aveva mandato Klaus e Marcel a massacrare i membri
della Strix di New Orleans.
Lui non aveva
potuto fare niente per salvarli.
Aveva affidato con
un’ultima telefonata a Madame Angéle la protezione dell’amatissima sorella
Aurora e adesso…
Adesso poteva
anche lasciare che il suo corpo marcisse nella segreta. Il Conte De Martel non
sarebbe esistito più per nessuno.
Tristan chiuse gli
occhi, raggomitolato a terra, e la sua mente abbandonò il suo corpo per recarsi
in un mondo onirico più felice e sereno, dove tutto sarebbe andato bene.
Un
raggio del sole del mattino penetrò dalla finestra e raggiunse il volto del
giovane Conte addormentato nel suo letto. Tristan De Martel strizzò gli occhi,
quasi a volersi liberare dal raggio fastidioso, fece una smorfia, poi si voltò
dall’altra parte.
Allungò
una mano verso l’altro lato del letto, ma lo trovò freddo e vuoto.
Tristan
aprì gli occhi, sorpreso. Si guardò attorno ma, evidentemente, nella sua grande
camera da letto, addobbata da arazzi alle pareti, non c’era nessuno.
Possibile
che tutto ciò che era accaduto la notte precedente fosse stato soltanto un
sogno? Una visione onirica originata dai suoi desideri sempre più ardenti e
indecenti?
Ma
ben presto le prove concrete del fatto che non era stato tutto un sogno si
presentarono ai suoi occhi e ai suoi sensi… stranamente amplificati, come mai
prima di allora.
La
luce del sole era straordinariamente vivida, quel mattino, e gli aveva ferito
gli occhi. Adesso si stava abituando, ma non ricordava di aver mai provato
tanto fastidio davanti alla luce solare.
Provava
una fame, una fame insaziabile, ma non della solita colazione che i servitori
gli avrebbero portato non appena avesse suonato il campanello, lui desiderava…
voleva… sì, affondare i denti nella gola di qualcuno e dissetarsi con il caldo
sangue che ne sarebbe sgorgato.
Fuori
le guardie si stavano addestrando e le loro voci, il nitrito dei cavalli, le
urla, i rumori del cozzare di armi e armature, era insolitamente fastidioso.
E
poi… c’era del sangue sul letto, il bordo della coperta era macchiato e anche
il suo cuscino.
Dunque
ciò che ricordava della notte precedente era tutto vero!
Il
barbaro venuto dal nord, il tenebroso e affascinante Elijah Mikaelson, aveva
finalmente messo da parte la sua recita, buona solo per gli stolti. Lui aveva
compreso fin da subito che Elijah e la sua famiglia non erano chi dicevano di
essere, bensì dei potenti mostri, delle creature che si nutrivano di sangue
umano e che possedevano capacità straordinarie, dei vampiri.
Tristan
li aveva osservati, spiati, persino sfidati… ma ciò che aveva bramato fin dal
primo istante era stato il barbaro dai capelli scuri, la misteriosa creatura
che poteva risucchiare via la sua anima solo fissandolo con quegli occhi neri e
scintillanti.
La
notte precedente, finalmente, Elijah aveva ceduto ai suoi giochi di seduzione e
lo aveva seguito nella sua camera. Tutto ciò che Tristan aveva sognato si era
avverato durante quella notte infinita e in modo ancora più appagante e
meraviglioso di quanto avesse osato immaginare.
Elijah
lo aveva preso in giro, lo aveva irriso scherzosamente con quel suo sorriso
beffardo.
“Dunque
il piccolo e altezzoso figlio del Conte non disdegna la compagnia dei barbari
né quella dei mostri?” gli aveva detto, facendosi tanto vicino a lui da
costringerlo contro il muro. Era stato in quel momento che Tristan aveva capito
che non era lui a guidare quel gioco, che non era mai stato lui, si era
soltanto illuso di farlo. Elijah aveva compreso quello che voleva e aveva
aspettato a concederglielo, perché si tormentasse nell’attesa. Tristan avrebbe
dovuto sentirsi indignato e offeso, avrebbe dovuto punire quel barbaro
arrogante, frustarlo… ma aveva preferito lasciarlo fare, in fondo era quello e
solo quello che aveva desiderato fin da subito.
