Bungo
Baggins non aveva
mai fatto niente di inaspettato.
Era sempre stato un gentilhobbit, rispettato ed elogiato in tutta la
Contea:
aveva amici per tutto il Decumano Ovest, ma non faceva molte gite per
andare a
trovarli. Si allontanava raramente di casa, aggirandosi intorno alla
Collina e
da un lato all'altro dell'Acqua; nei momenti più
trasgressivi dei suoi enti
aveva fatto numerose gite notturne al Drago Verde, girando per i campi
fino
all'alba, ma poteva dire con estremo orgoglio di non aver mai messo
piede oltre
Tooklandia.
Bungo era tutto ciò che nella Contea ci si sarebbe aspettato
da un Baggins. Era
il più grande fra i suoi fratelli e da sempre aveva cercato
di essere il
perfetto esempio di rispettabilità per loro; Laura e Mungo
non avrebbero potuto
desiderare un ragazzo migliore per ereditare il nome e la fortuna della
famiglia.
Bungo non aveva mai fatto niente di inaspettato, essere comune gli
veniva
naturale come respirare, senza bisogno di sforzo. Tuttavia, era
innamorato di
Belladonna Took.
Davvero, non aveva idea di come era potuto succedere. Aveva sentito
storie e
storie sui Took, aveva visto per anni tutti i suoi parenti storcere il
naso e
annunciare con sdegno la totale mancanza di decenza e buon senso hobbit
in quel
clan. Eppure, era bastato un attimo.
Era stato durante il compleanno di Adalgario Bolgeri, cugino di suo zio
Fastolfo,
che l'aveva vista per la prima volta. Bungo conosceva le storie, tutto
quello
che veniva detto sui Took. Ma l'unica cosa che era riuscito a pensare,
vedendo
Belladonna ballare, era che la leggenda che quella famiglia avesse come
antenato una fata fosse vera. Belladonna aveva primule fra i capelli e
le
guance arrossate dal freddo - era inverno, ma questo di certo non basta
a
fermare le feste degli hobbit - e dalla birra, i capelli erano una
cascata di
riccioli castano scuro sulle sue spalle, gemelli del folto pelo che le
ricopriva i piedi grandi; indossava un vestito arancione e si muoveva
spensierata cantando. Poi sorrise e a Bungo rimase solo da chiedersi se
non la
primavera non fosse arrivata in anticipo.
Fu così che Bungo si innamorò e mai, nelle storie
che aveva avuto nei suoi
enti, aveva provato una sensazione simile. La festa finì
prima che potesse
trovare il coraggio di parlarle e non la rivide fino al Giorno di
Mezzestate,
alla grandissima festa organizzata dal Vecchio Took. Ci furono fuochi
d'artificio
quella volta, e si sentì dire che erano frutto della magia
di un vecchio
stregone amico di Gerontius, ma Bungo non li ricordò
affatto, in seguito: le
uniche cose che rimasero nella sua memoria furono la sensazione dei
fianchi
morbidi di Belladonna sotto le sue mani mentre ballavano insieme e il
colore
dei suoi occhi, caldi e luminosi come castagne lucide.
I suoi genitori non lo videro ballare con una Took e le chiacchiere di
Hobbiton
non sono sempre così tanto rumorose; per il resto
dell'estate Bungo si incontrò
con Belladonna a metà strada fra le loro case. Nessuno dei
due si lamentava
della strada lunga che dovevano percorrere per vedersi, né
della stranezza di
non essere ancora stati presentati alle rispettive famiglie, nemmeno
per un
the. Erano innamorati e Bungo era sicuro che le occhiatacce di sua
sorella
Belba quando tornava tardi la sera fossero un prezzo molto basso da
pagare, per
poter stringere fra le mani la primavera.
Belladonna era diversa, più viva, più energica,
più solare di chiunque altro.
Lo prendeva per mano senza paura e lo trascinava per i campi, dove gli
alberi
erano più fitti, parlando senza sosta di elfi, di grandi
guerrieri, di
leggende, del mondo fuori della Contea. Qualche volta, Bungo la
guardava di
sottecchi e ne provava paura e attrazione, qualche volta nella sua
mente non
poteva fare a meno di definirla selvaggia e folle. E quando sentirla
parlare
gli lasciava una brutta sensazione allo stomaco, beh - erano proprio
quelle le
volte in cui si rendeva conto di essere davvero innamorato di lei.
Perché non
importava quanto i suoi discorsi lo turbassero, quanto li trovasse
sconvenienti
e silenziosamente li disapprovasse, al momento di separarsi non voleva
mai
lasciare la sua mano.
