ReggaeFamily
Human
spirit is strong
«What I've
experienced through losing my arm, I wouldn't change. The human
spirit is so strong.»
[Rick Allen]
Non
ci faccio niente qui, è solo una pagliacciata.
Queste parole continuavano a
ronzare nella mia mente, mentre me ne stavo impalato ad aspettare
fuori dall'enorme teatro.
Ne avevo abbastanza e non
facevo che sbuffare. Non avrei mai dovuto accettare, lo avevo capito
fin dall'inizio che mi sarei sentito fuori luogo.
«Aymon, smettila di
fare quella faccia da cane bastonato» mi rimbeccò
Harriet, la quale se ne stava tranquilla a fumare una sigaretta e a
guardarsi intorno.
La ignorai, gettando appena
un'occhiata nella sua direzione. Indossava un cappotto rosso che
aderiva al suo corpo minuto e scheletrico, e sembrava ancora più
piccola per via del leggero trucco che aveva applicato sul viso
rotondetto.
Aveva ventisette anni, ma ne
dimostrava dieci in meno.
Io e Harriet ci
completavamo: a lei mancava il braccio sinistro, a me quello destro.
Ci eravamo conosciuti nella sede di un'associazione che si occupava
di dare supporto a persone con disabilità fisiche, nello
specifico a coloro che avevano dovuto rinunciare a qualche parte del
loro corpo o che erano nati con delle malformazioni.
Da allora eravamo stati
inseparabili, la nostra amicizia si era subito fatta intensa, e ormai
erano trascorsi quasi due anni da quando eravamo l'uno la forza
dell'altra.
«Andiamo! Siamo qui
perché tu sia felice, mancino» mi apostrofò
ancora lei, gettando a terra la sigaretta ormai finita.
Il fatto di appellarmi con
quel nomignolo, a suo dire, era il suo modo per essere dolce e carina
con me. Non l'aveva mai usato in modo dispregiativo, anzi, spesso mi
si rivolgeva in quel modo nei rari momenti di tenerezza che mi
riservava.
«Stavo bene a casa
mia» borbottai.
«Niente affatto. Hai
visto quanta gente?» cambiò argomento.
«È solo una
stupida drum clinic.»
«Hai portato le Vic?»
indagò Harriet, posando i suoi occhi azzurri sui miei.
«Sono nello zaino, ma
non mi serviranno.»
«Già»
assentì Harriet. «Non entrambe.»
Dopo circa un'ora di attesa,
eravamo finalmente entrati. La sedia rossa imbottita era talmente
comoda e la temperatura talmente calda e confortante, che fui tentato
più volte di schiacciare un pisolino.
«Non provarci»
mi rimproverò Harriet, battendo con forza sulla mia spalla
sinistra.
Non lo facevamo apposta,
però capitava molto spesso che ci sistemassimo in modo che le
nostre braccia sane potessero entrare in contatto. Harriet sosteneva
che era di vitale importanza per lei la possibilità di
mollarmi un ceffone ogniqualvolta che l'avesse ritenuto necessario.
«Ma ho sonno, mi hai
fatto svegliare all'alba per questo schifo e...»
«Io ti faccio un
regalo di compleanno da urlo e tu ricambi in questo modo?» si
stizzì, tentando di controllare il volume della voce.
Sospirai e mi voltai a
guardarla. «Harriet» dissi in tono mortalmente serio. «Ti
ringrazio, ma io non suonerò mai la batteria. Ci ho provato,
tu lo sai. Ma non ho i soldi per comprare un kit adatto apposta per
me, e con un solo braccio non ce la faccio. Sono nato così,
non posso cambiare le cose.»
Lei si sottrasse al mio
sguardo e mise su un broncio per niente rassicurante. Non stava
fingendo di avercela con me, era arrabbiata davvero.
Sapevo che non sopportare la
mia arrendevolezza, ma io detestavo le illusioni e le persone che
vivevano di esse. C'erano dei limiti che non potevano essere
superati, e a trent'anni era già troppo tardi per imparare a
suonare come si deve. Avevo sempre usato una vecchia Pearl
appartenuta a mio zio, ci avevo provato e mi ero divertito a fare
cose semplici. Con i piedi riuscivo a fare dei buoni incastri, ma il
mio handicap mi impediva di spostarmi agevolmente su tamburi e
piatti.