Imprigionato
tra il muro di pietra e il corpo forte e muscoloso del barbaro, Tristan aveva
sentito le ginocchia tremare, una sensazione nuova per lui: aveva avuto tanti
amanti, giovani soldati che aveva posseduto talvolta con violenza e altre volte
con maggior delicatezza, fanciulle smaniose che si erano succedute nel suo
letto… ma era sempre stato lui a dominare e non aveva mai provato altro che il
piacere più o meno intenso dell’atto sessuale.
Con
Elijah era diverso, c’era un’emozione nuova che lo divorava e non era soltanto
il desiderio, non solo la brama lussuriosa di ciò che stava per accadere.
Elijah lo metteva in soggezione e lo faceva sentire fragile e indifeso…
assurdo, lui era il figlio del Conte e quello soltanto un barbaro incivile…
eppure era così che si sentiva e la cosa peggiore era che gli piaceva sentirsi così con lui.
Elijah
lo aveva baciato, sollevandolo da terra. Aveva premuto la bocca contro la sua e
lo aveva esplorato con la lingua, dapprima esitante, poi sempre più audace e
indecente, violandogli la bocca e riempiendolo del suo sapore. Mentre lo
baciava con sempre maggior passione aveva iniziato a sfilargli i vestiti, le
sue eleganti vesti di velluto; lo aveva accarezzato a lungo con voluttà,
compiacendosi di passare le sue mani grandi e ruvide sopra la sua pelle
delicata, lungo il suo corpo flessuoso e atletico. Poi anche Elijah si era spogliato,
strappandosi le vesti di dosso, e il suo corpo mascolino e poderoso si era
incollato a quello di Tristan. Il contatto aveva accelerato i battiti del cuore
del giovane nobile e gli aveva incendiato il sangue nelle vene, tanto che aveva
dovuto sforzarsi non poco per non sospirare e gemere prima del tempo. Oh, certo
non avrebbe concesso una simile soddisfazione al barbaro che lo aveva tenuto
sulla corda tanto a lungo!
Elijah
lo aveva portato di peso sul letto e si era sdraiato su di lui, sovrastandolo
con il suo peso e continuando a baciarlo in quel modo sempre più intimo; lo
aveva accarezzato fino a fargli perdere il lume della ragione, fino a fargli
mordere il labbro inferiore per soffocare i gemiti. Poi, con una gentilezza che
Tristan non avrebbe mai sospettato in un uomo simile, gli aveva divaricato le
gambe e le aveva accarezzate a lungo prima di iniziare, lentamente, a farsi
strada nel suo corpo. Era stato paziente, delicato, attento e premuroso non
appena aveva compreso che il ragazzo, tanto insolente, spregiudicato e
arrogante, non aveva mai avuto un uomo dentro di sé. Si era mosso con lentezza,
aspettando che l’inevitabile dolore divenisse piacere, che il gemito di
Tristan, non più trattenuto, si trasformasse in un ansito di godimento, che il
giovane corpo del nobile si adattasse al suo. Poi si era spinto con più
passione, mentre Tristan si aggrappava alle sue forti spalle e cercava di
assecondare i suoi movimenti. Le ondate di piacere si erano succedute sempre
più incalzanti, i loro corpi sempre più all’unisono, con il figlio del Conte
che, in un insolito sussulto di pudore, nascondeva il volto contro il suo petto
per soffocare le grida… fino alla fine, un lungo istante di estasi assoluta
seguito da un languido calore nei loro corpi.
Erano
ancora stretti l’uno all’altro, sudati e scarmigliati, quando Elijah aveva parlato
di nuovo e questa volta il suo tono era stato grave.
“So
che non era solo questo che volevi, piccolo Conte” gli aveva detto, fissandolo
negli occhi, facendolo annegare nel suo sguardo scuro e penetrante, “ma ti
rendi conto di cosa significherà per te quello che mi chiedi?”
“Voglio
essere come te” aveva risposto Tristan, ricambiando fieramente lo sguardo,
sebbene dentro di sé si sentisse ancora tremare e fremere. “Voglio vivere per
sempre ed essere potente come te.”
“L’immortalità
non libera dal dolore, anzi, forse lo intensifica” lo aveva messo in guardia
Elijah.