Si frequentarono per altri due anni. La loro relazione non era
esattamente
segreta, ma in casa non se ne parlava: Hobbiton spettegolava, gli amici
di
Bungo lo prendevano in giro, Belba e loro cugina Rosa non perdevano
occasione
di fare battute e metterlo in imbarazzo, ma non se ne parlava mai
davvero. Mungo
non aveva mai detto una parola in merito e Bungo cercava di ignorare il
peso
del senso di colpa quando scivolava discretamente fuori casa, senza
dire dove
stesse andando.
Poi Belladonna iniziò a fare strani discorsi, più
strani del solito. Parlava
dei Ranger che sorvegliavano i confini, delle notizie sul mondo esterno
che
portavano. Parlava di andarsene, di vedere il mondo, di arrivare fino
al mare,
addirittura.
Un'avventura,
la chiamava lei. Come se fosse normale. Come se fosse
eccitante. Come se ci fosse qualcosa di buono là fuori fra
la Gente Alta,
qualcosa per loro piccoli hobbit. Fu la prima volta che litigarono.
Bungo non
ricordava di aver mai provato tanta paura e tanto sconforto in vita
sua; non
aveva mai capito davvero cosa ci fosse nel fondo dei suoi occhi, sotto
quella
luce abbagliante. Belladonna non stava bene, nella Contea. Non era il
suo
posto, anche i Grandi Smial dei Took erano troppo piccoli per lei,
erano soffocanti.
Non la capiva e aveva paura di perderla, di vederla partire e non
tornare mai
più. E quando Hildebrando e Isembardo li sentirono litigare
e intervennero per
difendere la loro sorella, intimandogli di andarsene e non farsi
rivedere,
Bungo lo fece.
Passò quasi un mese da quella discussione prima che capisse
cosa voleva fare.
Andò fino a Tuckborough senza voltarsi indietro e senza
rispondere agli hobbit
che, per strada, gli chiedevano dove stesse andando. Quando
arrivò davanti al
suo smial, Belladonna era seduta sull'erba del giardino e stava
intrecciando
ghirlande di fiori con Mirabella e Isengrim: portava primule fra i
capelli,
come il primo giorno in cui l'aveva vista.
Le chiese scusa con un mazzo di violette e lei gli rispose
appuntandogli un
mughetto dietro all'orecchio. Si baciarono e, nonostante i versi
disgustati dei
più piccoli alle loro spalle, fu il bacio più
bello della loro vita.
Quella sera, seduti insieme a guardare il tramonto, la testa di
Belladonna
sulla sua spalla e i piedi che si toccavano, Bungo le chiese qualcosa:
una
promessa. Era uno hobbit rispettabile, questo non era cambiato: l'unica
cosa a
cui poteva ancora aggrapparsi con sicurezza erano le parole.
"Sei come un uccello dei boschi." Le disse con voce bassa quella
sera, il sole rosso faceva brillare la pelle di Belladonna di un
bagliore
dorato, inafferrabile. "Non posso tenerti qui se non lo vuoi. Se
davvero
vuoi andare in una di queste-- avventure,
i-io..."
Aveva preso un respiro profondo, la paura che stringeva forte alla
bocca del
suo stomaco, perché era giovane e innamorato e non aveva
certezze, nulla su cui
fare affidamento quando si trattava di lei, perché
Belladonna era un corpo in
caduta libera e Bungo non sapeva ancora come avrebbe potuto starle
vicino.
Sapeva solo che lo voleva.
"Puoi farmi una promessa?"
Belladonna si era tirata a sedere dritta e l'aveva guardato con quei
suoi occhi
caldi e profondi, che portavano dentro di loro il sottobosco e le
più alte cime
degli alberi. Era seria e meravigliosa, il bel viso rotondo illuminato
dal sole
e tutta la potenza della sua anima concentrata nello sguardo.
Bungo aveva cercato la sua mano, le loro dita si erano trovate e
intrecciate
come pezzi combacianti.
"Promettimi che ritornerai. Se dovessi partire, io-- promettimi che
ritornerai
da me, alla fine. Non capisco perché tu lo voglia fare, non
capisco perché
qualcuno dovrebbe mai desiderare di lasciare la nostra Contea, ma... Ma
io ti
amo. Voglio sposarti, voglio costruire la nostra casa, avere una
famiglia con
te. Mi sposerai, quando saremo maggiorenni? Ho-- ho bisogno di saperlo,
Bella.
Se davvero devi volare via, se non puoi restare-- puoi almeno essere un
uccello
migratore? Puoi tornare da me? Posso essere il tuo nido, posso
aspettarti, ma
devi promettermi che ritornerai."
E Belladonna... Belladonna aveva sorriso. Quello stesso sorriso caldo
che
l'aveva fatto innamorare, in una sera lontana anni luce, quel sorriso
luminoso
che le scopriva i denti e le accendeva tutto il volto, che portava la
primavera
in un istante.
"Te lo prometto."
Belladonna
era partita
davvero, alla fine, poco dopo il suo trentaduesimo compleanno. Era
andata via
senza dire niente, senza salutare, avvisando soltanto le sue sorelle.
