Writober - Selfie - Red List

di ChiiCat92
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20/10/2018

 

Selfie


Tutto era tornato alla normalità. Cos’è che fosse, poi, questa “normalità” lei non lo sapeva.

Per un periodo di tempo ridicolmente breve la città era stata a lutto, vestiti neri, drappi neri, la scuola chiusa: stronzate del genere. La gente parlava sottovoce, i giornali erano diventati muti. Quando poi la frase “la vita va avanti” aveva cominciato a diffondersi come un virus le cose erano cambiate.

Niente più nero, niente più silenzio, persino il cielo si era fatto più terso che mai.

Non era giusto, non era giusto che una persona venisse dimenticata così in fretta, ma la vita va avanti, no?

Le persone muoiono ogni giorno, la cosa migliore da fare era farsene una ragione, dimenticare. Ma Max non voleva dimenticare.

Non voleva dimenticare l’assurdo caleidoscopio di eventi che l’aveva portata ad innamorarsi di Chloe Price, non voleva dimenticare l’eco dello sparo nel bagno della scuola e il tonfo del corpo di Chloe sul pavimento. Quello che non voleva dimenticare era l’orrore. Era così impresso nella sua mente che qualsiasi altra cosa perdeva significato.

Chloe era morta perché lei non era stata abbastanza coraggiosa da sacrificare per lei Arcadia Bay.

Chloe era morta perché lei non l’aveva amata nel modo giusto.

Nella sua mente continuavano a ripetersi le immagini di quel momento, le sue urla, il suo viso bagnato dalla pioggia della tempesta, la disperazione nei suoi occhi.

Era stata colpa sua, tutta colpa sua. Quella città non meritava il suo sacrificio.

A rendere insopportabile il suo tormento c’era il fatto che non poteva raccontare niente a nessuno. Per le persone che camminavano per strada e che non avevano idea di quanto vicino alla morte erano andate, era solo un’altra giornata, un altro placido momento di vita: niente di più.

Non sapevano della ragazzina che all’improvviso si era trovata con il potere di viaggiare indietro nel tempo che per poco non li aveva uccisi tutti.

Che aveva ucciso la sua unica ragione di vita per salvarli tutti.

Per quanto si sforzasse, per quanto provasse il senso di colpa la divorava, ma non intera, in un sol boccone, così rapidamente da non renderla consapevole, no, non era così. Strisciava su di lei come acido aprendo ferite purulente nella sua anima, e si accovacciava nel suo petto, sotto lo sterno, aspettando di consumarla.

Sarebbe mai diminuito quel dolore?

La prima settimana dopo il funerale non se l’era sentita di andare a scuola, la seconda settimana avrebbe potuto, la terza aveva capito che non ne valeva più la pena. Aveva ricevuto una quantità di telefonate e avvisi preoccupanti, e alla fine il preside era dovuto intervenire: se non frequentava le lezioni non poteva più tenere la stanza al campus, e poteva anche ritenersi espulsa.

La cosa l’aveva fatta sorridere, perché stava lentamente diventando come Chloe. Oh, lei avrebbe sarebbe stata fiera di questa sua nuova condotta. Finalmente Max Caufield smetteva di essere la brava ragazza e usciva dal suo bozzolo.

La ribellione, però, non era durata. Senza Chloe non aveva senso, niente aveva senso. Era tornata in classe, aveva ricominciato a seguire le lezioni, a fare i compiti e...a scattare tantissimi selfie.

Le polaroid cominciavano ad affollare ogni angolo della sua stanza, erano appese alle pareti, sparse sulla scrivania, alcune sul pavimento. Tutte ritraevano lo stesso sguardo triste, lo stesso volto smagrito. Non sapeva perché continuava ad accanirsi sulla propria dimessa figura, non sapeva perché guardare i suoi stessi occhi la facesse sentire meglio.

Il fatto che fosse ancora possibile catturare la sua immagine in una foto in qualche modo la faceva sentire reale, perché tutto quello che le era successo di reale aveva ben poco.

Forse sperava che, concentrandosi, sarebbe potuta tornare indietro. A cosa, poi, non lo sapeva. Non c’era un solo momento catturato in quelle foto che avrebbe avuto piacere a rivivere.

Sdraiata a letto, le gambe penzoloni, teneva la macchina fotografica in alto, cercando di guardarsi nel minuscolo quadratino lucido che rifletteva la sua immagine per capire se entrava nell’inquadratura.

Sarebbe stato l’ennesimo selfie, l’ennesimo scatto del suo sguardo spento.

La macchinetta emise un piccolo click quando premette il pulsante e poco dopo la fotografia uscì dalla fessura.

La prese e la agitò placidamente, non si aspettava di vedere altro che se stessa. Ma man mano che la scuoteva qualcosa di diverso prendeva forma nello stretto spazio della foto.

Con il cuore in gola, Max si mise a sedere e cominciò a scuotere con più forza la foto. Si morse le labbra a sangue, gli occhi quasi le lacrimavano per il troppo tenerli aperti, fissi sulla foto.

« Non può essere… » mormorò, portandosi una mano alla bocca.

Nella foto, accanto alla propria immagine disperata e smorta, c’era Chloe. Chloe, di profilo, che le baciava la guancia, gli occhi chiusi e un mezzo sorriso sulle labbra.

Max si volse, si guardò intorno, frugò ovunque, come se Chloe si fosse nascosta da qualche parte nella stanza, si abbassò anche a guardare sotto il letto. Ma di lei nessuna traccia. Eppure...eppure nella foto…

Tornò a prenderla, perché nella foga della sua folle ricerca l’aveva lasciata cadere sul letto.

La sollevò con cautela, osservandola come fosse una reliquia preziosa. La voltò dal lato giusto, perché nella caduta si era capovolta, tremando così tanto che non era sicura di riuscire più a reggerla.

Nell’immagine, Max fissava l'obiettivo della macchina fotografica, rispetto ad un selfie della settimana prima era dimagrita ancora, ma questa era l’unica vera cosa da notare nella foto: Chloe se n’era andata.

Ancora una volta non aveva potuto salvarla, non aveva potuto tenerla con sé.

Si rannicchiò sul letto, le ginocchia al petto e la foto vicino al cuore.

E pianse, pianse, pianse.

Chloe, però, non sarebbe comunque mai più tornata.



 




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