Premessa,
io non so scrivere cose romantiche, non sono una tipa da romanzi rosa
e mi piace prendere in giro i personaggi di Dragon Ball, come, chi mi
conosce, sa che lo faccio.
Però
avevo in archivio questa fanfiction e dopo averci dato su numerose
mani, ho deciso di pubblicarla, perché ormai era
lì stagionata da
troppo tempo e mi dava fastidio. Avrei potuto pubblicarla in
primavera, come dice il titolo, ma no, vi prego, non ne potevo
più.
Ringrazio
Felinala che con pazienza mi ha spronata alla sua pubblicazione e la
mia amica Ilaria che con altrettanta pazienza mi ha corretto e
sistemato questa storia.
Vi
presento i pensieri di un Vegeta pentito dopo la tragedia di Majin
Buu dal mio punto di vista, che magari sarà particolare,
noioso o
forse troppo
romantico.
Probabilmente
Vegeta sarà OOC, ma chi se ne frega, mi sono permessa di
prendere
qualche licenza poetica e me la tengo!
Se
qualcuno ha voglia di darmi un consiglio/qualche dritta su come fare
le robe romantiche
o solo dirmi la sua versione dei fatti, perché no?, lo
esprima pure
in recensione, mi farebbe piacere!
Mi scuso in anticipo se la formattazione non va, il computer non collabora mai. Buona
lettura e grazie per avere aperto questa storia.
Come
una farfalla che si posava su un fiore, la donna volteggiava delicata
tra i profumi del giardino.
Alla
luce del sole, i suoi capelli azzurri erano fiumi d'acqua, puri e
freschi che irradiavano il terreno, riportando, dopo tanto freddo, la
vita. Il gelo pungente dell'inverno aveva lasciato finalmente il
posto alla pacifica primavera e i primi ciuffi di erba iniziavano ad
innalzarsi per cogliere il tepore dei raggi dorati e tanto rari in
passato. Ogni creatura si svegliava dal torpore del letargo per
aprire gli occhi alla rinascita della primavera e i fiori,
lentamente, schiudevano i loro petali, mostrandosi timidi all'aria.
La
fissava assorto da dietro la finestra, in silenzio, come per non
profanare quel momento di pura contemplazione. Ne seguiva meticoloso
ogni passo, segnandosi nella mente ogni leggero movimento della
compagna, tra il verde del giardino. Ne fissava la dolcezza del passo
che poggiava sull'erba, come a carezzarla. Leggera come aria,
continuava a camminare, quasi volasse, più alta di un
aquilone, più
chiara di una nuvola; un passo dietro l'altro, si chinava ad
ascoltare il respiro dei fiori e a sentire il loro giovane profumo.
La
guardava, attento, come se fino a quel momento l'avesse sempre vista,
ma mai guardata realmente: seguiva la linea del suo viso e del suo
sorriso, aperto e splendente come la luce del sole. Le lunghe ciglia
non gli erano mai sembrare così perfette per incorniciare i
suoi
grandi occhi luminosi; le sue mani, delicate e sottili, parevano
davvero ali piumate mosse dal vento e il suo sorriso, che era in
grado di aprire ogni anfratto del suo cuore, non era meno pari del
sole.
Una
donna dai tratti soavi, quasi una statua antica, opera di qualche uno
scultore greco antico, che ricercava la bellezza di Afrodite
nell’arte e che voleva rinchiuderla nella levigatezza in un
marmo, siglando il folgore della luce divina dentro delle labbra e
degli
occhi di eterna pietra.
La
donna come attratta da qualcosa volse, poi, lo sguardo verso la
finestra, bloccando il suo incedere, ma lui si nascose immediato,
celandosi nell'ombra, come Atteone, scoperto ad ammirare il proibito.
Scostando di poco la tenda, riprese tuttavia ad osservarla e si
accorse di come, ogni volta che la guardava, la vedeva sempre
più
attraente e lucente di prima.
Se
lei stava alla luce del sole, lui si rifugiava nell’ombra e,
forse,
quello era l’unico luogo che avrebbe potuto nasconderlo.
Il
suo passato gli aveva ustionato fin troppo l'anima per avvicinarsi
alla luce e la donna, non perfetta in realtà, ma per lui, un
uomo
scoperto innamorato da poco, l’unica vera perfezione, era
quella
luce. La donna perfetta, vero, ma non per lui.
In
lui non c’era nulla di perfetto: sognare le braccia candide
di una
donna, sarebbe dovuto essere un pensiero proibito per un demone.
La
sera, ad ogni tocco, sul corpo della donna venivano tracciate dalle
sue mani delle lunghe e maculate scie di sangue, delle mani sporche,
grondanti ancora di rosso.