Lo
sguardo preoccupato di Donnamira e Mirabella quando gliel'avevano detto
aveva
fatto male, ma Bungo era preparato. Sapeva che sarebbe successo.
I mesi passavano e Belladonna non tornava. Bungo fumava la pipa seduto
fuori
alla sera e pensava a lei, ricordava il suo sorriso, la sua risata, la
morbidezza della sua pelle e la luce dei suoi occhi. Ma c'era una
promessa fra
di loro, un filo invisibile che li teneva uniti anche con miglia e
miglia di
distanza. E' volata
via, ma tornerà. Bungo guardava l'orizzonte,
chiedendosi quanto lontano fosse arrivata, chiedendosi se il suo
sguardo tornasse
mai verso la Contea.
A pochi mesi dal compleanno di Belladonna, Bungo iniziò i
preparativi per il
matrimonio. Laura e Mungo cercarono di farlo ragionare, Linda e Longo
lo
presero in giro e risero fino alle lacrime - solo Belba strinse le
labbra e non
disse nulla, perché sapeva della promessa, sapeva e la
disapprovazione bruciava
come un torto personale nei suoi occhi.
Bungo non chiese consigli, non volle sentire ragioni.
Cominciò a costruire il
suo regalo di nozze: scelse la parte migliore della Collina e
iniziò a scavare
uno smial. Il loro buco hobbit, la loro casa. Il nido a cui Belladonna
sarebbe
sempre potuta tornare.
Ha promesso,
ritornerà.
E tornò davvero, proprio la mattina del suo
compleanno: arrivò sull'altare
a cavallo insieme ad un Ranger, negli occhi la paura di non aver fatto
in tempo
- paura che venne immediatamente spazzata via dal sorriso tranquillo di
Bungo,
che non aveva dubitato nemmeno per un istante.
Lo scandalo di quell'entrata in scena fece parlare per decenni. Ancora
di più
perché Belladonna volle celebrare il matrimonio subito,
senza neanche lavarsi e
cambiarsi i vestiti sporchi e strappati, con una cotta di maglia
visibile sotto
al mantello e il fodero di una spada legato al fianco. Si era anche
tagliata i
capelli: la cascata di riccioli dei suoi enti era stata sostituita dal
classico
taglio maschile degli hobbit.
Bungo la coronò di fiori e venne coronato a sua volta: le
loro mani vennero
intrecciate insieme da una ghirlanda e furono marito e moglie.
Quella sera, si tennero stretti per ore, respirando e accarezzandosi.
Avevano
ancora i fiori cerimoniali addosso: le loro dita erano state
intrecciate per
tutta la giornata, ma non erano ancora stanche.
Belladonna respirò l'odore di erba-pipa ed terra fresca di
Bungo, l'odore di casa.
"Avevo paura che non mi avessi aspettata."
"Sapevo che saresti volata via. L'importante è che tu sia
tornata."
"Sei il mio nido, tornerò sempre."
"E io ti aspetterò anche all'infinito."
Hobbiton
era in totale
subbuglio. Tutti gli occhi erano sullo smial in cima alla Collina;
avevano
parlato senza sosta quando Bungo aveva iniziato a costruirlo,
mormorando di
come una Took fosse riuscita a far impazzire persino un povero Baggins,
chiedendosi come mai una persona tanto assennata e rispettabile avesse
deciso
di rovinarsi. Un buco hobbit di quelle dimensioni costava molto, ma a
Bungo non
sembrava importare: costruiva una casa e organizzava un matrimonio con
qualcuno
scomparso da quasi un anno, di certo non si poteva biasimare il
vicinato per
ritenerlo pazzo.
E quella storia diventò ancora più folle quando
Belladonna tornò in tempo, più
innamorata e decisa a sposarsi di prima. E Hobbiton parlò e
parlò e parlò,
quando Bungo condusse sua moglie per mano su per via Saccoforino fino
all'entrata dello smial quasi concluso. Malelingue vociferarono in
seguito che
per completarlo Bungo dovette chiedere i soldi alla famiglia della sua
sposa,
ma anche i sussurri più cattivi dovettero abbassarsi di
volume davanti alla
gioia dei due innamorati.
Bag End fu completata e la coppia ci si stabilì
definitivamente. Era un piccolo
gioiello lungo la parete della collina: le finestre incassate e
perfettamente
rotonde spuntavano sul fianco sinistro del colle come perle in una
collana,
concluse da una splendida porta verde. Il giardino era ampio e
rigoglioso, come
deve essere quello di ogni famiglia hobbit: guardando il cortile di una
casa si
può capire molto delle persone che la abitano, nella Contea.