Non potevo eseguire cose
basilari come il rullo a uno o il rullo a due, non potevo darci
dentro con il paradiddle che tanto mi piaceva. Eseguire dei passaggi
sui tom era un'impresa da pazzi, per non parlare delle figure che
avrei potuto eseguire sul ride. Ero stato costretto a spostarlo nella
parte sinistra della batteria, incastrandolo disastrosamente tra
charleston e crash, ma era veramente orribile non poterlo usare quasi
mai.
Harriet mi faceva spesso
notare che, per contro, riuscivo a eseguire dei favolosi sedicesimi
sui piatti con una sola mano, a una velocità impressionante.
Forse aveva ragione, ma questo non bastava.
Le mie capacità erano
tagliate a metà e io non ero in grado di accettare quel
limite, soprattutto perché non era colpa mia, non dipendeva da
me.
Ripensai al momento in cui
Harriet, alla mia festa di compleanno, si era presentata con una
busta sottile contenente il biglietto per la drum clinic organizzata
dall'associazione di Rick Allen dei Def Leppard.
Mi ero sentito
immediatamente felice ed euforico, ma poi avevo cambiato idea nel
giro di qualche secondo, rendendomi conto che quello non sarebbe
stato il posto adatto a me.
Avevo sempre avuto un
rapporto di odio e amore con quel batterista: se da un lato lo avevo
ammirato per come fosse stato in grado di riprendere il suo posto
nella band e dietro la batteria, dall'altro mi aveva sempre fatto
incazzare la sua stupidità. Se aveva perso un braccio era
stata tutta colpa sua, se l'era cercata. Era stato un motivo stupido
il suo, e io lo maledicevo per quanto fosse stato irresponsabile a
farsi strappare via un braccio in quel modo. Lo detestavo in certi
momenti, perché pensavo al fatto che io fossi nato senza una
mano e non potessi assolutamente farci niente.
«Harriet?»
provai a chiamare la mia amica, poggiando lentamente una mano sulla
sua.
Lei scattò come una
molla e mi respinse.
«Dai, non fare così.»
«Aymon, non mi va di
parlare con un idiota come te.»
«Ma...»
Nella sala calò
improvvisamente il silenzio quando un ragazzo che aveva più o
meno la mia età apparve sul grande palcoscenico del teatro e
si accostò a un microfono posto su un'asta.
Solo allora mi soffermai a
scrutare in quella direzione, e il fiato mi si mozzò quando
notai che la piattaforma in legno massiccio era completamente
ricoperta di strumenti: c'erano due o tre batterie complete e una
miriade di altri pezzi sparsi qua e là; bacchette e battenti
sbucavano da ogni angolo e tutto era punteggiato di mute pads da
studio.
«Salve a tutti e
benvenuti a questa drum clinic. Siamo qui per imparare tantissimo, ma
soprattutto per divertirci. Senza indugi, lascio la parola al
fondatore della Raven Drum Foundation, nonché batterista
mostruoso, Mister Rick Allen!»
Non appena udii quelle
parole, temetti seriamente di svenire. Non avevo minimamente capito
che ci sarebbe stato anche lui. Avevo sempre pensato che non si
sarebbe mai abbassato a presenziare a un evento tanto banale.
Mentre si levava un boato
d'approvazione tutto intorno a me, afferrai con forza la mano di
Harriet e cercai il suo sguardo.
Stava sorridendo.
«Non ce l'hai più
con me?»
«La tua espressione
smarrita mi basta per perdonarti.»
«Ti ringrazio tanto!
Oddio, aspetta... tu lo sapevi?» le chiesi allarmato.
Lei annuì. «Ho
spulciato un po' l'evento sulla pagina facebook dell'associazione.»
«Bastarda!»
Lasciai andare la sua mano e posai le dita all'altezza del mio cuore.
Stavo per avere un infarto.
«Buonasera a tutti!
Sono davvero felice di avervi tutti qui. Come immagino sappiate, ci
occupiamo ormai da dieci anni di aiutare chi non riesce ad affrontare
da solo i propri momenti bui. Quest'incontro serve per donare un po'
di gioia a chi non crede più nella sua forza interiore. E cosa
meglio della musica può arricchire e sfamare il proprio
spirito?»
Rimasi immobile sulla
poltroncina e ringraziai di trovarmi in una delle ultime file. Non
avrei mai voluto che Rick Allen notasse la mia espressione smarrita e
i miei occhi lucidi.