Vegeta
le vedeva, le sentiva, ma pur sapendo di contaminare la bellezza di
Bulma, non aveva mai smesso di toccarla, come non se n’era
mai
andato da quella casa; sapeva che quando camminava per ogni stanza
agli angoli più bui comparivano delle presenze oscure che
fissavano
solo lui; quando era nell’ombra del corridoio e osservava la
sua
famiglia chiacchierare allegra in cucina o in salotto, si sentiva
stringere una salda presa sul collo, una presa mortifera che esigeva
il suo ultimo respiro.
Se
osservava bene dentro la sua ombra, sapeva di vedere le ombre di
migliaia di anime che, strappate alla vita, si occultavano nei suoi
pensieri più profondi. Pensieri di morte, pensieri da
assassino che
stonavano terribilmente con la vita che ora aveva costruito, con
fatica e stupore, assieme a Bulma.
Tutto
quello che mai avrebbe sognato e che aveva rifuggito una vita intera
gli era precipitato addosso: il figlio dei demoni aveva giaciuto con
una donna e dalla loro unione era nata una nuova stella azzurra, che
brillava sprizzando energia dagli occhi dipinti come quelli della
madre.
Quanto
era stato sbagliato, malsano e ingiusto?
Quale
divinità glielo aveva permesso, quale divinità di
era scordata di
guardare bene tra i fili di stelle dell’universo, per non
notare
questa ingiustizia?
Gli
dei dovevano essere impazziti se, dopo tanta disperazione, seminata e
raccolta, aveva trovato qualcuno disposto ad aprirgli la porta di
casa e accoglierlo come un figliol prodigo.
Tutto
quello che aveva rifuggito una vita intera gli era precipitato
addosso: una famiglia che lo accoglieva, un figlio che lo ammirava,
una moglie che era il suo amore.
Gli
avevano teso la mano, erano stati l’ancora che l'aveva
recuperato
dal mare di rimorsi e timori pronti a portarlo sempre più a
fondo:
la sua vita fatta di guerra, di condannato amore per la violenza, di
forza e di lotte era giunta al termine, sebbene ancora la notte
sentisse urla di guerra ed esplosioni che gli rimbombavano nel cuore.
Da
l’avventura di una notte, infine, era nata la nuova vita di
suo
figlio di otto anni, la vita che lo aveva riportato ancor di
più a
galla, più consapevole di cosa significasse ricevere il
sorriso
acceso e allegro del suo bambino, quel bambino che lo considerava un
eroe.
La
farfalla riprese improvvisamente a volare: si accostò ad un
albero,
accovacciandosi sotto, tenendosi le gambe al petto e guardando tra le
fronde più alte verso il cielo, specchio dei suoi occhi.
Molte
emozioni le tingevano le pupille azzurre, tra cui la maggiore
sembrava la serenità.
Per
la primavera alle porte, per una nuova vita che nasceva.
Alzò
lo sguardo incrociando il suo sguardo dietro la finestra, gli sorrise
e Vegeta chiuse gli occhi, intorpidito da quello sguardo limpido.
Sentì
la porta della camera da letto socchiudersi alle sue spalle e il suo
corpo nervoso venire avvolto da calde braccia che si strinsero sicure
e delicate alla sua vita.
Il
sospiro leggero della donna andò a sbattere contro la pelle
bronzea
dell'uomo, solleticandolo appena, mandando calde parole ad accudire i
suoi pensieri.
Fuori
le fronde del salice sussultarono al vento nuovo della primavera e
altri pensieri gli oscurarono in occhi, però
cercò di concentrarsi
sull'effetto che i tocchi della donna avevano sul suo corpo, sul suo
spirito. Si riscoprì appagato e tranquillo tra le sue
braccia: da
quando aveva affrontato Majin Buu, aveva concordato con la parte
più
remissiva di sé, la presenza di un forte legame che lo
stringeva
alla donna. Ora ne era più consapevole e forse, era
diventato molto
più realista a riguardo.
Aveva
dato vita ad una anacronistica guerra per soddisfare la sua
rivalità
contro il prestigio di Kakaroth il quale, inconsciamente, aveva
sempre sfoggiato tutta la sua bellezza di vincitore davanti a lui.
Senza
pensarci su con coscienza, aveva rinunciato all'ospitalità e
alla
vita offerta da Bulma, per tornare a riabbracciare le tenebre di
vent'anni della sua vita: perché faceva più
comodo lasciare
indietro ed abbandonare le debolezze e ciò che lo legava
alla vita
che sentiva come artefatta, ciò che stava diventando
routine, una
noiosa routine. Voleva cambiare, ritrovare se stesso, non
accorgendosi che per vedere se stesso doveva solo fissarsi allo
specchio e comprendere quel cambiamento che gli era penetrato,
lentamente, nelle ossa.
Aveva
impugnato l'ascia di guerra e l'orgoglio di un tempo, per poi
sentirli improvvisamente troppo pesanti, troppo esigenti della sua
attenzione e troppo ingombranti per accorgersi della sua famiglia.
Era stato così cieco che, durante la battaglia, per poco non
aveva
rischiato di scordare la perfezione del tocco di Bulma e il profumo
della sua pelle.