Appena lo smial fu
inaugurato, Bungo e Belladonna provvidero a riempirlo di ogni tipo di
coltura,
ortaggi e piccoli alberi da frutto nella parte più interna,
e fiori lungo il
viale di casa e sul lato che dava alla strada. Piantarono fiordalisi e
peonie,
garofani rosa e rossi, girasoli e glicine, malva e margherite, orchidee
ed
azalee: ben presto il giardino divenne il più grande
orgoglio della coppia.
Non avrebbero potuto essere più felici.
Nel giro di una settimana tutta Hobbiton e dintorni fu invitata ad
almeno un
pasto nel nuovo smial e la sua bellezza era sulla bocca di tutti.
Belladonna
era raggiante, non era mai stanca: il suo viso era pulito e luminoso, i
suoi
vestiti sempre in ordine, il suo sorriso e la sua ospitalità
sempre
impeccabili. Accolse come i più riguardati ospiti anche
coloro che parlavano
alle sue spalle da sempre, sorridendo e ringraziando e chiacchierando.
Quella
volta, nessuno ebbe da dire sul suo comportamento.
Fu l'unica occasione in cui Bungo fece qualcosa di eccentrico e
Belladonna
qualcosa di perfettamente rispettabile.
Gli anni passarono e Hobbiton parlava ancora: sussurrava,
più che altro. Gli
hobbit scuotevano la testa quando Bungo passava passeggiando con sua
moglie al
fianco, sorridenti e raggianti come ogni giovane coppia, innamorati nel
profondo degli occhi, e dicevano abbassando la voce e schermandosi la
bocca con
la mano che un Baggins non dovrebbe mai immischiarsi con certa gente e
che
Bungo l'avrebbe capito presto. Povero ragazzo, così folle a
cadere nella rete
di una Took. Avrebbe capito presto il suo errore.
Ma Bungo non si pentì affatto: ogni giorno era
più innamorato del precedente e,
a dispetto della preoccupazione di molti, la presenza di Belladonna al
suo
fianco non diminuì affatto la sua rispettabilità.
Belladonna, d'altra parte,
continuò ad essere eccentrica com'era sempre stata: riceveva
lettere dagli elfi
e visite dai Ranger, vestiva mantelli di fattura straniera, spesso di
inusuali
colori scuri, e qualcuno giurò addirittura di averla vista
tornare da una
passeggiata con una spada legata al fianco. Era più
insofferente, più adulta e
ancora più diversa dagli altri, da quando era tornata:
indossava spesso un
sorriso un po' storto e, sebbene fosse sempre uno hobbit estremamente
socievole, aveva quell'atteggiamento sgarbato, fuori dal coro, visibile
in ogni
sua parola e ogni suo discorso, che faceva storcere il naso alle
persone
rispettabili che frequentava. Qualcuno la difendeva, certo, lodando la
sua
bellezza e la sua spigliatezza, ma furono pochi quelli che
effettivamente
zittirono le voci. In fondo, nessuno poteva negarlo: Belladonna Took
era, senza
alcun dubbio, uno degli hobbit più stravaganti che avesse
mai messo piede ad
Hobbiton.
O almeno, così era, prima che nascesse suo figlio. Bilbo non
ci mise molto a
rubarle il primato.
Si distinse subito dagli altri piccoli hobbit: aveva la lingua lunga e
si
intrometteva sempre nelle conversazioni degli adulti, fin da
piccolissimo
preferiva correre via nei boschi e arrampicarsi sugli alberi che
giocare con
gli altri bambini. Gli adulti lo guardavano e storcevano il naso; fra
loro
sospiravano, considerandolo già un Took senza speranza, e
contemplando la
rispettabilità dei Baggins affondare. Ma a parte la sua
strana preferenza per
la solitudine, Bilbo non fece molto per distinguersi nei suoi primi
anni:
correva per i campi insieme ai suoi coetanei, mangiava con appetito e
gioia a
tutti i sette pasti, adorava invitare amici per il the ed non
dimenticava mai
di dire "Grazie" e "Per piacere". Belladonna gli insegnò a
scrivere e a leggere e ben presto un'altra delle stranezze di Bilbo fu
scoperta:
la sua incredibile passione per i libri. A dieci anni, appena un
bambino per
gli standard della Contea, padroneggiava già alla perfezione
la Lingua Corrente
e si destreggiava con i rudimenti del Sindarin con una pronuncia
impeccabile.
Belladonna lo amava come nient'altro nella sua vita, i suoi occhi si
parevano
brillare della stessa luce di Eärendil quando lo stringeva fra
le braccia.
Belladonna rimase ancora incinta, ma perse tutti i nascituri entro i
primi mesi
di gravidanza. Gli hobbit sono la razza più fertile di tutta
la Terra di Mezzo,
hanno gravidanze brevi e parti poco dolorosi, ogni famiglia vanta
almeno tre o
quattro figli: nonostante ciò, per anni Belladonna
provò a dare ancora la vita
e il suo corpo si rifiutò ogni volta. Quando sotto le
pressioni di Bungo si arrese
e si fece visitare, la partoriente le accarezzò un braccio e
le disse con tutta
la dolcezza possibile che non sarebbe più riuscita ad avere
figli.