Harriet mi stringeva la mano
senza aprir bocca. Aveva capito esattamente qual era il mio stato
d'animo, com'era sempre in grado di fare.
«Abbiamo deciso di
invitare qui, stasera, un grande batterista, che be', no, non sono
io. Io sono solo un uomo che suona perché non può farne
a meno.»
Uno scroscio di applausi si
diffuse per la sala, tutti erano entusiasti e, probabilmente, si
sentivano privilegiati nel trovarsi in quel luogo in compagnia di
Rick Allen.
«Perciò, miei
cari amici, accogliete con calore lo stimatissimo Pat Kinglake:
insegnante di musica, musicista e amico prezioso per il
sottoscritto!»
Non avevo mai sentito
parlare di quel tizio, non mi risultava suonasse in una qualche band
famosa; quando salì sul palco e si affiancò a Rick, il
pubblico gli riservò un applauso discreto e educato. Il suo
aspetto mi faceva pensare a un uomo qualsiasi: capelli bianchi e
candidi un po' scompigliati, abbigliamento semplice e sportivo,
occhiali da vista dalla montatura nera e scarpe da ginnastica bianche
e blu.
«Da dove spunta
fuori?» sussurrai a Harriet.
«Non ne ho idea, ma a
quanto pare è un genio» replicò lei con un'alzata
di spalle.
«Grazie, Rick! Mi fa
davvero piacere essere qui! Prima di cominciare, vi ricordo che
potete acquistare il merchandising di Stickkick, che voi tutti sapete
essere una creazione del mio amico Rick. In questo modo aiuterete la
sua bellissima associazione. Potrete trovare il banchetto
all'ingresso del teatro, e potrete inoltre avere anche qualche mio
disco e qualche lavoro dei miei allievi. Tutto il ricavato andrà,
naturalmente, alla Raven Drum.»
Tutti acclamarono Pat
Kinglake, il quale passò subito a presentare quello che
sarebbe stato il suo lavoro.
«Chiederei agli
iscritti di accomodarsi in prima fila» disse Rick dopo un po'.
Subito entrai in panico. Io
ero iscritto, ma non volevo espormi così tanto. Stavo per
sgattaiolare sotto la poltroncina con l'intenzione di non uscirne mai
più, quando Harriet sospirò.
«Non fare il cretino.
Fai come ha detto lui» mi ordinò, afferrandomi
saldamente per un polso.
«Vieni anche tu?»
Scosse il capo. «Non
sono iscritta. Al massimo mi siedo in seconda fila, se trovo posto.»
«Oh merda...»
«Il tuo zaino lo tengo
io. Prendi le Vic e l'acqua, ne avrai bisogno.»
Dubitavo seriamente che le
mie bacchette Vic Firth mi sarebbero tornate utili, ma le afferrai
ugualmente e incastrai la bottiglietta d'acqua tra il fianco e il
gomito. Mi alzai a fatica e mi trascinai con lo sguardo basso verso
la prima fila.
Quando giunsi a
destinazione, notai che gli iscritti erano al massimo una decina. Fui
contento di notare la presenza di due ragazze, non mi era capitato
spesso di incontrarne nell'ambito degli strumenti a percussione.
«Bene, adesso voglio
sapere come vi chiamate» ci disse Pat, scandagliandoci con i
suoi piccoli occhi neri. Si soffermò un attimo su di me, che
ancora non mi ero seduto, e diede leggermente di gomito a Rick.
Abbassai lo sguardo e
avvampai violentemente, così che lasciai cadere la
bottiglietta d'acqua mentre cercavo di sistemarmi al meglio sulla
sedia. Maledissi mentalmente Harriet per avermi lasciato da solo in
quella situazione e mi chinai per raccogliere l'oggetto, incastrando
le Vic dietro la mia schiena.
«Ti serve aiuto?»
mi sentii chiedere.
Con la bottiglia in mano,
sollevai lo sguardo e notai che un ragazzino che poteva avere al
massimo diciotto anni mi sorrideva cordiale.
«No, grazie»
bofonchiai.
«Anche io uso le Vic,
amico» mi sussurrò, mostrandomi le sue bacchette.
«Bene.»
«Il modello di John
Dolmayan. Hai presente?»
«Il batterista dei
System?» buttai lì.
«Già.»
Stavo per dirgli che avevo
provato quelle bacchette, ma che mi erano risultate troppo pesanti,
quando Pat richiamò la nostra attenzione.
«Voi due? Come vi
chiamate?»