Ricordava
ancora il momento in cui aveva compreso il suo errore per essersi
venduto a quel mago che lo aveva persuaso con parole di vanagloria.
Le
parole di Goku non avevano fatto effetto, se non dopo che la tragedia
era successa: era stato come un fulmine a ciel sereno che gli aveva
bloccato il respiro realizzare che la sua famiglia era in pericolo
per colpa sua. Un colpo al cuore tanto forte da fermarlo, per poi
sentirselo ripartire all'impazzata dentro il torace, animato da
furore e rabbia.
La
lezione era stata dura, l'addestramento era durato dieci anni di
sofferenza e di rimpianti, ma ora capiva l'importanza della sua nuova
vita sulla Terra.
Non
aveva mai avuto paura di morire, ma all’ultimo
realizzò di avere
di paura di vivere in un mondo senza di
loro: loro erano la sua famiglia, il suo onore e l’orgoglio, in
fin dei conti,
e li avrebbe difesi da Saiyan.
Non
ne
valeva
davvero
la pena combattere, allenarsi, soffrire, se non c'era
qualcuno pronto a curarti le ferite, a portarti una bottiglia d'acqua
con il sorriso sulle labbra a fine allenamento, ad abbracciarti nei
momenti di sconforto e a salutarti al mattino appena svegliato.
Aveva
urlato di frustrazione e combattuto con tutte le sue forze per
eliminare la minaccia di Majin Buu, per poi, alla fine, optare per la
scelta più disperata, più necessaria di tutte,
forse più comoda di
tutte, visto che non avrebbe dovuto dare spiegazioni a sua moglie, ma
la più bella di tutte, se si è disposti a morire
per la vita di
qualcun altro.
Si
era fatto esplodere, spazzando via con le ceneri della sua esistenza
anche il mostro rosa; assieme a lui era esploso anche il suo cuore,
per loro, sopraffatto e incapace di sopportare tanto amore per due
semplici terrestri.
Voltandosi
a guardare sua moglie e abbracciandola di rimando, si rese conto che
mai aveva fatto scelta più saggia. Le percorse con le mani
la
morbidezza delle braccia per riallacciare i loro sguardi poco dopo,
vedendo brillare l'azzurro delle sue iridi.
A
lungo aveva cercato una sicurezza per il suo esistere, un motivo per
le sue azioni, che andasse oltre il confine di se stesso.
Aveva
cercato, tra gli sguardi della gente, altrettanta frustrazione e
malinconia, per avere almeno una prova di non essere solo. Era stato
buttato a terra come uno straccio, un uomo incapace di scendere
a patti
con la vita, anche se
ogni
volta si rialzava e si spingeva fino al massimo per riuscire a
capirla e avere la rivalsa.
Come
un dannato, non
aveva mai pensato al futuro se non a sopravvivere e ad odiarsi, non
sapendo se avrebbe resistito fino al giorno dopo; non sapeva vivere,
era morto quando suo padre l'aveva venduto al mostro di ghiaccio. Il
sogno del Super Saiyan era
sembrato
il dio lontano a cui, quando non ce la faceva più o il vuoto
sembrava avvolgerlo più del solito, rivolgeva le sue
preghiere, ma
mai ascoltate;
non come voleva lui, almeno.
Finché,
non era arrivato sulla Terra e un cuore aveva iniziato a battere per
lui, innamorandosi del principe del Saiyan venuto dallo spazio.
Il
cuore di Bulma soffrì di un amore faticoso,
un amore incomprensibile, irreale per il
principe dello spazio,
talmente assurdo che alla notizia della sua gravidanza aveva lasciato
tutto, chiuso in una fredda ma scricchiolante indifferenza, per
fuggire il più lontano possibile, nel
freddo gelo cosmico
che aveva odiato più di tutto,
ma che poteva contenere, assieme a tutte le bugie di una vita, anche
lui.
Alla
fine, spinto dalla necessità di rivedere e di rivivere quei
momenti
con la bella terreste, era tornato alla Capsule Corporation: non
avrebbe saputo neanche lui spiegarsi il perché, ma forse,
manco
voleva
farlo,
perché faceva male sentirsi dalla
parte sbagliata della ragione.
Sapeva solo che era rimasto fino alla fine e
con
Bulma aveva conosciuto l'amore per qualcuno al di fuori di se stesso.
Una
parola – amore – che mai aveva avuto
così importanza se non
quando li aveva persi entrambi contro Majin Buu; in un attimo, il
buio cosmico e le catene della vita di prima gli erano sembrate
nuovamente riavvolgerlo per poterlo riportare al passato che aveva
faticosamente, ma orgogliosamente e testardamente, trascinato avanti
negli anni.
Goku
era lì, trepidante, che stava cercando di avvistare il
nemico sempre
più in avvicinamento e gli stava tendendo agitato
l'orecchino dei
Kaioh, pregandolo di afferrare quel maledetto oggetto per la fusione.
