One shot
No irish
Ho conosciuto John
quando
ancora andavamo alle superiori in quella cazzo di scuola statale.
Quella
cazzo di William of York State School.
La odiavo, cazzo, era
veramente una tortura doverci andare.
Ai tempi io ero un
vero e
proprio segaiolo: mi ci stavo bruciando il cervello su quelle mode e
quegli
atteggiamenti alla David Bowie, il mio mito assoluto.
Amavo Bowie e amavo
tutto
ciò che Bowie faceva.
Mettevo lo smalto per
essere più elegante, per intenderci, e compravo Vogue per
poterne imitare i
canoni.
Avrei fatto il
modello, se
il cielo mi avesse mandato il culo di trovare un’occasione.
Invece quello stronzo
mi
mandò John Lydon, e da lì in poi la mia vita
sarebbe cambiata, come, d’altra
parte, anche la sua.
Lui era proprio
l’opposto
di ciò che io ero: io ero un modaiolo, lui era un barbone
irlandese brutto e
pazzo.
Lo credevamo davvero,
che
fosse matto.
Credo fosse colpa
della
meningite che disse di aver avuto verso i sette, otto anni: la sua
vista
funzionava male ed era costretto a fissare a lungo gli oggetti, per
metterli a
fuoco, per cui aveva quel perenne sguardo da schizzato psicopatico.
Mi piaceva proprio
tanto,
quello sguardo.
Poi anche i capelli
verdi,
perché li ha avuti verdi per un periodo, mentre io ancora
emulavo Bowie con un
taglio indecente mezzo rosso e mezzo non si sa cosa che John odiava a
morte e
anche di più.
Infatti, di li a poco,
ci
pensò lui a rasarmi, fu così, più o
meno, che ci inventammo quella acconciatura
assurda che ora la gente chiama spikes.
Come dicevo, alle
scuole
statali io ero proprio un segaiolo senza uno scopo nella vita,
caratteristica
che credo di aver mantenuto più o meno per tutta la durata
della mia esistenza
su questo marciume di pianeta.
Anche Lydon era una
testa
di cazzo, però lo era in modo diverso. Lydon era chiuso,
deciso e
anticonformista a livelli quasi nauseanti.
Ricordo con quanta
disinvoltura portasse quegli abiti strappati e tenuti insieme dalle
spille. Non
era moda, era povertà. Eravamo poveri, tutti, e per non
andare in giro nudi si
faceva anche questo.
Io spendevo tutto
quello
che guadagnavo, perché a quell’epoca lavoravamo,
in abiti pseudo eleganti,
sfacciate imitazioni di capi firmati d’alta moda.
L’unico
vestito di quel
genere su cui mise le mani Johnny, finì anch’esso
stracciato e rattoppato,
credo ormai per forza d’abitudine più che altro:
suo padre strippò, ma poi non
disse più nulla al riguardo, perché i genitori di
John cercavano sempre di
incoraggiarlo in quella storia pazzesca della band.
I Pistols cominciarono
a
provare mi pare nel ’75, quando Lydon iniziò a
bazzicare con un certo Malcolm,
un tipo rompiballe che era anche proprietario del negozio
“Sex”, un negozio di
bondage ed affini che dirigeva insieme a Vivienne, Vivienne Westwood,
una
stronza di proporzioni più che cosmiche che odiava
letteralmente Johnny e, di
conseguenza, penso odiasse anche me.
Ora, io inizialmente
non
avevo nulla a che spartire con tutto quel casino della musica e degli
strumenti… io non ne capivo una mazza di quel genere di
cose, ma è anche vero
che nemmeno Lydon aveva esperienze con il canto, eppure lo vollero a
tutti i
costi come frontman di questo ipotetico progetto rivoluzionario che
consisteva
in un sacco di rumori scoordinati e di spontanee proteste contro il
sistema.
In più di
metà dei live,
il pubblico rimase muto o, nelle migliori delle ipotesi, prese a
lanciare roba
sul palco.
Io trovavo che fosse
la
massima figata possibile.
Nessuno riesce a
zittire
degli spettatori, solo una cosa scioccante ed allucinante ha questo
potere.
Una figata.
Io ero proprio il
più
stronzo là in mezzo, proprio perché succedevano
tutte queste cose, queste
risse, che poi non erano nulla, non erano pericolose. Però
la gente ci si
divertiva, e questo non faceva piacere alla stampa.
Presero a dire che io
ero
un violento, che avevo rotto un bicchiere lanciandolo contro una
colonna e che
avevo ferito all’occhio una ragazzina.
Che cazzata.
Non è mai
successo. O per
lo meno, forse il bicchiere l’avevo davvero lanciato, ma non
c’era nessuna
ragazzina ferita. Non che io ricordi. No, erano cazzate.