Il ragazzino sorrise con
insolenza, facendo roteare in aria una delle sue bacchette. «Damian»
rispose.
«Bene, Damian. Tu?»
«Io?» Mi
schiarii la gola, poi pronunciai il mio nome.
«Aymon è
carino, mi piace» commentò Rick, posizionandosi proprio
di fronte a me.
Nonostante si trovasse a
qualche metro da me, sopra il palcoscenico, ebbi come l'impressione
che potesse vedere dentro di me.
«Vorrei che ognuno di
voi salisse quassù a farmi sentire cosa sa fare» ci
invitò Pat, per poi dare un piccolo colpo di tosse.
«Comincio io!»
strillò Damian, balzando in piedi.
La sua esuberanza fece
sorridere tutti, me compreso. I suoi lunghi capelli lisci e castani
oscillavano mentre si arrampicava sul palco con agilità,
muovendo il corpo minuto e tonico.
«Bene, così mi
piaci! Damian, giusto?»
«Giusto, amico! Oh,
cazzo... posso usare quella Tama?»
Rick rise divertito.
«Capisco la tua scelta, vista la t-shirt che indossi»
commentò, accennando alla maglia dei System Of A Down che il
ragazzo sfoggiava fieramente.
«O anche dalle mie
Vic» replicò Damian per niente imbarazzato.
Si sistemò dietro la
splendida batteria nera e controllò che tutto fosse al suo
posto. Poi cominciò a suonare senza preavviso e io rimasi
impalato a fissarlo, mentre eseguiva passaggi veloci e precisi e
giocava senza alcuna rigidità con lo strumento che aveva di
fronte. Riconobbi la famosa Toxicity della sua band preferita
e mi ritrovai ad ammirarlo per come riuscì a eseguirla senza
sbagliare un colpo.
«Oh, merda! Sei stato
bravissimo, ragazzo!» cinguettò Rick, non appena Damian
si fu alzato.
Si scambiarono una stretta
di mano e il ragazzo osservò con ammirazione il batterista dei
Def Leppard, come se si fosse accorto solo in quel momento di
trovarsi di fronte a lui.
«Grazie, capo. I tuoi
complimenti mi lusingano.»
«Buono, buono. Grazie,
Damian. Chi vuole suonare ora?» proseguì Pat senza
perdersi in chiacchiere.
A turno, tutti gli iscritti
alla drum clinic salirono sul palco a mostrare le loro capacità;
qualcuno era più timido, qualcun altro più sfacciato,
ma tutti riuscirono a fare una buona impressione su Pat e Rick.
A colpirmi maggiormente fu
una ragazza di nome Eliza, che suonò magistralmente un brano
jazz. Fu strabiliante notare quanto controllo riuscisse a esercitare
su ogni parte del suo corpo, quanto fosse coordinata e la precisione
con cui carezzava lo strumento con bacchette e spazzole.
Più le dimostrazioni
andavano avanti, più mi rendevo conto di essere terribilmente
inferiore a loro, e la mia voglia di andarmene crebbe
inesorabilmente.
Sapevo che prima o poi la
mia presenza sarebbe stata richiesta sul palco, perciò decisi
che dovevo scappare prima che fosse troppo tardi.
Mi alzai e bofonchiai
qualcosa in direzione di Damian, accampando la scusa di dover andare
in bagno. Mi dispiaceva che Harriet avesse speso dei soldi per farmi
quel regalo, ma almeno aveva fatto un po' di beneficenza. Sarebbe
andato bene lo stesso.
Cercai di non incrociare lo
sguardo della mia amica, la quale si era posizionata in terza fila,
per non lasciarle intuire le mie intenzioni. Me ne sarei andato e in
seguito le avrei scritto un messaggio stracolmo di scuse.
«Dove credi di andare,
Aymon?»
Sollevai lo sguardo. Non
avevo percorso neanche metà del corridoio che tagliava a metà
le file di sedie, che mi ritrovai di fronte Harriet a sbarrarmi la
strada.
«In bagno»
mentii.
«Non prendermi per il
culo, Aymon.»
Sospirai ed evitai i suoi
occhi. «Mi sento inappropriato» ammisi, sentendomi
terribilmente a disagio.
«Piantala! Torna
subito lì e fai vedere a quella gente cosa sai fare» mi
incoraggiò lei, allungando la mano per stringere la mia.
«Andiamo!»
«Ma io...»