Fu un colpo durissimo per lei e diede da parlare ad Hobbiton per molti
anni.
Molti cercarono di starle accanto, comprendendo il dolore di una tale
notizia,
ma discretamente, senza dare nell'occhio; la maggior parte
scrollò le spalle e
disse che se l'era cercata, che a forza di vagabondare fra la Gente
Alta e
andare in cerca di avventure è normale tirarsi la sfortuna
addosso. Purtroppo,
sebbene si possano dire molte cose buone degli hobbit, la
solidarietà non è
sempre fra di esse.
Non fu la sua passione per le stranezze a scomunicarla: la sua unica e
vera
condanna fu l'infecondità, vista dagli hobbit come segno
manifesto del
disprezzo di Lady Yavanna. Persino le sue sorelle e i suoi fratelli si
fecero
più distanti, più freddamente cortesi. Lo vedeva
negli occhi di Donnamira e
Mirabella, coperto da un velo di dolore e di scuse: nessuno voleva
avere a che
fare con uno hobbit che non aveva la benedizione della Dispensatrice di
Frutti.
Camelia Sackville, il braccio allacciato a quello di Longo, ebbe
persino la
sfacciataggine di guardarla in faccia, sorridere stucchevolmente e dire
che, in
fondo, il suo nome non rifletteva altro che la verità, che
il suo ventre era
velenoso e letale quanto l'estratto di belladonna.
Ma Belladonna aveva un animo forte e una determinazione d'acciaio: non
si
piegò. Continuò a sorridere, sorridere,
sorridere, a raccontare favole a suo
figlio, a curare il suo giardino, a tenere la testa alta. Bungo le
rimase
accanto. Bilbo crebbe.
Il mondo non si fermò e il tempo neppure. Quasi nessuno le
rivolgeva più la
parola, ma andava bene: finché la sua maledizione non si
rifletteva su Bilbo
non le importava. Alla sua festa di maggiore età si
presentò tutta la Contea, e
non solo per cortesia: Bilbo era un giovane hobbit rispettabile e
spiritoso,
una copia di suo padre con un umorismo Took, tutto ricci color rame e
sorrisi
caldi come la primavera. Quel giorno fu il più felice che
Belladonna potesse
ricordare: Bilbo ballò tutta la sera, bevendo e mangiando e
cantando, tutti lo
abbracciarono e lodarono il sangue dei Baggins. E anche se quasi
nessuno le
rivolse la parola, anche se tempo fa una festa seduta in silenzio,
ballando una
sola canzone con suo marito per il bene delle apparenze, sarebbe
bastata a
ferirla, questa volta non fu così. Vedere Bilbo felice
bastava a rendere anche
lei felice.
A
metà serata Bungo le
accarezzò una mano e le disse che stava invecchiando per
questo genere di
feste; le chiese di accompagnarlo a casa, per stare in pace qualche
minuto.
Tutti gli occhi erano sul festeggiato e nessuno ebbe da ridire della
silenziosa
uscita di scena dei coniugi Baggins.
Si sedettero insieme sulla panchina davanti alla porta; Bungo non disse
niente,
accese le pipa, fece qualche tiro emettendo spesse nuvolette bianche -
non
aveva mai padroneggiato l'arte degli anelli di fumo - e le prese la
mano. Tutto
era così dolce e familiare che Belladonna sentì
gli occhi pungere: forse anche
lei stava diventando vecchia, dopotutto.
"Eärendil è bellissima stasera." Disse Bungo nella
notte, il naso
rivolto all'insù, il bel volto gioviale segnato da
innegabili rughe alla luce
soffusa del portico. "Peccato per quelle nuvolacce laggiù,
però: Helluin è
stupenda in questa stagione. Pensi che domani pioverà,
uccellino? Spero proprio
di no. Volevo fare una passeggiata con Bilbo come ai vecchi tempi.
Potremmo
fare una piccola gita, che ne dici? Preparerò qualche torta
e un bel po' di the
da portarci dietro, così se partiamo di buon'ora arriveremo
al di là dell'Acqua
in tempo per la seconda colazione."
Bungo parlava a bassa voce, accarezzandole il dorso della mano e
osservando le
stelle. Belladonna non gli rispondeva: non aveva voglia di parlare e
non ce
n'era bisogno. Faceva piani, si correggeva da solo, ridacchiava fra
sé ed
intuiva la sua opinione senza chiedergliela. Era sempre stato
così, Bungo. Era
sempre stato capace di avere abbastanza parole e abbastanza speranza
per entrambi.