Avevano
combattuto, infine,
sul pianeta dei Kaioh, ormai ridotto ad un pugno di cenere: aveva
giocato il tutto per tutto, puntando quello che aveva e forse
più
del potuto, visto che
la sua difficoltà contro Buu, che si divertiva a lasciargli
l'impronta del suo pugno tra le costole, era evidente.
Aveva
combattuto con forza, deluso da se stesso per non aver fatto
abbastanza con il suo sacrificio, ma, soprattutto, deluso da se
stesso per aver non aver mai fatto abbastanza per le persone che
amava. Tutto quello che aveva vissuto con loro, per loro, non sarebbe
valso nulla se non si fosse immolato fino alla fine. Aveva dato la
sua vita per loro, strappandosi il cuore dal petto nel tentativo di
uccidere il mostro già una volta e –
pensò – se li sarebbe
ripresi, anche a costo di rifinire negli Inferi per
l'eternità. Poi,
al contrario delle sue aspettative,
gli dei avevano, bonariamente o inconsciamente, chiuso un occhio
sulla sua condotta e lo avevano rispedito a casa, sulla Terra, con la
sua famiglia.
Sfiorandole
i fianchi con le mani, avvicinò il viso a quello della
donna,
poggiando la fronte alla sua.
Aprì
gli occhi neri per guardare attraverso l'acqua. Sorrise leggermente,
Bulma, godendosi quel piccolo e ritrovato momento.
«
Ciao » sussurrò piano, bisbigliando tra di loro.
La
scrutò negli occhi, profondamente.
Azzurro
dei mari, azzurro dei cieli, azzurro dei ghiacciai, azzurro dell'aria
e dell'acqua; azzurro
della vita, che per tanto aveva cercato ed azzurro della Terra,
neanche a farlo apposta.
Si
fece accompagnare, stringendo la sua mano a quella flebile della
donna, verso il letto e, sommerso dalle lenzuola, baciò le
sue
labbra.
Stringendosi
strettamente a lui, Bulma si ritrovò travolta dal corpo
possente del
marito e, accarezzandogli dolcemente le braccia, si lasciò
trasportare tra sogni meravigliosi e intimi.
La
guardò ancora una volta, per veder fremerle le ciglia e
chiudere gli
occhi. Percorse meticolosamente, ancora una volta, ogni angolo e
tocco della sua pelle, riconoscendo e ricordando ogni istante, ogni
notte, in cui lo aveva fatto. Raggiunse ancora
le sue labbra per calmare il suo incedere angoscioso in un bacio
profondo.
Prima
di assaggiare le sue labbra, però, le dita fini della moglie
si
posarono sulle sue, attirando la sua piena attenzione.
Gli
occhi chiari di Bulma si aprirono e scrutarono con attenzione quelli
di Vegeta, come se cercassero una verità o un segreto da
scoprire al
loro interno.
Vegeta,
scrutato da quegli occhi, si sentì come appeso ad un filo,
un filo
che avrebbe potuto spezzarsi e lasciarlo cadere o tirarlo su, per
ricominciare a camminare: lo leggeva nella sua espressione che,
adesso, lei aveva bisogno di sapere e realizzò che non si
sarebbe
opposto, come avrebbe fatto in passato, alle sue domande.
Bulma
carezzò le labbra e i lineamenti spigolosi del marito, come
se non
potesse toccarlo realmente sotto i polpastrelli, temendo delle
fatiscenze da fantasma scomparso, e sospirò, mentre i suoi
occhi si
facevano distanti.
«
Lo rifaresti? »
Il
blu delle sue iridi aveva assunto una sfumatura più scura,
come se
il mare stesse precipitando in un improvviso e tetro vortice tra gli
scogli.
«
Uccideresti ancora quelle persone? »
L’uomo,
a
quella domanda,
si ritrasse puntando le ginocchia sul materasso e poggiando i palmi
delle mani sulle gambe, in attesa di una risposta da infilare tra i
battiti, che sempre più incalzavano, del suo cuore.
Il
principe guardò
Bulma e perse il contatto con la realtà, rivivendo, come se
li
toccasse sulla pelle, quegli attimi, pur avendoli ormai fatti cadere
in un comodo oblio.
Furono
davanti a lui quegli attimi di tagliente apprensione, in attesa della
risposta di guerra di Kakaroth, e di
tensione, stretta tra le sue
dita, pronte a sparare la sentenza definitiva contro gli spettatori
dello stadio, innocenti pedine trovate sul suo raggio
d’azione, dei
solito delle ombre nella sua storia,
degli
enti
astratti non abbastanza importanti da rientrare
nel suo mondo egocentrico.
«
No »
La
risposta giunse sussurrata, lasciata a sfiorire ai tiepidi raggi
aranciati del sole, che si avviava a salutare il mondo, prima di
abbandonare tutto al nero della notte.
I
due amanti si trovarono davanti l’un l’altra per
l’ennesima
volta, la volta più importante, e furono costretti a
guardarsi e a
parlare con la parte più reale dell’altro, la
loro anima, sempre rimasta nascosta dalla boria e
dall’entusiasmo
battagliero che ricopriva quotidianamente le loro fatiscenze.
