just a weapon
Just
a Weapon
Zabuza
conficcò la Kubikiri nel terreno,
creando un solco poco
profondo.
La
lama sembrava brillare sotto le ultime luci del tramonto: filtravano
fievoli, attraverso le pesanti coltri di nubi che coprivano il cielo.
“Siamo
vicini” dichiarò, sedendosi sotto uno dei grandi
alberi che
gemelli si stagliavano nella foresta.
Poco
più indietro, una figura quieta e silenziosa.
Haku
gli si accostò, rimanendo in piedi: con un gesto fluido
della mano
si tolse la maschera dal viso, inclinandolo leggermente in avanti.
“Stanotte
riposeremo qui. In due giorni dovremmo varcare i confini del Paese
delle Onde” continuò l'altro perentorio, poggiando
la schiena sul
tronco ruvido.
Haku
lo fissò per un momento, senza dire una parola: poi distolse
lo
sguardo verso l'orizzonte.
La
notte era ormai scesa, inglobando ogni cosa.
Così
avevano acceso un piccolo fuoco: lo scoppiettio delle fiamme spaccava
il buio, creando giochi di luci e ombre.
Zabuza
era rimasto seduto nella stessa posizione, le ginocchia piegate, le
braccia posate mollemente su di esse, gli occhi socchiusi: soltanto
le bende ingiallite e consunte si muovevano sotto il suo respiro
cheto.
Aprì
gli occhi di scatto, la mano che sferzava l'aria, solo quando
percepì
un movimento nella sua direzione: Haku non si scostò, le
dita ferme
quasi a lambire il viso dell'altro, il suo polso stretto con forza.
Sorrise,
i lunghi capelli neri e lisci ricadevano sul kimono leggero:
“Volevo
solo aiutarvi a toglierle” asserì, calmo,
sfiorando un lembo delle
bende che fuoriusciva scomposto.
Zabuza
rimase in silenzio, guardandolo, le dita che continuavano a stringere
senza delicatezza quella pelle accaldata. Fin troppo.
“Faresti
bene a riposare” rispose secco, scostandogli il polso verso
il
basso per poi lasciare la presa.
Haku
strinse le labbra, bagnate di amarezza: “Vi prego,
permettetemi
di...” continuò fievole, gli occhi neri sfuggenti,
il respiro
affaticato. Più che una richiesta, le sue parole sapevo di
profonda
supplica.
Permettetemi
di esservi utile...
Zabuza
inclinò il viso verso il basso: “Mpf. Fa' come
vuoi” dichiarò
stizzito, tornando immobile nel buio.
L'altro
sollevò di nuovo lo sguardo e sorrise ancora, questa volta
dolcemente: non replicò, solo iniziò con
un'attenzione devota a
scostare le bende dal suo viso.
Poco
a poco, in un rituale solo loro, Haku sciolse il viso di Zabuza da
quelle costrizioni di garza, fino a rivelarne la pelle e i contorni
definiti: le dita sfiorarono più volte le sue guance, il
naso, le
labbra, saggiandone il respiro o gli accenni di ruvida peluria, senza
che l'altro ne fosse mai disturbato.
Aveva
gli occhi chiusi, Zabuza: rilassato e placido, il capo inclinato
ancora sulla corteccia ruvida.
Haku
non smetteva di guardarlo, intanto che tra le mani arrotolava con
cura ogni porzione di benda sciolta: lo faceva tutte le notti, da
ormai diversi anni, eppure ogni volta era diverso.
La
sensazione di poter entrare in quello spazio stretto, di essere
accolto con naturalezza, la concessione di poter condividere quel
momento di tranquillità intima: gli riempiva il cuore.
Era
in quei momenti che Haku sentiva che la sua esistenza aveva un
significato: il senso di esserci attraverso quei
semplici
gesti attenti. Non per tutti, bastava soltanto Zabuza.
Haku
aveva socchiuso le palpebre, alcune ciocche corvine appiccicate alla
pelle lievemente madida di sudore e accaldata, le dita che avevano
quasi terminato quel processo di svestizione: per questo
sussultò
appena, quando di nuovo Zabuza gli strinse il polso.
Lo
stava guardando e Haku non sapeva nemmeno da quanto tempo.
Le
bende scivolarono lente sul terreno, sporcandosi: “Mi
dispi...”
provò a dire, ma si interruppe, le parole spezzate sulle
labbra
secche.
Zabuza
aveva serrato la presa, ma questa volta con una delicatezza quasi
disarmante.
Non
disse niente, semplicemente lo trascinò più
vicino a sé, al riparo
sotto le pesanti fronde scosse dalle prime gocce d'acqua.
Haku
si sbilanciò in avanti, ancora in ginocchio, il viso vicino
alla
spalla fresca dell'altro: rimase quasi congelato, le palpebre che si
inumidivano fugaci.
Aveva
fatto di tutto per dissimulare quello stupido malessere, ma ad ogni
ora che trascorreva il corpo bruciava e tremava senza che potesse
evitarlo: Fa' che non se ne accorga, ti prego. Non voglio che
se
ne accorda -
aveva pensato
costantemente, trascinandosi pesante attraverso il bosco – Non
voglio essere un peso.