Ero solo ubriaco e
fatto
di speed, non un violento.
Anche con Johnny
avevano
qualcosa da ridire, e non solo quei cazzoni dei giornalisti: i fans
erano il
peggio.
Una sera stavamo
suonando
in questo stupido bar, il Nashville, e Johnny sputava continuamente per
terra, perché
aveva un non so cosa, di sinusite, quindi ne aveva bisogno.
Uno stronzo del
pubblico,
un fanatico, credette di aver scovato la trovata del secolo e che
sputare ad un
cantante fosse un segno di anarchia e cazzate così.
Da allora fu una vera
pioggia, cazzo. Su ogni palco i Pistols si prendevano sputi
d’apprezzamento e
dovevano pure fingere di nulla.
Uno schifo assurdo.
La moda
dell’abbigliamento
punk venne dopo, perché all’inizio eravamo tutti
completamente diversi tra di
noi, nella band.
Lydon era un
po’ il
collante, finché non sono arrivato io.
So di averlo deluso:
ero
un suo amico, mi aveva portato lui nella band.
Diventai presto il
fenomeno da baraccone, presto tutti conobbero il mio nome molto
più di quanto
non conoscessero quello di Johnny. Non sapevo suonare il basso, avevo
imparato
poco prima del mio primo concerto, suonando su un album dei Ramones,
l’unica
band di punk americano che sopportavamo. A me piacevano, molto.
So di averlo deluso,
Johnny.
Me ne rendo conto un
po’
ora, perché stranamente non soffro più dei
sintomi da eroina.
La speed allora
già mi
stava ammazzando. Rido dei cazzoni se si fanno fregio della frase
“live fast,
die young”. Che minchiata senza senso. Non credo nemmeno di
averla detta io.
Se l’ho
detta io è perché già
stavo schiattando e il cervello mi aveva abbandonato da tempo.
Ora, comunque, sono
contento che Johnny abbia l’attenzione che si merita, anche
se a lui non
importa molto.
A tutti importa, siamo
tutti degli esibizionisti del cazzo, sotto sotto.
Ma a parte il lato
artistico, che è contestabile e anche no, io ho voluto
davvero bene a quel
figlio di puttana di Johnny, davvero.
Non c’era
affetto tra i
membri dei Pistols, ma qualcosa legava noi due.
Da ragazzino ero un
cesso
brufoloso e fuori di testa per Bowie, da ragazzo ero un drogato che
fingeva di
suonare un basso, ora io lo guardo, a volte, e mi diverto davvero un
mondo. Lui
è sempre lo stesso, cazzo, ma è sempre stato un
ragazzo molto più intelligente della
media, fin dai tempi della scuola.
La metteva sempre in
culo
a qualsiasi prof, li umiliava, li affrontava con l’arma
dell’arguzia.
Mi faceva divertire
anche
quando ci frequentavamo, molto prima della fama e tutto il resto.
Era buffo,
perché era nato
in una famiglia irlandese di poveracci e aveva vissuto in case popolari
per
tutta la sua infanzia, in condizioni veramente schifose, per di
più, se eri
irlandese ed abitavi a Londra, non avevi vita facile.
Un giorno ci trovammo
la
scritta “No Irish” graffiata sul cofano del pulmino.
Eravamo fuori Londra,
fuori Londra già odiavano i londinesi, figurarsi i londinesi
irlandesi come
Lydon.
Cazzo, che risate.
Anche io piacevo a
John,
anche se diceva sempre che gli sembravo un ritardato. In
realtà, io e lui,
avevamo molto in comune: entrambi avevamo dati anagrafici assai
controversi. Eravamo
praticamente inesistenti, perché nessuno sapeva con certezza
in che data
fossimo nati. Ne avevamo una, ma non era certo.
Mia madre era una
fricchettona, non sapeva nemmeno come mi chiamassi, avevo due nomi. E
due
cognomi.
Poi io presi il nome
del
criceto di Johnny, ed ebbi anche io il mio, come lo chiamate oggi,
nickname.
Noi non lo usavamo per
nasconderci, era il nostro vaffanculo al mondo. Lo pseudonimo di Rotten
vuol dire marcio,
come i
denti di John.
Vicious vuol dire cattivo,
perché il criceto di John era un piccolo topo bastardo che
aveva addentato suo
padre.
Per il mondo noi due
siamo
quello stronzo di Johnny Rotten e il defunto Sid Vicious.
Per chi ci conosce
siamo
ancora quei due bambocci che venivano da North London, John Lydon e
Simon
Ritchie.
E
voi siete dei simpatici
coglioni.
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