Belladonna appoggiò la testa alla sua spalla e Bungo le
scostò i capelli dal
viso senza smettere di parlare e senza abbassare lo sguardo: non aveva
smesso
di tagliarsi i capelli come i maschi da quando era tornata, una delle
tante
stranezze che Bungo amava di lei.
"Bilbo ti somiglia." Disse ad un tratto, interrompendolo. Lui le
gettò un'occhiata e le sorrise, per nulla offeso dal
radicale cambio di
argomento; fece un profondo tiro di fumo, espirandolo nel cielo nero.
"Trovi, amore?"
Belladonna si raddrizzò, gli tolse la pipa dalle mani e la
spense. "Devi
smetterla di fumare così tanto." lo rimproverò e
poi scrollò le spalle:
"Credo non pensi più a dare la caccia agli elfi, non
è più un bambino.
Forse è meglio fare la seconda colazione a casa, domani."
"Tesoro... Bilbo non smetterà mai di voler essere come te."
Bungo non
aveva bisogno di guardarla negli occhi per capire quello che intendeva.
E' la
più grande arte degli hobbit, e dei Baggins specialmente,
saper leggere tra le
righe.
"E' nostro figlio. Un Baggins quanto un Took. Adesso non lo sa, pensa
di
amare la Contea come faccio io, con anima e corpo." Si interruppe,
facendo
per portarsi la pipa alle labbra ma ricordandosi in tempo che la moglie
gliel'aveva tolta. Fece un sorriso affezionato e dolce, quello
riservato solo
alla famiglia: "Non è più un bambino, questo no.
E' un ometto, ormai. Ma
casa non gli basterà: è come te, è un
uccello migratore. Se ne andrà, ad un
certo punto. E tornerà, ovviamente. Farà andata e
ritorno e sarà felice quanto
stasera per tutti gli anni che seguiranno."
Belladonna rimase in silenzio qualche minuto. L'aria iniziava a
raffreddarsi e
il canto delle cicale a zittirsi: l'autunno arrivava piano, senza
creare
scalpore, come tutto nella Contea.
"Non credo di volerlo." Ammise alla fine. "Non voglio che Bilbo
parta per un'avventura. Non sarà felice, se
ritornerà."
Bungo si tolse la giacca e la posò sulle spalle scoperte
della moglie.
"Sei pentita di essere partita?"
Belladonna rabbrividì. L'aria non era poi così
fredda.
Ripensò al viaggio, alla fatica delle cavalcate, alle
immense praterie di
Rohan. All'amicizia dei Ranger, alle domande e agli scherzi degli
uomini, alla
magia dei canti elfici. Alla sensazione della spada nella mano, alla
paura e
alla fatica. Ai posti che aveva visto, alle persone con cui aveva
parlato, a
tutto quello che aveva imparato.
Al suo ritorno nella Contea, alle parole dure degli altri hobbit, al
suo ventre
vuoto e freddo. Agli sguardi pieni di pena e accusa, alle carezze
troppo
cortesi, alla sensazione di trovarsi in un paese straniero e nemico
più ad
Hobbiton di quando era circondata da altre razze.
All'amore di Bungo, stabile, fermo, irremovibile. Dolce, caldo,
accogliente. Al
nido che aveva costruito per lei, dove crescere loro figlio e tornare
sempre.
"No, non lo sono."
Bungo annuì.
"Lo aspetteremo qui, quando ritornerà."
Dopo
tre anni, Bungo morì.
Iniziò a dare i primi segni in autunno, poco dopo il
compleanno di Bilbo. La
malattia lo consumò per tutto l'inverno, lenta e
divoratrice: Belladonna
interpellò tutti i medici della Contea e chiese il parere di
tutti i Ranger che
passarono a salutarla. A Marzo si era quasi decisa a partire e andare a
chiedere aiuto agli elfi, ma con l'arrivo della primavera anche il
vecchio
Bungo sembrava star rinascendo dalle sue ceneri: aveva più
forza, più colorito,
come se la malattia stesse indietreggiando per lasciargli di nuovo
spazio. Dopo
una settimana, peggiorò di colpo, all'improvviso come era
migliorato. Dopo
un'altra settimana, si spense.
Al suo funerale partecipò tutta la Contea e tutti quanti
piansero. Bungo era
amato e rispettato; vennero raccolti fiori e cantate litanie e il corpo
fu
seppellito nella terra come era tradizione, perché tornasse
alla materia da cui
la Regina della Terra li aveva creati. Sulla sua tomba vennero piantati
anemoni
e gerbere rosse e arancioni.
Da quel giorno Belladonna scoprì un nuovo tipo di forza
dentro di lei, qualcosa
che non avrebbe mai sospettato di avere. Accarezzò le mani
di Bilbo, tremante
come un bambino, e scoprì di non star vacillando affatto.
Bungo era sempre
stato la sua roccia, il suo punto di riferimento, il suo nido sicuro
dove
tornare. Adesso, toccava a lei.