Ma
lui se n'era accorto: per questo aveva deciso di fermarsi in mezzo
agli alberi, una sosta che avrebbe allungato solo inutilmente il
viaggio.
Haku
infossò il viso bollente nell'incavo del collo di Zabuza:
“Mi
dispiace” ripeté fievole, le forze che lo stavano
del tutto
abbandonando a causa di quella febbre improvvisa.
Provava
solo una grande vergogna, una mancanza inaccettabile: non
voglio
essere un peso – si ritrovò a pensare,
gli occhi lucidi, le
ginocchia molli, il corpo ora interamente accasciato su quello
dell'altro.
Ma
Zabuza non si scostò, la mano ancora stretta sul suo polso:
“Riposa,” mormorò solo, la pioggia che
iniziava a scendere più
forte. “Domani starai meglio”
Haku
strizzò le palpebre, alcune ciocche ricadevano ora sulla
spalla
dell'altro: “Se non dovessi...”
biascicò, la voce spezzata e
debole “Lasciatemi qui, vi prego.”
In
risposta percepì solo una rigidità nei muscoli,
simile a fastidio:
e le dita stringersi più forti attorno al suo polso.
Attraverso
lo scoppiettio delle fiamme, la lama bagnata di Kubikiri
sembrò
traballare vivida.
Haku
seguì lo sguardo di Zabuza: entrambi rimasero in silenzio a
fissarla, imponente a squarciare il terreno umido.
“Tutte
le armi hanno bisogno di essere rinfoderate”
Le
parole di Zabuza si mossero leggere e decise nell'aria, nonostante
fossero appena sussurrate.
Haku
sgranò appena le palpebre, schiudendo le labbra.
Poi
sorrise, inclinando il viso e stringendosi più forte a lui:
“Avete
ragione” mormorò solo, lasciandosi scivolare
infine nel sonno.
*
Le
prime luci dell'alba brillavano attraverso le nubi ormai diradate.
Haku
aprì gli occhi, rinvigorito.
Aveva
trascorso tutta la notte accovacciato vicino a Zabuza, rimasto seduto
con la schiena sul tronco, il respiro profondo di chi sta ancora
dormendo: non si mosse, avvicinandosi più stretto, senza
fare troppo
rumore.
Guardò
l'orizzonte: l'aria era ancora umida di pioggia, alcune gocce
cadevano dalle foglie, il terreno colmo di pozzanghere fangose.
Fece
un leggero movimento con le mani: dei rivoli d'acqua si mossero
cristallini, ondeggiando verso l'alto in una danza elegante;
guizzavano, illuminati dal sole, fino a che si ricongiunsero creando
un ovale perfetto.
Haku
osservò il suo riflesso traballante attraverso lo specchio
bagnato,
insieme a quello di Zabuza.
Sorrise
dolcemente, le iridi offuscate da un soffio di sale che non sarebbe
sceso mai.
Poi
si scostò, sollevandosi piano, senza fare rumore: lo avrebbe
lasciato dormire ancora un po'.
Si
fermò giusto un attimo, fissando la lama della spada: salda,
ferrea,
ancora conficcata nella terra.
Un'arma
inamovibile, a cui affidare la vita.
Che
uccide per proteggere.
Sollevò
gli occhi all'orizzonte, mentre lo specchio si infrangeva ricadendo
come acqua sul terreno.
A
qualsiasi costo.
“Sempre.”
mormorò solo, i pugni stretti in una tacita promessa.
I
confini del Paese delle Onde erano vicini.
Note
Autrice
Ciao a
tutti!
Questa
è la mia prima storia su
Haku e Zabuza e in tutta onestà, sebbene li ami
profondamente, sono
sempre stata molto impaurita a
scrivere di loro.
Quella
di Zabuza e Haku è una delle storie più belle
dell'intero arco
narrativo di Naruto, a parer mio: Kishimoto con loro ha toccato vette
altissime. Un legame che, in tutta sincerità, Naruto e
Sasuke se lo
sognano (levate proprio).
Per quanto ci abbia versato lacrime, il
loro finale è qualcosa di perfetto... Proprio per questo
sono sempre
stata restia: avrei da sempre voluto scriverci qualcosa per rendergli
omaggio, ma sono talmente belli così che ho sempre temuto di
rimaneggiarli. La devozione di Haku, la reale fragilità di
Zabuza,
la consapevolezza che sarebbero persi l'uno senza l'altro: è
un
amore profondo, limpido, non egoista, che nulla ha a che vedere con
desiderio o possessività.
Ci
sono perché voglio esserci, fino alla fine.
Le
lacrime di Zabuza poi valgono da sole mille parole.
"Sei
sempre stato al mio fianco...questa volta però
rimarrò io accanto a
te.
Haku...se davvero fosse possibile, vorrei solo
raggiungerti...ovunque tu sia..."
Quindi
questo voleva essere un po' un omaggio a questa coppia, un missing
moment durante il loro viaggio verso il Paese delle Onde (piango un
po').
Spero
davvero di aver mantenuto l'IC perché ci tengo
particolarmente. E
anche se so che Zabuza era restio a questo tipo di dolcezza, infondo
amava Haku più di quanto ne fosse consapevole.
Un
bacio a tutti.
Iky
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