«
Perché no? »
Vegeta
si perse negli occhi di cristallo della moglie e sentì i
pezzi della
sua armatura sciogliersi nella morbidezza delle lenzuola, la
trasparenza dei guanti che si amalgamava al bianco dei candidi teli,
lasciandolo nudo, senza ripari davanti all’anima di Bulma.
Non
si oppose al suo sguardo, lasciò che lo guardasse sotto la
pelle,
dentro il cuore che, per una volta, lui stesso si augurò
fosse
sincero.
«
Perché ho perso troppo, non solo l’ennesima
battaglia contro il
nemico »
La
sincerità iniziò a scorrere lenta nei suoi occhi
d’universo,
schiudendo i suoi raggi come una stella che si espande nello spazio.
«
Ho buttato tutto, Bulma, tutto. Non mi sono mai reso conto di chi tu
fossi, di chi fosse Trunks per me e, come se non bastasse, ho fatto
di tutto per allontanarvi »
Il
principe si alzò dall’alcova, poggiò i
piedi a terra, per trovare
un minimo di contatto con la realtà, che iniziava a farsi
sempre più
fatiscente, coperta dai ricordi, e lasciò che il suo sguardo
vagasse
fuori dalla stanza, per respirare l’ultimo sole dorato.
Si
dice che il valore delle cose, si capisca una volta che queste siano
perse.
Il
principe guardò Bulma, silenziosa sul letto,
guardò i suoi occhi
freschi come acque di montagna, come le acque di un mondo lontano,
sacro e puro come neve, e si sentì inadatto davanti al suo
sguardo,
come un pellegrino indegno e troppo sporco per giungere al tempio;
sapeva che l’aveva persa nel momento in cui aveva firmato il
suo
contratto con Babidi, ma si era reso conto del male di
quel
distacco quando la
rievocazione
della sua bellezza era stata
troppo
eterea
per spegnere le fiamme dell’inferno che lo divoravano.
Il senso di colpa, finora inascoltato e trascurato, iniziò a
mangiargli l’anima, ma
Bulma meritava la sua sincerità.
«
La verità è che… io l’ho
fatto perché, in fin dei conti, non
me ne fregava niente, né di te, né di Trunks
»
Ormai
i raggi della grande stella erano sfumati e si accorse come anche le
forze di affrontare il discorso gli vennero meno. Bulma si
strinse
le gambe al petto, come una bambina tra il candore delle lenzuola: in
fin dei conti, avrebbe dovuto saperlo,
a Vegeta importava solo di se stesso. Incapace di comprendere
l’amore
che lei e Trunks provavano per lui, tutto si era concentrato su di
lui, non c'era spazio per nessun altro. Non li aveva voluti attorno,
per tanti motivi: la paura di affrontare qualcosa di ignoto, di
ammettere e convivere con un sentimento che li legasse a loro, la
paura di diventare qualcuno di nuovo, quel nuovo che si era
fidato e che si era lentamente innamorato dei loro occhi chiari.
«
Stavate diventando troppo, per me, troppo... per quel
vecchio me: così ho dato guerra a me stesso, mi sono fidato
del mio
passato, così glorioso e brutale che dissetare la mia voglia
più
cruda »
Sentì
la distanza
tra di loro farsi più profonda e si chiese se dopo quella
sera
avrebbe mai più potuto tornare tra le braccia di sua moglie.
I
capelli azzurri di Bulma divennero ancora
quel dolce mare in cui lui vorrebbe affogare per
trovare la pace: erano così fini e scintillanti che le
incorniciavano il volto soavemente, mentre il suo corpo morbido era
la spiaggia su cui riposare e lasciarsi cadere, lontano dai
pensieri.
«
Volevo farlo… mi è sembrato un piccolo
contrattempo dover uccidere
quelle persone, come in passato, quando era la normalità.
Babidi mi
ha offerto il potere, io ho accettato senza ascoltare la coscienza,
l’ho fatto volutamente. Lo bramavo... lo volevo, volevo la
mia
libertà, volevo il vecchio me e vi volevo lontani da me
»
Ogni
parola come una stilettata nel cuore, un male che cresce, che mangia
l’anima e la lascia a vagabondare scarna: il corpo della
donna
assorbì ogni colpo, immobile, gli occhi non lasciarono
scorrere le
lacrime, come una tigre che, ferita, rimane ferma nel suo orgoglioso
coraggio. Il dolore della verità, però, si fece
poi più leggero.
«
Finché non vi condannati
a
morte »
La
mascella si strinse, rigida, i muscoli delle braccia che si pararono
davanti al petto, per proteggersi, non lo protessero dal peso delle
sue stesse parole. Vegeta continuò.