«Scusate per il
disturbo.» Una voce interruppe la mia protesta, e io la
riconobbi subito.
Non osai voltarmi, sarebbe
stato troppo umiliante. Non riuscivo a credere che Rick Allen fosse
sceso dal palco e mi avesse raggiunto. Non poteva essere vero.
«Signor Allen! È
un piacere conoscerla, io sono Harriet, un'amica di Aymon. E ora me
ne torno al mio posto! Complimenti, davvero, la ammiro molto»
blaterò lei, poi mi lasciò un buffetto sulla guancia e
se ne andò, lasciandomi nella merda più totale.
«Dove stiamo andando?»
ebbi il coraggio di chiedere, mentre seguivo Rick Allen fuori dal
teatro.
«Vorrei parlare un po'
con te.» Lui si fermò e si voltò nella mia
direzione.
Compresi che ci trovavamo a
pochi metri dall'ingresso e individuai il banchetto del merchandising
su Stickkick.
«Mi scusi, ma non me
la sento di restare...» azzardai.
«Perché mai?»
volle sapere.
Sollevai lentamente lo
sguardo e lo osservai. Mi sorrideva, il viso rotondetto e simpatico
illuminato da una serenità indescrivibile. Indossava una felpa
nera e dei jeans, sembrava proprio un ragazzino. Aveva voglia di
vivere e mi diede l'impressione di essere una persona semplice e
umile.
Forse lo avevo giudicato
male, forse me l'ero presa ingiustamente con lui. Non poteva
minimamente aver desiderato di perdere un braccio in un incidente
d'auto, era capitato e basta. Ero un idiota e mi vergognavo di me
stesso e dei miei stessi pensieri, avevo trent'anni e mi sentivo un
completo fallimento.
«Non posso suonare»
mormorai.
«Sì che puoi.
Solo perché ti manca un braccio, pensi di non poterlo fare. Io
non l'ho mai pensato.»
Un improvviso moto di rabbia
mi annebbiò la vista per un attimo. Avrei voluto gridargli in
faccia che lui non poteva capire la mia situazione economica, la mia
frustrazione. Non mi conosceva e non sapeva niente di me. Avrei
voluto mandarlo al diavolo e fargli presente che lui aveva avuto
tutti gli strumenti necessari per riprendere a suonare.
Tuttavia, rimasi muto e
immobile.
«So cosa stai
pensando, ragazzo. So che mi detesti e che sei convinto che per me
sia stato facile. È vero, ho avuto fortuna: già suonavo
con i Def Leppard da diversi anni, avevo tutto ciò che volevo,
compresi un bel po' di soldi. Ma è lo spirito che ci vuole,
capisci?»
«Lo spirito?»
ripetei confuso.
Rick sorrise ancora e
allungò la mano destra per posarla sulla mia spalla. «Lo
spirito umano è forte, ragazzo mio. Se io non avessi avuto
questo a mio vantaggio, non mi sarebbero serviti tutti quei soldi. È
stata la volontà, la consapevolezza di voler suonare ancora, a
portarmi avanti e farmi arrivare fin qui. Sapevo che la musica era la
mia vita, che non volevo rinunciarci e che non avevo tempo da perdere
nell'autocommiserarmi e nel maledirmi per essere stato un coglione,
il giorno dell'incidente. Perché ormai il passato non conta
più.»
Lo ascoltavo e sentivo le
lacrime pungermi gli occhi. Le sue parole erano capaci di toccarmi,
affondando in me come coltellate. Aveva ragione da vendere, e
probabilmente ciò che mancava a me era proprio quello spirito
interiore di cui tanto parlava.
«Non è stato
facile. Ho dovuto reinventare la mia tecnica, cambiare
strumentazione, allenare molto più di prima i miei piedi,
compensare con il braccio destro... vedi, c'è stato davvero
tanto lavoro da fare. Ma l'ho fatto perché lo volevo,
capisci?»
Avevo cominciato a tremare,
come se tutte le mie certezze mi stessero abbandonando.
«Non devi mai
piangerti addosso, Aymon. Coraggio, rientra in quella fottuta sala e
fai vedere a tutti noi ciò che sai fare. Sono sicuro che anche
tu hai trovato una soluzione.»
«Non so se ci riesco,
Rick» ammisi.
«Ma certo che ci
riesci! Tutti crediamo in te, anche quella bella ragazza con cui sei
venuto qui.»