Bilbo divenne più calmo e controllato, dopo la morte di suo
padre. La luce
impertinente nei suoi occhi si affievolì di giorno in
giorno, nascosta sotto
strati di quotidianità e rispettabilità: se prima
in aspetto era una copia
birichina del padre, adesso pareva che anche il suo animo si fosse
adattato a
diventarlo, per compensare la sua scomparsa.
Belladonna gli rimase accanto tutto il tempo e trovò in
sé le forze che ogni
hobbit ha, nel profondo, e che scopre solo nei momenti di
difficoltà: trovò la
forza di ridere, di parlare, di cantare e di cucinare per suo figlio,
abbastanza per tutti e due, abbastanza e anche di più.
Tirò fuori da sé tutta
l'allegria e la positività che servivano, finché
anche nello sguardo di Bilbo
tornò la luce.
Hobbiton non parlò molto, questa volta. Il dolore per Bungo
era vero, nei loro
animi, abbastanza da mettere a tacere i pettegolezzi. I Baggins
tornarono ad
essere rispettabili: Belladonna si fece crescere i capelli e non si
fece vedere
molto in giro, mentre Bilbo coltivò molte amicizie e si
dimostrò all'altezza
del nome che portava.
La morte di Bungo sembrò aver messo a posto molte cose e per
anni, ad Hobbiton,
non si parlò molto dei Baggins. La vita andò
avanti come fa sempre, le stagioni
si susseguirono e il grano tornò ancora e ancora a indorare
i campi.
Belladonna e Bilbo non parlavano più molto di elfi e di
avventure. Belladonna
aveva creduto, con un profondo dolore al petto, che suo figlio avesse
rinnegato
del tutto il sangue Took nelle sue vene; ma aveva trovato libri in
Sindarin con
orecchie ai lati delle pagine e mappe nuove non ancora appese al muro e
si era
rasserenata. Pazienza, si era detta. Pazienza. Bungo le avrebbe dato
della
sciocca, se l'avesse vista ora. Bilbo era loro figlio, dopotutto, come
suo
marito amava ripetere con dolcissimo orgoglio. Il tempo avrebbe fatto
il suo
corso.
Erano passati quattro anni dalla scomparsa di Bungo, quando Bilbo
tirò di nuovo
fuori l'argomento. Era una sera d'inverno: fuori nevicava lentamente e
Bad End
era calda e accogliente, un tepore dorato e luminoso dentro cacciava il
buio
della notte fuori.
Belladonna stava canticchiando fra sé e sé mentre
lavava i piatti, pensando che
per lo spuntino di quella sera avrebbero potuto tagliare la torta di
mele che
aveva preparato quel pomeriggio, quando sentì la voce di
Bilbo chiamarla. Non
l'aveva sentito uscire dalla sua camera, né entrare in
cucina, e si ritrovò a
sorridere tra sé e sé: il passo di Bilbo era
incredibilmente leggero, anche per
uno hobbit. Gli sarebbe servito molto, se fosse stato uno scassinatore
o
qualcosa del genere.
Sopprimendo un risolino per quel pensiero, si asciugò le
mani su uno strofinaccio
e si girò verso il figlio, rivolgendogli un sorriso radioso.
"Sì,
coniglietto?"
Bilbo non reagì arrossendo come al solito a quel soprannome
- glielo avevano
dato quando era piccolo e più cresceva più
Belladonna si divertiva ad
affibbiarglielo. Inarcò un sopracciglio, insospettita. "Vai
in salotto,
metto su il the."
Non aspettò una risposta e si diede da fare con i fornelli;
in poco tempo si
ritrovarono entrambi seduti sulle comode poltrone imbottite davanti al
focolare
acceso, due tazze di the fumante in mano e un vassoio con torta,
piattini e
forchette sul tavolino davanti a loro.
Bilbo rimase zitto per un po', soffiando sulla sua tazza e arricciando
nervosamente le dita dei piedi. Parlò solo quando Belladonna
allungò un braccio
per iniziare a tagliare la torta.
"E' un po'-- è un po' che non mi racconti le tue avventure,
mamma."
Cercò di dire con aria casuale, schiarendosi la voce a
metà frase con
quell'espressione così simile a quella di Bungo da fare male
al petto.
Belladonna non riusciva ad abituarsi a quanto suo figlio somigliasse a
suo
marito.
Sorrise fra sé: Bilbo aveva passato tutte le sere invernali
della sua infanzia
su quella stessa poltrona, chiedendo una storia dopo l'altra, fino ad
addormentarsi contro il bracciolo. Bungo sedeva con loro, fumando e
parlando
poco, accontentandosi di ascoltare la moglie raccontare quell'avventura
che
sapevano entrambi a memoria.