«
Se Majin Buu si fosse risvegliato voi
sareste
morti… e questo non l’avevo previsto... non lo
volevo »
In
quel preciso istante, il peso sulla coscienza iniziò a
graffiare sul
suo animo; tutte le sere a scrutare il cielo stellato e a sperare di
vedere la sua stella d’origine erano state impregnate dalle
voci
squillanti e dolci delle uniche due persone importanti della sua
vita, che lo raggiungevano sul balcone per appostarsi assieme a lui a
guardare il cielo notturno: quanto
aveva fatto male rendersi conto alla fine, quando era tardi, di cosa
avrebbe potuto perdere.
Davanti
alla distruzione delle
montagne sbriciolate e al vento che scorreva impetuoso nella Valle
del Canyon dove aveva sfidato Kakaroth, davanti ai ricordi che sempre
più persuasivi creavano dolci immagini nella sua mente,
decise di
agire per sistemare ciò che aveva sconsideratamente creato.
«
Majin Buu era solo un problema mio e di Kakaroth, voi non dovevate
entrarci. Ho sempre cercato di escludervi dalla mia vita e quindi non
potevo farvi morire con me. Se all’inizio non vi volevo con
me per
non ostacolarmi, lì non vi volevo con me per non farvi
morire a
causa
mia. Sono stato e sarò sempre un bastardo ma quello era
troppo. Voi
non c’entravate, non era giusto... »
Le
stelle del cielo e le meraviglie dell’universo si
oscurarono davanti agli occhi brillanti di Bulma e Trunks, che
divennero importanti solo nell'ultimo istante, quello più
importante, quello in cui si doveva giocare il tutto per tutto.
Il
mondo astrale pieno dei sogni di conquista lasciò i suoi
pensieri da
assassino e scomparve in lieve
polvere, davanti al ricordo della sua famiglia: furono
la gioia di suo figlio, l’amore di sua moglie, un amore mai
colto
ma prezioso, da non lasciar sfiorire, a
fargli riconsiderare le sue azioni.
Vegeta,
allora,
raccolse
dal campo di battaglia il debole fiore del suo amore, che ancora,
piano piano, resisteva; lo raccolse con le dita tremanti per
l’adrenalina della battaglia e lasciò che questo
cacciasse dal suo
essere il volto di Majin Vegeta. Bruciò con
il
fiore contro Majin Buu, morendo nel campo arido della Valle del
Canyon, consacrando davanti agli dei la sua scelta.
Vegeta
non si curò più di dire le parole giuste,
parlò e basta,
trascinato da dei sentimenti mai ammessi ma che, lenti, avevano
valicato le mura resistenti del suo cuore.
Sospirò
e lasciò che le sue parole si
trasportassero
nel buio.
«
Credo di essermi innamorato di te quando ti ho persa. Quando ho perso
tutto quello di cui avevo bisogno: il nostro rapporto, il nostro
amore, la nostra famiglia…
Ti
ho persa quando ho accettato il potere di Babidi, ti ho fatto
soffrire con il mio egoismo e ho voluto farti soffrire. Ti ho fatto
piangere delle lacrime che non merito »
Bulma
si specchiò nei suoi occhi neri come la notte che li
circondava e
che aveva iniziato ad abbracciare i contorni della loro stanza: vi
lesse l’eternità delle costellazioni
più lontane, incendiate di
vuoto silenzio, e la malinconia che da sempre li caratterizzava
mentre, seri, esploravano
ogni parte di lei.
«
Non lo rifarei perché quello che mi hai donato l'ho perso
miserabilmente e mi ha fatto male perderlo. Perché ho capito
solo
alla fine che quello che cercavo, quello
che volevo,
lo avevo sempre avuto »
E
fu sincero, prima di dire, « Mi dispiace » e
lasciar perdere la sua
tipica compostezza.
Lo
vide sedersi sulla poltrona astante al
letto e passarsi una mano sul volto stanco, mentre si lasciava
cullare dall’oblio che la sera prometteva, sperando di farle
portare via tutti i ricordi e gli sbagli della sua
vita.
Un
sussurro accarezzò infine i suoi sensi assopiti dal mantello
dell’oscurità.
«
Non ti chiedo di perdonarmi o di amarmi come prima: se lo vorrai, me
ne andrò immediatamente, ma sarò presente per
Trunks, pur vivendo
da un'altra parte. Voglio che sia tu a decidere, io ho già
deciso
troppe volte per me stesso, mettendo in mezzo anche voi, senza
pensare al vostro bene »
Lasciò
che il silenzio, tanto amato in passato e tanto odiato in quel
momento, prendesse la parola e concesse alla luce lieve della notte
di infiltrarsi tra i suoi pensieri, di entrare nelle falle del
pensiero inconscio, in una via nel mondo nascosto dei sogni, per
condurlo alla condanna dei richiami del passato, che di solito
rifuggiva per non star male.
Bulma,
stesa ancora al suo posto sul freddo giaciglio,
osservò i suoi occhi velarsi di nera malinconia e venire
trascinati
dal nero del passato, a quando era solo un soldato in una guerra
intergalattica.