Mi sentii avvampare
leggermente. Forse Rick aveva pensato che io e Harriet stessimo
insieme, ma nonostante io lo desiderassi segretamente da due anni,
non era mai successo niente tra noi.
«Lei è
speciale, è un'amica unica.»
«A lei manca il
braccio sinistro» commentò Rick.
«Ha avuto un tumore
quattro anni fa e...»
Lui mi strinse la mano. «Mi
dispiace. E a te com'è successo?»
Lo guardai negli occhi.
«Sono nato così.»
«Capisco. Mi dispiace.
Ma vedo tanto potenziale in te, mi accorgo sempre quando qualcuno può
farcela. Altrimenti non te lo direi.»
«Grazie, Rick,
davvero... pensa davvero che potrei suonare?»
Lui sorrise a trentadue
denti e mi mollò un'amichevole pacca sulla spalla.
«Ovviamente! Vuoi provare il mio gioiellino?» mi propose,
sospingendomi nuovamente verso la porta della sala.
«Dice sul serio?»
«Non scherzo mai su
queste cose, Aymon.»
Era perfetta. Una batteria
ad hoc per quelli come noi. Nella mia mente stava cominciando a
formarsi la consapevolezza che io e Rick non fossimo poi così
diversi: sicuramente ci trovavamo sulla stessa barca, anche se per
motivi differenti.
Mi sedetti dietro la sua
Yamaha ed esaminai tutti i pedali che aveva posizionato accanto a
quello del charleston. Allungai il piede sinistro e cominciai a
provare i suoni, accorgendomi subito che sembrava davvero che i suoni
fossero creati da un batterista con entrambe le braccia a
disposizione.
La sala aveva un'acustica
pazzesca, me ne rendevo conto solo mentre facevo un check completo di
tutti i piatti e i tamburi.
Rick, in piedi di fianco a
me, mi osservava. «Credo ci sia un problema» disse con
fare dubbioso.
Pat Kinglake se ne stava di
fronte a me con le mani in tasca e un sorriso soddisfatto stampato in
viso.
«Cioè?»
domandai.
«Quei pedali. Dovresti
usarli con il piede destro, visto che sei mancino.»
Quelle parole mi fecero
scoppiare a ridere, contagiando poi Rick e Pat, finché tutti i
presenti non applaudirono e si unirono a me.
Notai che Harriet si era
seduta al mio posto in prima fila e mi osservava con un'espressione
che non riuscii a decifrare. Come se fosse fiera di me.
«Hai ragione, cazzo!»
Preso dall'entusiasmo, aggiunsi: «Okay, Rick. Posso farlo a
modo mio? Devo solo prendere quel ride e metterlo qui».
Pat mi aiutò a
sistemare il ride nella parte sinistra della batteria e mi incoraggiò
a fargli sentire qualcosa.
Guardai Harriet e mi sentii
invadere da un calore e una fiducia immense. Lei era capace di farmi
sentire meglio, anche se spesso utilizzava dei modi un po' bruschi e
tutt'altro che dolci.
Sospirai e diedi inizio alle
danze.
Mostrai a tutti come giocavo
con i pedali di charleston e grancassa, senza mai perdere il ritmo o
andare fuori tempo. Mi esibii nei miei sedicesimi con una mano sul
charleston chiuso, per poi passare al ride mentre con un braccio solo
riuscivo a spostarmi sul rullante.
Mi venne voglia di
esagerare, così mi fermai un attimo e afferrai l'altra
bacchetta. Strinsi entrambe nella mano sinistra e sorrisi tra me, poi
cominciai a darci dentro sul serio: presi a eseguire il mio personale
flam, riuscendo a dare due colpi sul rullante quasi contemporanei.
Venne fuori perfetto,
proprio come piaceva a me. Ci avevo lavorato per un sacco di tempo,
ci avevo provato in tutti i modi, e alla fine il risultato era stato
soddisfacente. Quell'esercizio mi era costato dolori e crampi alla
mano, ma alla fine ero riuscito a trovare il giusto equilibrio.
Mi accorsi appena di quanto
Rick e Pat fossero estasiati e colpiti dal mio suonare, concentrato
com'ero. Mi stavo divertendo e per la prima volta mi resi conto che
non ero diverso dagli altri, avevo soltanto un mio stile personale,
che avrei dovuto continuare a coltivare con piccoli accorgimenti.