“Io
sono il figlio del Conte De Martel. Con i poteri delle creature come voi, potrò
diventare invincibile e conquistare e governare tutta l’Europa” aveva
dichiarato Tristan con arroganza.
Elijah
lo aveva guardato con una strana espressione negli occhi, si sarebbe detta
forse… cosa? Preoccupazione? Tenerezza? Suvvia, non era possibile…
“Ti
trasformerò, se è ciò che vuoi, Tristan De Martel, ma poi avrai bisogno della
mia guida per imparare a gestire il tuo potere e io non lascerò che tu ne
abusi, sappilo.”
“Io
non ho bisogno della guida di nessuno!” aveva protestato Tristan, indignato, ma
subito Elijah lo aveva interrotto con un altro bacio e, poi, aveva ripreso a
parlare.
“Sono
io a crearti, perciò sarò il tuo Sire e non potrai più permetterti di
rispondermi così” gli aveva detto.
Tristan
non era riuscito a capire se stesse scherzando o meno.
Elijah
si era morso il polso e gli aveva fatto bere il suo sangue. Alcune gocce erano
cadute sulla coperta e sul cuscino, macchiandoli, come testimonianza di tutto
ciò che era accaduto in quella notte. Tristan aveva bevuto quel sangue caldo,
ostentando una sicurezza e una forza che non provava realmente e poi… e poi
c’era stata la mano di Elijah sul suo collo, un colpo secco, una torsione
improvvisa… e il buio.
Finché
non si era risvegliato quella mattina, stordito, confuso e domandandosi se non
si fosse trattato solo di un sogno, eppure le macchie di sangue sul letto e i
suoi sensi gli dicevano che tutto ciò era successo davvero.
Tristan
De Martel, adesso, era un vampiro.
Un’ombra
si mosse nella camera e il giovane si mise subito all’erta, con tutti i sensi
tesi per affrontare il pericolo… ma era soltanto Elijah, il barbaro che lo
aveva trasformato. Il suo Sire, aveva detto la notte prima.
Non crederà
davvero che mi metterò a chiamarlo Vostra Maestà, adesso, vero? Perché può
anche scordarselo fin da subito… si domandò Tristan, che ancora non aveva
capito molto sul legame di sangue e sulla trasformazione.
Elijah
aveva in volto un’espressione stanca e, pareva, addolorata.
Guardò
a lungo Tristan come se non lo avesse mai visto prima e poi si avvicinò a lui e
lo strinse tra le braccia con veemenza.
“Come
stai? Avrai bisogno di nutrirti, immagino” gli disse poi, con una premura
inaspettata che confuse ancora di più il giovane nobile. “Posso darti il mio
sangue, poi ti insegnerò io come cacciare senza uccidere le prede.”
“Senza
uccidere? E perché? Potremmo nutrirci dei servitori indisciplinati o dei
villici del paese… a cosa servono le loro vite?” replicò il ragazzo, viziato e
spocchioso come sempre.
Ma
Elijah non perse la pazienza con lui, gli accarezzò la testa e lo strinse di
nuovo a sé, prima di offrirgli il polso perché potesse nutrirsi.
“No,
Tristan, dovrai imparare ancora molto sull’essere un vampiro, ma non
preoccuparti, io sarò con te ogni momento e ti insegnerò, ti guiderò. Sei la
mia creatura e ho la responsabilità delle tue azioni” disse, e Tristan restò
sorpreso soprattutto da quel tono affettuoso che gli aveva sentito riservare
solo a fratelli e sorelle. “Guarda l’anello che ti ho messo al dito ieri notte,
dopo averti trasformato: è un anello solare che nostra madre, una potente
strega, ha realizzato anni fa per tutti noi. Ne aveva fatti qualcuno in più
perché, se lo avessimo perduto, sarebbe stata la fine: un vampiro non può
tollerare la luce del sole e morirebbe bruciato. Io ho dato a te uno dei miei,
così come Rebekah ha fatto con tua sorella Aurora.”
Tristan
si nutriva dal polso di Elijah, ma non perdeva una sola delle sue parole.
Sentiva che qualcosa era cambiato nel barbaro rispetto alla notte precedente…
ma cosa?
Quella
tenerezza sembrava talmente insolita…
Fine primo
capitolo