Chiuse
gli occhi e sospirò.
«
So che tu non hai mai amato le catene ed è per questo che ti
ho
sempre lasciato libero »
Ammise
piano, mentre ancora Vegeta scrutava la notte.
«
Hai sempre deciso per te stesso, è vero: te ne sei andato
quando ero
rimasta incinta, mi hai trattato come se fossi un giocattolo e se non
fosse stato per Trunks Mirai, io e te non ci saremmo mai avvicinati.
Hai trascurato tante cose di me e di tuo figlio, ma non te ne ho mai
fatto una colpa, perché sapevo che, se eri presente, non era
solo
per un fatto di semplice tua convenienza, perché allora non
avresti
mai cresciuto tuo figlio e non mi avresti considerato che per
semplice sesso »
Guardò
con lui nella notte, « Se
tu eri accanto a me, è perché io ti ho voluto
accanto a me. Io
sapevo chi fossi nel passato, ma ho voluto accettare tutto di te
»
I
suoi occhi azzurri brillarono di risoluta
compostezza,
ma, poi, vacillarono.
«
Almeno così credevo… quando sei salito su quel
ring… avrei
preferito essere spazzata via anche io »
L’aria
si fece più tesa, nonostante la tenerezza delle onde della
notte, e
Vegeta scoprì negli occhi azzurri della moglie dei vecchi e
fin
troppo conosciuti
sentimenti.
«
Ti ho odiato in quel momento »
Sarebbe
stato troppo semplice sentirsi chiamare eroe
e
dimenticare con niente tutto quanto:
aveva ucciso e poi era morto, cercando di cancellare tutto il passato
passandolo con una veloce passata di spugna, ma
Bulma non avrebbe dimenticato.
«
Mi sono chiesta se tutto quello che avessimo affrontato assieme
avesse mai avuto un valore per te, se io e Trunks avessimo un valore
per te… Come avevi osato trattarmi così,
trattarci così...»
La
vide raccogliere una lacrima di rabbia scesa sulla guancia e
soffiarla nell’aria: si senti sprofondare davanti al suo
dolore, ma
s’impose di non distogliere lo sguardo dal suo viso ombroso,
perché
era il momento della verità e doveva affrontarla fino in
fondo.
Un
voltafaccia doloroso per chi viene tradito e lui aveva tradito, per
poi andarsene nella morte, come se nulla fosse successo; in
realtà,
sapeva che era
morto come chi non aveva più nulla da perdere, come chi
sapeva che
sua fine era vicina, come chi, davvero,
meritava di morire.
Bulma
lasciò che il suo sguardo vagasse fuori dalla loro stanza,
per
respirare le stelle dorate.
«
Ma poi... sei morto e il mio rancore è volato via con le tue
ceneri
»
Il
principe si sistemò meglio sulla sedia, corrucciando lo
sguardo,
ancora non abituato a sentir parlare della sua morte, soprattutto
dalla
bocca
di Bulma. Fino a poche ora prima stava facendo i conti con una
condanna eterna e poco dopo si era trovato nella loro stanza a
pendere dalla labbra di sua moglie, il
mondo era proprio strano.
La
donna si alzò dal letto, lasciando lì le lenzuola
più volte
consumate del loro amore, e si affacciò alla finestra ad
ammirare le
stelle.
«
Quando ho saputo che ti eri sacrificato per me, per nostro figlio,
per Goku e per la salvezza di tutti… il pensiero che tu
abbia fatto
questo per me… mi spezzava il fiato »
Si
voltò a guardare i suoi socchiusi nell’ombra, ma
attenti per
sentire ogni sua parola.
«
Hai lasciato tutto quello che avresti potuto fare, che avresti potuto
essere... per morire. Hai rinnegato te stesso e sei morto per noi.
Non ci potevo credere: il Principe dei Saiyan che muore… per
me? »
Una
volta aveva
sentito il racconto di un
uomo saggio che
era morto per salvare i suoi amici, anche se questi gli avevano
girato le spalle, e questo raccontava che
non c’era
amore più grande di chi dava
la propria vita per gli altri: Bulma non aveva mai creduto alle
sue
parole. Erano
delle parole troppo importanti,
soprattutto per un
amore corrotto come
il loro,
ma era stato Vegeta, colui che diceva
che di
amore poteva
farne
anche a meno, ad
averle
dimostrato
il
contrario.
Quell’amore
sbagliato, che tutti aveva giudicato fallimentare dal primo passo,
fatto di incontri sbagliati, troppi all’inizio, ma che poi
erano
diventati indispensabili, aveva avuto la conferma più grande
nel
paradigma stesso dell’amore: Vegeta si era annullato per lei
e
nell’ultimo momento della sua vita, aveva pensato a lei, a
loro.
Il
silenzio tornò ancora a riempire il
vuoto:
le due anime ferite si fissarono ancora negli occhi e cercarono di
non chiudere gli occhi per
vedere la
sincerità
dell’altro.