Avrei anche potuto comprare
dei pedali come quelli di Rick e far suonare dei pezzi di una
batteria elettronica come fossero quelli di un'acustica, ma
probabilmente ciò che avevo imparato a fare con i miei metodi
grezzi non l'avrei mai abbandonato né dimenticato.
Conclusi la mia performance
e udii un caloroso scroscio di applausi, grida ed esclamazioni colme
di entusiasmo e ammirazione.
«Aymon, hai spaccato
tutto!» strillò Damian, dopo essersi messo in piedi.
Sollevò in aria il braccio destro e fece le corna, poi finse
di tagliarselo con una delle sue bacchette. «Se io perdessi
questo, sarei spacciato! Sei un fottuto genio! E che flam hai fatto!»
«Hai visto? Ce l'hai
fatta» disse Rick, per poi abbracciarmi affettuosamente dopo
che mi fui messo in piedi.
Ero commosso, non sapevo
come replicare a tutti quei complimenti, non sapevo come comportarmi
e come trattenere lacrime di gioia che ormai scorrevano per conto
loro sulle mie guance.
«Rick, hai scoperto un
talento. È più forte di te» scherzò
Kinglake con fare pacato.
«Ci puoi scommettere,
Pat! Aymon, sono davvero ammirato. Ora puoi tornare al tuo posto, Pat
ha davvero tanto da insegnarci.»
Scesi dal palco a testa
alta, avvolto dal mormorio che ancora si spargeva per la sala.
Raggiunsi Harriet e lei si
mise in piedi per cedermi il posto. Ci ritrovammo faccia a faccia e
lei stava sorridendo come non l'avevo mai vista fare prima.
Sollevò il braccio e
mi tirò a sé, abbracciandomi stretto per un breve
istante. «Sono fiera di te, mancino» sussurrò
al mio orecchio.
«Grazie.»
Si allontanò da me,
ma prima di lasciarmi andare si sollevò sulle punte dei piedi
e mi sfiorò le labbra con le sue. Poi se ne andò e mi
lasciò interdetto.
«Oh!» mormorai.
«Sei pronto?» mi
chiese Damian.
Annuii, con il cuore e lo
stomaco in pieno subbuglio.
Pat fu tremendamente
affascinante e ci mostrò tutta la sua esperienza, senza però
risultare presuntuoso. Fu umile e amichevole con noi, ci chiamò
ancora per provare alcuni esercizi che aveva messo a punto per i suoi
allievi e per mostrarci diverse tecniche per suonare al meglio lo
strumento che tanto amavamo.
La drum clinic durò a
lungo ma il tempo parve scorrere troppo in fretta, finché non
si concluse e tutti ci riversammo all'esterno della sala.
Raggiunsi Harriet che ero
frastornato per un sacco di motivi: ero carico di informazioni e
nuova energia, ero sconvolto da quel breve bacio e tutto questo non
faceva che scombussolarmi ancora di più.
«È andata bene»
esordì la ragazza, regalandomi un sorriso.
«Benissimo. Prima di
andare, vorrei comprare qualcosa al banchetto del merchandising»
le dissi.
«Certo. Io vorrei una
di quelle carinissime t-shirts con Stickkick» concordò.
Stavo per muovermi in quella
direzione, quando Rick uscì dalla sala e mi raggiunse.
«Rick» lo
salutai.
«Aymon, allora? È
andata bene, vero?»
Annuii. «Grazie a
lei.»
Lui infilò una mano
in tasca e ne estrasse un cartoncino rettangolare. «Questo è
il mio biglietto. C'è il numero della segreteria
dell'associazione, e questo qui in basso è il numero del mio
ufficio privato. Fatti sentire, vorrei aiutarti a mettere a punto la
batteria più adatta alle tue esigenze.»
Afferrai con riluttanza ciò
che mi porgeva e lo osservai confuso. «Davvero? Ne è
sicuro?»
«Certamente. Hai tante
potenzialità, ma devi poterle sfruttare. Vorrei aiutarti.»
«Rick, la ringrazio»
intervenne Harriet, facendosi avanti. «Il suo gesto è
molto dolce. Renderà felice Aymon e io non posso che
essergliene grata.»
«Ma figuratevi! E ora
andate, vi ho trattenuto qui fin troppo» scherzò, per
poi regalarmi un altro amichevole abbraccio.
Salutammo calorosamente Rick
e ci fermammo a chiacchierare un po' con Damian e gli altri
partecipanti alla drum clinic, comprammo qualcosa al banchetto e
uscimmo dal teatro.