Madre e figlio si guardarono negli occhi e nessuno dei due poteva
fingere che
non facesse male, che non mancasse qualcosa. Belladonna posò
una mano sul
braccio di Bilbo e cominciò a raccontare senza fare altre
domande, senza
puntualizzare che erano anni che non lo faceva, scegliendo le sue scene
preferite, parlando per ore mentre il the finiva e la notte si faceva
più buia.
Il fuoco era quasi spento e il sonno pesava sugli occhi di tutti e due,
quando
Bilbo fece un respiro profondo ed ebbe il coraggio di parlare, la voce
un po'
umida e gli occhi che si sforzavano di non andare sulla terza poltrona,
vuota:
"Cosa ti tiene qui, mamma? Tu e papà mi avete sempre detto
che sei tornata
per lui, per la vostra promessa. Ma... ma adesso lui non
c'è. Non vuoi
andartene? Tornare a Rohan, a Gran Burrone, in tutti i posti dove sei
stata?"
Belladonna lo guardò. Si rese improvvisamente conto di
quanto suo figlio fosse
giovane e bello, insicuro e spaventato ma deciso sulle sue idee
esattamente
come suo padre. Gli scostò un ricciolo dalla fronte,
provando un'ondata di
affetto caldo. Era così piccolo, il suo Bilbo. Era piccolo
esattamente come lo
erano stati lei e Bungo e, esattamente come loro, aveva così
tante paure e così
tante idee nella sua testa piena di ricci.
"Beh... non ti posso mentire, qualche volta sì, ho pensato
di andarmene.
Ma non posso e non voglio." Rispose tranquilla, la voce bassa e chiara,
sicura - così diversa da quella della giovane che era stata.
"Io e tuo padre... ci eravamo promessi una cosa."
Quella notte di anni prima, con il rumore della festa di Bilbo poco
distante e
le mani strette come durante il loro matrimonio. Bag End era stata
costruita
per essere il loro nido, dove essere riparati dal freddo e dove trovare
sempre
conforto e felicità. Doveva essere il posto sicuro dove
tornare quando si era
stanchi, quando si voleva far riposare le ali. Ed era stata davvero
questo, per
lei, per loro: era stata questo e molto, molto di più.
Era suo compito adesso fare in modo che fosse così anche per
Bilbo. Quando
sarebbe arrivato il suo momento di volare via, lei sarebbe dovuta
restare lì, a
Bag End, e aspettarlo; avrebbe dovuto prendersi cura del nido che Bungo
aveva
costruito per lei e diventare la roccia di cui Bilbo aveva bisogno.
Bungo le aveva fatto promettere di essere un uccello migratore, ma lei
non
poteva chiedere la stessa cosa a Bilbo. Poteva solo curare il loro nido
e
sperare che, quando il momento sarebbe arrivato, i pensieri di suo
figlio
sarebbero tornati a Bag End.
Si rese conto che Bilbo la stava guardando con curiosità,
aspettando che
continuasse. Belladonna sorrise e gli accarezzò la guancia
liscia. Era ancora
troppo piccolo e troppo ingenuo per capire davvero e lei lo conosceva
bene. Se
avesse detto qualcosa adesso, Bilbo ci si sarebbe aggrappato per anni e
anni e
tutte le sue scelte ne sarebbero state influenzate. Se gli avesse
spiegato cosa
significava Bag End per loro, se gli avesse raccontato della promessa
che
avevano sussurrato al suo trentatreesimo compleanno, probabilmente
Bilbo non si
sarebbe mai allontanato da casa. Ma Bungo aveva visto in lui un uccello
migratore, che ad un certo punto avrebbe provato il desiderio di volare
via e
che avrebbe avuto bisogno di un posto a cui tornare, e Belladonna non
aveva la
intenzione di tappargli le ali.
Scosse la testa e gli posò un bacio sulla fronte.
"Andiamo a letto, coniglietto, forza. E' tardi."
Dopo quattro anni, Belladonna morì in silenzio, colpita di
notte da un male
fulmineo. Se ne andò senza soffrire e lasciò a
Bilbo tutto quello che aveva,
tutto quello per cui aveva lavorato in una vita di alti e bassi e
desideri
esauditi: Bag End.
Bilbo non seppe mai della loro promessa. Questa era la loro storia, non
la sua.
Questa era la storia di come Belladonna andò e
ritornò e di come Bungo divenne
l'albero stabile che teneva in piedi il nido dove lei trovava riposo,
alla fine
dei suoi voli. Bilbo non aveva bisogno di sapere tutto.
Lui avrebbe avuto il suo volo da vivere, la sua andata e il suo ritorno
da
raccontare.
Bag End sarebbe stata lì, alla fine, ad aspettarlo. Ogni
uccello migratore ha
bisogno di un nido.
"(...) E hai ragione:
penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri. E la mia
poltrona. E il
mio giardino. Vedi, quello è il mio posto. È
casa mia."
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