Le
lunghe gambe della donna andarono ad abbracciare i fianchi scolpiti
del marito, seduto
sulla poltrona, riposando
assieme in un intreccio stretto e pulsante.
«
Ti amo, Vegeta. Non voglio che tu te ne vada, voglio che tu conviva e
conosca questo nuovo tu, il nuovo Vegeta che ha avuto il coraggio di
confessarmi di se, senza abbassare gli occhi »
Accarezzò
sovrappensiero le sue mani e le sue braccia, cinte in modo sicuro
alla vita, come per
aggrapparsi a lei, ad ogni sua parola, ad ogni suo respiro.
«
Vorrei che tu mi amassi,
ma soprattutto vorrei che amassi
te stesso e quello che sei diventato. Resta con me »
Chiusero
gli occhi e si ristorarono nel loro legame, finalmente forte, anche
se provato. Vegeta le sussurrò i mille
“ti amo”
mai detti, assaporando il nuovo sentimento sulle bellezze e
imperfezioni della sua pelle e
sulla promessa di una nuova primavera assieme.
Li
unì una danza in sincronia, la più antica del
mondo, pregna di
sospiri e di parole implicite che avevano
suggellato,
ogni volta, tra le pieghe del letto o in un qualsiasi altro luogo a
fantasia di Vegeta; un abbraccio che riempiva i loro spazi
dell'altro, in un legame stretto e profondo.
Si
addormentarono,
lei, stretta al suo petto come a volersi accertare che lui
ci
fosse
e lui che la strinse
a
sé
come un'ancora che non aveva il coraggio di lasciare.
Nel
silenzio e nella
calma dei
respiri, la
notte li accompagnò nel
sonno.
Bulma
poggiò
la testa sotto il suo mento e
Vegeta sperò di sognare di lei, della
donna che si era rivelata degna del suo titolo, della
donna
che
sperava di incoronare come sua regina.
Lentamente,
dopo aver ascoltato i rumori della notte e l'aura di suo figlio che
dormiva pacifico nella
sua stanza,
si abbandonò
al calore del corpo di Bulma, rilassandosi contro il materasso e il
cuscino; chiuse,
infine, gli occhi beandosi della pace e si assopì,
sapendo che niente, questa
volta,
l'avrebbe nuovamente allontanato dalla sua nuova vita.
Fuori
i fiori
avevano chiuso e salutato le luci dal tramonto e si
muovevano silenti al respiro del vento mentre, le lucciole, uniche
sentinelle
del buio, rispecchiavano
le stelle del cielo.
La
natura vegliò
nell'ombra della notte per
aspettare il nuovo
sorgere del
sole
al mattino: aspettò
la primavera
e
la
nuova
vita che
iniziava.
Ho
letto tante storie sul ricongiungimento post Buu, ma, per quanto ce
ne siano di meravigliose, solo poche mi hanno davvero soddisfatto. Io
non credo che Bulma si sia accontentata solo dei suoi silenzi o di un
ritorno normale alla quotidianità: sappiamo la
caparbietà di questo
meraviglioso personaggio e un semplice “happy
ending” dove tutto
finiva con un bacio, un abbraccio e un “lei sapeva tutto di
lui e
lo scusò perché lo amava” non mi
è mai andato a genio.
Andiamo,
uno fa una cazzata del genere e poi “solo perché
so che mi ami”,
va tutto bene?
No,
no, no, io amo Vegeta perché nel corso della serie
è diventato un
personaggio di spessore e come tale è giusto che si prenda
le sue
responsabilità e come minimo si spieghi! Come dovremmo fare
tutti in
fin dei conti, no?
Voi
che avreste fatto al posto di Bulma?
Secondo
me, non è facile perdonare qualcuno che ami che ti fa del
male,
soprattutto quando lo fa deliberatamente, ma penso che non ci sia
cosa più bella del perdono, che, come disse una saggia e
dolce mamma
che conosco, “non deve dimenticare il passato”. Il
passato non si
dimentica, deve essere un monito per non tornare più
indietro, ma è
giusto superarlo e guardare al futuro.
Forse
sono stata troppo leggera, forse avrei dovuto approfondire di
più,
forse non ho
reso bene l’idea e me la racconto da sola.
Traslata
nel nostro mondo reale, chissà, la storia avrebbe avuto
altri
sviluppi, ma per ora mi sono fermata a contemplare qua la faccenda.
Chissà se in futuro non riprenda in mano la materia.
Non
so come vi sia
parsa la storia, francamente
spero solo che questa saggia e dolce mamma che conosco legga la mia
storia.
Vi
ringrazio per l’attenzione, spero di non aver fatto lo zio
‘Geta
“troppo chiacchiere”, ma, oh!,
come facevo sennò?
Grazie
a tutti per aver letto, per chi commenterà o
metterà la storia in
una delle categorie.
La
prossima volta ci becchiamo in una storia più easy e
rilassante,
dove tornerò a far urlare Vegeta in sane crisi isteriche.
Zappa
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