«Hai le Vic?»
«Sì, ce le ho,
Harriet.»
«Okay.»
Stavamo camminando verso la
fermata della metropolitana, e io non sapevo cosa fare. Avrei voluto
fermarmi e baciarla ancora, ma temevo che quel suo gesto fosse stato
amichevole, niente di più di questo.
Però non potevo
lasciare che le cose rimanessero in sospeso.
«Harriet?» la
chiamai, fermandomi di botto poco prima di entrare nella stazione.
«Sì?»
Anche lei si fermò e mi osservò.
«Cosa significa quel
bacio?» riuscii a chiedere, sentendomi avvampare.
Lei ridacchiò. «Oh,
finalmente me l'hai chiesto! Be', mancino, è già
da un po' che volevo farlo. Ma ho voluto aspettare.»
Non capivo dove volesse
andare a parare, così mi limitai a osservare il suo viso
pallido illuminato dalla luce giallastra dei lampioni.
«Mi sono ripromessa
che l'avrei fatto solo se ti avessi visto reagire, solo quando ti
avrei visto davvero felice e consapevole di te stesso.»
Spalancai gli occhi e presi
a balbettare, senza sapere esattamente cosa dire.
Harriet rise e si accostò
a me, poi si premette contro di me e catturò ancora una volta
le mie labbra con le sue. Stavolta non si scostò subito, ma
approfondì quel contatto e si strinse a me, cingendomi le
spalle con il braccio destro.
A mia volta, le circondai la
vita e la tirai ancora più vicino a me, assaporandola per la
prima volta fino in fondo. Avevo desiderato quel bacio da così
tanto tempo, che quasi stentavo a credere che stesse succedendo
davvero.
Quando Harriet si allontanò
un poco da me, i suoi occhi brillavano maliziosi.
«Che c'è?»
«Stavo pensando a una
cosa.»
Le rivolsi un'occhiata
interrogativa, accarezzando con delicatezza i suoi morbidi capelli
color sabbia.
«Sarà difficile
spogliarti con un solo braccio» commentò.
«Harriet!»
esclamai, fintamente scandalizzato.
«Ma non vedo l'ora di
farlo» concluse, poi tornò a baciarmi con maggiore
intensità.
♫
♪ ♫ ♪ ♫ ♪ ♫
Miei
carissimi lettori, eccomi qui!
Ho
partorito questa OS mentre ascoltavo i Def Leppard, specialmente Pour
Some Sugar On Me; la storia di Rick Allen, del suo incidente e
della sua incredibile forza interiore mi ha sempre colpito. Più
ascoltavo le sue canzoni, più l'ispirazione prendeva piede.
Oggi,
1 novembre 2018, Rick compie 55 anni e questo è il mio piccolo
regalo per lui.
Ho
ideato i personaggi di Aymon e Harriet quasi per caso, mi sembrava
carino dar loro vita e dargli una possibilità per emergere.
Per
quanto riguarda Pat, anche lui è stato un personaggio di mia
creazione, ispirato a una persona che conosco, un insegnante e
musicista eccezionale che adoro e stimo tantissimo!
La
citazione iniziale l'ho trovata sulla pagina Wikipedia in inglese
dedicata a Rick Allen, e poi ascoltando qualche sua intervista in cui
raccontava dell'incidente, ho sentito lui stesso pronunciarla in
diverse maniere, ma con lo stesso significato.
La
Raven Drum Foundation, inoltre, è stata fondata proprio da
Allen e da sua moglie, Lauren Monroe, nel 2001, e la One Hand Drum
Company è nata per creare del merchandising atto alla raccolta
di fondi da devolvere alla fondazione di Allen. Lui stesso ha ideato
un disegno, ovvero Stickkick, che rappresenta un batterista con una
mano sola. Spesso esso viene rappresentato su maglie, cappellini e
merch vario, con uno slogan motivazionale che recita: «Life is
great!! Be a Rockstar!!».
Credo
di avervi spiegato tutto, ma sono qui a disposizione per eventuali
domande o correzioni da parte di chi ne sa qualcosa in più di
me ^^
Aspetto
i vostri commenti, pareri e – perché no? – pure le
critiche, se costruttive, sono ben accette ;)
Grazie
a chiunque sia giunto fin qui e grazie al grandioso Rick Allen e alla
sua forza per avermi ispirato *-*
Alla
prossima e...
ANCORA
AUGURI, RICK ♥
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